L’insuperabile libro di Castelnuovo – I “saperi” antichi dei maestri del vetro

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Le Cattedrali non sarebbero così belle, così affascinanti e non “incanterebbero” una generazione dopo l’altra – da secoli! – se non avessero le loro vetrate.

Per saperne di più ci rifacciamo ad un’intera pagina, comparsa quasi dieci anni fa su “Il Sole 24 Ore” (13 novembre 1994) a cura di Enrico Castelnuovo e rimasta come “approfondimento” eccellente di questo argomento.

Il titolo del lungo articolo, era: “Mercanti e Cavalieri «in vitro»” si riferiva al monumentale studio scritto da Castelnuovo, a conclusione di un quarantennio di ricerche e studi suoi in merito, comparso nelle Edizioni Einaudi con il titolo “Vetrate medievali. Officine tecniche maestri” (Torino – pgg.424 – lire 120.000).

Ed ecco riprendiamo per intero l’articolo di Enrico Castelnuovo:

Se entriamo nella cattedrale di Chartres, che ha conservato quasi per intero la sua decorazione vitrea duecentesca , questa varietà di personaggi e di ruoli ci verrà. testimoniata dalle vetrate. Nelle finestre basse, dove le vite dei santi e le pie leggende si svolgono lungo tutto l’involucro dell’edificio, troviamo le rappresentazioni di lavoratori, artigiani commercianti intenti alle loro attività. Le immagini dei panettieri e dei mercanti di stoffe ritornano in ben cinque vetrate, quelle dei cambiavalute in quattro; sono poi rappresentati conciatori, muratori, acquaioli mercanti di generi alimentari, calzolai, armaioli, macellai, pescivendoli, pellicciai, tessitori, taglia pietre e scultori, carpentieri, falegnami, bottai, vignaioli, mercanti di vino, speziali, carradori, maniscalchi, merciai, farmacisti, pellai. Anche un singolo commerciante, un tale Gaufridus, appare con i membri della sua famiglia come donatore di due finestre alte, e inalbera le insegne dei mercanti di calze come gli aristocratici fanno con i blasoni. I componenti dei vari mestieri e delle varie professioni organizzati in corporazioni e confraternite avrebbero commissionato molte delle splendide finestre della cattedrale, il grandioso edificio al centro dello città. La ripartizione numerica delle quarantaquattro vetrate che furono offerte a Notre-Dame con le immagini di artigiani e commercianti al lavoro indica d’altra parte il carattere poco evoluto dell’economia della città: si tratta prevalentemente di rappresentazioni di piccoli mestieri, di attività artigianali o commerciali di ambito ristretto.

Se non proprio tutti gli abitanti, come vorrebbero le leggende romantiche, si è a lungo ritenuto che almeno tutti i gruppi di un qualche peso sociale, tutte le organizzazioni in cui erano riunite le forze attive della città abbiano contribuito a loro spese a decorare il tempio, che non apparteneva solo al vescovo e al capitolo dei canonici, ma che, dopo la ricostruzione seguita all’incendio del 1194, e grazie all’impegno economico richiesto ai cittadini, doveva essere percepito come un autentico monumento municipale, dove si pregava, ci si incontrava, si commerciava, si stendevano atti di compravendita, si visitavano le sacre reliquie.

Custodite nel gigantesco scrigno della cattedrale queste erano l’oggetto dei frequenti pellegrinaggi che rendevano noto, anche molto lontano, il nome della città, e aiutavano sostanzialmente lo sviluppo delle fiere che si tenevano quattro volte l’anno nei giorni delle feste della Vergine. I corpi di mestiere avrebbero ornato la cattedrale non solo perché spinti da pietà religiosa, non solo per mettere le loro attività sotto la diretta protezione di un santo patrono di cui la vetrata raccontava le gesta, ma perché la cattedrale era per eccellenza, e non solo simbolicamente, l’edificio pubblico della città. Ci sarebbe stato in tutto questo un desiderio di autoaffermazione e di visibilità, lo stesso desiderio che faceva partecipare allo sforzo il clero, la nobiltà, la corte.

Ma esistevano a Chartres corpi di mestiere organizzati all’inizio del Duecento? Ed è verosimile che essi abbiano avuto la forza economica e l’autorità sociale per intervenire in una misura tanto grande alla decorazione della cattedrale? E che volontariamente abbiano partecipato accanto ai nobili e agli ecclesiastici a questa impresa? Sono queste le domande poste da una recente ricerca che ha messo in rilievo i forti contrasti sociali esistenti a Chartres nel primo Duecento. Erano avvenuti scontri anche cruenti, e l’assenza di precise notizie sull’esistenza in quel tempo nella città di corporazioni artigiane e di confraternite a esse legate ha spinto a concludere che la rappresentazione dei gruppi artigiani al lavoro poteva eventualmente riguardare solo coloro che svolgevano un’attività all’interno del recinto del cloìtre Notre-Dame ed erano sotto la diretta dipendenza del canonici. Gli ispiratori e anche i finanziatori di queste vetrate dovettero quindi essere con molta probabilità gli stessi canonici interessati a diffondere un’immagine di concordia sociale.

Il problema non è risolvibile con certezza in un senso o in un altro, anche se la soluzione proposta nella ricerca di Jane W. Williams sembra molto sofisticata e poco documentabile, tanto più che a Chartres le vetrate con rappresentazioni di artigiani al lavoro sono situate in diverse zone della cattedrale e a diverse altezze (finestre basse, delle vetrate laterali, finestre alte della navata e dell’abside), sono state eseguite in tempi diversi e possono dunque avere avuto origini e committenze diverse. D’altra parte gli urti tra gruppi popolari e gerarchie ecclesiastiche erano all’ordine del giorno nelle città tra XII e XIII secolo, e questo non ha certo impedito la partecipazione dei cittadini alle grandi imprese costruttive. Il fatto invece che in precedenza rappresentazioni di artigiani al lavoro fossero state utilizzate nella cattedrale di Piacenza per marcare le colonne e i pilastri offerti dalle corporazioni di, mestiere, e che nel corso del XIII secolo analoghe ,rappresentazioni si presentino in altre cattedrali francesi, da Bourges a Le Mans, ad Amiens, a Tours, a Rouen, e che infine questi esempi siano stati seguiti nel primo Trecento fuori di Francia, nella nuova e grande collegiata di una città dalle molte attività manifatturiere e commerciali come Friburgo, o in Inghilterra a York, fa pensare che queste rappresentazioni attestino veramente l’entrata di nuovi gruppi sociali nell’,orizzonte della committenza.

Nelle vetrate offerte dai grandi del regno mancano quelle scene di vita quotidiana che fanno delle vetrate «borghesi» delle navate laterali e del coro. una vera summa delle attività artigiane e mercantili del Duecento e un repertorio unico di notazioni e di rappresentazioni concrete, troviamo per contro rappresentanti, ma anche in questo caso in modo del tutto innovatore, i grandi protagonisti di un periodo assai movimentato della storia di Francia, quello che vide gli ultimi anni di Filippo Augusto, il breve, regno di Luigi VIII (1223-28), la reggenza di Bianca di Castiglia, la giovinezza di San Luigi.

Come nel caso delle figurazioni delle attività artigianali nelle finestre delle navate laterali, le rappresentazioni dei donatori danno luogo a straordinarie novità iconografiche. Per la prima volta in una, cattedrale i blasoni dei donatori sono presenti con tanta frequenza, combinati con episodi e personaggi della storia sacra; per la prima volta un gruppo di donatori si fa rappresentare dentro una chiesa a cavallo e in armi. Le rose che sovrastano le finestre a doppie luci del coro ospitano una parata di sette cavalieri attorno. all’immagine del futuro Luigi VIII, rappresentato sopra una finestra della parete nord ancora senza corona, quindi prima della sua accessione al trono (1223).

Un’altra aristocratica, schiera di donatori si incontra nelle vetrate alte del transetto, e anche qui i motivi dell’autoesaltazione e della legittimazione attraverso le immagini sono presenti. Ancora una volta appaiono i grandi ufficiali del regno come Jean Clémerit maresciallo di Francia, i massimi feudatari come Thibault VI di Champagne, Philippe de Boulogne, Pierre Mauclerc. La loro storia si interseca, si sovrappone, si unisce e si differenzia con quella del re Luigi VIII e della regina Bianca di Castiglia, mentre le loro scelte, le loro posizioni mutano e si trasformano.

Prendiamo il caso di Pierre de Dreux, che, discendente da Luigi VI e quindi legato da vincoli di stretta parentela con la famiglia reale, era diventato duca di Bretagna nel 1212, grazie al matrimonio con Alix de Thouars. I due sposi avevano, dato prova di una straordinaria munificenza verso la cattedrale, e forse erano stati committenti della decorazione plastica del grande portale del transetto sud; di certo avevano donato la grande rosa meridionale – la rosa dell’ Apocalisse – e le cinque grandi finestre della claire-voie sottostante, ove troneggia la Vergine col Bambino tra i quattro profeti maggiori che reggono sulle spalle gli evangelisti, e appaiono, con i loro stemmi, quattro membri della famiglia di Dreux-Bretagna. La datazione di questo insieme può essere fissata tra il 1219 e il 1220 all’incirca – Alix de Thouars che appare come donatrice della vetrata muore nel 1221, i suoi figli Jean e Jolande nascono rispettivamente nel 1217 e nel 1218 e sono rappresentanti come bambini piccoli, mentre non vi appare l’ultimogenito Artus nato nel 1220. Di fronte a questa, a chiudere l’alta parete del transetto nord sta la rosa nord, dedicata alla Vergine, che, con le relative finestre della., claire-voie, è una donazione reale segnata dai gigli di Francia e dai castelli di Castiglia, la patria della regina Bianca.

Le vicende di tutti i donatori sono strettamente, intrecciate dalle comuni imprese militari, specie contro gli albigesi, fino a che1 dopo la prematura morte di Luigi VIII (1226), giungono a una svolta conflittuale. Durante la reggenza di Bianca di Castiglia, Maùclerc sarà infatti uno dei capi della coalizione di feudatari che cerca di opporsi .al potere della reggente. Accanto a lui stavano Thibault de Champagne e Philippe de Boulogne, altri munifici mecenati della cattedrale. La coalizione fu spezzata proprio da Jean Clément, maresciallo di Francia, che in un’altra vetrata è rappresentato mentre riceve da San Dionigi l’orifiamma.

Non abbiamo elementi certi per. datare ad annum queste vetrate, e tutto porta a credere che esse siano state eseguite prima della morte del re e della rivolta dei baroni; quando la loro lealtà alla dinastia era ancora indiscussa. Certo la rosa nord, con l’esaltazione dell’istituto monarchico attraversò la presenza dei dodici re di Giuda antenati delta Vergine e delle alte figure dei re e dei sacerdoti di Israele (Melchisedec, Davide, Salomone, Aronne) che accompagnano la figura di Sant’Anna nella claire-voie e incombono sulle immagini dei re sconfitti e idolatri rappresentati sotto di loro, ha avuto un significato politico preciso. Sia che, eseguita quando era vivo Luigi VIII, volesse costituire il primo manifesto dell’ideologia regia dei capetingi e ricordare ancora una volta le vittorie sugli eretici, sia che – realizzata al tempo della reggenza di Bianca di Castiglia – abbia voluto suggellare la sconfitta dei baroni e contrapporsi alla rosa Dreux di fronte.

Le donazioni dei canonici membri del capitolo, rappresentati in ginocchio davanti alla Vergine, patrona di Chartres, come il canonico Hemi Noblet, e di vescovi come Regnault de Mouçon, sono assai meno numerose di quelle della borghesia e della nobiltà: un calcolo condotto sulle vetrate che portano chiaramente traccia dell’identità dei donatori fa ammontare a sedici le donazioni ecclesiastiche, a quarantaquattro quelle dei re e dei. signori, I a quarantadue quelle degli artigiani e mercanti.

Quanto alla disposizione e alla ripartizione delle vetrate, essa ubbidisce alle gerarchie sociali: generalmente in basso, nelle finestre delle navate laterali e del deambulatorio, le vetrate degli artigiani in alto, quelle degli ecclesiastici e dei nobili, in posizioni privilegiate, come le facciate del transetto o le campate del coro che sovrastavano gli stalli dei canonici, queste ultime. Il tutto con parecchie eccezioni. Nelle finestre alte si trovano in gran numero anche vetrate donate dalle corporazioni più ricche, come quelle dei panettieri o dei cambiavalute mentre vetrate di donatori ecclesiastici, possono situarsi in basso, a un posto d’onore però, al centro della cappella absidale.

Una partecipazione sociale tanto diffusa e intensa alla decorazione della cattedrale poté essere facilitata a Chartres dalle solidarietà di interessi tra il vescovo, i canonici e le forze borghesi che si appoggiavano al capitolo per sottrarsi alla tutela del conte, e si trova anche a Bourges, a Le Mans o a Rouen, ma manca in altre occasioni, a Lione o a Reims, dove forti erano i contrasti o totale era la supremazia del vescovo.

Abbiamo altri casi dove l’iniziativa è più particolare e privata. La volontà di un potente, religioso o laico, può essere all’origine della decorazione di un intero edificio, di una chiesa abbaziale come di una cappella palatina. È il caso celèbre della vetrate di Suger a Saint-Denis. Anche qui, come e prima che a Chartres, la volontà di autorappresentazione e di autoperpetuazione costituisce una motivazione potente. L’abate si fa ritrarre nelle vetrate della chiesa così come iscrive” il suo nome sugli altari, sui portali, nelle formule di consacrazione. Abbiamo cercato di comprendere quali ragioni profonde abbiano spinto Suger a dare una spiccata preferenza alla vetrata. Una volta che il prestigio dei prodotti di questa tecnica si fu affermato nelle coscienze e nell’immaginario degli uomini del XII e del XIII secolo, la vetrata divenne una forma artistica particolarmente ricercata e i vari detentori del potere e della ricchezza gareggiarono nel commetterne. Il prestigio dell’opera si riflette sui committenti, le loro rappresentazioni aumentano in modo impressionante nel corso del, tempo per giungere, nel Trecento, a forme palesi di esibizione della propria figura, delle proprie armi, del proprio ruolo, del proprio nome.

Nelle Vision of Piers the Ploughman, scritte in tre diverse versioni tra il 1360 e il 1390 dal misterioso William Langland, un frate invita Lady Mede, la dama che ha usurpato il posto della Chiesa e che rappresenta il potere mondano del denaro, a pagare una vetrata a Westminster dove si potrà leggere il suo, nome, assicurandola che questa atto garantirà l’accesso al cielo della sua anima: Abbiamo in fattura una finestra / che ci costerà molto cara. / Vorresti invetriarla tu questa finestra / e incidervi il tuo nome? / Nelle messe e nei mattutini / per Mede canteremo / solennemente e dolcemente / come fosse una sorella del nostro ordine. / Ma Dio alle buone genti / proibisce tali incisioni / e di scrivere sulle finestre / delle proprie buone azioni. / Atto di avventuroso orgoglio è l’esservi dipinto e / pompa mondana…/.

Così, al tramontare del Medioevo, le immagini dei donatori, dei loro blasoni, dei loro ,nomi che incombevano dalle alte vetrate delle chiese erano, avvertite da alcuni fedeli come preoccupanti presenze della pompa mondana.

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