Tramonto di “tanto” in corso in Thailandia

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Era stata, la Thailandia, l’ex – Siam, il primo Paese che si era aperto alla globalizazione; e al modello dell’economia liberal-capitalistica.

Adesso, è tracollo; con risvolti sociali drammatici. La <immagine> più efficace l’hanno data il premier cinese Wen Jiabao e il suo omologo giapponese Taro Aso, che sono stati “evacuati” in extremis dall’Aviazione Militare che ha dovuto interrompere con urgenza il “vertice” che si era aperto a Pattaya.

Oggi la Thailandia – scrive su “La Repubblica” Federico Rampini – “è un concentrato di ricette fallite”; e ricorda come sia stato proprio in Thailandia, nel 1997, un’altra crisi finanziaria internazionale, che fu detta “l’asiatica”.

E va anche ricordato, per capire meglio come stanno le case, che il leader deposto – Thasksin Shinawatra – che venne definito un “Berlusconi Asiatico”, è un magnate che fece fortuna con il boom delle telecomunicazioni ma poi fu “al centro di gravi accuse quando vendette il suo impero a investitori stranieri (di Singapore)”.

Leggiamo ancora che “dall’esilio dorato fra Dubai e Londra – dove ha comprato la squadra di calcio Manchester City – Thaksin  continua ad usare la sua ricchezza per finanziare le proteste anti-governative, convinto che un ritorno alle urne potrebbe consentirgli di insediare un premier – fantoccio.

L’alternativa tra un plutocrate populista e l’attuale governo sorretto (forse solo provvisoriamente) dai militari e dal re, è un’atroce caricatura di quel che potrebbe essere la dialettica democratica in un paese ormai sviluppato come la Thailandia. Il caos di Bankok è la smentita più severa di quelle teorie sul “modello asiatico” di paternalismo autoritario, che hanno importanti fautori da Singapore e Pechino. La presunta stabilità di quel modello, in tutte le sue varianti di destra e di sinistra, è messa a dura prova dalla tempesta economica attuale e non solo in Thailandia”.

C’è anche un “tesoro” in ballo: i 2 miliardi e 100 milioni di dollari, che l’ex premier depositò in banca nel 2006.

C’è anche il “dramma” della Capitale: Bankok è diventata una megalopoli  di una diecina di milioni di persone; e vive tante “leggende” sulle sue “notti insonni”, con tanta birra, droghe dappertutto e locali a centinaia destinati alle “orge sessuali!”.

Tutti si interrogano, frattanto, sul “silenzio” del Re, che godrebbe di una vasta popolarità. “Eppure – scrive nel “Corriere della Sera”, Bill Emmot – il suo silenzio è tremendamente rumoroso perché, non avendo condannato le <camicie gialle> che hanno fatto cadere il governo democraticamente eletto l’anno passato, il re ha di fatto delegittimato la democrazia Tailandese, lasciando mano libera alle tattiche extraparlamentari, riprese successivamente, com’era prevedibile, dalle <camicie rosse> pro-Thaksin.

C’è un sola persona in grado di risolvere la situazione , ed è il re, che sarà tenuto a esprimersi con chiarezza, ma anche a trovare un compromesso con Thaksin Shinawatra, forse restituendogli la carica di Primo Ministro sotto nuove restrizioni costituzionali ampiamente concordate.

I sondaggi di opinione suggeriscono che se si tenessero oggi le elezioni, Thaksin le vincerebbe di nuovo. Il Re non può ignorare questa realtà politica. l’alternativa è un caos senza fine, e forse la rivoluzione

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