L’offerta politica è “inesistente”

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Si parla del PD, che si avvia al Congresso. Ne scrive, in un lungo editoriale sul “Corriere della Sera”, Angelo Panebianco, che vede la “malattia di quel partito” , appunto, nella scarsa credibilità della sua «offerta politica» complessiva”. C’è  “l’assenza di un insieme di idee e di proposte potenzialmente in grado di convincere una parte rilevante di quegli elettori che, fin qui, si sono tenuti alla larga dal Partito democratico…”.

Panebianco incalza con tante domande: “Come altro si può interpretare il fatto che il gruppo dirigente oggi non speri, per vincere di nuovo, nelle virtù e nelle capacità proprie ma unicamente negli incidenti di percorso altrui? Non è forse vero che, per tornare al governo, il Pd si affida solo alla speranza di una uscita di scena di Berlusconi e della disgregazione del centrodestra? Non è forse vero che esso ripone le proprie chances, anziché nella capacità di attrarre elettori, in quella di attrarre alleati? Puntare tutte le proprie carte, piuttosto che sulle possibilità di sfondamento nell’arena elettorale, sulle manovre nell’arena parlamentare, significa sostituire la tattica alla strategia, sperare che il tatticismo e le capacità manovriere possano sopperire ai ritardi culturali e alle inadeguatezze politiche.

Quando Massimo D’Alema dice che un partito del 27-30 per cento può andare al governo solo costruendo alleanze, rivela la sua sfiducia nelle possibilità di crescita autonoma del partito. Una sfiducia della quale è peraltro facile identificare l’origine: va cercata in una pagina di storia ormai chiusa, quella del partito comunista. Non critico D’Alema per questo: tutti noi siamo condizionati dalle nostre esperienze passate. Ma è un fatto che pensare che un partito del 30 per cento sia condannato a rimanere tale è un portato di quella esperienza. All’epoca del bipolarismo Usa/Urss il Partito comunista non aveva possibilità di espansione al di là di una certa soglia elettorale. Poteva accrescere la propria influenza politica e, eventualmente, entrare nell’area di governo, solo grazie alla sua capacità di costruire alleanze. È quello schema che, consapevolmente o meno, D’Alema oggi ripropone. Ma nel mondo attuale, senza più conventio ad excludendum, guerra fredda e partiti comunisti, quello schema dovrebbe essere buttato via…

Panebianco insiste nella sua tesi: “È nella proposta politica la vera debolezza del Pd. Ne deriva un circolo vizioso: la debolezza dell’offerta politica genera problemi di identità che alimentano la sfiducia, la quale a sua volta impedisce di agire creativamente per modificare l’offerta politica. Faccio solo l’esempio di un problema nel quale la debolezza, di visione e di proposte, del Pd è evidente: la questione dell’immigrazione. Si tratta di una questione decisiva. Nel XXI secolo è uno dei due o tre temi su cui ci si gioca, in Europa, il destino politico. I punti di criticità sono due: il problema dell’immigrazione clandestina e quello dell’immigrazione islamica. Sull’immigrazione clandestina il Pd balbetta. Affiorano qui i cascami di ammuffiti terzomondismi di origine comunista e cattolica. La sola cosa che il Pd sa fare è accusare di razzismo il governo. Ma davvero la politica detta dei respingimenti (in presenza di una colpevole latitanza dell’Unione Europea nel contrasto all’immigrazione clandestina) può essere così liquidata? Zapatero, il premier spagnolo, non risulta iscritto alla Lega Nord. Ma tratta con la massima durezza l’immigrazione clandestina. Non è forse nell’interesse dei Paesi europei mandare messaggi chiari alle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani? E, ancora, davvero il reato di clandestinità (che esiste in tante democrazie) è una infamia? Che lo descriva così qualche vescovo poco interessato al fatto che l’Italia possieda dei confini (il reato di clandestinità è proprio questo: la dichiarazione secondo cui i confini dello Stato non sono una finzione o una barzelletta) è comprensibile, ma se lo fa un partito di opposizione esso si condanna a non diventare forza di governo. C’è poi la questione dell’immigrazione islamica. Bisognerebbe smetterla di gridare all’islamofobia tutte le volte che qualcuno ricorda che l’immigrazione islamica è quella che comporta le maggiori difficoltà di integrazione e, in prospettiva, i rischi più seri. Come dovrebbero insegnarci le imprudenti politiche della Gran Bretagna e dell’Olanda, «dialogo» e «accoglienza» non risolvono il problema. Perché non ci siano penosi risvegli fra qualche anno, occorre dettare condizioni chiare. Ma quelli del Pd, quando discutono di immigrazione, sembrano disinteressati al tema…”.

Insomma e in conclusione (è la conclusione nostra): dentro e attorno a sé il PD fa il deserto delle idee.

 

Pino Rauti

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