Tante le ragioni per “essere pessimisti”

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Non è vero – come anche a noi era capitato di scrivere – che la grande crisi americana è arrivata all’improvviso e che non ci sono stati sintomi premonitori né esperti che in qualche modo non avevano messo in guardia in materia.

Ci invita ad una seria riflessione in merito – utile per capire meglio come sono andate le cose – un saggio di Fareed Zakaria appena uscito negli Stati Uniti con il titolo “The Post-American World”.

Diciamo subito – d’accordo con Federico Rampini, che ha dato del libro, su “La Repubblica”, un’ampia e lucidissima analisi; e molto più di una qualsiasi recensione – che il volume induce a conclusioni pessimistiche  quanto alla gravità della crisi, visto che l’ 81 per cento degli americani è convinto che il loro paese è sulla strada sbagliata.

“Le ragioni per essere pessimisti, spiga Fareed Zakaria – che è direttore di “Newsweek International” – non sono solo la recessione, la crisi finanziaria e la guerra in Iraq. L’ ansietà degli americani deriva da qualcosa di più profondo: l’ impressione che delle forze importanti e dirompenti stanno cambiando il mondo. «In ogni settore dell’ economia, in ogni aspetto della vita, sembra che i modelli del passato vacillino. Gli americani sentono che un nuovo mondo sta per nascere, ma hanno paura che esso sia disegnato in paesi lontani e da popoli stranieri. Guardatevi attorno. Il più alto grattacielo del mondo è a Taipei. La società a più elevata capitalizzazione di Borsa è a Pechino. La più grande raffineria del mondo è in costruzione in India. Il più grande aereo da trasporto passeggeri è europeo. Il più grande fondo d’ investimento del pianeta è a Abu Dhabi. Il più grande centro di produzione cinematografica è Bollywood, non Hollywood. Nella classifica dei super-miliardari ci sono solo due americani tra i dieci uomini più ricchi del mondo. Queste classifiche sono arbitrarie e un po’ banali, ma fa effetto ricordare che dieci anni fa gli Stati Uniti le dominavano tutte. Questi sembrano aneddoti, ma riflettono uno spostamento sismico nel potere e negli atteggiamenti». Com’ è chiaro da questa introduzione, la sindrome del declino non è una nevrosi solo italiana. Perfino l’ America in questa fase condivide l’ incubo diffuso in certe fasce dell’ opinione pubblica italiana: il timore di essere tra i perdenti della globalizzazione. Il saggista americano ricostruisce il grande scenario economico che fa da sfondo alle nostre paure. «Nel 2006 e 2007 – ricorda Zakaria – 124 nazioni hanno avuto una crescita economica superiore al 4 per cento annuo. Negli ultimi due decenni i paesi che si trovano al di fuori dell’ Occidente industrializzato hanno avuto tassi di crescita un tempo impensabili. Antoine van Agtmael, il gestore di fondi che coniò l’ espressione «mercati emergenti», ha identificato 25 imprese che hanno la più forte probabilità di diventare le multinazionali leader nel mondo. La sua lista include quattro società per ciascuno di questi paesi: Brasile, Messico, Corea del Sud e Taiwan; tre imprese indiane; due cinesi; una ciascuna per Argentina Cile Malesia e Sudafrica. Quella in atto non è solo l’ ascesa della Cina e dell’ Asia: è l’ ascesa del resto del mondo. E’ il terzo grande spostamento di potere nella storia moderna. Il primo fu l’ ascesa dell’ Occidente, attorno al XV secolo. Il secondo, alla fine del XIX secolo, fu l’ ascesa degli Stati Uniti. Il terzo è l’ ascesa degli altri». Da questa rottura storica Zakaria non trae conclusioni pessimistiche, tutt’ altro. Si potrebbe dire che il suo libro, nel contesto del dibattito americano, è l’ anti-Tremonti. La speranza prevale nettamente sulla paura. Anzitutto perché Zakaria evita di cadere in una trappola: quella di chi rimane ipnotizzato dalle gerarchie, dal rango della propria nazione misurato rispetto agli sfidanti. «Il mondo post-americano turba gli americani ma non dovrebbe. Questo non sarà un mondo definito dal declino dell’ America bensì dall’ ascesa degli altri». E’ una verità elementare troppo spesso dimenticata da chi fa leva su emozioni viscerali: noi non diventiamo più poveri perché altri diventano più ricchi. Come ha sottolineato di recente il nuovo presidente della Banca Mondiale, Robert B. Zoellick, «l’ ascesa economica di Cina, India, Brasile ha rafforzato e riequilibrato l’ economia internazionale, creando nuovi poli di sviluppo». Il presidente della World Bank osserva che più di metà della crescita nella domanda globale di importazioni ormai proviene dai paesi emergenti: le nuove economie asiatiche e latinoamericane in forte crescita offrono sbocchi di mercato sia per gli altri paesi in via di sviluppo, sia per quelli già sviluppati”.

Ma il saggio di Zakaria affronta anche altre paure; lo choc tra il capitalismo liberale e quello dei paesi “illiberali” e i problemi complessi posti dalle superpotenze governate da regimi autoritari.

Pino Rauti

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