ALLE RADICI DI UN’IDEA: Il progetto nazionalpopolare e l’attualità del pensiero di PINO RAUTI – Hotel Loreto San Gabriele – Via Guglielmo Marconi 22, Loreto (AN) – Intervento di Ovilio Vitali

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Ringrazio Fabrizio Del Gobbo per avermi invitato a rendere la parola e darvi un cameratesco saluto. Mi tocca, anche se non era necessario, perché sono stato il promotore di questa manifestazione che si doveva tenere in precedenza nel nostro abituale “covo” di Villa Luzi a Passo di Treia, ma poi ho pensato di coinvolgere gli amici del circolo “Il Quadrato” di Ancona e il gruppo “Aires” di Fermo, per dargli una impostazione regionale, come ben merita la figura del personaggio politico che oggi stiamo celebrando, coinvolgendo anche Gabriele Bavona di Fano, e Peppe Traini di San Benedetto, nostri vecchi rappresentanti nelle lorpo provincie, delle tesi che oggi stiamo rievocando.

Sono un vecchio arnese di una vecchia politica ma di un’idea che non tramonta anzi ora è attuale più che mai, dopo lo sfracello che sta attraversando questa falsa democrazia corruttrice di un popolo anch’esso corrotto e corruttore, per totale mancanza di senso dello stato e amor di patria. Ma quest’idea, specialmente in questo momento, non trova uomini e mezzi capaci per riportarla in auge, anche per la responsabilità di centinaia di piccole formazioni locali, ognuna con una fiamma diversamente stilizzata e altri simboli di riferimento che servono solo alla bramosia dei titolari per essere eletti al massimo consiglieri comunali, senza alcun vincolo di appartenenza. Inoltre non riesco a comprendere le due formazioni di estrema destra che da anni si cimentano nelle competizioni elettorali nazionali ma che si odiano e si annullano fra di loro. Senza considerare anche la parte moderata e democratica di chi ci dovrebbe rappresentare in parlamento, che si è adagiata al vangelo partitocratico e che per sopravvivere deve fare lo zerbino a personaggi che non sono nostri anche se qualcuno esprime alcuni nostri concetti e con tali concetti ha preso perfino (forse) il potere, ma questi nostri parlamentari soffrono del peccato originale per essere stati, quasi tutti, marchiati da tatuaggi indelebili impressi sulla loro pelle dal cognato di Giancarlo Tulliani e che ora vogliono rifarsi una verginità. I veri missini non dimenticano e non perdonano.

Potrei chiudere qui, ma mi permetto di dilungarmi un po’ perché io dal 1976 al 1991 sono stato un “homo rautianus” e un fervido propangadatore del suo verbo. Sono arrivato ad affascinarmi alle tesi rautiane attraverso un lungo percorso. Vengo da lontano, sono, penso, il decano di questa assemblea e fieramente fra un anno, se il destino vorrà, festeggerò i 70 anni di continuo impegno politico militante, non da protagonista (ed abbiamo visto i protagonisti dove ci hanno condotto) ma come manovalanza a mie spese, come tanti altri.  Sono anche, forse, l’unico rappresentante della gioventù italiana del littorio e uno degli ultimi rappresentanti della RSI, fiamma bianca ed i miei maestri sono stati poi Ernesto Massi, il primo Almirante, non segretario del partito, Pino Rauti ed ultimo Beppe Niccolai, per cui il movimento sociale italiano è stato per me un’esperienza di sinistra, beninteso, di una certa sinistra, sociale e nazionale. Ma posso dire con la celebre frase del giusti: “e buon per me che la mia vita intera mi regalasse di conservare un sasso su cui c’è scritto non cambiò bandiera”. Che io non ho mai tradito. «Etiamsi omnes ego non».

Il mio rapporto politico con Pino nel tempo

Nel 1976 deluso da una certa politica dei nostri voti in frigorifero, subii la scissione del partito e benché fossi amico di Grilli e Cerquetti che abbandonarono, per fedeltà rimasi nel MSI. Intanto avevo già sentito parlare da qualche anno di un Centro Studi Ordine Nuovo che con la sua azione cuturale e politica stava combattendo l’immobilismo politico ed un reducismo sterile, utile per conservare un bacino elettorale consolidato con lo sguardo rivolto al proprio originario mondo d’appartenenza il MSI. E quando Rauti e gli altri rientrarono nel partito, manifestando la volontà di misurarsi su un terreno più strettamente politico, compreso quello elettorale, non ebbi nessun dubbio ed entrai nel famoso covo di Via degli Scipioni, a Roma sede storica dei seguaci del “Gramsci nero”.

Intanto qualche anno prima un giovane sannita, Generoso Simeone, aveva lanciato  questo appello al mondo giovanile. «Non è più possibile restare alla finestra a guardare un mondo che va in rovina, una civiltà che viene distrutta… ci vuole una politica che incide, qualifica, chiarisce; una politica che graffia e che colpisce; una politica di alternativa globale, che faccia, balenare un mito e un’idea per le nuove generazioni, capace di affascinare e trascinare per la creazione di un nuovo ordine sociale.  E l’Europa si unisca davvero e torni al suo primato di civiltà». Rauti capì che era arrivato il momento di uscire allo scoperto e radunò nel suo “covo” giovani delusi ed altri volenterosi, che divennero poi tanti ed incisero per 15 anni sulla politica del MSI. Io fui l’unico presente delle Marche.

Bisognava venire qui o nella libreria di Enzo Cipriano per rendersi conto che il rautismo è qualcosa di più di una semplice corrente. Un’area composita di fascisti eretici di tutte l’età, nazional bolscevichi (in odio agli USA), cattolici tradizionalisti, cultori della mitologia dei popoli iperboreali, appassionati di sette esoteriche, oltre a pochi originali che vengono definiti “i maghetti”. Un’apparente confusione e in estrema sintesi, come scrisse un osservatore esterno Giovanni Tassani «il caso teorico nella cultura di questo mondo è la conseguenza del sovrapporsi di storia e mito. Le vicende del passato sono cioè vissute e interpretate attraverso elementi simbolici più che razionali.»

Simbolo del rautismo è la medaglietta, croce celtica, che mette insieme l’emblema cristiano e la paganeggiante ruota solare dei popoli arì. Portata al collo con catenina è l’unico gadget dell’homo rautianus.

Nel 1977, il guppo “Linea Futura” nato in occasione dell’XI congresso missino e di cui ero delegato per le Marche, diventa il centro politico intorno a quella che Rauti definisce la strategia delle “iniziative parallele” destinate a riannodare il nostro dialogo con una più vasta opinione pubblica e che, per loro natura e modo di esplicitarsi, sono rinnovatrici rispetto alla struttura classica del nostro partito. Si da vita alle radio libere di area, emerge dopo il primo Campo Hobbit, la realtà della musica alternativa; nascono pubblicazioni e associazioni che si occupano, in modo specifico del mondo femminile, dell’ecologia attraverso i “G.R.E.”, e delle altre forme di comunicazione come grafica, satira, fumetti.

Intanto io mi do molto da fare, promuovo riunioni e convegni, affronto un congresso provinciale con la presenza proprio di Almirante dove leggo la mozione di Linea Futura fra clamori e schiamazzi con dura reprimenda del segretario, ma riuscii a far eleggere tre delegati per il già citato congresso nazionale. Il solco era stato tracciato.

Nel 1979 nasce il quindicinale “Linea” e l’esperienza di questo giornale da ulteriori ragioni all’azione del gruppo rautiano, che, con le tesi di “Spazio Nuovo” elaborate in vista del congresso di Napoli dello stesso anno pone l’accento sulla necessità di proporre non solo un modello alternativo di stato rispetto a quello democratico parlamentare, quanto anche di dare una risposta alla crisi di fiducia del marxismo e alle debolezze del modello capitalistico, nel segno di una battaglia sociale incentrata sull’idea corporativa e sulla socializzazione. In questo congresso fui cooptato per entrare a far parte del comitato centrale del partito. Nel 1982 ci fu l’abbandono degli “Amici della Fogna” i giovani del Fronte della Gioventù capitanati dal valido Marco Tarchi espulsi dal partito per indisciplina. Fu un grave colpo per la corrente rautiana, ed anche per me, perché molto amico di Marco e appassionato per i suoi indirizzi metapolitici. Ma rimasi.

Poi gli anni a venire e altri congressi, altre mozioni come “Andare Oltre” dove si lanciò lo slogan dello «sfondamento a sinistra» perché era previsto con largo anticipo la fine dell’unione sovietica e il conseguente sbandamento del Partito Comunista Italiano e dei suoi seguaci. Erano i tempi in cui Almirante cominciò ad avvertire scarso fiuto politico per il vento che durante il suo lungo regno cambiò più volte, grandi gli errori, le incertezze, le ambizioni. Poi  nel 1983 l’occasione perduta per far uscire i nostri voti dal “frigorifero” a lui tanto caro e che già gli era costato la scissione di democrazia nazionale. Per la prima volta un Presidente del Consiglio, Craxi, lo incontrò in forma ufficiale a Palazzo Chigi e lo autorizzò a dire all’esterno che “l’arco costituzionale è morto” per cui avvenne anche lo sdoganamento pubblico del MSI. Non solo, Craxi, nella breve stagione del cosiddetto “socialismo tricolore”, invia il ministro Formica a prendere contatti con Niccolai e Accame, noti e bollati come “fascisti di sinistra”. Ma Almirante continua ad ondivagare e non coglie, ancora una volta, l’occasione propizia. Si crogiola sull’esistente, riempie ancora le piazze con la sua oratoria, ma le urne sono ancora scarse di voti. Non afferra le chiavi per aprire quel chiavistello che lo isola nel ghetto, ma lui nel ghetto ci sta bene e non ha alcuna voglia di uscire.

Nel 1987 Rauti prosegue per la sua strada e si allea con Beppe Niccolai che con la sua mozione “Progetto Italia” sfida il segretario del partito Almirante che, per l’età e le condizioni di salute precarie è costretto a passare il testimone al suo delfino Gianfranco Fini. In questo congresso di Sorrento Rauti declina il nuovo ruolo alternativo al partito con cui si propone di fare del MSI il nuovo “polo di riferimento” per gli illusi ed ormai disillusi della “vecchia sinistra”. Vince Fini per pochi voti e diventa il nuovo segretario. Ma la costante polemica interna e la debolezza della gestione finiana, tre anni dopo, per un “colpo di palazzo” ordito dagli stessi vecchi almirantiani contro Fini, reo di averli scavalcati dall’ordine generazionale alla normale successione del vecchio capo, portano Rauti a conquistare, al congresso di Rimini del Gennio 1990, la guida del MSI. In realtà è il canto del cigno della linea nazional popolare, che stenta a trasformarsi in azione politica concreta, che spesso appare contraddittoria agli occhi dei suoi stessi sostenitori che si sono accorti del voluto isolamento che avevano costretto la loro guida i nuovi componenti della segreteria. Nel Giugno de 1991 Rauti si dimette da segretario. Per il suo gruppo di riferimento è diaspora. Alcuni scendono a patti con Fini, rieletto senza congresso, altri  danno vita a nuovi soggetti politici irrilevanti. Altri ancora abbandonano l’agone politico. Io fra questi.

Rauti rientra nei ranghi, ormai isolato. Dopo quattro anni al congresso di Fiuggi si batte come un leone contro lo scioglimento del MSI in Alleanza Nazionale. Perde, ma fonda nel Marzo 1995 “Fiamma Tricolore” e dopo alterne vicende nel 2005 “Idea Rauti” ma al di la della sua vicenda politica, un alternarsi di visioni alte, previsioni geopolitiche azzeccate, proposte innovative e coraggiose intrecciate, purtroppo, a un tatticismo talvolta incomprensibile, rimane il “pensiero”, rimangono le “inquietudini”, le «idee che mossero il mondo», come il titolo del suo primo libro che ho letto, e di seguito i sei volumi della «storia del fascismo» scritta insieme a Rutilio Sermonti, che feci acquistare a tutti coloro che mi seguivano nella propaganda politica di quel tempo.

I miei rapporti personali con Pino

Quale è stato il mio rapporto personale con Pino in tanti anni che ho avuto rapporti con lui?  Dal 1976 quando primo fra tutti andai alla prima riunione a Roma dopo l’appello di generoso Simeone e poi continuando  attraverso le mozioni congressuali di “Linea Futura”, “Spazio Nuovo” e ”Andare Oltre” fino al congresso di Sorrento nel 1987, poche volte ho avuto modo di parlare con lui a lungo perché era uno strano  personaggio  che non voleva essere disturbato più del lecito. E, ogni volta che mi convocava era per lamentarsi dei miei comportamenti in quanto, per la verità aveva sempre ragione.  E’ venuto a Civitanova tre volte e ne ricordo una in particolare. Eravamo nel 1979, nel pieno degli anni di piombo, e doveva tenere un comizio in una piazza che non prometteva nulla di buono. Presi le necessarie contromisure e feci venire da Osimo un sostanzioso schieramento di giovani (allora ce n’erano parecchi) di Radio Mantakas, muniti tutti di bandierine tricolori allacciate a robusti manichi di legno che servirono infatti durante e dopo il comizio quando scoppiò una bagarre senza esclusione di colpi. Mi premunii a portare, dopo il comizio, Pino fuori dal campo di battaglia, ma durante il percorso prima di arrivare nella vicina sezione del partito, trovammo un robusto personaggio con una pesante pietra in mano che la scagliò contro di noi e che fortunatamente non ci colpì. Siamo stati poi asserragliati in una stanza fino a notte fonda.

Oltre alle riunioni ufficiali, ogni mese  frequentavo  il “covo” di Via degli Scipioni a Roma e lì dovevo presentare un rapporto delle attività svolte nel territorio. E non era facile avere la sufficienza. Poi quando dovevo riferire qualcosa di extra  allora erano guai, ma c’era la scorciatoia: telefonavo a casa sua (non c’erano i cellulari) e la moglie, signora Bruna, che rispondeva sempre  bonariamente, faceva da tramite fra me e il marito e mi diceva anche se Pino era di buono o cattivo umore. Un benevolo ricordo della gentile signora prematuramente scomparsa.

Nel 1991 dopo le dimissioni di Rauti da segretario del partito (qui ci sarebbe da aprire una lunga pagina, anzi un libro) mi sono ritrovato con lui in un sottoscala dell’Hotel Ergife dopo il Congresso di Fiuggi per redigere le basi e il simbolo per la costituzione di “Fiamma Tricolore” insieme a Biglia, Pisanò ed altri. Ma nel 2000 in occasione di un congresso a Chianciano, restituii la tessera del nuovo partito direttamente nelle sue mani dopo le note ed assurde divergenze con Luca Romagnoli.

Ci siamo rivisti nel 2005 a L’Aquila in un convegno organizzato per il centro-sud  da Peppino Incardona di Bari e Bruno Esposito di Napoli per l’avvio di una nuova formazione “Idea Rauti”. In un momento di sosta mi avvicinai a lui e sommessamente gli dissi : “Pino è una vita che ti rincorro e ti seguo” aspettavo che mi avesse risposto “bravo”, invece mi disse laconicamente “vuol dire che ci siamo invecchiati insieme”. Non l’ho più rivisto né sentito. Ma ogni mattina, quando esco da casa e attraverso il mio piccolo  giardino, vedo troneggiare verso l’alto un maestoso albero, un po’ storto come era lui, che personalmente piantai  nel 1990 in giorno dopo la sua elezione a Segretario al Congresso di Rimini.  Chiesi al giardiniere un ”pino” , per ricordare nel tempo il suo nome, invece, vederlo crescere, mi sono accorto che era un cipresso. Era, forse, un fatto premonitore. Addio Pino, ti ringrazio per  quello che mi hai imparato. Ti ho voluto bene.

Ovilio Vitali

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