Angiola Tremonti: “Mabilla”

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Nelle sue realizzazioni artistiche . scrive, fra l’altro, Rossana Boscaglia – Angiola Tremonti “ha sempre privilegiato una tendenza fantastico – surreale che le ha consentito di colloquiare con i bambini – puntando sull’aspetto favolistica dell’immagine – e con il pubblico colto – puntando, in questo caso, sulla complessità dei rimandi che le opere suggeriscono”. Prendiamo le mosse da qui, per scrivere una nota su “Mabilla”, l’opera che Angiola Tremonti dedica a sua madre.

Della Tremonti, sul volume; di lei e della sua casa, scrive anche Mario Cauti. Secondo lui “E’ come entrare in un vulcano in eruzione. Entrare nella sua casa (“castello?” “museo?”) significa far breccia nell’antro della fantasia, dove colori e creatività danzano sui muri, sopra i tappeti, tra le sculture”. Il “cronista” che, come lui, si è avvicinato da profano ad Angiola Tremonti “non può non essere travolto dalla sua personalità straordinaria ed unica”.

Da “dove viene” artisticamente la Tremonti, lo rievoca in sintesi Raffaele De Grada. Scrive che essa non è “una artista occasionale che si diletta di piccole cose viste e intimamente godute”. Ricorda che: Ha studiato alla scuola del nudo di Brera; ha insegnato e si è sperimentata perfino nel campo della grafica pubblicitaria. E’, come si dice, una artista professionista che espone fin dal 1986”. E, confortata da autorevoli critici “insegue con la pittura e la scultura un personaggio di favola nel quale ella identifica se stessa e che chiama Mabilla”. E ancora: la Tremonti dimostra di andare oltre la materia dipinta omodellata per uscire dall’arte di tradizione verso una tradizione di “arte applicata” (spille, bracciali, anelli, oggetti ornamentali che Gillo Dorfles vede “come un trampolino per ulteriori e multiformi ricerche”.

Ed è proprio sulle “arti applicate”, in uno scritto sui Frutti maturi d’una lunga “carriera artistica”, che lo stesso Gillo Dorfles è presente nel volume. Con un articolo che ci dispiace non poter riprendere per intero perché non solo fa notare quanto sia tutt’altro che idonea la terminologia “di quelle che un tempo si definivano <<arti applicate>> (perché non da oggi ma dal più remoto passato, alcuni capolavori appartengono appunto a questo settore)” ma perché affronta poi, il tema del degradarsi della pittura (“eco lontana rispetto agli antichi splendori…”).

Ed ecco per avere le idee più chiare su questo nostro “personaggio”, qualche cenno sulla vita di Angiola Tremonti che, nata a Sondrio, vive e lavora a Cantù (in provincia di Como):

Fin da bambina ha rivelato amore per il prossimo, per lo sport e per l’arte.

Dopo aver conseguito il diploma magistrale, ha frequentato l’Accademia di Arti Applicate a Milano ottenendo il diploma di grafico pubblicitario.

Inizia un periodo di apprendimento in uno Studio Associato di architettura e frequenta i corsi della Davide Campari, Istituto Superiore di Pubblicità, Comunicazione e Marketing conseguendone il Diploma.

Lavora a Como per la Sagsa, casa editrice del quotidiano locale “L’Ordine”.

Risulta poi vincitrice di concorso e inizia a insegnare nella scuola pubblica.

Durante questi anni lo studio della didattica, la sperimentazione e l’osservazione dei bambini la interessano e quindi approfondisce la conoscenza della psicologia frequentando corsi ad ampio raggio.

Lo sport, praticato da sempre, da diversivo si trasforma in professione: è allenatore-istruttore della FIT. Dedica quindi tutto il suo tempo all’insegnamento, se pur in due campi diversi.

Gravi problemi fisici la portano a lasciare l’agonismo e il tennis professionistico. Si crea un vuoto e allora il volontariato emerge come un’esigenza vitale e di riscatto. Segue i corsi di Crocerossina, per due anni non manca agli appuntamenti in corsia e alle lezioni in sede. Non le si addice però la disciplina, per lei poco coerente con il suo ideale caritativo di maggiore umiltà, così si ritira prima dell’esame finale. Liberamente ha luogo un’esperienza esistenziale imprevedibile come ricerca, in paesi lontani come il Burkina Faso, in Africa, e a Calcutta, in India, lavora alla Casa dei bambini, conosce Madre Teresa, ha luogo un intenso arricchimento vitale.

Chiede poi di essere incaricata al carcere del Bassone, dove insegna alle detenute. È proprio durante questa esperienza che, per assecondare le richieste delle sue allieve, riprende a maneggiare i colori e non li lascerà più.

Siamo nel 1988. Inizia il cammino artistico, frequenta gli studi di vari noti maestri e apprende tutto il possibile. Si tratta di recuperare “il tempo perduto”. Con essi mantiene ottimi contatti, non vuole rimanere legata ai loro insegnamenti in quanto consapevole della gravità che su di lei possono avere i loro influssi artistici.

Lei vuole essere se stessa.

Lasciata la scuola frequenta i corsi di nudo all’ Accademia di Brera, segue i corsi di affresco alla Scuola Castellini di Como e nel frattempo inizia a esporre. Impara le tecniche della incisione e della stampa, frequenta le botteghe degli artigiani canturini e scopre un mondo nuovo: produce vetrate a piombo, si avvicina alle tecniche dell’intaglio e del cesello.

La ricerca è per lei la base dell’arte.

Mette da parte le tele e i colori a olio per continuare il suo lavoro su tavole plastiche, intarsiando e usando resine e gessi. Questa tecnica, tutta sua, rende il suo lavoro distinguibile fra tutti. Senza lasciare la sua tecnica di “intarsio pittorico” nel 1994 si avvicina al mondo della scultura, alla creta e alla cera, produce i suoi primi lavori in bronzo, in oro e in argento, aprendo così un filone nuovo, quello del gioiello e dell’oggetto d’arte. Inizia la sua attività anche di design.

La scultura la attira, la fonderia diventa per lei luogo del mistero… con le sue mani crea opere monumentali in bronzo.

Incontra Stefano Ronchetti, titolare della Marzorati Ronchetti, “la boutique del fabbro”. Appoggiata dalla loro tecnologia si cimenta nel realizzare strutture in acciaio acidato.

Angiola vuole essere se stessa.

(a cura di Pino Rauti)

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