Antifascisti: ma come sono ridotti male!


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

I tanti libri che escono sul fascismo – in Italia come in tutto il mondo – sono più o meno decisamente “pro” oppure di tono documentaristico. Difficile trovare un volume che sia francamente “contro”. Ma poiché uno ne è uscito di recente (“Le veline del Duce” – edizioni Sperling Kupfer, pagine 179 – 18,00 euro) dobbiamo qui, per correttezza informativa, darne conto. L’arrivo nelle librerie, è stato “salutato” dal “Corriere della Sera” con un articolo di Antonio Carioti; un articolo che è ancora più polemico del volume, perché tra occhiello e titolo siamo a questo: “Un libro raccoglie le disposizioni grottesche del fascismo ai giornali. Vietate anche le foto troppo “umili” di donna Rachele – «Ignorate Greta Garbo»: veline da ridere del Minculpop”.

C’è da essere interessati, non è vero? C’è da andare a leggere il libro, naturalmente. Ma prima di tutto, c’è da leggere l’articolo.

Per scoprire – e ci aiuteremo, oggettivamente, con qualche stralcio dello scritto di Antonio Carioti – per scoprire, dicevo, che le cose non stanno affatto come viene chiassosamente proclamato.

Perché è vero che qualche “nota” del Minculpop è redatta in tono eccessivamente enfatico – ma è un pò lo stile dell’epoca; e anche le pubblicazioni antifasciste che uscivano in Francia, per non parlare dei toni dei tanti “comunicati” della Mosca stalinista ne erano abbondantemente intrisi ma, tutto sommato, e scendendo nel merito, cosa c’è di grottesco, cosa c’è di “roba da ridere”?

Si tendeva a dare, ad esempio, consigliando la pubblicazione di un certo tipo di foto femminili e sconsigliando quelle di altro tipo, una “immagine” di donna non troppo “divistico”. Discutibile? Opinabile? Certo; ma non grottesco.

E lo stesso può dirsi di quel che l’articolo sostiene, quando denuncia e contesta “l’ossessione di controllare ogni centimetro quadrato di carta stampata, pubblicità e annunci matrimoniali inclusi”. Il fascismo era un regime autoritario, sotto molti aspetti “totalitario” (nel senso che mirava ad inserire “tutto”, la totalità della vita nazionale nella struttura “organica e corporativa” dello Stato) e operava in un’epoca nella quale non esistendo la TV, quasi ogni espressione propagandistica e di “immagine” si giocava nell’area della carta stampata.

“Ed è a quel contesto che bisogna rifarsi – e non ci vuole molta fantasia; e volumi a diecine lo hanno fatto! – per capire lo spirito e le motivazioni di certe <<note>> del Minculpop”, scrive Carioti ricordando che l’autore del volume è un <<giornalista di lungo corso del Mattino”, anche quelle a proposito di Greta Garbo o, mettiamo, a proposito di donna Rachele.

Cosa c’era di male, sempre ad esempio concreto, nello sconsigliare o proibire troppe foto di Donna Rachele? Oppure di non citarla nei sommari e, durante la guerra, di consigliare di non citare “una sua visita in taluni ospedali?”.

Diremmo che si tratta di una specie di “pudore”, che a nostro avviso andrebbe invece sottolineato in senso positivo. E specie se confrontato con la “libidine” di tante più o meno qualificate protagoniste della vita pubblica attuale che sgomitano a più non posso per essere riprese in foto – o alla TV – anche quando si scambiano le mutandine.

Insomma, se è di cose del genere che si è ridotto a gioire con figio di riscatto, l’antifascismo, ci sembra di poter concludere che si contenta davvero di poco; delle briciole di cronaca…

Ci sono però, anche, nel volume alcuni “errori” dell’autore; e va dato atto all’autore dell’articolo di segnalarli con vigore.

Stralciamo da quello che scrive Antonio Carioti:

Collocare all’estrema destra lo scrittore fantasy Tolkien è un errore diffuso, ma la frase «le radici profonde non gelano», tratta dal suo capolavoro Il Signore degli Anel1i non si può certo far risalire al Duce. Ben più stravagante è tuttavia vestire in camicia nera John Belushi, che rese popolare il detto «quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare» (traduzione dall’inglese «when the going gets tough, the toughs get going»).

Forse sviato dall’elenco incluso nel sito nostalgico www.ilduce.net, Cassero attribuisce inoltre al règime littorio il motto «chi osa, vince» appartenente invece (<<who dares wins») alle forze speciali britanniche. E fa lo stesso con l’antico monito «o con noi o contro di noi», già riportato, sia pure in forma un pò diversa, nel Vangelo di Luca (11, 23). Ma il massimo è assegnare a Mussolini la paternità dello slogan «meglio morire in piedi che vivere in ginocchio», immortalato, nella versione spagnola «antes morir de pie que vivir de rodillas», dalla dirigente comunista Dolores Ibarruri, nota come la Pasionaria.

Pino Rauti