Ma la Macedonia si sta spopolando


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Specialista in interviste, è il quotidiano “Zo Vima” che lo denuncia: il nord della Gracia si sta spopolando a ritmo sempre più accelerato; e il fenomeno è particolarmente evidente nelle cittadine della Macedonia, dove imperversa anche la disoccupazione, fra il 45 ed il 50% dei residenti, a Kastoria, Kozani, Eiras. A Naousa, che era la “citttà del tessile” (molti la definiscono la Manchester dei Balcani) c’è il deserto: le vetrine dei negozi sono tutte vuote; ovunque è pieno di cartelli “da vendere” o “da affittare”. In venti anni “1.200 imprese tessili del Nord della Gracia hanno chiuso i battenti e 35.000 dipendenti – l’80% donne – hanno perso il lavoro” cominciò “Lannet”, la più grande dittqa tessile della Macedonia… travolta dall’arrivo dei prodotti cinesi e dalla manodopera meno costosa dei Paesi vicini… le famiglie non ce la fanno più a vivere con 300 Euro al mese … e il solo ospedale di Naousa non ha più né medici né malati…. .

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I russi più ricchi se ne vanno a Londra


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Secondo quanto pubblica il quotidiano “the Indipendent” la Russia conterebbe 33 miliardari e 88 milionari (in dollari). E preferiscono vivere a Londra, battezzata come “Mosca 2” a 4 ore d’aereo. Il giornale americano “Forbes” ha addirittura definito la capitale inglese “Londongrad”. Si ritiene in 300.000 il numero dei Russi che sono andati a stabilirsi in Gran Bretagna. E se non tutti, ovviamente, dispongono dei 7 miliardi di sterline (10,4 miliardi di euro) che si è portato appresso Roman Abramovitch, diventato anche il padrone della squadra di calcio “Chelsea”, non pochi tra di loro dispongono di molti mezzi. Tanto che il grande magazzino di lusso Harvey Nichols ha assunto 6 rivenditori che parlano il russo per facilitare i loro acquisti. Il settore alimentazione, al 5° piano, ha raddoppiato la vendita di caviale (il più caro al mondo, a 126 sterline ogni 50 grammi ). E ha fatto scalpore, di recente, l’acquisto del russo Leonard Blavortnik di una casa, a Kensington Palace, per 41 milioni di sterline

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L'agricoltura resiste alla "mondializzazione"


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L’agricoltura resiste alla “mondializzazione”

Ci sarà un vertice a sullo agricoltura, a dicembre, ad Hong Kong; e si tenterà di stabilire un nuovo “calendario” dopo i fallimenti dei recenti incontri. Che hanno sottolineato un dato di fatto: l’agricoltura resiste alla mondializzazione; ed anzi si può parlare – come scrive l’Economist di Londra – ad un ritorno incisivo del protezionismo. Da Seattle, nel 1999, a Doha, nel ’91, a Ginevra nel 2005, la tendenza andata emergendo, in contrasto sempre più netto con l’orientamento liberista e degli Stati Uniti. Vero che i paesi poveri del terzo mondo e sono danneggiati dai dazi e tariffe doganali ma è ancora più vero che tutto il “mondo rurale” dell’occidente e e in particolare del Europa, sarebbe spazzato via da una politica diversa. Quelle che si temono di più sono le importazioni e di merci sotto costo; ed è stato questo il motivo del fallimento a progetto del giornale di Bush sulla zona di libero scambio è delle Americhe (ZLSEA). Gli americani sono particolarmente aggressivi, a questo punto, temendo che anche Hong Kong sia un fallimento; sostengono che l’unione europea voglia “perdere tempo” sulla strada della liberalizzazione, tirando in ballo tessili cinesi ma in realtà per difendere i suoi agricoltori.




Brasile: è scandalo per i preti pedofili


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Brasile: è scandalo per i preti pedofili

Il settimanale ” Istoe” sta pubblicando un’inchiesta di eccezionale risonanza: sui preti pedofili; ma lo scandalo era già scoppiato con gli arresti e le denunce; e con un intervento, ovviamente assai polemico, del Vaticano. Sono ” saltati ” fuori circa 1.700 sacerdoti accusati di pedofilia ho di complicità in vicende ad esse connesse. Al Vaticano risulta che anche i un Vescovo è compromesso: è Antonio Sarto.Ed è proprio alla ” relazione ” che gli inviati del Papa stanno per portare a Roma, che il giornale ha fatto riferimento. C’è stato anche un sacerdote che si era ” specializzato ” in riprese televisive, che avvenivano ” nella sua casa di campagna, presso San Paolo, dove portava i bambini di strada, raccolti con la scusa di liberarli dalle droghe; bambini fra i 6 e i dieci anni “.




Franco, criminale o padre della Patria?


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Franco, criminale o padre della Patria?

E’ in questi termini che si sta discutendo a accesamente in Spagna, mentre il governo deve affrontare una inattesa e imprevista levata di scudi per lo “spostamento“ di centinaia di statue del caudillo da tutte le piazze delle città spagnole. E naturalmente tornano d’attualità le vicende della guerra civile; che non solo fu terribilmente sanguinosa e lasciò la Spagna stremata, ma anche, in termini politici enormemente complessa; con, al suo interno, lotte aspre – accanto a Franco – fra i nazionalrivoluzionari di Josè Antonio Rivera e i conservatori della destra economica, e, nell’altro campo, fra gli stalinisti di fanatica osservanza sovietica e la sinistra anarchica. È una polemica tutta da seguire anche perché si esprime in libri del massimo interesse; ma intanto – proprio in materie di libri c’è da prendere atto che è in corso un vero proprio exploit su Franco. Di libri ne stanno uscendo a decine e, per tutto novembre, hanno avuto il massimo degli ascolti e “trasmissioni storiografiche “ dei due canali della televisione pubblica. “ Vogliamo sapere tutto – hanno commentato gli organizzatori TV – e si tratta di 16 milioni di spagnoli non ancora trentenni che allora non c’erano….




Anche per la Francia è “allarme climatico“


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Anche per la Francia è “allarme climatico“

Non c’è solo la rivolta delle periferie a dover preoccupare i francesi; ma anche il “cambiamento del clima“, che lascia prevedere che entro il prossimo ventennio “canicole e siccità accentuate e più frequenti, generatrici di una crescita di mortalità durante l’estate“. In inverno si avrà “una ridotta copertura nervosa ed i ghiacciai alpini si ritireranno ancora“.

In Francia non è mancato impegno governativo su questi problemi ed è stata anche istituita la “Missione interministeriale dell’effetto serra (MIES), anche in relazione all’impegno che Parigi aveva preso – sulla base del protocollo di Kyoto-  “di stabilizzare le emissioni di gas a effetto serra (GES) nel 2010 allo stesso livello del 1980. Qualche risultato è stato ottenuto sul versante del traffico automobilistico, ma tutto il resto è andato avanti in modo preoccupante; sicche -in data 10 novembre scorso – su richiesta di “Greenpeace France“ due ricercatori (Jean Janzbel ed Harvé Le Trent) hanno reso noti i risultati dei differenti scenari che si verificherebbero, se il clima si riscaldasse tra il 2 e il 3, 5% in più.  Sia pure in un arco di tempo molto lungo “una estate su due sarebbe caratterizzata da un effetto serra simile a quello verificatosi nell’estate del 2003“ con le conseguenze davvero drammatiche in termini di morti, soprattutto anziani rimasti soli nelle città.




L’Etiopia affamata verso la guerra civile?


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L’Etiopia affamata verso la guerra civile?

In Italia sembra calato un muro di gomma su tutto ciò che avviene in Etiopia, delle cui vicende scrive invece molto la stampa di tutta Europa. Segnalando con allarme che dopo le elezioni dei 15 maggio scorso – accusate di brogli e truffe e violenze – le “masse rurali” si stanno dimostrando ostili al potere di Adis Abeba; e che il “capo” Mebis Zenawi, al potere dal 1991, ha dovuto far uso delle armi – causando quasi 200 morti nella capitale ed in altre città – per reprimere la contestazione.

L’Etiopia conta attualmente quasi 78 milioni di abitanti; e la sua popolazione continua a crescere ad un ritmo che porta al raddoppio ogni 25 anni, come scrive su “le Monde” il ricercatore indipendente René Lefort.

Pochi “risultati” vengono resi pubblici anche sull’uso degli aiuti internazionali, benché essi ammontino “ad un quarto del prodotto industriale lordo”. L’ex ultra maoista Zenawi, comanda insomma solo usando la mano di ferro…

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Mosca: giù le mani dalla mummia di Lenin


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Mosca: giù le mani dalla mummia di Lenin

Il Partito comunista russo ha lanciato una “petizione popolare” e raccoglie firme perché la salma di Lenin, che giace mummificato in apposito Mausoleo sulla Piazza Rossa, resti al suo posto; e non venga traslocata e “sepolta” altrove come si era detto nelle scorse settimane.

La nuova polemica in merito è stata riaperta da uno dei “consiglieri” di Putin – Georgui Poltavtchenko – e la governatrice di San Pietroburgo, Elena Maturienko, aveva aderito subito: “Non siamo in Egitto!” aveva dichiarato; mentre il presidente kalmucco, Kizsan Houninyov aveva addirittura offerto di “comprare” la mummia e arredi vari del mausoleo al prezzo di 7 milioni di dollari per trasferire il tutto nella sua capitale, ad Elista. Per farne oggetto, si pensa, di una qualche iniziativa di carattere turistico.

I comunisti fanno notare che, dopo anni di scarso interesse, adesso c’è di nuovo la fila fuori dal mausoleo; e che la tomba di Stalin viene “ricoperta di fiori” ogni giorno; cosa che d’altronde avviene anche intorno al busto del fondatore della “Ceka”, Felix Dzerjinski, eretto di fronte alla sede centrale della Polizia russa, al numero 38 di via Petrovka.

Frattanto, Putin, una decisione l’ha presa: con un suo recente Decreto ha eliminato la festa del 7 novembre (anniversario della rivoluzione bolscevica del 1917) dall’elenco delle feste ufficiali ed ha stabilito che sia festeggiato l’anniversario del 4 novembre, come “ricorrenza patriottica” della Vittoria del 1612 sui Polacchi.

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Ogni giorno muoiono nel deserto messicano…


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Ogni giorno muoiono nel deserto messicano…

Nessuno riuscirà mai a stabilire con esattezza il numero dei morti che costa l’immigrazione “selvaggia”, quella per lo più clandestina. Ci sono battelli interi carichi di profughi “scomparsi” nel canale di Sicilia; altri morti, a centinaia, sono stati contati nelle acque attorno a Gibilterra, fra il Marocco e la Spagna. Ma una cifra, adesso, viene fuori da un’altra zona “classica” di quel tipo di immigrazione: il deserto messicano che si trova al di sotto del confine con gli Stati Uniti e che gli USA pensano di munire di una “barriera di sicurezza” lunga 3.200 chilometri ; un “muro elettrificato”, come proponevano alcuni parlamentari repubblicani in un loro progetto depositato qualche giorno fa al senato degli Stati Uniti.

Sono state rese note le cifre dei cadaveri “contati” dal 1995 ad oggi: sono 3.600.  Ma per ogni morto individuato si calcola che ce ne siano almeno 2-3 non identificati. Nel commentare queste cifre, il politologo messicano Sergio Aguayo – che ne ha scritto nel quotidiano “Reforma” – fa notare che durante i suoi 28 anni, il muro di Berlino “costò” la morte di 192 tedeschi che avevano tentato di superarlo.

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Mentre aumentano le difficoltà in Irak e su questo scoppiano dovunque – ma soprattutto negli Stati Uniti ed in Inghilterra – le più violente polemiche, si torna all'indietro e cioè a come venne creato l'Irak, dopo la prima Guerra Mondiale


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Mentre aumentano le difficoltà in Irak e su questo scoppiano dovunque – ma soprattutto negli Stati Uniti ed in Inghilterra – le più violente polemiche, si torna all’indietro e cioè a come venne creato l’Irak, dopo la prima Guerra Mondiale. E non ci sono dubbi: l’Irak fu una “invenzione” di Churchill; fu una creazione fatta a tavolino anche per effetto delle elucubrazioni di Thomas Edward Lawrence, detto “Lawrence d’Arabia”.

E’ interessante ricostruire la vicenda, e lo ha fatto di recente – con abituale e ben documentata capacità espositiva –  Sergio Romano sul “Corriere della Sera”. Ricordando – in risposta ad un lettore – che le cose non andarono proprio come volle la “leggenda” che è stata poi accettata da tutti, con la “travolgente sequenza della conquista di Aqaba, in Lawrence trascina i beduini alla vittoria”.

Le cose – scrive Romano – andarono assai diversamente. Leader della spedizione fu Auda Abu Tayi, che era il vero capo delle tribù beduine fra le quali Lawrence aveva vissuto per mesi.

Secondo David Fromkin, autore di un bel libro sulla spartizione dell’impero ottomano, pubblicato da Rizzoli (“una Pace senza Pace”), “ fu Auda a comandare la spedizione, anche se Lawrence rimase sempre al suo fianco”. Ma il giovane inglese corse immediatamente al Cairo per dare notizia della conquista e attribuirsene il merito. Fromkin aggiunge che “ possedeva molte virtù, ma la sincerità non era fra queste”. Un altro storico, Christopher Catherwood, autore di un libro sulla “invenzione dell’Irak” edito da Corbaccio (“La follia di Churchill”), ricorda che “allorchè il Governo britannico decise di rendere pubblici tutti i documenti relativi alla Prima Guerra Mondiale, i biografi di Lawrence scoprirono che molti passi del libro erano completamente inventati.

Nonostante ciò, Lawrence influì molto sugli Inglesi e la loro politica in quella zona e così “alla conferenza del Cairo del 1922….. Winston Churchill allora Ministro delle Colonie, inventò lo Stato Irakeno” per mantenere l’influenza britannica sulla Mesopotamia.

Ma oggi conclude Romano, si può dire che si dette origine a un “mostro politico in cui tutti i progetti delle potenze imperiali sembrano destinati a naufragare”.

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Il “tramonto dell’Occidente”, in atto, secondo che scrive, soprattutto in Europa ha sempre più precisi punti di riferimento, dove lo si può cogliere meglio che altrove. Secondo le statistiche più recenti da esempio, la Bretagna è sull’orlo di un degrado avanzato, nonostante conservi ancora una possente “stratificazione” culturale e beni storici di enorme rilievo. Sono i giovani quelli che stanno “venendo meno” soprattutto nei centri maggiori; a cominciare dalla “Capitale”, la bellissima Rennes; là vi è una quantità imponente di ragazzi grossi consumatori di droghe, di alcool e di psicotropi. E ancora: il tasso dei suicidi fra i ragazzi è il più alto di tutta la Francia.

Ci sono 60.000 studenti su 206.000 abitanti; ma di recente le autorità comunali hanno lanciato un “appello” preoccupato contro le conseguenze del modo di vivere “zingaresco” di tanti minorenni, che vagano per la città in compagnia dei loro cani.

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Ancora c’è qualche ostacolo per l’arrivo delle merci turche in Europa ma, se si andrà avanti sulla strada dell’ingresso della Turchia nella UE, ovviamente le difficoltà diminuiranno. Con il risultato che ci troveremo “invasi” da prodotti sotto-costo che metteranno in crisi altre nostre strutture economiche.

La Turchia è già adesso assai presente, con i suoi jeans ma anche con i suoi televisori e con l’agroalimentare. Tanto che le esportazioni turche sono aumentate del 100 per mille in tre anni e che il 55% di queste esportazioni viene assorbito dalla UE.

Ci sono, in Turchia, autentici “imperi” industriali, come quello delle “quattro sorelle” Dogan, il cui padre è “il primo contribuente dello Stato” e che possiedono 8 quotidiani, tra i quali i due giornali turchi più diffusi: Posta e Hurriyet, 26 settimanali, 4 catene di televisioni, 3 radio, etc.

Il gruppo, attraverso “Petrol Olisi” controlla la distribuzione di benzina e petrolio in tutto il Paese. E tutto si basa sui salari bassissimi che vengono pagati in Turchia: sui 200/300 euro al mese, specie nei settori del tessile, dell’abbigliamento e della lavorazione del cuoio, che rappresentano insieme oltre il 21% di tutte le produzioni turche.

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Cifre, ancora cifre. Senza farsene ipnotizzare e renderle “esclusive” delle scelte e delle decisioni socio-economiche, esse vanno comunque guardate con attenzione. Specie quelle relative ai settori principali dell’economia. Scriviamo mentre escono le ultime rilevazioni europee sulle spese dette “sociali” che sono ancora – nonostante quello che comunemente si crede – estremamente variegate perché ad esempio si passa dalla Danimarca, che vi impegna il 30% del suo PIL, agli Stati Uniti, dove si scende al di sotto del 15%.

L’ OCDE – l’Organizzazione Mondiale di Cooperazione e Sviluppo Economico – nel suo rapporto ultimo, intitolato “Panorama della Società”, sottolinea che le spese sociali sono raddoppiate fra il 1960 ed il 1980; poi si sono quasi stabilizzate per quasi 13 anni ma che sono in costante diminuzione dal 1993.

E la spinta al ribasso adesso ha raggiunto anche Paesi fra i più avanzati, come la Svezia e la Finlandia.

Ci sono scarti impressionanti che danno la misura di quanto sia stato forte – e di come ancora resista- quello che viene definito “Stato Sociale”; si pensi ad esempio che in Francia l’indennità per i disoccupati fa spendere il 6% del PIL contro appena l’ 1,8% degli Stati Uniti.

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Dal settimanale “Business Week” (Stati Uniti – 3 Ottobre 2005) un articolo sul super-lavoro negli USA. “L’internazionale” lo intitola: “i forzati del 2000”: “negli Stati Uniti il 31% dei laureati lavora più di 50 ore alla settimana, contro il 22% del 1980. Se prima erano gli operai con salari bassi ad avere gli orari più lunghi, oggi sono i professionisti ben pagati. Circa il 40% degli adulti dorme meno di 7 ore a notte , contro il 31% del 2001. “Questa epidemia di superlavoro sfida l’evoluzione storica ed il buon senso”, scrive Business Week. “negli ultimi 25 anni, le nuove tecnologie dell’informazione hanno aumentato la produttività del 70%.  Le conquiste avrebbero dovuto tradursi in una riduzione dell’orario di lavoro, ma non è stato così. La globalizzazione e Internet hanno infatti stimolato la competizione e creato infinite possibilità”. Nell’ottocento gli statunitensi dedicavano in media meno di due ore al giorno agli svaghi e lavoravano 6 giorni alla settimana. Negli anni 70 del ‘900, l’aumento della produttività aveva permesso di ridurre i giorni lavorativi a 5 e la settimana a 40 ore. Da allora però gli Stati Uniti sono andati in contro-tendenza rispetto ai Paesi europei, che hanno cercato di difendere il tempo libero. Invece di risparmiare energie, le nuove tecnologie hanno colpito la qualità della vita dei cittadini statunitensi.

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Crisi alla COIN di Milano, in tutta la “catena” e nei negozi di Corso Vercelli e Piazza Cinque Giornate. A chi si ferma davanti al “gazebo di solidarietà” in Piazza Cinque Giornate, capita di sentire come parlano le donne coinvolte nella vicenda dei licenziamenti; e anche “sindacaliste” e di capire quale mondo umano se ne sta andando a rotoli. Perché saranno pure di sinistra, ma a sentirle – e a leggerle, come mi è avvenuto di fare – resistono ancora anche lì tanti “riferimenti” tradizionali e di buon senso. “L’Unità” ha scritto – con una certa sorpresa – che “quelle signore….sentono per l’Azienda e per il proprio servizio un attaccamento perfino viscerale ……; e dicono “il nostro o il mio negozio” come se fosse loro davvero….” E racconta, la Signora Raffaella: “….malei losa che quando ci siamo messi a smantellare il mio reparto in vista della chiusura di Loreto, per mandare le merci alle altre filiali, io piangevo?…..”

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Giovinezza…..Giovinezza……

Nel mondo 208 milioni di giovani fra i 15 e i 24 anni vivono con 1 dollaro al giorno, e ben 515 milioni con meno di 2 dollari. 130 milioni sono disoccupati, e più di 10 milioni sono sieropositivi. La maggior parte di loro vive in Asia e Africa, e ben più della metà sono donne. Nelle campagne la povertà e molto più marcata che nelle aree urbane.

Sono dati negativi e pessimistici quelli raccolti nel “World Youth Report 2005: Young People today and in 2015”, il rapporto presentato all’ONU con lo scopo di riesaminare il cosiddetto “World Programme of Action”. Questo piano fu varato dall’ONU 10 anni fa con l’obbiettivo di affrontare e risolvere i problemi. Venivano anche fornite ipotesi di misure concrete per ottenere decisi miglioramenti in 15 aree importanti quali la povertà, l’istruzione scolastica e l’AIDS.

Ma per il rapporto ONU sono “tutti propositi rimasti sulla carta”, e dopo 10 anni, poco o nulla è cambiato.

Ciononostante la Commissione presenta delle proposte, ritenendo che sia sempre possibile recuperare. Tra i temi considerati centrali, la lotta contro la discriminazione ancora perpetrata nei confronti delle ragazze e l’impegno a colmare il gap di istruzione soprattutto nel campo digitale.