Gli Usa ci "rubano" perfino il culatello


Sembrava che non ci fosse prodotto alimentare piu’ tipicamente nostro del “culatello”; sembrava…perchè da qualche mese – e il “New York Times” gli ha riservato un lungo servizio – che anche quel prodotto viene copiato negli Stati Uniti da una azienda che si intitola “Salumi” ed è diretta da un ex-dirigente della Boeing di origine italiana. Armandino Batali, che ne sta producendo 30 al mese, usando maiali di una fattoria del Kansas. Armandino è il padre di Mario Batali, proprietario di alcuni noti e lussuosi ristoranti di New York.

Daltronde – anche se in Italia ci si bada poco, al di la dell’ambiente dei direttamenti interessati – il “mercato dell’alimentare” è davvero enorme; perchè la spesa alimentare nel nostro Paese ammonta ogni anno a 120 miliardi di euro e il fatturato dell’industria alimentare è di 105 miliardi. Ancora bassissimo il fatturato del “bio”: (che pero’ è in netta crescita); 1,6 miliardi di euro. Ancora piu’ in dettaglio: ogni Italiano spende mensilmente – secondo quanto risulta alla coldiretti- 451 euro; in media, naturalmente.




Il Tempo - Una vita a piazza Colonna. Giornalismo d’altri tempi


I ricordi del grande inviato Francobaldo Chiocci

Ogni volta che passa da Piazza Colonna, il vecchio cronista che imparò le notizie sotto la guida ondivaga ma estrosa di Renato Angiolillo, un mix inedito di Bel Ami e di Scarfoglio, ha una strizzatina al cuore…». Accade anche a me. Ma, sulla «Stampa», lo confida nostalgico Igor Man, raccontando di se e del suo esordio a ricasco del direttore che lo fece da subito grande inviato in quello che fu, nel primo dopoguerra, il quotidiano romano più diffuso, anzi l’unico non di partito («ll Messaggero» era ancora in quarantena) nella poca editoria rinata libera dopo l’arrivo degli alleati (…). Con Angiolillo, meridionale iroso negli attimi, non alla distanza, mai un addio era definitivo. Oltre tutto, per avventure e disavventure di vita, era un permissivo filosofo del precario. Anni prima, ostinato antifascista lucano come il fratello Amedeo fondatore del «Giornale di Napoli», era stato costretto a campare di espedienti: pubblicitario, regista, produttore cinematografico, anche venditore delle giacenze dell’editore Laterza con libri recapitati ai familiari dei morti più abbienti fingendo che fossero le ultime volontà del defunto. Coi morti ha sempre avuto una certa dimestichezza commerciale. Dei necrologi a pagamento, suo crisantemo all’occhiello, diceva: «I morti sono la vita del giornale».
Tra tanti nomadi di passaggio, a rimpiangere i giorni dell’avventura e della indigenza romantica del primo «Tempo» di via dellla Stelletta, un paio di stanze dietro il Pantheon, e rimasto Marcello Zeri come angiolilliano monogamo. Prima di diventare eterno redattore capo di desk con Scaparro, Sterpa, Angeli e Jattarelli, esordì coi calzoni corti allo sport. Era quello che nella boheme di redazione pedalava di più. Anche perche, ogni notte, accompagnava qualche collega a casa sulla canna della sua «Bianchi», finito il lavoro nella vecchia tipografia dove si stampava pure l’«Avanti!» e Pietro Nenni fu visto turbarsi quando arrivò la notizia che era stato ucciso l’antico compagno romagnolo Benito Mussolini. Per essere assunti, bisognava possedere una bicicletta. Aveva l’auto, una Balilla tre marce, solo il segretario di redazione Serafini. E solo il direttore, se vinceva a poker, poteva permettersi il lusso di andare e venire in carrozzella.
Zeri è l’ultimo depositario delle leggende fiorite su quello charmant e squattrinato direttore-editore-inventore. «Il Tempo» lo inventa, con Leonida Repaci, nella torrida e stralunata estate del 1944, a Roma appena liberata. E difatti esordisce con un doppio foglio socialisteggiante che inneggia a Piazzale Loreto e denuncia le spie dell’Ovra. ll futuro «senatore ippico», come lo chiamerà Fortebraccio, e appena uscito dalla clandestinità antitedesca insieme con l’ebreo Ettore Della Riccia, che farà capocronista, e l’intera famiglia Giubilo, che assumerà in blocco. Non è stato mai però esattamente chiarito se fosse vero che, per ottenere il permesso di uscire in esclusiva dal governatore alleato di Roma Charles Poletti, si sia rivolto alle disinvolte arti persuasive (festini, donne e coca) di Max Mugnani.
Fatto è che, con Repaci comproprietario e condiretttore, e con centomila lire in prestito, «ll Tempo» e l’unico quotidiano indipendente in edicola e si accaparra le migliori firme su piazza: il «conte rosso» Piovene e Barzini jr redattori capo; Falqui, Belli e Grande alla cultura; Malaparte, Lilli e Artieri inviati; D’Amico, Pannain, Guzzi. Doletti e un giovanissimo Rondi critici; Praz, Alvaro. Moravia, Savinio, Zingarelli, Corbino, Cargiulo, la Pietravalle tra gli altri collaboratori. Presto, liquidato Repaci con la restituzione del prestito fondatore, Angiolillo svolta politicamente. Un po’ per convinzione, un po’ per convenienza.
Nella Roma degli epurati, dei reduci, dei ministeriali, dell’Uomo Qualunque, delle scomuniche di Pio Xll e delle scritte «Arivolerno er Puzzone», si fa protettore di valori borghesi e tradizionali, di sconfitti e ripudiati, di compromessi in buona fede col vecchio regime. Rilancia firme «scomode» come D’Andrea, De Stefani, Businco, Assante, Longanesi, Aponte, Ansaldo, Borelli, Longo e anche ex «repubblichini» come Marco Ramperti, Pino Rauti, Aldo Giorleo e Alberto Giovannini.
Quest’ultimo, un bolognese arpinatiano passionale ed eterodosso, amico del socialista Mancini e del presidente dell’Eni Mattei, può dire liberamente la sua, anche in contrasto con la linea editoriale, sulla «Lettera della domenica». E’lui che convince i missini a votare per Gronchi al Quirinale e per Tambroni al governo. Tra gli anticomunisti, «Il Tempo» e giornale ascoltato anche se, ad ogni elezione politica, manda in bestia i lettori di destra precedendo il Montanelli del «Turiamoci il naso e votiamo dc». Angiolillo alle firme reprobe affianca referenziati politici come Vittorio Zincone, l’editorialista Alberto Consiglio che viene dal «Mattino», il nipote Piero Accolti che viene dal «Mondo», l’inviato Ilario Fiore che viene dalla «Unità», lo scrittore Mino Caudana che viene dall’«Avanti!», il poeta Diego Calcagnoche viene da «Radio Bari», i cronisti Fasan, Guarini, Laskaraki che vengono da «Paese Sera». Da «Il Tempo» a «Paese sera»,viceversa, passa Felice Chilanti. La Roma di carta, in quei tempi, non e manichea. Un tipografo comunista, Libero Palmieri, da proto diventa direttore amministrativo del giornale che il Pci odia. Altri nomi: Giovacchino Volpe, Prezzolini, Soffici, Panfilo Gentile, Samminiatelli, Della Giovanna, Vacchieri, Bonfiglio, Paternostro, Zingarelli, Oreste Mosca, Prosperi, Tailarico, Paratore, Gianfranceschi, Contu, Selvaggi, Peirce, Lazzotti, Frignani, Agnese, Torchia, Badano, Chiappelli e Giovanni Mosca come vignettisti, il regista Vivarelli come canzonettologo e, per ultimo, il grande e inaddomesticabile spadaccino Enrico Mattei, esule dalla «Nazione» per aver attaccato certi nemici dell’editore petroliere Attilio «Artiglio» Monti.
Mattei, per l’ingaggio, pretende una stanzetta dirimpetto ai bagni: «Così, male che vada, potrò scrivere nell’ultimo rifugio della libertà: i muri del cesso». Stanzetta che dal ’73 prenderà il successore di Angiolillo, il rispettoso e formidabile edulcoratore Gianni Letta, l’ex corrispondente da Avezzano che da «direttore temporaneo» resterà a Palazzo Wedekind 15 anni. Il quale Letta, pur correggendo con la sua moderazione innata le ereditate durezze e spigolosità del giornale, conserva a Mattei anche una libera rubrica di «Pro e Contro» dove può applaudire (raramente) e sciabolare (quasi sempre) a destra e a manca (più a manca che a destra). Letta soffre in silenzio (…) ma non cambia mai una virgola.
Quelli tra la fondazione nel ‘44 e gli ultimi anni 6o sono giorni trionfali. «ll Tempo» e mattatore nel Centrosud, arriva a sfiorare le 350mila copie, per il decennale stampa un fascicolo-record di 56 pagine. Sono anni di scoop e di inchieste che lasciano il segno. Un primo colpaccio Angiolillo lo mette a segno come editore facendosi passare dal suo vicino di bancone tipografico Pietro Nenni la pubblicità che a lui fa schifo (e corruzione capitalista) e che, per ingraziarselo, inonda invece l’«Avant!». Un secondo colpaccio e anche giornalistico, addirittura storico: i diari di Ciano. L’amministratore Tugnoli, ex campione di atletica, intercetta un emissario con un assegno scoperto ma e lo charme del direttore a convincere la vedova Edda, l’orfana ribelle del Duce, corteggiandola a rose rosse e whisky.
Angiolillo e un vulcano. Continua a inventare e reinventare. Riesuma i «Mosconi» di Scarfoglio, li affida alla soave futilità di Don Diego. Chiama i suoi cavalli come le sue rubriche scavczzacolle (Formicaio, Disco Rosso) e, se non gli ippodromi, domina i salotti mondani. Calamita la pubblicità dci film e i necrologi dei vip. A Nicola Archidiacono, un anziano D’Artagnan irpino che sfida ogni avversario a duello, fa gestire il «Cuore di Roma» che, istituito per un vetturino il cui cavallo e stramazzato morto in Via Veneto, raccoglie fondi per gli sfortunati. Curzio Malaparte torna con i bersaglieri a Trieste quando gli alleati la restituiscono all’ltalia. Ilario Fiore vede e racconta la rivolta dUngheria. Mino Caudana, ebreo antifascista, inaugura una lunga serie di «fogliettoni» a puntate con «ll figlio del fabbro», appassionata biografia di Mussolini.
Un altro scoop mondiale, procurato da un avventuriero che al Cremlino si finge giornalista, e la prima intervista concessa da Kruscev ad un quotidiano occidentale. Angiolillo si giustifica geopoliticamente: un ucraino di cultura contadina, seppur sovietico, e uomo del Sud e merita credito. Ma Mario Tedeschi, ingaggiato per polemizzare con l’Eni, se ne va per protesta. Teme che il giornale stia diventando filocomunista. Ma sbaglia. Quel direttore corsaro imperversa senza riguardi e barriere ovunque listinto e il fiuto lo conducano.
Al sottoscritto, ad esempio, affida il compito di demitizzare, prima che lo faccia un’indignata lndira Gandhi, la lacrimogena campagna mediatica scatenata dalla Rai-Tv e dalla grande stampa per sfamare gli indiani (…). Nonostante moniti e anatemi vaticani, sempre al sottoscritto vengono commisionate 45 scabrose puntate sulle persecuzioni che e tornato a subire Padre Pio. Angiolillo vuol bene a un santo meridionale che, dice, fa del bene e porta bene. Il solito mix di fiuto, furbizia, scommessa, superstizione e altruismo di un giornalista che sa anche essere sentimentale e generoso, oltre che cinico (…). I suoi scherzi sono sovente feroci (…). Ma inventa anche gag a scopo benefico. Sa che il cronista Moggia combatte il pranzo con la cena coi suoi undici figli e, per aiutarlo senza umiliarlo, organizza una scommessa su chi ha il pisello più lungo e fa vincere quello più demografico.
C’e però anche un redattore che fa carriera beffando lui. Quando Egidio Sterpa se ne va lasciando vacante il suo box di redattore capo. Angiolillo vi colloca in prova Vanni Angeli. Poi gli telefona, fingendosi un lettore ma lasciandosi riconoscere dallaccento. «Chi parla?» «Con uno che dovrebbe essere il nuovo redattore capo…». «Se è così importante, mi sa dire quanto pesa uno strunz’?». Risposta: «Si dia una pesata e divida per tre». Si tiene il triplo strunz’ a conferma che ha scelto un redattore capo «scetato». E l’azzecca ancora una volta. Soprattutto, l’ha azzeccata con Gianni Letta facendolo prima segretario di redazione e poi direttore amministrativo e consigliere delegato. Cioe educandolo allo scettro come un tempo facevano i re (…).

[Fonte: www.iltempo.it]




ANSA - Stragi: Isabella Rauti, saprò perché mio padre criminalizzato


(ANSA) – ROMA, 22 APR – ”Era ora! Forse ora saprò perché mio padre è stato criminalizzato ingiustamente e prosciolto dopo tanti anni”. Su twitter Isabella Rauti, figlia di Pino, ex segretario del Movimento sociale italiano, commenta l’iniziativa del premier per l’eliminazione del segreto di stato per le stragi avvenute nel nostro paese. (ANSA).

MAS 22-APR-14 22:21 NNNN




Italpress - Stragi: Rauti “Saprò perché mio padre criminalizzato ingiustamente”


ROMA (ITALPRESS) – “#desecretazione era ora! Forse ora sapro’ perche’ mio padre e’ stato criminalizzato ingiustamente e prosciolto dopo tanti anni. #stragidistato”. Lo scrive Isabella Rauti sul proprio profilo Twitter. (ITALPRESS).

sat/com

22-Apr-14 21:46

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“Le radici profonde non gelano…” In ricordo di Pino Rauti – Palazzo delle Stelline, Corso Magenta 61 – Milano


Invito-Rauti

Pino Rauti - Prima di copertina

Il libretto “Pino Rauti Nazional Popolare Europeo” distribuito in occasione dell’evento
[File pdf – 6,5 Mb]

Galleria fotografica:

Intervento di Carlo Fidanza:

http://youtu.be/RyGi4htJqDY

Intervento di Paola Frassinetti:

http://youtu.be/X2Rk_io89Ao

Intervento di  Renato Besana:

http://youtu.be/ashxdHXwf0w

Intervento di Giuseppe Parlato:

http://youtu.be/kli3JTjEMaw

Intervento di Alessandra Rauti:

http://youtu.be/kslVUdIit-4

Intervento di Isabella Rauti:

http://youtu.be/QIF0U1LDIM4

Intervento di Ignazio La Russa:

http://youtu.be/5PDmPbgx0Kg




ilBorghese.info - Rauti


rauti

“Non mi sento un neofascista, il fascismo non è più ripetibile. È solo un giacimento della memoria al quale penso che si possa ancora attingere.” 




“Le radici profonde non gelano…” In ricordo di Pino Rauti ad un anno dalla scomparsa – Fondazione Nuova Italia, Via in Lucina 17, Roma


Invito-in-ricordo-di-Pino-Rauti

“Le radici profonde non gelano ed è Re colui che è senza corona” ma ad un anno dalla tua scomparsa, papà, il vuoto resta insopportabile
Isabella Rauti

 

Galleria fotografica:

Intervento di Gennaro Malgieri:

http://youtu.be/bOZeIogU20k

Intervento di Silvano Moffa:

http://youtu.be/NiA85hrh5Gs

Intervento di Giuseppe Parlato:

http://youtu.be/gBZhelouygg

Intervento di Luciano Schifone:

http://youtu.be/eEUGyJBlPY4?list=UUuj1BsFkmPovZKG_v-spkTg

Intervento di Isabella Rauti:

http://youtu.be/GX3ri–ue0U

Intervento di Alessandra Rauti:

http://youtu.be/hKayf81b17I




Secolo d'Italia.it - Un anno fa la morte di Rauti. Ecco una sua riflessione su anni di piombo e terrorismo pubblicata sul “Secolo” nel 1979


Il 2 novembre di un anno fa moriva Pino Rauti. La sua figura politica sarà ricordata il 5 novembre in un convegno alla Fondazione Nuova Italia (ore 18) in via in Lucina 17 cui prenderanno parte, oltre alle figlie Isabella e Alessandra, lo storico Giuseppe Parlato, Gennaro Malgieri, Luciano Schifone e Silvano Moffa. Pubblichiamo di seguito un editoriale di Pino Rauti comparso sul Secolo d’Italia l’11 gennaio del 1979. Rauti lo aveva scritto pensando all’anniversario della strage di Acca Larenzia perché il ministero degli Interni aveva vietato ogni manifestazione e gli animi erano caldi. Il pezzo – intitolato “Chi sono, chi siamo” – fu messo in pagina quando ancora non era nota la morte di Alberto Giaquinto, il 10 gennaio del 1979. L’articolo contiene un lungo e accorato appello contro la deriva del terrorismo rivolto ai giovani di destra. Fu merito storico di Rauti essersi opposto, anche con iniziative come i Campi Hobbit, a quella deriva, avere detto con chiarezza che lo spontaneismo armato non apparteneva alla tradizione della destra. Parlando dei caduti di Acca Larenzia invita persino a non “sgualcire” il loro “sacrificio purissimo” con “cerimoniali banali”. La manifestazione a Centocelle in cui morì Giaquinto fu il frutto avvelenato di un clima che Rauti qui descrive alla perfezione. Il suo è un appello alla responsabilità, è un invito a superare gli opposti estremismi, è un pezzo utile per riflettere sulla violenza politica e che a distanza di anni rappresenta un documento storico di eccezionale valore.

 

Sembra impossibile, eppure accade: ogni anno, tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno, soprattutto a Roma, si tenta , si realizza, lo stesso “gioco”: lo stesso squallido e sanguinoso giuoco: mettere in piedi un meccanismo di tensioni, di azioni e di reazioni, di esasperazioni, che poi fanno da retroterra ad oscuri e torbidi episodi il cui risultato politico è uno solo, quello di continuare a scagliare la sinistra più o meno estremas contro i giovani del nostro schieramento politico. E intanto l’antifascismo si rimobilita, dà fiato a tutte le sue trombe, rincolla i suoi cocci – che altrimenti tutti vedrebbero quanti e quali siano – mentre la stessa sinistra si riprende, almeno per qualche tempo, dalla crisi profondissima in cui versa e l’intesa di maggioranza, il compromesso storico, si rinsalda proprio nella fase in cui, invece, accenna ad andare a rotoli.

Il “cui prodest” è, dunque, di rigore: il vecchio, classico, semplice ed elementare “a chi giova?” dovrebbe servire a capire come vanno queste vicende. L’anno scorso, alla fine di settembre, fu l’omicidio di Walter Rossi, mai chiarito nella sua stessa dinamica oltre che nelle sue motivazioni, decine e decine di arresi, poi, il nulla giudiziario, e ancora si brancola nel vuoto, perché naturalmente ben altre piste (che non portavano certamente a noi) sono state accuratamente trascurate. Ma intanto, una frattura nuova si era aggiunta, fatta di istigatissimo odio forsennato. E poi venne Acca Larenzia, i tre giovani nostri assassinati da un “commando” sul quale non si è mai accennato neanche a un indizio di indagine seria e da un appartenente alle forze dell’ordine di cui non si è saputo più nulla.

Adesso, nella inconcepibile e inqualificabile condotta delle autorità e degli uffici questorili (con il ministero dell’Interno alle spalle), che prima permettono e poi negano, prima autorizzano e poi aizzano ritrattando, si è scatenata un’altra ondata di disordini, i cui autori e registi restano accuratamente nell’ombra.

Che non sia, in alcun modo e ad alcun titolo “nostro” tutto ciò, è dunque chiaro; e tale dovrebbe apparire a chiunque abbia soltanto un briciolo di intelligenza politica e voglia lealmente militare nelle nostre file. ma precisato questo non si è detto ancora tutto, anzi si corre il rischio di restare alla superficie degli avvenimenti.

Ogni ragionamento coerente – di quelli che una volta servivano e bastavano a mettere a posto le cose – appare ormai insufficiente. Perché viviamo in tempi nei quali il livello di violenza, anche quello cosiddetto “medio”, come dicono i sociologi e i politologi, quello spicciolo e corrente – tende ad espandersi, e il suo richiamo torbido e vischioso filtra, si insinua e si diffonde per mille e mille rivoli, specie su argomenti e in momenti di alta emotività; soprattutto quando sull’altro versante politico, sia il sistema nel suo complesso e sia la sua “ala sinistra” continuano ogni giorno ad assestare i colpi della sopraffazione, della più ottusa discriminazione.

Allora il “che fare?” riemerge perentorio, con accenti e toni di rabbiosa insistenza; allora le stesse ricorrenze celebrative legate al ricordo dei nostri giovani assassinati e che non hanno avuto neanche un simulacro di giustizia, non si vorrebbero sgualcite da cerimoniali banali o niente affatto omogenei al loro sacrificio purissimo.

Ed è qui che si fa avanti, che può trovare un suo spazio di suggestione la tentazione di mutuare dall’avversario, sulla spinta dell’esempio perverso portato avanti dai provocatori, le sue tecniche e le sue metodologie, anche le più fanatiche e sanguinarie.

E’ questo il grosso tentativo che è in atto nei confronti della nostra gioventù; è questo che bisogna denunciare; è su questo che occorre fare chiarezza. E anche in tale visuale bisogna dire: “no!”, chiaramente e decisamente “no!” e bisogna sostenere, e dimostrare, secondo verità, che non c’è niente di nostro. E non solo per una serie di ragionamenti politici attinenti alla fase attuale della nostra lotta politica, al quadro che si è determinato e che vi perdura dal ’45 in poi, alla preminente esigenza che abbiamo di “attualizzare” tutti i nostri contenuti programmatici tenendo conto della società nella quale ci troviamo concretamente ad agire. Non soltanto per questo, che potrebbe apparire di poco conto, specie per i più giovani cresciuti in questi anni di violenza scatenata che, si può ben dire, si respira nell’aria stessa di ogni giorno di questa società malata. Ma -soprattutto ed essenzialmente – per una questione di fondo, per motivi di principio; per ciò che attiene prima e più ancora che alla politica, alla morale, all’etica, allo stile, alla nostra stessa concezione della vita e del mondo.

Il terrorismo non è nostro; non è nelle nostre tradizioni, non c’è mai stato; non ha il benché minimo diritto di entrarvi. va respinto, ove mai tentasse di allignarvi, proprio in nome dei valori per i quali ci battiamo. Esso promana dall’anarchismo, ha accompagnato e quasi ritmato le fasi più aspre della lotta politica marxista, ha trovato il suo nuovo rilancio nel partigianesimo durante la seconda guerra mondiale ed è lì, infatti, che si riferisce e si autogiustifica; a quell’archetipo recente e gratificante.

Noi veniamo da un’altra storia, da bel altro filone di vita e di battaglia; se vogliamo dare a questi problemi livello e dignità di analisi nel profondo e nei rispettivi retroterra; noi veniamo dal combattentismo, dal volontariato, dall’arditismo; da tutto ciò che, anche in termini di durezza, ha sempre, dico sempre, postulato il pagare in prima persona, il battersi a viso aperto; il non colpire mai alle spalle; il non emergere vigliaccamente dall’ombra; il non coinvolgere gli innocenti e gli inermi.

Gli altri lo fanno, e guadagnano terreno, e diventano forti, sento dire: ma noi non siamo gli altri, siamo “noi” e anche per questo non soltanto ci sentiamo diversi, ma superiori.

E poi quale terreno, quale forza acquisiscono? Anche perché non badano ai mezzi e dimenticano che pure l’uso di certi mezzi qualifica in un certo modo il fine, quando sembra che vincono, quando vanno al potere, quando e là dove creano i loro regimi, i loro Stati e le loro società, in realtà falliscono; drammaticamente e inevitabilmente: guardate la Russia con lo stalinismo; guardate il dopo Stalin con il dissenso, guardate il Vietnam con la Cambogia; guardate Pechino dove stanno per mettere in vendita la … Coca Cola.

A sinistra sta venendo la grande crisi; sta a noi, adesso – in termini di idee, di cultura, di programmi, di rilancio sociale – sta a noi coglierne il senso, per non perdere una grande occasione di rilancio e di affermazione, Ecco come , restando fedeli alle nostre idee, alla loro coerenza etica, ai loro contenuti spirituali e più nobili, si può, si deve, fare politica; per nobilitarle e affermarle al tempo stesso, quelle idee.

Pino Rauti

 

[Fonte: www.secoloditalia.it]




Convegno “Pino Rauti: l’uomo politico, l’intellettuale” – Camera dei Deputati, Palazzo Montecitorio, Sala della Regina – Roma


INVITO_2012-12-05

Galleria fotografica:

 

http://youtu.be/XwA9aDVTgOU




Meridiana Notizie - Pino Rauti, politico ed intellettuale. Alemanno e Isabella Rauti ne ricordano la figura


http://youtu.be/nqvmbsGNeVI

A poco più di un mese, giornalisti, politici, intellettuali hanno voluto omaggiare una figura storica cruciale della politica italiana, un uomo – come è stato ricordato – sempre fedele ai suoi principi, maestro e guida di molti