Secolo d’Italia – Rauti: «Nei Campi hobbit abbiamo imparato a fare politica»


L’amarcord di Isabella Rauti: «Nei campi hobbit abbiamo imparato a fare politica»

«Gandalf è vivo e lotta insieme a noi…». Ricorda così Isabella Rauti uno degli slogan che hanno caratterizzato la stagione e la particolare generazione politica dei “Campi Hobbit”, gli happening che hanno rivoluzionato il Fronte della Gioventù tra la fine degli anni 70 e gli inizi degli ’80. Un inno visionario ma allo stesso tempo «un modo per dire che, da noi, i valori di sfida della mitologia tolkeniana erano incarnati come valore attivo e militante Non era un gusto intellettuale ma piuttosto un esperimento politico molto concreto».

Che cosa hanno rappresentato i “Campi Hobbit”?
II contrario di ciò che a sinistra credevano. Sono stati la risposta all’esigenza giovanile, altro che campi paramilitari. Sono stati un modo intelligente e creativo per uscire, per “andare oltre” ogni nostalgia, ogni ritualismo. Perché è stato anche grazie alla scoperta del fantasy che i giovani della mia generazione si sono messi ad affrontare temi come la tutela dell’ambiente, le questioni demografiche o quelle della parità di genere. Tutti nodi che poi sono diventati delle sfide tipiche della post-modernità.

Perché proprio la saga degli hobbit piacque così tanto alla destra giovanile di quegli anni?
La saga degli umili, dei semplici, dei puri che non hanno paura di sfidare il Male anche quando il Male, quasi sempre, è più grande di loro. Rappresentavano la sfida contro i giganti. Declinare questa saga ha rappresentato, poi, anche una nuova forma di impegno che altrimenti rischiava di disperdere tutta una generazione nel tunnel neofascista. Come ripeteva Generoso Simeone: era la possibilità di creare un nuovo ordine sociale. Si partiva da un mondo mitologico, fiabesco e si arrivava a farne l’identità di una comunità.

Che cosa ha significato partecipare a quell’esperienza?
E’ stata quasi una discriminante di appartenenza. Una cifra di distinzione Sono stati dei veri e propri festival giovanili, in cui la cultura e i dibattiti culturali si affiancavano ai concerti, alla vendita dei libri, alla vita nel campeggio. Si è creata un collante comunitario molto forte. Sicuramente il primo campo – a Montesarchio, nel 1977 – è stato il più duro per l’avvio ma anche il più forte per le emozioni.

Quali sono i suoi ricordi personali?
Tanti. Nel primo Campo hobbit, avevo 14-15 anni, mi ricordo che mio padre autorizzò me e mia sorella ad andare in viaggio da sole per la prima volta. Quella volta spicconammo duramente, come uomini, per rendere vivibile quello che era un campo sportivo desolato. E poi ricordo anche fu nei Campi hobbit che iniziai i miei primi piccoli discorsi al pubblico sulle questioni femminili. Così come ricordo i campi dedicati a soccorrere le popolazioni terremotate. Esperienze uniche.

Avete dedicato a Eowin, un personaggio di Tolkien, proprio il gruppo femminile del Fdg. Perché?
Eowin è la figura femminile che, pur conservando la sua identità, è capace di fare la guerra nel momento in cui la guerra è richiesta per difendere gli ideali e i valori dello spirito. È un’eroina e un paradigma di femminilità non conflittuale con quella maschile. Incara perfettamente quel principio dello Yin e dello Yang, la complementarità tra i sessi, con la quale allora contrastavamo l’antagonismo sessista delle femministe.

L’anello di Sauron, il simbolo del potere che corrompe, che cosa rappresenta oggi?
Direi prima di tutto il nichilismo il relativismo etico. E anche la prevalenza dell’economia, delle economie, dei poteri forti sulle esigenze dei popoli.

Suo padre, Pino Rauti, cosa ha rappresentato per la generazione dei Campi hobbit?
Ne è stato il promotore. È stato lui che ha portato nei gruppi giovanili le saghe fantasy e quella mitologia. È stato l’ideatore della formula dei Campi hobbit, di quell’applicazione della cultura a una comunità che voleva fare politica. Tutto ciò, la fantasia, è stata più che utile: perché ha dato ai giovani le risposte e un immaginario che, in quegli anni così complicati e duri, sgomberò il campo da forme incapacitanti di nostalgismo.

Isabella Rauti sulle iniziative del Fronte della Gioventù che negli anni Settanta si ispiravano alla saga dei libri di Tolkien; «Sono stati il contrario di ciò che a sinistra credevano. Sono stati la risposta all’esigenza giovanile, altro che campi paramilitari. Sono stati un modo intelligente e creativo per uscire, per andare oltre ogni nostalgia»

Nel nome di Eowin
«È un’eroina e un paradigma di femminilità non conflittuale con quella maschile»
«Il primo campo? A Montesarchio nel 77. Avevo 15 anni, mio padre autorizzò me e mia sorella ad andare in viaggio da sole per la prima volta. Spicconammo duramente, come uomini, per rendere vivibile quello che era un campo sportivo desolato»

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Adnkronos - Camera: Mercoledì convegno su Rauti in diretta webtv =


Roma, 30 nov. (Adnkronos) – Mercoledi’ 5 dicembre, alle 17,30, presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio si terra’ il Convegno ”Pino Rauti: l’uomo politico, l’intellettuale”.
Interverranno Gerardo Bianco, Guido Lo Porto, Gennaro Malgieri.
Conclusioni di Isabella Rauti. Coordinatore Arturo Diaconale.
L’appuntamento sara’ trasmesso in diretta sulla webtv di Montecitorio
(http://webtv.camera.it).




ANSA - Camera: su webtv, Mercoledì, il convegno su Pino Rauti


(ANSA) – ROMA, 30 NOV – Mercoledi’ 5 dicembre, alle ore 17,30, presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio si terra’ il Convegno ”Pino Rauti: l’uomo politico, l’intellettuale”. Interverranno Gerardo Bianco, Guido Lo Porto, Gennaro Malgieri. Conclusioni di Isabella Rauti. Coordinatore Arturo Diaconale. L’appuntamento sara’ trasmesso in diretta sulla webtv di Montecitorio (http://webtv.camera.it).




9Colonne - Camera, convegno su Pino Rauti, Mercoledì alle 17.30 diretta webtv


(9Colonne) Roma, 30 nov – Mercoledì 5 dicembre, alle ore 17,30, presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio si terrà il Convegno “Pino Rauti: l’uomo politico, l’intellettuale”. Interverranno Gerardo Bianco, Guido Lo Porto, Gennaro Malgieri. Conclusioni di Isabella Rauti. Coordinatore Arturo Diaconale. L’appuntamento sarà trasmesso in diretta sulla webtv di Montecitorio (http://webtv.camera.it).




AgenParl - Camera: "Pino Rauti: l'uomo politico, l'intellettuale" - Mercoledì alle 17,30 diretta webtv


(AGENPARL) – Roma, 30 nov – Mercoledì 5 dicembre, alle ore 17,30, presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio si terrà il Convegno “Pino Rauti: l’uomo politico, l’intellettuale”.
Interverranno Gerardo Bianco, Guido Lo Porto, Gennaro Malgieri. Conclusioni di Isabella Rauti. Coordinatore Arturo Diaconale.
L’appuntamento sarà trasmesso in diretta sulla webtv di Montecitorio (http://webtv.camera.it).




Secolo d'Italia - L'omaggio della Camera a Pino Rauti, l'innovatore della destra italiana


L’aula di Montecitorio ha commemorato ieri Pino Rauti, l’ex segretario del Msi scomparso lo scorso 2 novembre all’età di 86 anni e deputato dalla VI alla X legislatura. Hanno preso la parola, per ricordare un’esponente così influente della destra politica, i deputati Fabio Granata, Paola Frassinetti e Silvano Moffa, tutti e tre in gioventù aderenti alla componente rautiana del Msi.
Purtroppo il resto dell’aula, dal centro all’estrema sinistra, ha accolto con indifferenza un’occasione per ricordare un collega morto e che sarebbe stata importante per approfondire il pensiero di un leader che aveva anticipato la necessità di andare oltre le etichette politiche che rimandano allo scorso secolo.
Il presidente della Camera Gianfranco Fini, parlando della personalità di Rauti, ne ha sottolineato lo spessore culturale e lo stile nel rapportarsi con gli awersari, e ha parlato della sua propensione ad affrontare le questioni poste dalla modernità con l’attenzione all’ecologia, al Terzo Mondo e con la difesa delle culture popolari.
Fabio Granata, del gruppo di Fli, ha detto che la storia di Pino Rauti è una di quelle che meglio si presterebbe a scrivere un romanzo, il romanzo «delle aspirazioni migliori della destra». Ai giovani che lo seguivano Rauti ha insegnato «la passione per l’impegno politico fatto di studi ed analisi, di idee e non solo di propaganda». Granata ha richiamato anche il suo ruolo storico, nella seconda metà degli anni Settanta, quando Rauti incoraggiò la destra a liberarsi dalla logica degli opposti estremismi, dalla sterile nostalgia, dall’anticomunismo di maniera.
Paola Frassinetti, del gruppo Pdl, ha sottolineato che Rauti è stato I’«innovatore» della destra in Italia, un pungolo per andare al di là della «demagogia chiassosa e populista». «Avere indicato a tanti giovani la strada del dialogo con gli avversari politici, rompendo la spirale di odio, penso sia stato il suo più grande merito storico – ha aggiunto Frassinetti – “Andare oltre”, non a caso, è il titolo di una sua mozione congressuale, e lui, oltre la volgarità della piccola politica e i ricatti della quotidianità dei partiti, ci è sempre andato».
Silvano Moffa ha voluto, nel suo intervento, ricordare il lavoro di “semina” che Rauti ha compiuto con i suoi libri, con i suoi discorsi e con le riviste da lui fondate come “Linea”, un impegno culturale che doveva traghettare i giovani dalla piccola politica dei recinti alla grande missione metapolitica di trasformazione della società.
Infine anche il deputato Giancarlo Lehner ha preso la parola per rendere omaggio a Rauti ricordando che, pur proveniendo dalla storia del Psi, aveva avuto modo di apprezzare la disponibilità al dialogo di un leader che conosceva bene il percorso del socialismo europeo.




Intervento On. Paola Frassinetti in Aula su commemorazione Pino Rauti


http://youtu.be/OftJ69m0Yfs




Totalità.it - Con la morte di Rauti si chiude la grande stagione della destra


Quella che poteva essere e non è stata, ma non è detto che i semi gettati non fruttifichino… prima o poi

di Gennaro Malgieri

 Mi chiederò a lungo, rivedendo il mio passato politico-intellettuale di militante organico/disorganico, se la destra che Pino Rauti immaginava si fosse concretizzata quale sarebbe stato il suo stesso destino e, naturalmente, quello del Paese.
Adesso che non c’è più, sopitesi le passioni che lo hanno visto al centro di interminabili contese nel suo stesso ambiente, credo che il modo migliore per ricordarlo sia quello di interrogarsi sulla visione che Rauti aveva del ruolo di un partito moderno dalle ascendenze tradizional-conservatrici. Insomma, il tempo dei giudizi credo possa cominciare senza cedere all’aridità poiché la freddezza non appartiene a chi ha interiorizzato una visione del mondo fondata sull’elemento spirituale.
E allora dirò subito, procedendo per approssimazione, che Rauti, quale che sia il giudizio sulla sua complessiva vita politica, è stato tra i più lungimiranti “agitatori” di una certa destra volta all’innovazione del linguaggio e della prassi politica,  ben distante dal neofascismo che lungi dal dissacrarlo ha tentato di storicizzarlo onde far vivere ciò che era in esso praticabile per seppellire le scorie inattuali, retoriche, sostanzialmente impolitiche.  Gli va riconosciuto questo merito, mentre gli va dato atto di aver contribuito parimenti a far uscire la destra dal perimetro della ghettizzazione intellettuale aprendo alla priorità della cultura quando il Movimento Sociale Italiano – a parte alcune lodevoli eccezioni – sembrava volersi chiudere negli maleodoranti angiporti del politicismo e del politicantismo.
Pur non rinnegando la pratica parlamentare, della quale anzi è stato un cultore finissimo ed assiduo per numerose legislature, tanto in Italia quanto in Europa, Rauti immaginava che la funzione della destra non dovesse esaurirsi nel rappresentare le legittime aspettative dei suoi elettori, ma nel creare i presupposti di una vitale e non  velleitaria “rivoluzione culturale” di impronta metodologica “gramsciana”.
Perciò riteneva possibile ed auspicabile il cosiddetto “sfondamento a sinistra” dove pensava di intercettare consensi che, sciolti dal progressismo delle élites che li condizionavano, esprimessero la loro anima popolare nel riconoscere la tradizione. Era alle classi sociali più reattive e meno conformiste, insomma, che Rauti intendeva rivolgersi non con ragionamenti populisti, ma con la “forza delle idee senza parole”, come diceva Spengler, che fatalmente si sarebbero dovute concretizzare in una rivolta contro la modernità, nell’accezione deteriore del termine, e con la riproposizione di una questione sociale affrancata dalla lotta di classe.
Una posizione di questo genere era minoritaria nel Msi, ma non priva di suggestioni in una più vasta destra diffusa, vale a dire non incasellata nel perimetro partitico, aperta a contributi anche eterodossi, non convenzionali.
Per questo Rauti – attraverso un’azione culturale intelligente e penetrante, condotta con gli strumenti del suo tempo: giornali, riviste, centri studi, pubblicazioni di settore, ecc. – collocò se stesso ed i gruppi che animava in alternativa alla dirigenza del suo stesso partito dal quale, entrò ed uscì negli anni Cinquanta e Sessanta, per poi collocarvisi stabilmente quando, nel 1969, Almirante successe a Michelini e si profilarono le condizioni per la creazione di una Grande Destra, nazionale e sociale, alternativa al sistema.
Rauti non si nascondeva le difficoltà del suo tentativo che parve alla portata quando nel 1990 assunse la segreteria del partito. Era anche consapevole delle difficoltà esterne, oltre che interne. Non bisogna infatti dimenticare che Rauti è stato oggetto di inchieste giudiziarie, finite tutte puntualmente nel nulla, per oltre quarant’anni, accusato di misfatti orrendi e demonizzato oltre ogni misura.
Nonostante tutto, egli non si è mai piegato, non ha mai deflettuto rispetto ai suoi principi ed ha tentato, riuscendoci, di far compiere alla destra quel passo verso la modernizzazione attraverso la cultura, le idee, lo studio, l’approfondimento, cosciente com’era, che non vi è buona politica senza consapevolezza intellettuale e questa la si proietta nella società soltanto con i mezzi appropriati. Da qui la sua idiosincrasia a rinchiudersi nel ghetto quando riteneva che soltanto aprendosi al dibattito contemporaneo, alle nuove scienze, alla cultura più viva e vitale, si poteva procedere alla conquista della società civile.
È il suo lascito. È la sua eredità.
A me resta di lui l’immagine di un esempio di politico-intellettuale come non se ne incontrano più. E ricordandolo, con gratitudine personale, malinconicamente penso che  dopo le dipartite di Accame, Erra, Gianfranceschi con Pino Rauti si chiude la  grande stagione della destra che poteva essere e che non è stata. Il ché non vuol dire che i semi di quella stagione sono andati dispersi, ma soltanto che non hanno dato i frutti nei tempi che si potevano immaginare. La storia, comunque, non finisce qui.

Ti sia lieve la terra, caro Pino.

[Fonte: www.totalita.it]




Totalità.it - Ripartire dalla «cultura impegnata»


La politica ha fallito perché ha cercato il risultato immediato e materiale

di Mario Bozzi Sentieri

La scomparsa di Pino Rauti si è trasformata – per chi ha voluto leggere la figura del politico-intellettuale senza schemi mentali e prevenzioni ideologiche – in un’utile  occasione di “ripensamento”,  non solo di tanti percorsi personali e di gruppo ma della stessa essenza di una tradizione politica e culturale, per anni sottovalutata e sopita.
Centrale in questo “ripensamento” l’idea stessa di cultura, coniugata con l’impegno politico, così come Rauti  aveva  metodologicamente espresso e come Gennaro Malgieri ha puntualizzato, evidenziando “la rivoluzione morale, civile e culturale, della quale il partito politico doveva essere lo strumento, fondata su una visione del mondo e della vita rigorosamente spirituale”.
Centrale,  in questa “visione”, il tema della cultura, tema complesso e spesso frainteso, anche “da destra”, tra eccessi organicistici e superficiali “sterilizzazioni”.
Lo stesso Rauti, presentando, nel 1973, la rivista “Civiltà”, scriveva: “Uno dei segni dell’ottusa acquiescenza di molti ambienti nostrani è l’accettare come ovvia l’identificazione di ‘impegnato’ con ‘uomo di sinistra’ o ‘intellettuale di sinistra’: quasi che non si possa essere ‘impegnati’ difendendo idee opposte, in questo caso essendolo anzi infinitamente di più perché un vero impegno può derivare soltanto dall’adesione a quei valori superiori, spirituali, la negazione dei quali caratterizza le attuali ideologie sovvertitrici. Da qui il concetto di uno schieramento, di un pensiero impegnato di Destra”.
Cambiano i tempi, si modificano i “contesti”, e tuttavia, alla prova dei fatti, è ancora necessario ripensare in termini “di valore”, se non di schieramento, una scelta che prima che politica deve essere, nella sostanza,  culturale. Da qui la necessità di sgombrare  il campo da ogni visione “neutralistica”  ovvero dall’idea di una cultura “subordinata” alla politica.
Intendiamoci: dire cultura significa dire molto e nulla nello stesso tempo. Essa è la coltivazione spirituale di sé , secondo l’antica etimologia ? E’ la razionalistica acquisizione degli elementi distintivi della personalità umana? E’ la conoscenza scientifica? E’ il segno dell’appartenenza, secondo la definizione che la vuole un insieme complesso, che comprende la conoscenza, la credenza, l’arte, la moralità, il diritto, il costume e le altre capacità acquisite dall’uomo come membro della società?
Certo è che, in una realtà qual è l’attuale, la cultura appare come un segno di distinzione ed insieme di conoscenza e di appartenenza, capace di “informare” , di dare forma ad una società, di favorire l’identificazione dei cittadini e dunque l’integrazione.
La sfida “di valore” si gioca, molto concretamente, sulla  capacità-possibilità di dare voce e spazio ad alcune idee di fondo, misurandole con le domande del Paese reale, con la creatività italiana, con la dinamicità giovanile, con le sfide della globalizzazione, con l’urgenza di una “modernizzazione” non ideologica.
Pensiamo all’idea di Patria, insieme alla ricchezza delle culture locali, al senso del Sacro, al valore del Bello. Consideriamo  questi elementi come i fattori costitutivi della nostra Storia, quella che ci parla agli angoli dei nostri borghi, dall’alto dei mille campanili, nelle piazze, nelle feste, nei riti dell’Italia profonda. E proviamo a mettere tutto questo patrimonio in confronto dialettico con la nostra realtà contemporanea: radicamento vs. spaesamento; pathos vs. disincanto; partecipazione vs. egoismo; comunità vs. burocrazia; sacro vs. materialismo; merito vs. egualitarismo; bellezza vs. degrado e così via. Vi troveremo più di un’ipotesi di lavoro, nel segno di un’idea di cultura, intorno alla quale avviare un confronto reale ed insieme una profonda opera di ricostruzione nazionale, che non può non farsi anche nuova consapevolezza politica. La sfida è aperta.

[Fonte: www.totalita.it]




Pino Rauti: l’ossessione della sintesi


rauti

La morte santifica tutti. In molti si sono affrettati a rilasciare dichiarazioni stucchevoli sul decesso di Giuseppe Umberto Rauti (detto Pino) che hanno generato perlopiù nausea in chi ha frequentato l’ambiente e le persone che lo hanno “plasmato” in questi ultimi venti anni. Si dice che l’acqua di Fiuggi purifichi e guarisca anche dai “mali assoluti”… Non che Pino Rauti avesse bisogno di subire un processo di canonizzazione, intendiamoci, ma la sua dipartita non dispiace affatto a molti tra quanti affermano pubblicamente il contrario.
Assolto  l’obbligo del doveroso incipit sull’ipocrisia umana, veniamo al punto: fu intellettuale o ideologo? O semplicemente politico? Ci sentiamo di escludere l’ultima figura citata, almeno nell’odierna accezione. Rauti, oltre ad avere un’idea politica, aveva anche un’idea di come fare politica, giusta e sbagliata, se ci si passa la critica. Vediamo perché.
Innanzitutto detestava i “politicanti” in “doppio petto”, una tipologia presente anche tra ex militanti dell’ex MSI, poi promossi almeno consiglieri comunali nelle file di Alleanza Nazionale. In secondo luogo ha ottenuto visibilità sui media nazionali soltanto dopo la morte (o quando si parlava di “terrorismo nero”).
A differenza del Grillo urlante, però – che diffida gli esponenti del proprio movimento ad apparire in Tv per paura che (ingenui?) possano essere inquinati e travolti da un sistema – Rauti avrebbe desiderato più visibilità, più sèguito, specialmente tra i giovani, ma non era certo il tipo di persona che elemosinava un’intervista. Lui avrebbe voluto che le sue “idee che mossero il mondo” (seppur contaminate dal pensiero evoliano) fossero analizzate – spontaneamente – da più persone, anche di idee opposte, ma non avrebbe mosso un dito per forzare questo meccanismo che doveva essere, ripetiamo, spontaneo. Tanto che alcuni media “diversamente informati” hanno rispolverato la definizione “fascista di sinistra” per questo suo possibilismo teorico, poi spesso smentito nei fatti. Vedremo più avanti che cosa vogliamo intendere.
Al di là delle categorizzazioni, Pino Rauti è sempre stato ossessionato dalla ricerca di sintesi, era un “intellettuale inquieto” infastidito e incuriosito al tempo stesso dalla quotidianità e dalla modernità. Un carattere non facile – risultante da un mix di DNA, cultura, origini geografiche e segno zodiacale (Scorpione, per chi crede nelle stelle) – faceva dell’uomo Rauti un piacevole interlocutore, ma anche un “capo” intransigente e talvolta furibondo. Proviamo a capire, quindi, che cosa volesse trasmettere una personalità così complessa.
La smania della ricerca del leader in se stessi – tormentone della sinistra di oggi – a destra è sempre esistita: ognuno pensa di essere meglio di chi comanda e allora si parte alla ricerca dell’idea vincente: l’ideologo infatti vorrebbe convincere tutti della bontà del proprio pensiero; Rauti, invece, non voleva far cambiare idea a coloro che già ne avevano una, anzi, tendeva ad escluderli, voleva fornire idee a quanti non ne avessero o fossero dubbiosi (e sono ancora molti). Questo suo atteggiamento, però, anziché metterlo in evidenza e a capo di rivoluzionari insoddisfatti e frustrati dal sistema, sovente provocava l’effetto contrario, quasi un’auto-esclusione.
D’altronde con il suo anti-americanismo (per lui, gli USA, erano “I gendarmi del mondo”) sembrava un anziano saggio capo indiano a guardia della riserva dei princìpi. L’american style, con gingillo tecnologico, di stampo veltroniano, era agli antipodi del suo modo di pensare e con queste premesse è (purtroppo) difficile fare breccia tra i giovani d’oggi e non soltanto tra  di loro.
Tuttavia era abbastanza nota la sua lungimiranza per gli sviluppi di questioni nazionali ed internazionali: con largo anticipo scriveva di una futura crisi del sistema economico planetario e della sottomissione della politica vera al “turbocapitalismo”; sosteneva l’impossibilità di creare un’Europa solida soltanto con l’adozione di una moneta unica e, cosa più importante, già prevedeva gli squilibri economici che ne sarebbero derivati con i Paesi più forti. A più riprese ripeteva che l’Italia è “Il ventre molle dell’Europa” e il Vecchio Continente è un “nano politico”.
Si potrebbe affermare che anche altri sapevano queste cose, ma rimane il fatto che soltanto lui e pochissimi altri – Rutilio Sermonti, ad esempio – ne scrivessero già molti anni addietro, quando internet non aveva ancora raggiunto il livello di sviluppo e diffusione di oggi. Proprio in quei mesi nel  Primo Governo Prodi uscente e nel D’Alema entrante si brindava al neonato Euro, fissato a quota 1936,27 lire. Per la sinistra, il “nano politico”, era Silvio Berlusconi.
Poi, sfortunatamente, non seguirono azioni di rilievo, forse per scarsa visibilità, forse per preconcetti sul personaggio più che sulla persona, forse perché un avvicendamento di leggi elettorali sfavorevoli ai movimenti minori non consentì la diffusione e l’eventuale promulgazione (figuriamoci) di un progetto politico che probabilmente avrebbe meritato maggior successo.
La tesi “andare oltre” presupponeva un superamento del sistema dei partiti (ben prima di Tangentopoli o dell’odierna antipolitica) e degli schieramenti destra – sinistra, per lui obsoleti già trenta anni fa: non sarebbe mai potuto scendere a compromessi per l’acquisizione di poltrone, anche se queste servono per imporre, o quantomeno presentare, le proprie idee in Parlamento. Non che non lo sapesse, ma la sua “linea” di pensiero non gli consentiva di accettarlo (fatte salve scelte di campo recenti dettate dall’ennesima sconfitta subita “in casa”). La costituzione di Alleanza Nazionale, cioè l’apertura politica a partiti estranei alle “radici” del Movimento Sociale Italiano, rimase uno dei suoi più grandi crucci, anche se – bisogna ammetterlo – i risultati ottenuti precedentemente come Segretario del MSI furono un insuccesso che diede il pretesto a Fini e ai suoi colonnelli per iniziare il cammino verso Fiuggi (e, paradossalmente, oltre).
Insomma era un “teorico idealista probabilista”, ma anche uno spietato “fondamentalista metodologico”, stimato probabilmente più dagli avversari politici (di un tempo) che non da chi è stato al suo fianco.
Ora Giuseppe Umberto Rauti ha subito l’ultima beffa: le sue spoglie sono state ospitate in una Camera ardente allestita nella contestata ex sede di AN in via della Scrofa a Roma, anche se i suoi funerali, turbati da veementi proteste contro Gianfranco Fini, si sono tenuti nei pressi di Piazza Venezia vicino a quel balcone che ha influenzato e caratterizzato la sua vita terrena…

Carlo Pompei