BlogLibero.it - PINO RAUTI HA INVENTATO L'ANTIPOLITICA!


Uno dei libri più famosi del filosofo Julius Evola è intitolato Gli Uomini e Le Rovine, e contiene una terrificante anticipazione dei nostri tempi, che il padre putativo dell’Estrema Destra post-bellica individuava chiaramente nella caduta delle ideologie, dei valori e dell’etica. Nell’illusione dei popoli, martoriati da una guerra vasta e sanguinosa, connotata da due olocausti storici, quello ebraico e quello nucleare, che la democrazia avrebbe risolto i problemi dell’umanità avviandola sul sentiero del progresso e della conoscenza.

Julius Evola nel 1953 aveva visto giusto. Soprattutto preavvertiva le giovani generazioni di non farsi ingannare dai “falsi rivoluzionari”, cioè da coloro che li spingevano verso l’abbattimento delle istituzioni democratiche per farsene poi “mosche cocchiere” per mero interesse pecuniario e di potere. E, infatti, noi ragazzi del Sessantotto che militammo a Destra, in una minoranza assoluta che ricavava nelle università assembleari dei cosiddetti “comunisti” spazi esigui ma sufficienti per resistere all’omologazione, lasciando sul terreno decine e decine di vittime, ce ne rendemmo conto quasi subito, nel momento stesso in cui quella che era sembrata una rivolta di mutamento generazionale, sfociò poi in un serie di regimi, come quello italiano, decotti dalla corruzione e dagli intrighi politici ed economici. Non solo, approfittando della intangibilità delle nostre posizioni, invano chiamate al compromesso, da uomini molto speciali, questi stessi regimi attuarono l’inganno più becero, assegnando a questa stessa generazione le responsabilità dei vili attentati che martoriarono l’Italia per anni, che invece erano opera di menti perverse, operanti al solo scopo di concludere un’operazione politica che avrebbe portato al Governo proprio i grandi nemici della democrazia, i comunisti. Col tempo, tutte le presunzioni di colpevolezza da parte della vera Destra sono cadute, tutti i processi condotti da una magistratura ideologizzata si sono conclusi nel nulla, lo Stato ha dovuto ammettere il coinvolgimento dei propri servizi segreti corrotti, e l’addomesticamento di determinate entità segrete e progressiste, quelle sì terroristiche, all’uso del sistema democratico ai propri fini.

Questa premessa per commemorare un filosofo, ma anche un uomo che a lui si ispirò, in Italia, per tutto il corso della sua vita, amato ed odiato, insultato e omaggiato da intere generazioni, Pino Rauti.

Uomo tutto d’un pezzo, cultore di vastissime conoscenze, che fu d’esempio perfino per le truppe raffazzonate dell’ideologia contrapposta, che pure occupava ogni nicchia del potere, egli rifiutò, fin dall’inizio, l’intrigo politico che avrebbe portato il suo partito di riferimento, dalle grandi pagine almirantiane all’umiliazione finiana.

Noi fummo ammaliati da lui, dalla sua piccola persona, ma dalla sua vasta mente, anche se eravamo tutti consapevoli che il suo “essere di sinistra”, cioè propugnatore di quella autentica dottrina rivoluzionaria che prendeva le mosse da Sorel, da Guenon, da La Rochelle, per poi sfociare nelle ultime, drammatiche vicende del fascismo, ci avrebbe inimicato per sempre i poteri forti importati da Oltre Oceano nel Dopoguerra, amalgamatisi con la Chiesa e benedetti dal PCI, che fidava di poterli corrompere. E nella vita ci saremmo trovati soli ed isolati, senza appoggi né sponsor. E così fu.

Le corporazioni, autentiche leve di rappresentanza politica del mondo del lavoro, la socializzazione delle fabbriche (con la partecipazione agli utili da parte degli operai e la costituzione dei consigli aziendali misti datore di lavoro-dipendenti), l’equiparazione sociale basata sui valori di merito e di necessità, non più sull’uguaglianza per diritto acquisito, inserita in una società organica e funzionale, e infine la necessità di rilanciare una politica ambientalista sganciata dai grandi potentati dagli interessi contrapposti (Green Peace, WWF, Legambiente, ecc.), furono le proposte politiche che Rauti portò in Parlamento, e che oggi, persone come la Merkel e come Tremonti, la prima adottandole, il secondo teorizzandole, hanno fatte loro, consapevoli che esse rappresentano l’unico modo concreto di uscire dalla trappola del liberismo economico, che si basa sull’ineguaglianza sociale, il globalismo dei mercati e l’abbattimento delle nazioni, e lo sfruttamento delle classi più povere a vantaggio di quelle più ricche. E, come nel caso della Germania, questa funzionalità è stata immessa nel sistema internazionale, addirittura per determinarlo e indebolirlo!

E’ difficile oggi distinguere gli insegnamenti di Pino Rauti dai programmi dell’antipolitica, perché si rischia di confondere (grazie alla guerra delle parole che fu attuata in Italia ad opera del PCI e dei suoi epigoni per trent’anni, e vinta, con l’adesione dei cattolici, che dovevano “ripulire le loro coscienze dall’aver appoggiato il fascismo”con l’adozione del cosiddetto “arco costituzionale”), buoni e cattivi, terroristi e pacifisti. In realtà, lo hanno capito anche i sassi, il nemico di personaggi come Monti, Draghi, Ciampi, Napolitano, Amato, Prodi, cioè tutti coloro che hanno ingannato e ingannano l’ Italia delegando il potere non più al popolo ma  all’alta finanza, punta di diamante della dottrina liberista, non può certo essere chi offre compromessi, ma chi combatte a testa basta le loro abbiezioni, nell’impoverire le maggioranze e ingrassare le elite.

Certo Rauti, da convinto europeista, non immaginò mai un’Europa ostaggio dei banchieri, ma un consorzio di nazioni, le più potenti della terra, unite a condividere la politica mondiale, strappandola al cartello sovietico-americano, che determinò milioni di morti, nelle tante guerra del Dopoguerra, e ravviarla verso il progresso degli Stati e soprattutto dei popoli, finalmente liberi dalla povertà, dalla fame, dalla schiavitù di ideologie e religioni, ammessi, tutti, nessuno escluso, alla partecipazione della vita umana.

E’ stato forse così? A cosa sono serviti i pontefici, gli enti umanitari e internazionali, le polizie in armi, i fondi monetari e le banche mondiali, se non  ad accuire la fame nel mondo e la povertà dei milioni di uomini senza lavoro e senza speranza che debbono abbandonare la loro patria e cercare il pane altrove, scontrandosi con altre povertà e altri affamati, dove si illudevano di trovare occupazione e ricchezza? E’ stato questo ciò che le democrazia hanno realizzato con le loro costituzioni ricolme di retorica, scaricando nell’inedia gli anziani e i giovani, cioè il rispetto e il futuro di ogni società che si rispetti? Perfino nelle capanne del Centro Africa, le tribù omaggiamo gli anziani e li nutrono, e prediligono i giovani perché un giorno condurranno il villaggio a nuove conquiste. Ebbene l’Europa e gli Stati Uniti, vale a dire la cosiddetta civiltà occidentale, in questo hanno tristemente fallito, discriminando in modo molto più feroce ciò che già non aveva discriminato il Reich, cioè pochi milioni di sventurati, mentre qui si avviano al massacro generazioni di disoccupati e diseredati, travolti dalle crisi economiche, di soldati e civili massacrati da guerre di conquista, sottaciute come guerre di democrazie, tese invece e stabilire poteri e vantaggi economici!

Ebbene Rauti questo denunciò, piccolo, solitario, coraggioso testimone di un’epoca, procacciatore di verità considerate chimere o bestemmie. Se è stato fascista, una volta tanto solleviamolo da una responsabilità storica, e ammettiamolo in un contesto culturale e politico. Se lo merita.

Rauti muore, mentre quelli che dovrebbero essere i suoi epigoni, tradiscono il suo messaggio e si schierano pedissequamente con quelle forze che lui combattè per una vita.

Anche questo è “quel segno dei tempi” ipocriti della storia; quella “rivolta contro il mondo moderno” dei traditori; e ciò che resta degli Uomini, le loro rovine…

P. Loreto

[Fonte: http://blog.libero.it/italiadoc/11688629.html?ssonc=382576908 – Post n°341 pubblicato il 03 Novembre 2012]




Destra.it - Pino Rauti, quando le idee muovono il mondo


di Marco Valle

Se ne andato con la leggerezza degli anziani. Dopo un percorso terreno intenso e aspro, il vecchio corpo dell’antico “incendiario d’anime” — così lo definì nel 1978 la “Pravda” moscovita — non ce l’ha più fatta. L’onorevole Pino Rauti è morto ma per la Destra italiana — questa galassia variegata, plurale e, oggi, smarrita, sfilacciata — “Pino” c’è, è presente. Al di là della sua vicenda politica — un alternarsi di visioni alte, proposte innovative e coraggiose intrecciate, purtroppo, a un tatticismo talvolta incomprensibile —, rimane il pensiero, rimangono le inquietudini, le idee “che muovono il mondo”.

Ecco perché Rauti, nonostante la tempesta dei ricordi, non può essere ridotto ad icona identitaria, a santino innocuo di un immaginario neofascista. Ad impedirlo vi sono le sue elaborazioni, le sue tesi, i suoi libri: un patrimonio importante da studiare e comprendere. Con nuova attenzione.

OLTRE IL NEOFASCISMO

Ma andiamo per ordine. A causa della pesante conflittualità interna che per decenni lacerò e devastò l’area, l’opera di Rauti — uomo d’enorme cultura ma carattere solitario e spigoloso — non sempre fu compresa adeguatamente dal suo “mondo umano”. Anzi.

Certo, era difficile negli anni Cinquanta-Sessanta, per un’ambiente impregnato di reducismo, accettare gli sforzi del giovane teorico che nelle pagine evoliane  — il primo schema de “il Fascismo visto da Destra”, una rottura alta, definitiva e, sfortunatamente, incompresa con le prefiche del Regime,  fu pubblicato sulle pagine di “Ordine Nuovo” — cercava una via per superare il nostalgismo.

Di sicuro era scandaloso per un partito rinchiuso in un’ottica occidentalista, ascoltare nel 1963 — in piena guerra fredda — critiche spietate all’americanismo; per Rauti l’atlantismo aveva «una forma, un aspetto, una struttura esteriore, sui quali è facile equivocare. Ma non ci sono dubbi dell’esistenza e persistenza di quello che noi definiamo il suo “limite fatale”, la sua intima e non eliminabile incapacità di stringere con l’Europa legami che non siano di momentaneo interesse».

Ancor più arduo per un mondo provinciale, incollato alle memorie dell’Abissinia e di “Faccetta nera”, fu  leggere con gli occhi attenti di un intellettuale inquieto la decolonizzazione, il dramma dei “centurioni” d’Indocina e Algeri, i fuochi di Goa e del Mozambico. Eppure in quelle esperienze così distanti dall’Italia del “miracolo economico” — ormai libera d’ogni fardello africano —, il leader del Centro Studi Ordine Nuovo vedeva nei fatti di Francia o nelle gesta dei giovani ufficiali lusitani la possibilità di superare le fratture del 1945 e creare nuove sintesi politiche e culturali in Europa e oltremare. Come dimostrò l’epopea dell’OAS e dei “pieds noires”, la tesi era ambiziosa, certamente spregiudicata ma con un suo fascino e delle possibilità.

Ancor più faticoso si rivelò per molti — ma non per tutti, anzi —, esplorare l’esperienza mussoliniana in modo scientifico ma appassionato; un segmento generazionale, minoritario ma importante, scoprì nelle pagine del capolavoro di Rauti e Sermonti — quella magnifica “La Storia del Fascismo” che andrebbe riedita e immessa finalmente nel grande circuito editoriale — spunti, riflessioni, idee per l’attualità e il futuro. E ancora, i sei volumi del CEN furono l’occasione per noi, i ragazzi dei Settanta, di scrollarsi finalmente di dosso memorialistiche improbabili, apologie imbarazzanti, finti testamenti del Duce, stupidaggini conservatrici e/o reazionarie. In tanti, grazie a quelle pagine scritte con stile e profondità, scoprimmo Sombart, Weber, la sociologia tedesca, ma anche Sorel, i “Vociani”, Marinetti, Volpe; soprattutto, grazie a Rauti potemmo dipanare quel filo sottile, ingrovigliato ma tenace che si stendeva la nostra esperienza militante e la Rivoluzione di Mussolini.

UN RIVOLUZIONARIO

Negli anni Sessanta, con largo anticipo su Vivarelli e in parallelo con De Felice, Pino e Rutilio offrirono un affresco raffinato e complesso e un’interpretazione inattesa quanto robusta del Ventennio, rintracciando le sue origini nella grande cultura europea “della crisi” di fine Ottocento, indagando i diversi rivoli che confluirono — da destra ma anche da sinistra e dalla sinistra più estrema — nel grande fiume del 1922. Su queste coordinate Rauti, sebbene distante — e, da antico evoliano, sempre diffidente — dalle posizioni di ”socialismo nazionale”, rivendicava al Fascismo una carica rivoluzionaria e sociale ben più radicale del marxismo, individuando nel momento mussoliniano una possibilità reale di superamento rivoluzionario del capitalismo. Da qui l’attenzione del Rauti politico verso le fasce più deboli, la condizione operaia e femminile, il suo indagare continuo sulle motivazioni profonde del consenso popolare post bellico al comunismo, gli studi su Spengler e il suo rifiuto — senza concessioni al multiculturalismo — della xenofobia e della volgarità razzista. Ma non solo.

Le riflessioni sociologiche del vice segretario nazionale del MSI-DN erano sempre accompagnate da un’inguaribile e continua curiosità verso la modernità, la tecnica, i nuovi saperi. Nonostante le sue origini rurali — rivendicate con orgoglio —, l’uomo era affascinato dalle trasformazioni epocali, si appassionava alle grandi opere — il canale fluviale Charlemagne, scavato tra il Danubio e il Reno, era un chiodo fisso dei suoi racconti —, s’intrigava d’urbanistica post-moderna, di demografia, di archeologia industriale, persino d’agricoltura biologica. Uno sforzo che ritrovammo — dirompente e lucidamente radicale — negli editoriali di “Linea” e nelle mozioni congressuali di Linea Futura e Andare Oltre.

Con gran rabbia del notabilato missino e di molti suoi critici “interni”, un blocco incardinato su posizioni passatiste e consolatorie, il direttore di “ Linea” ottenne gli apprezzamenti più importanti dagli avversari politici e dagli studiosi antifascisti. Tra i tanti, Giorgio Galli, Giorgio Bocca — allora ancora in regime di sobrietà — , autore di entusiastica recensione de “La Storia del Fascismo”,  e Pierre Milza. Nel suo “Dizionario dei Fascismi” — un lavoro denso quanto fazioso — il ricercatore francese traccia dell’uomo un profilo inatteso, rispettoso e attento: «un profondo conoscitore della cultura fascista, in un partito che aveva sempre privilegiato l’attivismo, probabilmente Rauti era, e tale sarebbe rimasto, l’unico dirigente di una certa levatura intellettuale… aveva focalizzato il suo interesse su alcune problematiche patrimonio della cultura di sinistra, come l’ecologia, seguendo con molta attenzione il dibattito europeo sulla Nouvelle Droite… il partito ipotizzato da Rauti avrebbe dovuto assumere espliciti connotati antisistema introducendo nella politica neofascista le tematiche ecologiste, antiamericaniste e anticonsumiste. Un’ambiziosa rivoluzione culturale».

Nel 1991, l’ipotesi politica rautiana — come la barca dell’amore di Majakovskij — s’infranse contro gli “scogli della quotidianità”. Un tempo finiva e altre parole d’ordine — vincenti o, magari, solo fortunate — s’imponevano per poi, vent’anni dopo, dissolversi. Nel nulla.

Molti di noi, io e gli amici di sempre — i “rautiani”, un sodalizio compatto e stravagante: Roberto, Riccardo, Fabio, Carlo, Flavia, Pietrangelo, Paoletta e prima di noi Paolo, Marcello, Bruno, Nazzareno e tanti altri — non sopportammo più  le indecisioni, la prassi ondivaga, le mediazioni dell’onorevole Pino Rauti. Dopo quel torrido giugno di 21 anni fa, ognuno a suo modo scelse una strada e si fece fabbro del proprio destino.

Ma oggi, mentre questa repubblica senza qualità naufraga nel disonore, di una cosa sono (siamo) sicuri. È una certezza condivisa — ed è un dato importante — anche con gli altri “ragazzi invecchiati” del Fdg, con coloro che in quel contesto fecero scelte diverse. Da Milano, da Roma, da Ancona, da Napoli, da Siracusa, da Padova a Trieste e a Palermo, lo sguardo scorge ancora le linee di vetta intraviste da “Pino”. Sempre salde, stagliate sull’orizzonte. Fisse. Nitide e scintillanti.

[Fonte: www.destra.it]




Il Sole 24 ORE.com - Addio a Rauti, il «socialfascista»


di Gennaro Sangiuliano

Fu Giorgio Bocca, in un suo libro del 1983, a coniare il termine di «socialfascista», con riferimento a quella venatura di rosso che segnò le origini del movimento mussoliniano e che come un fiume carsico riemerse a Salò. Del “fascismo di sinistra” Pino Rauti fu l’interprete e il leader nel dopoguerra, quando giovanissimo reduce della Rsi aderì alla pattuglia di fondatori del Msi che allora non si definiva di destra.

È scomparso a 86 anni, una vita dedicata all’azione politica, più volte parlamentare. All’inizio aggrappato al neofascismo dei Fasci d’Azione Rivoluzionaria e all’esperienza di Ordine Nuovo pian piano Pino Rauti si distaccò dalle nostalgie affermando di non sentirsi un neofascista perché il fascismo era un «fenomeno storico circoscritto e irripetibile».

Nel ’72 fu arrestato e poi scagionato nell’ambito di inchieste legate al terrorismo nero. E se il lungo dopoguerra di Yalta lo colloca nella zona grigia di una destra incerta fra passato e futuro, con troppe esitazioni nel riconoscere le proprie colpe, dalla fine degli anni Settanta, Pino Rauti fu soprattutto un politico-intellettuale che sperimenta il “gramscismo di destra” inteso come un’elaborazione culturale che guarda ai temi sociali e del lavoro.

Diventa l’antagonista rispettoso di Giorgio Almirante di cui critica la politica del “doppiopetto”. L’idea di apertura a sinistra viene animata in decine di libri e di iniziative editoriali, attraverso il giornale “Linea” fa conoscere ai giovani di destra le teorie del Nobel Konard Lorenz e la saga di John Ronald Tolkien. Al congresso del Msi dell’87 non riuscì a succedere ad Almirante, sconfitto da Fini. Si prese la rivincita a Rimini, nel ’90, diventando segretario per un breve periodo. Nel ’95 si oppose alla svolta di Fiuggi che portò alla nascita di Alleanza Nazionale.

[Fonte: www.ilsole24ore.com]




ilsussidiario.net - PINO RAUTI/ Un "fascista di sinistra" che odiava il capitalismo non meno del Pci


di Gianluigi Da Rold

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Nell’inverno del 1972, per qualche giorno, Pino Rauti era a Rottarch Egern, una località della  Baviera sul Tegernsee, un lago splendido con una corona di montagne intorno, che è purtroppo passato alla storia per uno dei fatti più sanguinosi della storia del nazismo, quando in una notte, ribattezzata la “notte dei lunghi coltelli”, le SS liquidarono fisicamente le diventate rivali SA di Ernst Rohm. Chi scrive ha avuto la ventura di conoscere Rauti in un grande albergo di quella località, insieme ad altri giornalisti invitati in un posto da favola dalla Siemens Data che vi faceva un seminario. Insomma era uno di quei “servizi premio” che allora si potevano concedere la Siemens e i giornali che mandavano i loro inviati.

Rauti era un autorevole giornalista de “Il Tempo” di Roma, e un noto “fascista”, il sottoscritto un modesto giornalista dell’Avanti edizione milanese. Per quei tempi di scontri ideologici violenti, c’era un solco che ci divideva. Eppure ci stringemmo la mano e lui, sapendomi un poco febbricitante, mi donò pure un paio di aspirine per passare la notte più tranquillamente.

Quell’episodio è la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho saputo della morte di Pino Rauti,  forse per ricordare che, alla fine,  le persone e i rapporti personali, anche se occasionali, vengono sempre prima delle ideologie e della vocazione politica.

C’è un altro Rauti che mi viene in mente, esattamente venti anni dopo quel lontano 1972, durante la stagione di “tangentopoli”, in un ascensore di Montecitorio pieno di socialisti abbacchiati dalle inchieste, che dice più o meno: “Ora conoscerete tutta l’arroganza di questo capitalismo, vincente, di questo liberismo in salsa anglosassone”. Era una sorta di rivincita o di rivalsa?  La frase mi rimase impressa, ma non la ho mai compresa nella suo completezza.

Del resto Pino Rauti era ben caratterizzato all’estrema destra. Diceva in modo  insistente: “Non mi sento un neofascista, il fascismo non è più ripetibile. E’ solo un giacimento della memoria al quale penso si possa ancora attingere”.

Ma la vita di Rauti, almeno quella raccontata sui giornali era di un altro tipo.  Comincia ad avere problemi con la giustizia fin dall’inizio degli anni Cinquanta, poi, nel 1972, viene coinvolto in una delle più terribili tragedie italiane, la strage di piazza Fontana.  Poi verrà coinvolto anche nella strage di piazza della Loggia a Brescia. Conviverà per quasi tutta la vita con questi sospetti, anche se i tribunali  lo assolvono su tutto.

Il problema è che nel Paese del sospetto,  Rauti si trascina dietro il fatto che è lui  nel 1954, mentre il Msi veste il “doppiopetto” del segretario Arturo Michelini, a fondare il centro studi di Ordine Nuovo, che uscirà dallo stesso Msi nel 1956 e sarà la sigla in cui molti estremisti di destra passeranno, magari per servirsene come paravento di altre attività. Certo il sentiero di distinzioni, soprattutto in quell’epoca di scontro ideologico, è molto stretto e difficile. Ma Rauti non è mai sembrato un uomo di azione pronto per attentati.

Appare piuttosto come un uomo severo, austero, che è ossessionato dall’infiltrazione comunista in Italia, che la denuncia senza mezzi termini, ma che può essere collocato, tuttalpiù, nella lista dei “cattivi maestri” di quell’epoca del doppio estremismo di destra e di sinistra.

Ma se si vuole comprendere esattamente Rauti forse bisognerebbe guardare a un altro aspetto. Occorrerebbe valutare quella generazione che aveva vent’anni all’uscita della guerra e risentiva, magari aveva creduto all’esperienza vissuta dai loro padri. Era una gioventù influenzata dal filosofo Julius Evola, molto nazionalista, magari irritata dai tanti “redenti” del dopoguerra, dai voltagabbana. Che proliferavano. Forse Rauti era solo  indignato per questo e agiva come una reazione a questa Italia che aveva cambiato pelle, in alcuni casi, al momento opportuno. Lui restava uno della “sinistra” fascista, anticapitalista, difensore della socializzazione e con venature terzomondiste. Si possono discutere le sue idee, ma  non la sua feroce coerenza di una generazione sbandata, confusa, quasi perduta e facile da mettere sotto accusa per i nuovi vincitori.

[Fonte: www.ilsussidiario.net]




Destra.it - Pino Rauti, quando le idee muovono il mondo


Se ne è andato con la leggerezza degli anziani. Dopo un percorso terreno intenso e aspro, il vecchio corpo dell’antico “incendiario d’anime” — così lo definì nel 1978 la “Pravda” moscovita — non ce l’ha più fatta. L’onorevole Pino Rauti è morto ma per la Destra italiana — questa galassia variegata, plurale e, oggi, smarrita, sfilacciata — “Pino” c’è, è presente. Al di là della sua vicenda politica — un alternarsi di visioni alte, proposte innovative e coraggiose intrecciate, purtroppo, a un tatticismo talvolta incomprensibile —, rimane il pensiero, rimangono le inquietudini, le idee “che muovono il mondo”.
Ecco perché Rauti, nonostante la tempesta dei ricordi, non può essere ridotto ad icona identitaria, a santino innocuo di un immaginario neofascista. Ad impedirlo vi sono le sue elaborazioni, le sue tesi, i suoi libri: un patrimonio importante da studiare e comprendere. Con nuova attenzione.

OLTRE IL NEOFASCISMO

Ma andiamo per ordine. A causa della pesante conflittualità interna che per decenni lacerò e devastò l’area, l’opera di Rauti — uomo d’enorme cultura ma carattere solitario e spigoloso — non sempre fu compresa adeguatamente dal suo “mondo umano”. Anzi.
Certo, era difficile negli anni Cinquanta-Sessanta, per un’ambiente impregnato di reducismo, accettare gli sforzi del giovane teorico che nelle pagine evoliane  — il primo schema de “il Fascismo visto da Destra”, una rottura alta, definitiva e, sfortunatamente, incompresa con le prefiche del Regime,  fu pubblicato sulle pagine di “Ordine Nuovo” — cercava una via per superare il nostalgismo.
Di sicuro era scandaloso per un partito rinchiuso in un’ottica occidentalista, ascoltare nel 1963 — in piena guerra fredda — critiche spietate all’americanismo; per Rauti l’atlantismo aveva «una forma, un aspetto, una struttura esteriore, sui quali è facile equivocare. Ma non ci sono dubbi dell’esistenza e persistenza di quello che noi definiamo il suo “limite fatale”, la sua intima e non eliminabile incapacità di stringere con l’Europa legami che non siano di momentaneo interesse».
Ancor più arduo per un mondo provinciale, incollato alle memorie dell’Abissinia e di “Faccetta nera”, fu  leggere con gli occhi attenti di un intellettuale inquieto la decolonizzazione, il dramma dei “centurioni” d’Indocina e Algeri, i fuochi di Goa e del Mozambico. Eppure in quelle esperienze così distanti dall’Italia del “miracolo economico” — ormai libera d’ogni fardello africano —, il leader del Centro Studi Ordine Nuovo vedeva nei fatti di Francia o nelle gesta dei giovani ufficiali lusitani la possibilità di superare le fratture del 1945 e creare nuove sintesi politiche e culturali in Europa e oltremare. Come dimostrò l’epopea dell’OAS e dei “pieds noires”, la tesi era ambiziosa, certamente spregiudicata ma con un suo fascino e delle possibilità.
Ancor più faticoso si rivelò per molti — ma non per tutti, anzi —, esplorare l’esperienza mussoliniana in modo scientifico ma appassionato; un segmento generazionale, minoritario ma importante, scoprì nelle pagine del capolavoro di Rauti e Sermonti — quella magnifica “La Storia del Fascismo” che andrebbe riedita e immessa finalmente nel grande circuito editoriale — spunti, riflessioni, idee per l’attualità e il futuro. E ancora, i sei volumi del CEN furono l’occasione per noi, i ragazzi dei Settanta, di scrollarsi finalmente di dosso memorialistiche improbabili, apologie imbarazzanti, finti testamenti del Duce, stupidaggini conservatrici e/o reazionarie. In tanti, grazie a quelle pagine scritte con stile e profondità, scoprimmo Sombart, Weber, la sociologia tedesca, ma anche Sorel, i “Vociani”, Marinetti, Volpe; soprattutto, grazie a Rauti potemmo dipanare quel filo sottile, ingrovigliato ma tenace che si stendeva la nostra esperienza militante e la Rivoluzione di Mussolini.

UN RIVOLUZIONARIO

Negli anni Sessanta, con largo anticipo su Vivarelli e in parallelo con De Felice, Pino e Rutilio offrirono un affresco raffinato e complesso e un’interpretazione inattesa quanto robusta del Ventennio, rintracciando le sue origini nella grande cultura europea “della crisi” di fine Ottocento, indagando i diversi rivoli che confluirono — da destra ma anche da sinistra e dalla sinistra più estrema — nel grande fiume del 1922. Su queste coordinate Rauti, sebbene distante — e, da antico evoliano, sempre diffidente — dalle posizioni di ”socialismo nazionale”, rivendicava al Fascismo una carica rivoluzionaria e sociale ben più radicale del marxismo, individuando nel momento mussoliniano una possibilità reale di superamento rivoluzionario del capitalismo. Da qui l’attenzione del Rauti politico verso le fasce più deboli, la condizione operaia e femminile, il suo indagare continuo sulle motivazioni profonde del consenso popolare post bellico al comunismo, gli studi su Spengler e il suo rifiuto — senza concessioni al multiculturalismo — della xenofobia e della volgarità razzista. Ma non solo.
Le riflessioni sociologiche del vice segretario nazionale del MSI-DN erano sempre accompagnate da un’inguaribile e continua curiosità verso la modernità, la tecnica, i nuovi saperi. Nonostante le sue origini rurali — rivendicate con orgoglio —, l’uomo era affascinato dalle trasformazioni epocali, si appassionava alle grandi opere — il canale fluviale Charlemagne, scavato tra il Danubio e il Reno, era un chiodo fisso dei suoi racconti —, s’intrigava d’urbanistica post-moderna, di demografia, di archeologia industriale, persino d’agricoltura biologica. Uno sforzo che ritrovammo — dirompente e lucidamente radicale — negli editoriali di “Linea” e nelle mozioni congressuali di Linea Futura e Andare Oltre.
Con gran rabbia del notabilato missino e di molti suoi critici “interni”, un blocco incardinato su posizioni passatiste e consolatorie, il direttore di “ Linea” ottenne gli apprezzamenti più importanti dagli avversari politici e dagli studiosi antifascisti. Tra i tanti, Giorgio Galli, Giorgio Bocca — allora ancora in regime di sobrietà — , autore di entusiastica recensione de “La Storia del Fascismo”,  e Pierre Milza. Nel suo “Dizionario dei Fascismi” — un lavoro denso quanto fazioso — il ricercatore francese traccia dell’uomo un profilo inatteso, rispettoso e attento: «un profondo conoscitore della cultura fascista, in un partito che aveva sempre privilegiato l’attivismo, probabilmente Rauti era, e tale sarebbe rimasto, l’unico dirigente di una certa levatura intellettuale… aveva focalizzato il suo interesse su alcune problematiche patrimonio della cultura di sinistra, come l’ecologia, seguendo con molta attenzione il dibattito europeo sulla Nouvelle Droite… il partito ipotizzato da Rauti avrebbe dovuto assumere espliciti connotati antisistema introducendo nella politica neofascista le tematiche ecologiste, antiamericaniste e anticonsumiste. Un’ambiziosa rivoluzione culturale».
Nel 1991, l’ipotesi politica rautiana — come la barca dell’amore di Majakovskij — s’infranse contro gli “scogli della quotidianità”. Un tempo finiva e altre parole d’ordine — vincenti o, magari, solo fortunate — s’imponevano per poi, vent’anni dopo, dissolversi. Nel nulla.
Molti di noi, io e gli amici di sempre — i “rautiani”, un sodalizio compatto e stravagante: Roberto, Riccardo, Fabio, Carlo, Flavia, Pietrangelo, Paoletta e prima di noi Paolo, Marcello, Bruno, Nazzareno e tanti altri — non sopportammo più  le indecisioni, la prassi ondivaga, le mediazioni dell’onorevole Pino Rauti. Dopo quel torrido giugno di 21 anni fa, ognuno a suo modo scelse una strada e si fece fabbro del proprio destino.
Ma oggi, mentre questa repubblica senza qualità naufraga nel disonore, di una cosa sono (siamo) sicuri. È una certezza condivisa — ed è un dato importante — anche con gli altri “ragazzi invecchiati” del Fdg, con coloro che in quel contesto fecero scelte diverse. Da Milano, da Roma, da Ancona, da Napoli, da Siracusa, da Padova a Trieste e a Palermo, lo sguardo scorge ancora le linee di vetta intraviste da “Pino”. Sempre salde, stagliate sull’orizzonte. Fisse. Nitide e scintillanti.

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[Fonte: www.destra.it]




Il Tempo.it - Pino Rauti e la destra diversa


Pino Rauti è stato il simbolo vivente della complessità della destra italiana. La scarsa dimestichezza del giornalismo politico del nostro Paese ad affrontare i personaggi «cruciali» della vita pubblica, soprattutto quando sono difficili da incasellare nelle gabbie ideologiche, lascia spazio all’incomprensione o, peggio, alla rimozione. È accaduto a Rauti, intellettuale di natura gramsciana (tanto per sfuggire alle definizioni scontate), che con la sua ostinata capacità di attirarsi i fulmini demolitori dell’establishment politico e mediatico, ha testimoniato il primato della cultura in politica a spese del piccolo cabotaggio elettoralistico e partitocratico. In questo senso egli ha riassunto la sua militanza per oltre sessant’anni finendo per rappresentare quella certa idea della destra che confonde gli osservatori non meno che la maggior parte di coloro che nella destra stessa pure si riconoscono o si sono riconosciuti. La sua fiera «diversità» Rauti l’ha dispiegata tutta nel perimetro dell’irregolarità, il ché gli ha procurato notevoli fraintendimenti che tuttavia non lo hanno mai fatto deflettere dalla convinzione maturata fin da giovanissimo: la necessità, cioè, di coniugare i valori tradizionali con la «questione sociale» in una sintesi che oggi potremmo arditamente definire «metapolitica» che immaginava a fondamento di una Repubblica pacificata e modellata secondo i criteri della partecipazione e del decisionismo. Si fa presto a liquidare Rauti come un «incendiario d’anime», per usare la forte e suggestiva espressione che la Pravda – niente di meno – coniò per lui nel 1979 quando perfino in Unione Sovietica ci si accorse che dalle idee rautiane, ben articolate nell’ambito di giovani politici che erano anche intellettuali, e veicolate da un giornale che egli aveva appena fondato, Linea, poteva venir fuori una destra non convenzionale, ma alternativa a quella stereotipata dei perbenismi in voga e un po’ parruccona, funzionale ai ceti borghesi e rassicurante lo stesso sistema dei partiti. Una destra «rivoluzionaria», insomma, gravida di idee e capace di una suprema apostasia: la negazione delle virtù plebee in nome di una paradossale aristocraticità sociale, più vicina alla concezione di un George Sorel e del sindacalismo che ne discendeva che ad una destra tutta «legge e ordine» il cui conservatorismo si esauriva nel perimetro quieto dell’opposizione parlamentare. Rauti ha tentato, in parte riuscendoci, con le sue iniziative politiche e culturali, con le sue riviste, i suoi libri (comunque la si pensi resteranno fondamentali «Le idee che mossero il mondo» e la «Storia del fascismo» in cinque volumi scritta insieme con Rutilio Sermonti), i suoi centri di studio e di riflessione che raccolsero la gioventù più reattiva e anticonformista della destra dalla fine degli anni Sessanta in poi. La complessità di una destra che si richiamava non al fascismo in quanto tale, ma al più vasto mondo intellettuale tradizional-conservatore, le cui ascendenze evoliane innanzitutto erano innegabili, è testimoniata proprio dall’azione formatrice di Rauti per il quale le nuove scienze e l’ambientalismo, il radicalismo istituzionale ed il popolarismo localistico, le tematiche giovanili – dalla musica alternativa all’arte d’avanguardia, dalle problematiche femminili alla rilettura dei fenomeni aggregativi da cui discesero i famosi Campi Hobbit, dalla narrativa fantastica alla fumettistica che era appannaggio soltanto della sinistra, tanto per citare alcune espressioni che contribuirono a svecchiare la destra italiana – e la rivisitazione del solidarismo in una chiave che prevedeva il superamento della lotta di classe e la messa in discussione del capitalismo finanziario, fornirono al mondo che si ritrovava nel Movimento Sociale Italiano un vero e proprio arsenale di idee per combattere, come si diceva allora, la «buona battaglia». Rauti è stato il motore di tutto questo fermento di innovazioni che neppure la più dura, accanita, mostruosa persecuzione politica e giudiziaria a cui è stato sottoposto per circa quarant’anni, ha frenato. E di questa pagina della storia personale di Rauti che s’intreccia con quelle più controverse e problematiche della storia repubblicana, un giorno si dovrà dare conto, partendo dall’assunto che le idee non si processano e non si possono costruire mostri funzionali ad una strategia elaborata in chissà quali santuari che avrebbe dovuto destabilizzare il sistema allo scopo di stabilizzare assetti di potere che si facevano la guerra con gli strumenti che purtroppo abbiamo conosciuto. Legioni di inquisitori e di pistaroli hanno provato a distruggere la credibilità di Rauti, la sua onorabilità, il suo stesso mondo politico, ma non ci sono riusciti. Gli innumerevoli processi che ha affrontato non soltanto non lo hanno piegato, ma lo hanno reso più forte: è sempre stato assolto, uscendo indenne dalle numerose inchieste che, come testimoniarono i suoi colleghi del Tempo, fin dal 1972, nulla avevano a che fare con un giornalista che amava l’impegno politico e lo interpretava come un assoluto dovere civile anche quando le «pericolose» o «rischiose» idee che professava potevano costargli caro. Nonostante tutto le innumerevoli volte che è stato eletto deputato, parlamentare europeo e rappresentante del nostro Paese nel Consiglio d’Europa, dimostrano che la fiducia che gli veniva accordata – condivisa peraltro da tutto il suo partito – era più forte dei pregiudizi. Rauti, comunque, è sempre stato un’anima inquieta. Fin da quando giovanissimo aderì alla Repubblica Sociale Italiana e fu poi imprigionato nei campi di concentramento nordafricani maturò la convinzione che il suo sarebbe stato il destino di un «agitatore». Tra i giovani aderenti al Msi della prima ora, mostrò immediatamente insofferenza anche verso un ritualismo neofascista nostalgico e privo di spessore spirituale, tanto da far parte del «commando» dei Far, occultamente diretto da Pino Romualdi, accusato di attentati sovversivi (per la cronaca, non un capello venne torto a nessuno) e mandato alla sbarra nel 1951 insieme con tanti altri rivoluzionari, il più illustre dei quali, si presentò al Palazzaccio in carrozzella, accompagnato e difeso gratuitamente dal più grande avvocato del Novecento, Francesco Carnelutti: era Julius Evola la cui «Autodifesa» resta tra i testi più significativi per comprendere la stagione dei vinti nella Repubblica democratica ed antifascista. In quelle circostanze, nel mentre la lotta politica si faceva più dura, Rauti maturò la convinzione che il parlamentarismo nel quale si stava confinando il Msi lo avrebbe condannato all’estinzione. Promosse il Centro Studi Ordine Nuovo, che, contrariamente ad una vulgata menzognera, nulla aveva di «sovversivo»; condusse parallelamente la polemica politica e indirizzò verso la formazione culturale numerosi giovani. Poi la riconciliazione con il Msi di Almirante e l’ambiziosa battaglia per «sfondare a sinistra» convinto che soltanto la destra nazionale e sociale poteva dare al Paese una conformazione nuova. Ne divenne segretario nel 1990, ma anche per giochi di potere interni la sua esperienza al vertice del partito durò poco. Molto ci sarebbe da dire di quella confusa stagione che, comunque, resta la più fervida dopo il tempo almirantiano segnato dalla Grande Destra. Rauti se n’è andato dopo i suoi amici con cui ha vissuto il sogno della rivoluzione impossibile: Giano Accame, Enzo Erra, Fausto Gianfranceschi. Tutti protagonisti di una destra incompresa dalle riserve ancora ricche per chi volesse penetrarla ad là delle coltri nebbiose che impediscono una seria visione politica. Lo raccomandava Rauti soprattutto ai suoi giovani amici: non disperdere il raccolto di una storia poiché senza radici non vi può essere avvenire. È ciò che di più prezioso rimane di lui in chi lo ha ammirato, gli ha voluto bene e perfino in chi lo ha contestato. Comunque la si pensi, al suo cospetto, oggi si deve ammettere che Rauti è stato un uomo della destra complessa, appunto, non convenzionale, impastata di certezze e di contraddizioni e perciò viva, che, non merita di essere liquidata come il frutto di una marginale ideologia.

[Fonte: www.iltempo.it]




ilFattoQuotidiano.it - Morto Pino Rauti, ex segretario del Msi e fondatore di Ordine Nuovo


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L’ex segretario del Movimento Sociale Italiano è deceduto alle 9.30 di questa mattina nella sua casa nella capitale. E’ deceduto nella sua casa di Roma. Avrebbe compiuto 86 anni il 19 novembre

di Domenico Naso

Già su Twitter c’è chi lo ricorda come “un fascista buono”. Rimasugli di scontri ideologici dei tempi che furono, ma Pino Rauti, morto oggi nella sua casa di Roma a pochi giorni dal suo 86esimo compleanno, è stato molto più di “un fascista”. Calabrese della provincia di Catanzaro, a vent’anni era stato tra i fondatori di quel Movimento Sociale Italiano che ricordava con il fascismo di Salò e la Repubblica sociale. E sociale, Pino Rauti lo è sempre stato, visto che era il capo di quella corrente definita “di sinistra”, che già negli anni Cinquanta era diventata l’opposizione interna al Msi dei “fascisti in doppiopetto” di Michelini.

Nel 1956 fonda Ordine Nuovo, un centro studi che non fu solo centro di cultura fascista ma anche attore al tempo della strategia della tensione. Pino Rauti ha dovuto anche affrontare la gravissima accusa di essere parte di quel sistema che aveva organizzato le stragi di piazza Fontana, piazza della Loggia e Bologna. Intanto, negli anni Settanta Rauti vede lo scioglimento di Ordine Nuovo per ricomposizione del Partito fascista e approda alla Camera, dopo essere rientrato nel Msi in seguito all’arrivo di Giorgio Almirante alla segreteria del partito. Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta la componente “rautiana” si connota per una impostazione più culturale e alternativa rispetto alla linea Almirante. Sono gli anni, tra gli altri, di Flavia Perina e Umberto Croppi, ma anche della riscossa della sua corrente all’interno del partito. Dopo aver perso il congresso per la leadership nel 1987 contro l’allora giovane Gianfranco Fini, tre anni dopo si prende la ‘rivincita’. Ma la sua segreteria dura poco perché un anno dopo torna nelle mani di Fini.

Tra i suoi riferimenti culturali Evola, Tolkien, tradizioni celtiche e spiritualismo e campi hobbit. Un doppio binario di trame nere e anticonformismo di destra per un un uomo che era considerato colto e intelligente anche dagli avversari politici. La figlia Isabella è sposata col sindaco di Roma Gianni Alemanno.

Storace: “Il suo carisma scuoteva le coscienze” - “Nella storia della destra italiana gli anniversari, le ricorrenze, il calendario hanno sempre avuto un posto d’onore. E’ la cultura della memoria. Pino Rauti sembra aver scelto apposta la ricorrenza dei defunti per lasciare questo nostro mondo e le macerie di un tempo che scorre senza valori”. Lo afferma il leader de La Destra, Francesco Storace. “Rauti ha caratterizzato profondamente, con le sue idee, una comunità. Io militavo dalla parte di Almirante, ma ammiravo quest’uomo dal carisma che scuoteva le coscienze. La sua capacità di vedere prima le cose che sarebbero accadute dopo. Con la sua morte, tutti noi ci rimettiamo qualcosa, anzitutto in cultura. La Destra italiana si inchina con commozione”.

Fini: “Ha testimoniato gli ideali della nazione” – Il Presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, esprime “il più profondo cordoglio per la scomparsa dell’onorevole Pino Rauti, uomo politico che ha rappresentato una parte di rilievo nella storia della Destra italiana”. Lo definisce “parlamentare rigoroso, intellettuale di profonda cultura” che “ha testimoniato con passione e dedizione gli ideali della nazione e della società che appartengono alla storia politica del nostro Paese. Ai familiari esprimo i sentimenti della più intensa vicinanza mia personale e della Camera dei deputati”.

[Fonte: www.ilfattoquotidiano.it]




Il Foglio.it - Si è spento Pino Rauti





Il Messaggero.it - E' morto Pino Rauti, ex segretario Msi


ROMA – E’ morto Pino Rauti. L’ex segretario del Movimento Sociale Italiano, che avrebbe compiuto 86 anni il 19 novembre, si è spento alle 9.30 di ieri mattina nella sua casa di Roma.

La camera ardente è stata allestita nella sede della Fondazione Alleanza Nazionale, in via della Scrofa.
Nella serata di ieri oltre a tante personalità del mondo della plitica e gente comune, alla camera ardente sono arrivati anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno con la moglie Isabella Rauti: «Ho vissuto il privilegio di avere nella stessa persona un padre affettuoso, un maestro di cultura, un riferimento politico, esempio di dignità e coerenza. Mi restano i tanti ricordi, gli insegnamenti, i principi. Mi restano l’amore che non muore e la responsabilità dell’onore».

Il personaggio. Rauti, lo storico segretario del Msi, all’anagrafe Giuseppe Umberto Rauti, era nato a Cardinale, in provincia di Catanzaro, il 19 novembre 1926. Durante la guerra fu volontario della Rsi e nel 1954 dette vita a Ordine Nuovo: organizzazione il cui nome venne usato per rivendicare numerosi attentati negli anni ’60 e ’70, ai quali lui si dichiarò sempre estraneo.

Nel 1946 Rauti fu tra i fondatori, insieme a Giorgio Almirante, Clemente Graziani e Julius Evola, del “FAR”: Fasci di Azione Rivoluzionaria. Dopo due attentati a Roma, presso il ministero degli Affari Esteri e all’ambasciata Usa, il 24 maggio 1951 furono arrestati numerosi esponenti dell’organizzazione tra cui lo stesso Rauti e il filosofo Julius Evola, considerato l’ispiratore del gruppo. Il processo si concluse il 20 novembre 1951: alcuni imputati vennero condannati a un anno e 11 mesi. Ad altri 10 vennero riconosciute condanne minori. Gli altri vennero assolti. Tra questi: Evola, Rauti ed Erra.

Con la fine del processo si sciolse la sigla “FAR”. Nel ’68 parte insieme ad altri 51 esponenti di destra, tra cui l’agente del Sid Stefano Serpieri, Giulio Maceratini, Mario Merlino e Stefano Delle Chiaie da Brindisi per un viaggio di istruzione sulle tecniche di infiltrazione, nella Grecia dei Colonnelli, a spese del governo greco. Altro arresto nei suoi confronti venne deciso nel ’72 per alcuni attentati commessi l’8 e il 9 agosto 1969. E in quello stesso anno venne eletto alla Camera nelle liste del Msi.

A Montecitorio rimase sino al 1992. Nel 1973 Ordine Nuovo si sciolse e molti dei suoi aderenti vennero condannati per ricostituzione del partito fascista. Nel 1987 nella gara per la segreteria del Msi gli venne preferito Gianfranco Fini, sostenuto da Almirante. Ma divenne segretario anche lui nel 1990. Nel 1991, dopo la sconfitta alle amministrative e alle regionali in Sicilia, lasciò e Fini tornò alla segreteria.

Dal ’94 al ’99 fu europarlamentare. Dopo il congresso di Fiuggi del ’95, nel quale il Msi si trasformò in Alleanza Nazionale, Rauti fondò il Movimento Sociale Fiamma Tricolore. Si candidò poi, senza successo, alla carica di sindaco di Roma. Carica che ora ricopre suo genero, Gianni Alemanno, marito della figlia Isabella. Nel 2003 il Tribunale civile della Capitale accolse il ricorso di alcuni esponenti della Fiamma Tricolore e invalidò la carica di presidente di Rauti. Venne poi espulso dal partito e fondò, nel 2004, il Movimento Idea Sociale, che rimase sino al 2006 nell’orbità della Cdl. Rauti venne anche inquisito per la strage di Piazza della Loggia a Brescia per la quale venne rinviato a giudizio il 15 maggio 2008. Ma venne assolto il 16 novembre 2010 per insufficienza di prove.

[fonte: www.ilmessaggero.it]




LiberoQuotidiano.it - Pino Rauti è morto a 85 anni: addio all'ex segretario del Msi


L’ex leader di destra si è spento stamattina nella sua casa romana

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Suocero del sindaco di Roma Gianni Alemanno si era fortemente opposto alla svolta di Fiuggi quando Fini trasformò il Movimento Sociale in Alleanza Nazionale
E’ morto Pino Rauti. L’ex segretario del Movimento Sociale Italiano, che avrebbe compiuto 86 anni il 19 novembre, si è spento alle 9.30 di questa mattina nella sua casa di   Roma. Rauti, padre di Isabella la moglie del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, è stata una figura di spicco della destra italiana. Politico e giornalista è attivo politicamente fin da giovanissimo. Nel 1946 Rauti è tra i fondatori, insieme a Giorgio Almirante, Clemente Graziani e Julius Evola, del più importante gruppo organizzato neofascista dell’immediato dopoguerra, il FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria). Entra quindi a far parte del MSI, nel ’54 dopo la vittoria dei “fascisti in doppiopetto” e la nomina a segretario di Michelini, Rauti da vita al centro studi Ordine Nuovo. Nel Novembre 1956 Ordine Nuovo esce dal MSI e arriverà ad avere dai 2.000 ai 3.000 iscritti. Europarlamentare dal 1994 fino al giugno 1999, dopo il congresso di Fiuggi del 1995, che con Gianfranco Fini trasforma il Movimento Sociale in Alleanza Nazionale, Rauti, da sempre animatore dell’ala “di sinistra” di quel partito, ha fondato insieme ai senatori Giorgio Pisanò e Cesare Biglia e al deputato Tommaso Staiti di Cuddia il Movimento Sociale Fiamma Tricolore, dopo che una sentenza del Tribunale Civile di Roma impedisce ai rautiani di appropriarsi di nome e simbolo storici del MSI-DN. A seguito di quella sentenza, Rauti è stato espulso dalla Fiamma Tricolore e ha fondato, nel 2004, il Movimento Idea Sociale. Nel 2008 il suo MIS (Rauti non si è candidato) partecipa alle elezioni politiche nazionali sotto il simbolo del partito di Roberto Fiore (Forza Nuova) avendo siglato un accordo elettorale. Al secondo turno delle elezioni comunali di Roma Rauti esprime il suo appoggio al candidato del PDL Gianni Alemanno, suo genero, futuro sindaco della città.

Le vicende giudiziarie – Assunta Almirante, vedova di Almirante, intervistata telefonicamente da Sky Tg 24, ha confessato il suo dispiacere è ha detto: «E’ stato un personaggio importantissima della vita politica italiana. E’ stato indicato come uno dei responsabili della strage di piazza Fontana. Siamo noi (lei e suo marito, ndr.) andati a prelevarlo in carcere dopo aver dimostrato la sua innocenza». Il 4 marzo 1972, infatti, il giudice Stiz di Treviso esegue mandato di cattura contro Rauti per gli attentati ai treni dell’8 e 9 agosto 1969. Successivamente l’incriminazione si estenderà agli attentati del 12 dicembre. Il 21 novembre 1973 trenta aderenti ad Ordine Nuovo vengono condannati dalla magistratura per ricostituzione del Partito Nazionale Fascista e viene decretato lo scioglimento dell’organizzazione. Nel 1974, con la rivoluzione dei garofani in Portogallo, viene scoperta l’organizzazione eversiva internazionale fascista Aginter Press con la quale ha stretti rapporti anche Rauti attraverso l’agenzia Oltremare per la quale lavora. Nessuna di queste inchieste ha mai accertato qualche reato a suo carico. Successivamente Pino Rauti fu inquisito per la strage di Piazza della Loggia a Brescia e in merito il 15 maggio 2008 è stato rinviato a giudizio. Assolto il 16 novembre 2010 in base all’articolo 530 comma 2 del codice di procedura penale (insufficienza di prove). Nelle richieste del pm Roberto Di Martino, per quanto concerne la posizione di Pino Rauti si afferma che la sua è una “responsabilità morale, ma la sua posizione non è equiparabile a quella degli altri imputati dal punto di vista processuale. La sua posizione è quella del predicatore di idee praticate da altri ma non ci sono situazioni di responsabilità oggettiva. La conclusione è che Rauti va assolto perché non ha commesso il fatto”.

I messaggi della politica –  Il Presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, ha esprisso “il più profondo cordoglio per la scomparsa di Pino Rauti, uomo politico che ha rappresentato una parte di rilievo nella storia della Destra italiana”. “Parlamentare rigoroso, intellettuale di profonda cultura, Rauti – conclude – ha testimoniato con passione e dedizione gli ideali della nazione e della società che appartengono alla storia politica del nostro Paese. Ai familiari esprimo i sentimenti della piu’ intensa vicinanza mia personale e della Camera dei deputati”.
“Esprimo a Isabella Rauti le mie più sincere condoglianze per la scomparsa del papà, che è stato uno degli esponenti più significativi della destra italiana. Intellettuale di grande spessore, uomo tanto coraggioso quanto controverso e discusso, ha certo segnato un’epoca della storia italiana”. Così il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini ricorda Pino Rauti.
“Nella storia della destra italiana gli anniversari, le ricorrenze, il calendario hanno sempre avuto un posto d’onore. E’ la cultura della memoria. Pino Rauti sembra aver scelto apposta la ricorrenza dei defunti per lasciare questo nostro mondo e le macerie di un tempo che scorre senza valori”. Lo afferma il leader de La Destra, Francesco Storace. “Rauti ha caratterizzato profondamente, con le sue idee, una comunità. Io militavo dalla parte di Almirante, ma ammiravo quest’uomo dal carisma che scuoteva le coscienze. La sua capacità di vedere prima le cose che sarebbero accadute dopo. Con la sua morte, tutti noi ci rimettiamo qualcosa, anzitutto in cultura. La Destra italiana si inchina con commozione”, conclude Storace.
“Con Pino Rauti scompare una delle ultime grandi figure politiche del dopoguerra italiano: al di là di una immagine legata al passato, è stato invece potente riferimento culturale e politico della parte più avanzata della destra italiana, sopratutto per le aperture verso i temi ambientali e culturali”. Lo dichiara il vice coordinatore di Fli, Fabio Granata. ”Ha entusiasmato le giovani generazioni di quella che sarebbe stata la Nuova Destra italiana, ispirato i campi hobbit, sognato lo ‘sfondamento a sinistra’ sui temi sociali, culturali ed economici. Lo ricorderò con affetto e riconoscenza, in questa fase nella quale molti di noi, cresciuti nella sua area, ci sentiamo un po’ apolidi”, conclude Granata.