I vinti: rischiano di perdere tutto d’un colpo


Arriva dagli USA un libro sulla globalizzazione; ed è, diciamolo subito un libro “preoccupato” e che dovrebbe preoccupare. Perché gli effetti di quello che noi chiamiamo anche mondialismo economico sono ormai al centro di un dibattito interessante; che ha di mira soprattutto le conseguenze sulla economia.

E traggo dalla recensione al libro di Thomas Friedmann scritta da Maurizio Ferrera sull’inserto economico del Corriere della Sera, che “il ritmo e l’intensità della nuova rivoluzione tecnologica tolgono il respiro: gli sconfitti rischiano di perdere tutto all’improvviso”.

Il libro di Friedmann (The world is plat. A Brief History of the Globalized World in the 21 st Centhury” New York. Farrar – Strauss and Giroux – 2005 – pag. 496 – 27,50 $ ) definisce “piatto” il nostro pianeta; reso tale dal fenomeno sempre più incisivo della globalizzazione, che ignora ogni barriera geografica.

In dieci anni “centinaia di migliaia di lavoratori indiani si sono integrati nell’economia globale grazie all’outsourcing (si prenota il volo interno agli Stati Uniti passando per un call center di Bangalore). Dopo l’ingresso della Cina nel WTO, le operazioni di offshoring (trasferimento di produzioni) da parte delle imprese occidentali sono letetralmente esplose. Un bene per i lavoratori indiani e cinesi, senza dubbio. Ma con quali conseguenze per i lavoratori e per i modelli di vita dei paesi sviluppati?”. Ecco la domanda centrale del volume?

Friedmann è un liberista – anche questo va tenuto presente – e “guarda con favore” i processi di globalizzazione; ma siamo certi che il suo libro ha ottenuto il Premio Pulitzer non per “liberismo” ma per l’analisi documantatissima che fa delle “ricadute” negative della globalizzazione.

Perché se è vero che “tutte le grandi trasformazioni del modo di produrre, generano vincitori e vinti. Nelelfasi storiche precedenti, il mutamento è avvenuto più lentamente. Il ritmo e l’intensità della nuova rivoluzione tecnologica tolgono invece il respiro: gli sconfitti rischiano di perdere tutto all’improvviso”.

Ecco la novità assoluta: i mutamenti che una volta richiedevano decenni ed impegnavano più generazioni adesso avvengono con rapidità enorme. Non c’è tempo per rispondere con la gradualità che richiedono queste vivende; avviene tutto “in tempo reale” a livello di scelte e decisioni di vertice.

Si può fare qualcosa per “assorbire” meglio questa realtà? Per fronteggiare le conseguenze gravi?

Anche questo si chiede il volume.

E anche su queste domande, si sofferma la bella recensione di Maurizio Ferrera. Che – ne riferiamo in sintesi – sostiene che il libro è in effetti un manifesto di Friedmann per un “compassionate flatijm”, per un “piattismo” che miri a rendere “più efficace il sistema di ammortizzatori sociali americani”.

E viene avanzata, da Friedmann una proposta concreta, che meriterebbe di essere ripresa anche “in prospettiva europea”; in una proposta che in America già circolò negli anni ’80 e che recentemente è stata discussa dalal “US Trade Deficit Commission”: l’introduzione di una “Wage assurance”, una forma di assicurazione sulle retribuzioni. I lavoratori colpiti dai processi di outsourcing od offshoring hanno scarse probabilità di trovare nuovi posti di lavoro a parità di salario. I sussidi di disoccupazione dovrebbero perciò essere integrati da una somma di danaro volta a finanziare l’acquisizione di nuove competenze. Le imprese nei settori più dinamici e aperti dovrebbero dal canto loro promuovere corsi di formazione per i dipendenti più a rischio, volti a sviluppare competenze versatili………

Pino Rauti




PCI: un altro archivio che lo sbugiarda in pieno


L’osservazione generale è questa: quando viene aperto un archivio, in qualsiasi parte del mondo, non c’è una sola volta che capiti che le “carte” riscoperte diano ragione ai nostri avversari, specie a quelli di sinistra. Mai che una volta dagli archivi salti fuori una qualche verità nuova che li esalti o quanto meno che li possa confortare.

Nello specifico, nel caso concreto, avviene adesso che un ricercatore storico scrupoloso sia andato a spulciare tante vecchie carte del comunismo sovietico a Mosca per trovare conferma ad una tesi che a lui – iscritto al Partito Comunista fino all’inizio degli anni ’80, era particolarmente cara e sembrava particolarmente significativa, la tesi della “diversità” dei comunisti italiani rispetto a quelli sovietici; una diversità che era sia prova della loro “originalità” e sia motivo di storica differenziazione dai crimini dello stalinismo.

Ne scrive, recensendo il libro, Gianfranco Pasquino ne “Il Sole 24 Ore”, che definisce questa tesi della diversità “quanto di più caro i comunisti italiani hanno avuto”.

E invece “in pagine molto documentate (l’autore) evidenzia una tremenda conformità del gruppo dirigente comunista togliattiano ai dettami e persino agli stili della politica stalinista e sovietica, che scendeva per i rami sino ad impregnare tutto il corpo del Partito….”

E non si tratta soltanto , sottolinea – giustamente, come vedremo – Gianfranco Pasquino di “quella che è una resa dei conti definitiva con il Partito e con molti colleghi storici Comunisti”; no, Andreucci affronta i termini cruciali del problema “originalità del PCI” attraverso quattro densi capitoli “formazione dell’identità; invenzione di una tradizione; sistemi di valori e universi simbolici; riti di passaggio (iniziazione, funerale, espulsione)”.

A modo di vedere – di Pasquino- vi sono almeno due contributi importanti nell’analisi di Andreucci. Il primo consiste nella utilizzazione ampia e colta, molto attenta e precisa, dei numerosi studi che gli scienziati  sociali, prevalentemente, ma nient’affatto esclusivamente americani, hanno dedicato al fenomeno comunista e ai comunisti fin dalla rivoluzione bolscevica (e non soltanto durante la Guerra Fredda). È una letteratura imponente e importante che l’autore valorizza con intelligenza e competenza. Il secondo è il confronto  puntiglioso fra le strategie e tattiche sovietiche e le reazioni dei comunisti italiani; persino fra i riti sovietici e i riti del PCI “fino a mostrarne non soltanto la carenza di originalità, ma persino l’imitazione, qualche volta assolutamente pedissequa”

Scrive ancora, Pasquino, che leggendo il libro di Andreucci, crede di aver capito “perché l’anticomunismo continua ad essere politicamente rilevante in Italia: talvolta, gli ex-comunisti sostengono di sentire nei loro confronti la discriminazione che si commina a i figli di un dio minore. Invece il problema è che, con non poche ragioni, in Italia e, quantomeno anche in Francia, “gli ex comunisti che continuano a dichiarare di non avere nulla da rimproverarsi per il loro passato sono figli di un “Dio che è fallito” (come dal titolo di unfamoso libro di autorevolissimi ex comunisti pubblicato all’inizio degli anni cinquanta) sul cui fallimento non hanno mai voluto interrogarsi in maniera approfondita”.

Pino Rauti

Franco Andreucci : “Falce e Martello. Identità e linguaggio dei comunisti italiani tra stalinismo e Guerra fredda”. Bononia University Press- Bologna, 2005 – Pagg. 304- 19,00 Euro




E’ “allarme Roma”, anche se non lo dicono


Nonostante tutte le dichiarazioni ufficiali – rassicuranti – Roma sta diventando come Napoli, quanto ad ordine pubblico e sicurezza, e quanto a criminalità.

Anche perché molti “atti” delinquenziali vanno ben al di là del singolo episodio; per quello che dimostrano quanto a “retroterra” e precedenti specifici.

Come dimostra ad esempio – ma è solo uno dei tanti esempi disponibili – quanto è stato scoperto a proposito degli autisti della linea “01” nella zona di Ostia: per lavorare tranquilli, gli autisti dovevano pagare personalmente un “pizzo” di 50 euro al mese; altrimenti erano aggressioni di una banda; e pugni e calci e insulti incessanti.

Due autisti sono finiti in ospedale; altri 5 se la sono cavata con qualche percossa. Alcuni dei facinorosi, pretendevano che l’autobus si fermasse sotto la loro casa per scendere più comodamente.

Nella zona di Ostia d’altronde c’è una vera e propria invasione di nomadi e di extracomunitari. Per riportare un minimo d’ordine nei pressi di Ardea, sulle dune del Lungomare detto “dei Troiani” c’è voluto il “rastrellamento” di 30 ettari di macchia mediterranea per sgombrare attendamenti vari sorti in riva al mare. Dodici stranieri arrestati; erano bulgari e tunisini, palestinesi e marocchini.

Ma dicevamo della criminalità dilagante. Ecco cosa abbiamo letto nelle cronache recenti; fatti e fattacci avvenuti in appena due-tre giorni:

>       romeno, ventiduenne, immigrato clandestino, arrestato in un supermercato di Anzio per furti vari; aveva minacciato di accoltellare un sorvegliante.

>       Rapina con “taglierino” alla gola nella Banca di Roma ad Ostia Antica; due rapinatori, 10.000 euro rubati.

>       Rubano un TIR e sequestrano un camionista tedesco. Poi arrestati 6 romeni di un campo-nomadi presso Settecamini.

>       Intervento della P.S. a Villa d’Este, al centro di Tivoli, lo avevano chiesto i negozianti della zona, dopo molti furti, fermati 6 arabi.

>       Polemiche e comunicati di protesta dei poliziotti dell’OSPOL di Via della Consolazione: i fermati vengono “nutriti” a pizze e Coca Cola per 9 euro al giorno: “meglio di noi agenti municipali che restiamo di guardia magari senza vitto per 24 ore di seguito”.

>       Un pregiudicato “evade” dai domiciliari e va ad accoltellare un suo conoscente al Tuscolano.

>       Venti famiglie africane occupano uno stabile sfitto a Piazza Porta Maggiore, a Roma, si sono trasferite lì da un palazzo occupato in Via Collatino dove “non si vive più perché ci sono più di 700 persone”.

>       In arresto 5 persone della “banda delle Poste”, sale a 98  il numero delle rapine seguite dalla P.S. di Roma dall’agosto del 2004; 115 le persone arrestate.

>       Pistola alla tempia per 3 euro ad una suora uscita dal convento a far spesa a Via Moncenisio a Monte Sacro; i passanti – era l’alba – “passano indifferenti”. Presa a calci la suora, il malvivente – ventisettenne con vari “precedenti” – rapina la borsetta ad una studentessa. Nella casa del rapinatore trovate 1.000 pasticche di ecstasy.

>       Agente municipale di 56 anni tenta di uccidersi gettandosi nel Tevere, a Castel Giubileo. Lo salva un caposquadra dei Vigili del Fuoco. Ha detto di “non farcela più con quel poco che guadagniamo.

>       Sta diventando una “battaglia” il tentativo di allontanare di almeno 30 metri i venditori abusivi dalle uscite della Metropolitana. Diciotto aree sono state messe “sotto controllo” fra di esse anche Via Condotti; nei giorni festivi “occupata” da centinaia di venditori. Protestano migliaia di abitanti da Castel Sant’Angelo a San Pietro: qui è diventato un suk arabo.

>       Arrestato un primo piromane; al suo processo è esploso in grida inconsulte. A Roma in pochi giorni sono state bruciate oltre120 auto.

>       Un rumeno ucciso a calci e pugni durante una lite per il giaciglio, in un “campo” a via Via Pisoniano; fermati alcuni connazionali.

E potremmo continuare – aggiornando ogni 24 ore – per pagine e pagine. Diciamolo con molta fermezza e altrettanta chiarezza al Governo ed al Viminale, e ai suoi “dintorni” operativi e che tali dovrebbero essere: Roma non sta affatto secondo quanto la definiscono le tranquillizzanti prese di posizione ufficiali, che poi – attenzione – finiscono col fare il gioco di Veltroni.

La vera situazione è molto più grave e tutti farebbero bene a seguire le cronache correnti!

Pino Rauti




Storia del fascismo - Dannunzianesimo, biennio rosso, marcia su Roma


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di Pino Rauti e Rutilio Sermonti (Autori)

Copertina rigida: 588 pagine
Editore: Controcorrente (31 gennaio 2005)
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8889015217
ISBN-13: 978-8889015216




Sicilia la "capitale" della pastasciutta


Il consumo di pasta pro capite raggiunge in Sicilia i 40 chilogrammi contro una media nazionale di 28. La filiera grano duro dell’isola e i suoi primati di consumo e di produzione saranno illustrati in occasione di “I primi d’Italia – Festival nazionale dei primi piatti” che si è tenuto a Foligno (Perugia) dal 29 settembre al 3 ottobre. In rappresentanza dell’ isola lo chef Giuseppe Dell’Olio, 81 anni, con le pennette lisce ‘chi vruoccoli arriminati’, il wine bar gestito dalle aziende Gandolfo e Settesoli e il Consorzio di ricerca “Gian Pietro Ballatore” che da cinque anni compie ricerche sul grano duro in Sicilia.

“Alla coltura di grano duro – ha detto Giuseppe Russo del Consorzio Ballatore – sono dedicati 350.000 ettari, un campo di grano esteso quanto la Valle d’Aosta”. A Foligno saranno 140, tra pastifici tradizionali e industria alimentare, le aziende nazionali coinvolte nella sesta edizione della manifestazione, manifestazione promossa dal socio della Confcommercio provinciale Epta. Per l’occasione, resteranno aperte le dieci taverne medioevali del centro storico umbro, affiancate da villaggi del gusto gestiti dalle regioni Piemonte, Liguria, Sicilia e Calabria. “Vogliamo valorizzare tutte le produzioni nazionali – ha annunciato a Roma nella conferenza stampa di presentazione, il presidente dell’ Epta Roberto Prosperi – sia industriali sia di nicchia, attivando incontri con la Fida che rappresenta i dettaglianti della distribuzione e facendo riscoprire ai visitatori ricette tipiche di ogni territorio, oltre a proporre una rievocazione storica del pranzo umbro della battitura, nel giorno di trebbiatura del grano”.

Tra le novità dell’edizione 2004 “I primi d’Italia junior”, il minifestival dedicato ai ragazzi dai 7 ai 12 anni con la collaborazione di Disney cucina dove il clan di Paperino e Topolino riuscirà – è la scommessa della testata a fumetti – a rendere golose agli occhi dei più giovani barbabietole, coste e mele, pietanze solitamente snobbate negli anni dell’infanzia. Tra gli appuntamenti culturali la presentazione dei “Libri da gustare”, carrellata di titoli a tema enogastronomico, il photoreportage di Nevio Doz con ritratti di chef e protagonisti dell’enogastronomia italiana oltre alla presentazione di 500 ricette proposte dagli 82 chef partecipanti all’edizione 2003 che ha registrato 107.000 visitatori. In occasione del festiva di Foligno il “Consorzio di tutela e valorizzazione delle varietà” “tipiche di riso italiano e sue tradizioni” ha consegnato un premio al cardinal Sodano “per tutto quello che sta facendo per la fame nel mondo”. (ANSA). KTK.

24/09/2004 – 09:15




Storia del fascismo - Le interpretazioni e le origini


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di Pino Rauti e Rutilio Sermonti (Autori)

Copertina rigida: 604 pagine
Editore: Controcorrente (31 dicembre 2003)
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8889015047
ISBN-13: 978-8889015049




Radio Radicale.it - Manifestazione nazionale del Movimento Sociale - Fiamma Tricolore presso il Teatro Nuovo di P.zza San Babila


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Registrazione audio di “Mainifestazione nazionale del Movimento Sociale – Fiamma Tricolore presso il Teatro Nuovo di P.zza San Babila”, registrato a Milano domenica 19 novembre 1995.
Sono intervenuti: Marco Valle (FIAMMA TRICOLORE), Tomaso Staiti Di Cuddia Delle Chiuse (FIAMMA TRICOLORE), Pino Rauti (FIAMMA TRICOLORE).
Tra gli argomenti discussi: Fascismo, Fiamma Tricolore, Immigrazione, Milano.
La registrazione audio ha una durata di 1 ora e 1 minuto.

[Fonte: www.radioradicale.it]




Pino Rauti “Alternativa e futuro” - Intervento al XVII congresso nazionale del M.S.I. - Fiuggi, 26 gennaio 1995


- Trascrizione non corretta -

Cari delegati del XVII congresso nazionale, io sono certo che mi crederete tutti, davvero tutti, quando vi dico che anche e soprattutto dopo gli ultimi interventi mi accingo a parlare con l’abituale chiarezza, ma anche con nell’animo sentimenti contrastanti; di ansia, di amarezza… un po’ di tristezza forse, mentre incalzano, si intrecciano – e non da oggi: da settimane, da mesi tra di noi tante domande cui non trovo risposta. E non mi viene data a tutt’oggi, fino a questo momento, nessuna risposta. La principale domanda che mi urge dentro non mi è nuova: l’ho detta in qualche manifestazione provinciale. La domanda principale è questa: perché mai, proprio nel momento in cui abbiamo potuto incominciare a celebrare, a gustare, ad inebriarci del nostro massimo successo, mai toccato prima, ci si è cominciata a chiedere la rinuncia ad essere noi stessi. Perché, cari amici del congresso, su due cose non vi possono essere dubbi: che il successo, quel successo, ha premiato, a cominciare dalle amministrative dell’ottobre e del novembre del ’93, quarant’anni di battaglia nostra, di battaglia missina condotta sotto il simbolo del M.S.I.. A premiare anche – e pure di questo possiamo esserne certi – tutti senza esclusione alcuna tra di noi, a premiare soprattutto – io direi – in quella battaglia la nostra coerenza, la nostra continuità, la fedeltà nelle stesse idee. Eppure proprio da allora, ecco l’analisi politica – si è chiesto il ragionamento, l’analisi: analizziamo, ragioniamo – proprio da allora ha avuto inizio questa operazione che oggi si conclude qui con la confluenza, fusione, trasformazione, evoluzione – beh, abbiamo sentito ieri Fini, io lo ringrazio dir quella chiarezza – con la fine sostanziale del M.S.I. come soggetto politico specifico e con la nascita, anche questo è stato detto con molta chiarezza e la stampa stamane lo recepisce tutta, la nascita di un altro e diverso – e a mio avviso ben diverso! – soggetto politico. E questa è la seconda cosa sulla quale non sono ammessi dubbi: la svolta c’è! Ed è una svolta radicale che il M.S.I. riconosca, autoriconosca concluso il suo compito, il suo ruolo politico, la sua funzione che, insomma, noi si esca da quell’involucro, da quella struttura, da quella sigla, come lo stesso Fini ha detto ieri, si esca con lo stesso stato d’animo con cui ad un certo punto si esce dalla casa paterna per andare altrove sapendo che a quella casa paterna non si potrà più tornare. Nasce un altro soggetto politico, nuovo e diverso da noi. Da quello che noi siamo stati. Ed ecco i sentimenti di cui vi dicevo all’inizio: perché se per taluni si tratta di mettere in discussione poche recenti anni della propria vita, per altri, per me, per tanti altri – Tremaglia, Baghino e ne potrei citare altri… – si tratta di una vita intera non solo di impegno e militanza – non spetta a noi dirlo, potreste farlo voi! – ma anche una vita, uno sforzo di pensiero e di cultura. Abbiamo quindi il pieno diritto, il sacrosanto diritto morale prima ancora che politico di chiederci e di chiedere a noi stessi e a chi è fautore nelle sue forme più estreme di questa operazione quale è il volto, quali sono i contenuti del nuovo soggetto politico mentre in esso, in questo nuovo soggetto politico, si vorrebbe calare, trasformare, fondere tutto intero il popolo missino, tutta intera la sua storia; risolvere o sciogliere le passioni e i sacrifici di quasi cinquant’anni di battaglia politica. E il volto e i contenuti noi li abbiamo nel proposto articolo 1 del nuovo statuto. Li abbiamo soprattutto – attenzione! – per omissione, per ciò che quell’articolo non contiene e li abbiamo nelle tesi i contenuti per ciò che invece che quelle tesi ampliamente dicono in decine e decine di pagine, quasi duecento pagine. Volto e contenuti, a mio avviso, di una formazione politica liberal-democratica, libera – conservatrice e di destra conservatrice. Abbiamo sentito testè Tatarella: “Dobbiamo batterci per completare a destra – con riferimenti sui quali poi tornerò, alla destra storica – il sistema democratico”. Un regime monco, dicono Tatarella e non solo lui – ho sentito Fisichella ieri sera al TG3 – un regime storicamente monco, come un’anomalia tipicamente italiana che adesso noi dobbiamo contribuire a sanare. Basta una sia pur breve analisi del nuovo art. 1, se lo poniamo però a confronto con l’art. 1 del precedente statuto, perché le affermazioni di questo genere di documenti politici sono sempre tali che la prima lettura con interessata superficialità può spingere a dire: “Non c’è niente, perché non firmarlo? Perché non aderire?”. Ma se facciamo un raffronto per un attimo solo con l’art. 1 del vigente statuto noi vi ritroviamo delle omissioni che sanno di rinuncia,delle rinunce che sanno d’abiura. C’è, è evidente e la stampa l’ha colta subito, la rinuncia al corporativismo il che implica la rinuncia a tutto il nostro programma sociale. E’ chiaro che sul corporativismo noi abbiamo discusso infinite volte, che ci siamo sempre lamentati del fatto che gli avversari con la famosa guerra, Almirante aveva ragione anche su questo, la famosa guerra delle parole avevano e davano del corporativismo a volte l’interpretazione opposta a quella che diamo noi, ma tra persone che fanno politica il corporativismo era ed è quell’impostazione che mirava alla creazione di uno Stato organico, all’inserimento delle categorie nella struttura giuridica dello Stato; questo era il corporativismo così come è stato storicamente, non attuato, storicamente inteso e culturalmente supportato. Non c’è anche nell’art. 1 nuovo quello che invece non mancava ovviamente nell’articolo 1 dell’ancora vigente statuto: “Mediante l’alternativa corporativa” il che stava a significare tutta intera la nostra progettualità verso un altro nuovo tipo di Stato, di economia, di società al limite, sia pure finalisticamente e strategicamente, verso un altro modello di sviluppo. E c’è, e come non c’è, c’è anche la rinuncia alla continuità ideale, non a quella generica del popolo italiano che poi nessuna interpretazione o analisi politica può mettere in discussione: un popolo è sempre continuità come organismo, diceva Maurras, come organismo che non muore mai al di là dei regimi politici. La nostra, la nostra continuità ideale, storica, sociale, di contenuti, di programma, di aspirazioni, di alternativa; il taglio delle radici e il taglio della storia, la scelta volontaria, potremmo dire dell’eutanasia. Eh, e quando si dice perdita, perdita della memoria, beh si dice una cosa grave e importante perché da qualche tempo nel nostro ambiente, beh noi abbiamo visto mettere in discussione cose importanti, cose essenziali: siamo partiti – dato di percorso: l’iter di Alleanza Nazionale – siamo partiti da un qualcosa che doveva contenere noi con la nostra specificità e siamo via via passati con un crescendo non certo casuale ma anzi devo dire accuratamente studiato e lucidamente suppongo predisposto con più atti esecutivi del medesimo disegno come dire… liquidatorio: siamo passati ad affermazioni che mai avremmo pensato di sentire, non dico ai vertici, ma anche nell’ambito delle nostre file.

 

Non c’è niente di personale, caro Fini, se io a questo punto mi debbo rivolgere personalmente a te per talune tue affermazioni che non ho condiviso, che non condivido, ne ho parlato pubblicamente: “Le due dita di polvere sull’Opera Omnia di Benito Mussolini”, ma perché? Ma chi ce l’ha fatto fare? Ma chi ce lo chiede? Avevamo cominciato col dire agli altri: “Noi non discutiamo – purchè abbiate le mani pulite, non siate coinvolti in tangentopoli, abbiate fatto i vostri percorsi in assoluta limpidità di pensiero e di opere, noi non vi chiediamo giustificazioni del vostro passato ma non ci chiedete di rinnegare il nostro passato”. E siamo arrivati, ripeto, ad affermazioni che meritano, meritano non la polemica per i facili, sempre facili applausi di tipo congressuale (figuriamoci se questa è l’occasione, soprattutto per me), che meritano approfondimento quando per esempio Fini ad una intervista a “Le Monde”, titolo a tutta pagina: “Io ho ripudiato solennemente – Je repude – la dittatura di Mussolini”, è un non senso politico perché lascia presupporre che prima di Fini e dell’attuale segreteria e di Alleanza Nazionale il M.S.I. si sia battuto per riprendere la dittatura mussoliniana; il che non è: né Almirante nè De Marsanich né Romualdi, nè Anfuso, nessuno di noi, neanche io quand’ero, se mi si consente, segretario di questo nostro partito ci siamo mai battuti per riprendere la dittatura mussoliniana. Abbiamo tutti correttamente inteso l’analisi del come e del perché c’era stata la dittatura mussoliniana. La dittatura non esiste in termini di dottrina politica, solo la infinita sapienza giuridica dei romani l’aveva prevista come ricorso straordinario ed eccezionale, il dictator per 6 mesi, massimo 3 anni ma non esiste nella dottrina politica: è un incidente della storia, è un emergenza della storia. E la storia discute sempre e a lungo sul fatto che certe dittature sono state positive o altre negative: ancora si stanno interrogando se è stata negativa o positiva – e pensate un po’! – la dittatura di Comwelt che secondo taluni fece nascere l’Inghilterra moderna. E altre dittature, perché ci furono certamente non a caso, un piccolo escursus storico, ci furono in quel periodo fra le due guerre sì, accanto alla dittatura mussoliniana, altre dittature: non a caso la dittatura di Mannerheim salvò la Finlandia dalla Russia sovietica; la dittatura di Pilsudskj salvò la Polonia dall’armata rossa che era alla periferia con Budiennj e i suoi cosacchi a cavallo che era alla periferia di Varsavia: ancora oggi pensate un po’, se la Turchia non è preda dell’integralismo islamico e Dio sa che iattura sarebbe è perché ci fu allora la rigida e severa dittatura laica di Kemal Ataturk. Ce ne furono in quegli anni ed esse obbedirono tutte alla stessa logica profonda che ci fa comprendere – non giustificare, comprendere, calare in quel contesto storico – anche la dittatura mussoliniana la quale se ci si consente, fu non solo il frutto, l’intreccio, la conseguenza, la ricaduta – ditelo come lo volete – di una personalità indubbiamente eccezionale e questo è l’humus da cui nasce il dittatore, ma fu anche dovuta dalla necessità di salvare l’Italia non dal comunismo ma dal bolscevismo. Quella dittatura salvò l’Italia nel ’22 dal bolscevismo così come salvò l’Europa nel ‘36 intervenendo in Spagna; la storia del mondo sarebbe stata diversa se noi non avessimo vinto in Spagna e gli altri non avessero perso in Spagna. Ma ci fu anche un motivo più profondo, più politico e culturale che dovrebbe mettere in guardia noi e soprattutto noi, in primo luogo noi missini, da certi facili azzeramenti: ma l’anticomunismo soltanto, per dirla con il Nolte degli ultimi suoi due o tre volumi, non sarebbe bastato se quelle dittature non avessero anche tentato, e in parte non fossero anche più o meno riuscite a legarsi, a collegarsi all’altro grande fenomeno di quel momento storico: l’irruzione delle masse sulla scena politica e sociale. Le dittature furono lo strumento di nazionalizzazione prima e socializzazione poi delle masse per evitare che quelle masse sprofondassero nel comunismo e nel bolscevismo e per trarre anzi dal loro impulso qualche cosa che andava, caro Tatarella, andava molto al di là del completamento della democrazia e della nascita di un partito democratico di destra perché quella intuizione mussoliniana che significò lo Stato corporativo nelle sue premesse, nelle sue speranze, nelle sue aspettative, e non mi venga a dire Fisichella che poi tutto questo fu deviato: eh, certo, i sogni con cui si va al governo non sempre possono realizzarsi in tempi brevissimi, mentre si dava luogo a quel tentativo accaddero altre cose! Per esempio la grande crisi economica del 1929, ma lo dimentichiamo? L’Italia fu chiamata stringere la cinghia ma andò avanti; l’America ricchissima ebbe migliaia di suicidi per disperazione per quel tracollo; l’Inghilterra e la Francia che avevano imperi sterminati ebbero rispettivamente otto e dodici milioni di disoccupati mentre l’Italia proseguiva. Ecco, per dirvi, le incertezze della storia che non consentirono al grande disegno corporativo: nazionalizzazione e socializzazione delle masse, creazione di un tipo diverso di società, di economia, di Stato – le grandi affermazioni di Alfredo Rocco – perché attraverso quella strada entravano in scena e tentavano di reggere, reggimentale la vita degli stati le competenze e le professionalità e veniva avanti la complessità e quello che definirei il suo farsi spessore della società moderna nei nuovi sviluppi tecnologici, nei laboratori con le sue concentrazioni sul territorio attraverso la grande nascita dei centri urbani metropolitani. Dittatura, certo. Fu il tempo delle dittature, dei grandi personaggi carismatici in quegli anni tempestosi ma, ripeto, quella emergenza della storia noi l’abbiamo sempre tutti correttamente interpretata e posta nel contesto storico: non ci si può accusare adesso, all’improvviso, di aver spinto e tramato per la ripetizione della dittatura di Mussolini. E questo valga anche per la democrazia, per la nostra che non è una conversione, che è, come ha ricordato stamani Buontempo, qualcosa che ci appartiene per quarant’anni di esperienza politica passati durissimamente all’opposizione e durissimamente pagati in nome dell’opposizione; e non abbiamo bisogno di pagelle, non abbiamo bisogno di imbuti ideologici come dice Publio Fiori. I nostri esami li abbiamo passati e li abbiamo superati agli occhi del popolo italiano, aggiornandoci, andando avanti. Perché vedete, amici del congresso, il brutto di questa polemica sapete qual’ è? E’ che avendo messo in discussione qualcosa di importante, di essenziale che è storia, che è memoria storica, che non va soltanto come si dice “consegnata alla storia” – beh all’ora facciamo un museo e abbiamo risolto il problema – ma intesa diversamente. Lo abbiamo detto tante volte ma si obbliga gente come me, che certamente di tutto è stata potuta essere accusata in questo partito – e lo è stata! – a fare quasi la figura del nostalgico mentre io querelerei, se potessi, chiunque mi desse del nostalgico per quel che riguarda la forma. Non mi preoccupo amici, del passato! Lo difendo, lo storicizzo nel senso che lo calo nel contesto storico in cui tante forze contrastanti ebbero a sagomarlo in quel certo modo, ma non è il passato che si difende benissimo da solo come dimostrano tante opere storiche (non siamo stati noi, anche se ne eravamo convinti, è stato un De Felice e tanti altri a parlarci del consenso di massa; è stato, pensate un po’, un Giorgio Amendola in quel libro interessantissimo che pochi anno letto – ma io l’ho letto! – “Intervista sull’antifascismo” quando ha fatto sul consenso che ebbe il fascismo i riconoscimenti più importanti e preziosi perché venivano da un esponente d quel comunismo che dal consenso fascista tra il 21,22 e 23 era stato clamorosamente battuto. Non è il passato che mi preoccupa, è l’avvenire! Perché, cari amici, voi dovrete sentire ancora molti lunghi discorsi e il mio certamente non vuole essere lungo, perché in sintesi se mi chiedessero dopo tante polemiche e tante battaglie, se mi chiedessero anche dopo qualche studio e qualche volume, se mi chiedessero quale è stato il senso, il significato, l’essenziale; non la forma, non il regime politico che è indubbiamente legato ai tempi e con i tempi transeunti ma il messaggio di quelle esperienze e non solo della nostra, ma di tutta la tormentosa esperienza europea fra le due guerre mondiali; qual è stato il filo, io direi è stato soprattutto un messaggio sociale, il messaggio del superamento tanto del capitalismo quanto del marxismo allo stesso titolo. Quello era il seme della verità, non rappresentato appieno, certo! Il regime aveva allora altre esigenze, altre cose che incalzavano e che lo presero maledettamente alla gola, ma quello era il senso e il significato, quello ch infiammò l’Europa, quello che trasformò la seconda guerra mondiale in una guerra ideologica, con fanatismi, certo, ma con afflati religiosi per andare avanti, andare oltre. E oggi, oggi, cari camerati, il comunismo è caduto e ha perso irreversibilmente: certo, c’è il rischio che D’Alema, il PDS, lo schieramento di sinistra faccia ancora delle incursioni nell’anticamera del governo ma mai fine è stata così completa, così irreversibile; mai tracollo è stato così vergognoso. Quello che è successo in Russia, nell’ex impero sovietico che fu anche, perché non ricordarlo, l’utopia, il sogno, l’illusione di centinaia di milioni di uomini, è finito in frantumi per sempre. Ha vinto l’altro corno del dilemma, cari camerati. Ha vinto il liberal capitalismo! E allora la domanda che già circolava intorno a noi oggi ce la vediamo porre all’interno di noi addirittura ce la vediamo calare addosso dai nostri vertici: “tutti si sono arresi al liberal capitalismo, – dissi due congressi fa – che facciamo? Ci arrendiamo anche noi?” Ci possiamo anche arrendere, unirci al coro, completare la democrazia sul versante di destra come dicono Tatarella e tanti altri, la stragrande maggioranza dei delegati, oppure conservare questa che era la nostra specificità. Noi non eravamo soltanto dotati di una nostra specificità, come abbiamo detto tante volte – tuttii partiti hanno la loro specificità – noi avevamo una nostra diversità, quella che ci faceva parlare, e Almirante lo fece per anni splendidamente, che ci fece parlare di alternativa al sistema. Solo noi pensavamo, e sembrava iattanza poterlo dire noi col 4 -5 % dei voti, “alternativa al sistema”; utopia ma quello era il lievito che ci teneva in piedi e ci motivava perché sapevamo che presto o tardi noi assomigliavamo a quelle molle che a lungo possono essere rapprese e compresse ma che quando cominciano a scattare si sa da dove partono in senso di consenso ma non dove arrivano. E siamo arrivati, Fini, al tuo 47% a Roma, siamo arrivati al 48% non con AN ma con Alessandra Mussolini a Napoli quando il suo cognome lo sventolava e parlava una parola sì e l’altra sì di suo nonno. Quello fu il gran successo! Da allora fu messa in luce una realtà, cari amici, e la cosa ci sfuggì, sfuggì a tutti, certamente sfuggì a me. Fu messo in luce il fatto che non c’era solo il crollo del partitismo della prima repubblica ma che c’era il venir meno dei punti di riferimento di 18 milioni di elettori. Noi su quei 18 milioni di elettori ne prendemmo 3 milioni in più, gli altri erano a disposizione, pronti ad orientarsi; fu allora che Berlusconi decise di scendere in campo, attenzione, perché prima aveva manifestato un indubbiamente utile orientamento favorevole a Fini ma la scesa in campo comincia ad adoperare dopo, e fu dopo, un attimo di attenzione ancora, fu dopo a mio avviso che scattò una complessa operazione che aveva noi al suo centro. Questa specie di fiume in piena venuto alla luce dopo un lungo percorso carsico di 40 anni, venuto alla luce impetuosamente, limpidamente come un torrente che aveva le caratteristiche della inarrestabilità perché prendemmo 10,15,19,20 comuni anche grossi impetuosamente – l’allora rautiano di ferro Viespoli che prende il 74% a Benevento, ma che non lo sapevano chi era? Ero stato a Benevento diecine di volte accanto a lui, lo sapevano chi era, quali tesi allora sosteneva. Eppure prese il 74% dei voti! – e la prima cosa che noi cominciammo a dire, tutti, me compreso: “ma non saranno tutti fascisti questi che hanno votato per noi, ma non saranno tutti missini!”. Dovevamo dire il contrario! Perché porre limiti alla provvidenza? Si stavano convincendo a votare per noi ed allora noi che andiamo ad inventare? Non qualcosa che ci affianchi ma qualcosa in cui dovremmo sostanzialmente scomparire.

 

Perché? Ecco la domanda iniziale, cari amici, cari camerati, se ancora posso dire questa parola. Perché la prima impressione che noi dovevamo avere era questa: la tesi semplice, elementare del contadino, uomo con i piedi sulla terra – ho letto recentemente un libro bellissimo: sta scomparendo dal paesaggio umano l’home de terre, l’uomo che ha i piedi sulla terra – quando il contadino vede un buon raccolto, che cosa dice? “I seminatori sono stati bravi!” E se vi riflette ancora di più dice:” Il seme era buono!”. E allora oggi che viene raccolta tanta copiosa messe di consensi elettorali, beh i seminatori, noi, noi prima, tutti noi dalla Repubblica Sociale in poi siamo sati buoni seminatori. Io non mi aspettavo dai nuovi venuti archi di trionfo, ma rispetto sì! Ma riconoscimento di quello che abbiamo fatto sì! E non abbiamo rischiato la vita nostra e delle nostre famiglie per sentirci dire: “Ci sono gli imbuti ideologici per Rauti o per Buontempo o per tanti altri” – No! – E non abbiamo diviso il mondo, caro Tatarella e sparso, non dirò sangue anche se potrò citarlo, ma tanta passione, tanto tormento nell’umanità contemporanea per arrivare poi a questi risultati: alla destra storica che è il “nuovo”, pensate un po’. Io sono andato a guardare i libri, la destra storica italiana… beh una traccia recente l’abbiamo quando una certa esperienza si conclude con Minghetti nel 1876. Quella è la destra storica italiana: tanti saluti al nuovo! Ma, dice, c’è anche Salandra e Sonnino. Lo sappiamo, lo sappiamo! Salandra e Sonnino… una certa destra, che tipo di destra, cari amici e camerati, quella che piace tanto ai Tatarella, Fiori, Fisichella? Salandra e Sonnino. Per quello che mi riguarda una destra che sarebbe stato meglio mettere in manette perché negli anni di quella destra l’Italia diventava terzo mondo: milioni di italiani erano costretti ad emigrare all’estero, il 20% della popolazione italiana soprattutto dal sud; perché in quegli anni di quella destra 60.000 italiani morivano di tubercolosi ogni anno; perché c’erano le paludi alle porte di Roma e non c‘era acqua nel tavoliere delle Puglie e a Bari; perché non c’erano fognature nel 90% delle città italiane. Chi ha modernizzato l’Italia, l’ha strappata al terzo mondo, con la dittatura, certo, come acceleratore inevitabile dello sviluppo di un paese in un momento drammatico della vita del mondo è stata l’esperienza del ventennio. Se fosse stato per Salandra e per Sonnino ancora saremmo con i vertici delle malattie diffuse in tutte le classi della società italiana e con l’emigrazione che ha dissanguato il nostro paese. Non per quella destra abbiamo combattuto, non quella destra ci ha attraversato, preesisteva al fascismo; altre cose preesistevano al fascismo: tutto un pensiero attivistico, irrazionalistico, romantico, se vogliamo, ed è inutile star qui ad indicare i nomi: li abbiamo detti in tanti congressi, fanno parte a pieno titolo – loro sì! – della nostra cultura. Per cui la domanda è questa prima di arrivare alla mia personale conclusione: un congresso fa, due congressi fa non ricordo – ad una certa età i ricordi affluiscono alla mente – io dissi, cercai di mettermi nei panni e nell’animo di un giovane comunista che a Shanghai avvista un certo giorno il famoso cartellone della Coca Cola che mi è rimasto impresso in mente, certo quel giovane comunista, dissi, si sarà chiesto: “Ma valeva la pena di fare una così lunga marcia con tutto ciò che ha comportato di sacrifici per gli altri e per noi, anche per noi ma soprattutto per gli altri – decine di milioni di morti – per arrivare alla Coca Cola? Potevamo arrivarci prima. Caro Tatarella, ma valeva la pena aver fatto la marcia su Roma, il corporativismo, la socializzazione e la Repubblica Sociale Italiana per poi andare a completare il regime di destra sul versante di destra e fare la destra conservatrice? Potevamo farlo prima! E se noi quello che oggi si vuole fare lo avessimo fatto nel ’48, 49 nel ’50 saremmo stati ministri sin da allora senza esporci su tante trincee come abbiamo fatto noi e i nostri giovani in tutti questi anni. Ma pensate se Almirante avesse fatto questa operazione: sarebbe diventato Presidente delle Repubblica ma lui ci diceva – a me disse, a noi disse, perché io sono stato avversario, leale, di Almirante in tante polemiche ma anche suo vice segretario per un lungo periodo e lo considero il più fervido e il più bello della mia vita – ci diceva sempre: “Ci sono le colonne d’Ercole che noi non possiamo superare”. Perché anche allora c’era la tentazione dell’andare a fare la stampella del regime mentre Almirante ci parlava di corporativismo, di alternativa corporativa, di alternativa al sistema per spronarci, per mandarci avanti, per tenerci in piedi. Lo potevamo fare sempre quello che oggi ci si propone e strano che oggi si venga a proporlo nel momento in cui assaporiamo la nostra vittoria migliore. Ora cari amici del congresso, io so, lo sapete tutti che sono in corso raccolte di firme emendamenti per poter migliorare i testi con i quali siamo approdati a questo congresso e abbiamo avuto anche una prova su un punto particolarmente importante, quello dell’antifascismo, sul quale ha insistito a lungo il camerata Tremaglia. Io spero sinceramente spero che questi sforzi arrivino a conclusione positiva nella giornata di domani che viene ad essere quindi non soltanto la giornata conclusiva del nostro congresso ma la più importante, quella nevralgica, quella decisiva. Se questi sforzi saranno di natura tale da far si che nel nuovo soggetto politico che va a nascere da questo congresso ci sia posto per una dignitosa presenza non di uomini – la cosa non mi interessa!- ma di idee e di tesi, noi saremo i primi ad esserne lieti ma se questo non accadrà, beh l’ho già detta la situazione: è come se a un gruppo di cristiani si dicesse all’improvviso:”Diventate buddisti!”. Voi potete diventare anche buddisti; io resto cattolico, apostolico, romano; io resto in termini politici missino, orgogliosamente missino e come tale vi saluto gridando: “Viva il Movimento Sociale Italiano”.

Guarda il video:

https://www.youtube.com/watch?v=BvMItBclk1Q




Rai Tre - Corradino Mineo intervista Pino Rauti - Spezzone di "Specialmente sul Tre", 1991


https://www.youtube.com/watch?v=n66BBJreVu4

Intervista al segretario del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale durante la Prima Guerra del Golfo. (14.2.1991)




Rai3 "Specialmente sul Tre" - Corradino Mineo intervista il segretario del Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale durante la Prima Guerra del Golfo


http://youtu.be/dYn0pse4xWY