L'alter Ugo - 11 gennaio 1979. Pino Rauti condanna il terrorismo di destra


Questo è un post molto vecchio (autunno 2012) ma che vale la pena di riproporre. Perché in molta polemica social da curva dello stadio si tende ad appiattire Msi, guerriglia nera e terrorismo di destra. Ma in realtà da un certo punto in poi Rauti, la sua corrente, il suo lavorio metapolitico rappresentarono un argine nel passaggio alle armi per una generazione in nero

Nella pagina Facebook: Il Secolo d’Italia. La storia Annalisa Terranova ripropone l’editoriale di Pino Rauti contro il terrorismo, scritto il 10 gennaio 1979, dopo l’assalto dei Nar a Radio Città futura ma prima che si sapesse della morte di Alberto Giaquinto, premettendo una breve nota

Questo editoriale venne pubblicato sul Secolo dell’11 gennaio 1979. Il giorno prima era stato ucciso Alberto Giaquinto ma è chiaro, leggendolo, che l’articolo fu messo in pagina quando non se ne sapeva ancora nulla di quella morte e Rauti lo aveva scritto pensando all’anniversario della strage di Acca Larenzia perché il ministero degli Interni aveva vietato ogni manifestazione e gli animi erano caldi. Nel pezzo c’è un lungo e accorato appello contro la deriva del terrorismo rivolta ai giovani di destra.

Fu merito storico di Rauti essersi opposto, anche con iniziative come i Campi Hobbit, a quella deriva, avere detto con chiarezza che lo spontaneismo armato non apparteneva alla tradizione della destra. Parlando dei ragazzi di Acca Larenzia invita persino a non “sgualcire” il loro “sacrificio purissimo” con “cerimoniali banali”. Parole su cui può meditare chi ama il rito del presente. La manifestazione a Centocelle in cui morì Giaquinto, fu il frutto avvelenato di un clima che Rauti qui descrive alla perfezione. È un appello alla responsabilità, è un invito a superare gli opposti estremismi, è un pezzo che non conoscevo e che ritengo un documento storico di eccezionale valore.

“Chi sono, chi siamo”

Sembra impossibile, eppure accade: ogni anno, tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno, soprattutto a Roma, si tenta , si realizza, lo stesso “giuoco”: lo stesso squallido e sanguinoso giuoco: mettere in piedi un meccanismo di tensioni, di azioni e di reazioni, di esasperazioni, che poi fanno da retroterra ad oscuri e torbidi episodi il cui risultato politico è uno solo, quello di continuare a scagliare la sinistra più o meno estremas contro i giovani del nostro schieramento politico. E intanto l’antifascismo si rimobilita, dà fiato a tutte le sue trombe, rincolla i suoi cocci – che altrimenti tutti vedrebbero quanti e quali siano – mentre la stessa sinistra si riprende, almeno per qualche tempo, dalla crisi profondissima in cui versa e l’intesa di maggioranza, il compromesso storico, si rinsalda proprio nella fase in cui, invece, accenna ad andare a rotoli.

E’ di rigore chiedersi a chi giova?

Il “cui prodest” è, dunque, di rigore: il vecchio, classico, semplice ed elementare “a chi giova?” dovrebbe servire a capire come vanno queste vicende. L’anno scorso, alla fine di settembre, fu l’omicidio di Walter Rossi, mai chiarito nella sua stessa dinamica oltre che nelle sue motivazioni, decine e decine di arresi, poi, il nulla giudiziario, e ancora si brancola nel vuoto, perché naturalmente ben altre piste (che non portavano certamente a noi) sono state accuratamente trascurate. Ma intanto, una frattura nuova si era aggiunta, fatta di istigatissimo odio forsennato. E poi venne Acca Larenzia, i tre giovani nostri assassinati da un “commando” sul quale non si è mai accennato neanche a un indizio di indagine seria e da un appartenente alle forze dell’ordine di cui non si è saputo più nulla.

Gli autori e i registi restano nell’ombra

Adesso, nella inconcepibile e inqualificabile condotta delle autorità e degli uffici questorili (con il ministero dell’Interno alle spalle), che prima permettono e poi negano, prima autorizzano e poi aizzano ritrattando, si è scatenata un’altra ondata di disordini, i cui autori e registi restano accuratamente nell’ombra. Che non sia, in alcun modo e ad alcun titolo “nostro” tutto ciò, è dunque chiaro; e tale dovrebbe apparire a chiunque abbia soltanto un briciolo di intelligenza politica e voglia lealmente militare nelle nostre file. ma precisato questo non si è detto ancora tutto, anzi si corre il rischio di restare alla superficie degli avvenimenti.

Ogni ragionamento coerente – di quelli che una volta servivano e bastavano a mettere a posto le cose – appare ormai insufficiente. Perché viviamo in tempi nei quali il livello di violenza, anche quello cosiddetto “medio”, come dicono i sociologi e i politologi, quello spicciolo e corrente – tende ad espandersi, e il suo richiamo torbido e vischioso filtra, si insinua e si diffonde per mille e mille rivoli, specie su argomenti e in momenti di alta emotività; soprattutto quando sull’altro versante politico, sia il sistema nel suo complesso e sia la sua “ala sinistra” continuano ogni giorno ad assestare i colpi della sopraffazione, della più ottusa discriminazione.

La suggestione di imitare l’avversario

Allora il “che fare?” riemerge perentorio, con accenti e toni di rabbiosa insistenza; allora le stesse ricorrenze celebrative legate al ricordo dei nostri giovani assassinati e che non hanno avuto neanche un simulacro di giustizia, non si vorrebbero sgualcite da cerimoniali banali o niente affatto omogenei al loro sacrificio purissimo. Ed è qui che si fa avanti, che può trovare un suo spazio di suggestione la tentazione di mutuare dall’avversario, sulla spinta dell’esempio perverso portato avanti dai provocatori, le sue tecniche e le sue metodologie, anche le più fanatiche e sanguinarie.

E’ questo il grosso tentativo che è in atto nei confronti della nostra gioventù; è questo che bisogna denunciare; è su questo che occorre fare chiarezza. E anche in tale visuale bisogna dire: “no!”, chiaramente e decisamente “no!” e bisogna sostenere, e dimostrare, secondo verità, che non c’è niente di nostro. E non solo per una serie di ragionamenti politici attinenti alla fase attuale della nostra lotta politica, al quadro che si è determinato e che vi perdura dal ’45 in poi, alla preminente esigenza che abbiamo di “attualizzare” tutti i nostri contenuti programmatici tenendo conto della società nella quale ci troviamo concretamente ad agire.

Non soltanto per questo, che potrebbe apparire di poco conto, specie per i più giovani cresciuti in questi anni di violenza scatenata che, si può ben dire, si respira nell’aria stessa di ogni giorno di questa società malata. Ma -soprattutto ed essenzialmente – per una questione di fondo, per motivi di principio; per ciò che attiene prima e più ancora che alla politica, alla morale, all’etica, allo stile, alla nostra stessa concezione della vita e del mondo.

Il terrorismo non è nostro

Il terrorismo non è nostro; non è nelle nostre tradizioni, non c’è mai stato; non ha il benché minimo diritto di entrarvi. va respinto, ove mai tentasse di allignarvi, proprio in nome dei valori per i quali ci battiamo. Esso promana dall’anarchismo, ha accompagnato e quasi ritmato le fasi più aspre della lotta politica marxista, ha trovato il suo nuovo rilancio nel partigianesimo durante la seconda guerra mondiale ed è lì, infatti, che si riferisce e si autogiustifica; a quell’archetipo recente e gratificante.

Noi veniamo da un’altra storia, da bel altro filone di vita e di battaglia; se vogliamo dare a questi problemi livello e dignità di analisi nel profondo e nei rispettivi retroterra; noi veniamo dal combattentismo, dal volontariato, dall’arditismo; da tutto ciò che, anche in termini di durezza, ha sempre, dico sempre, postulato il pagare in prima persona, il battersi a viso aperto; il non colpire mai alle spalle; il non emergere vigliaccamente dall’ombra e il non coinvolgere gli innocenti e gli inermi.

Gli altri lo fanno, e guadagnano terreno, e diventano forti, sento dire: ma noi non siamo gli altri, siamo “noi” e anche per questo non soltanto ci sentiamo diversi, ma superiori.

E poi quale terreno, quale forza acquisiscono? Anche perché non badano ai mezzi e dimenticano che pure l’uso di certi mezzi qualifica in un certo modo il fine, quando sembra che vincono, quando vanno al potere, quando e là dove creano i loro regimi, i loro Stati e le loro società, in realtà falliscono; drammaticamente e inevitabilmente: guardate la Russia con lo stalinismo; guardate il dopo Stalin con il dissenso, guardate il Vietnam con la Cambogia; guardate Pechino dove stanno per mettere in vendita la … Coca Cola.

A sinistra sta venendo la grande crisi; sta a noi, adesso – in termini di idee, di cultura, di programmi, di rilancio sociale – sta a noi coglierne il senso, per non perdere una grande occasione di rilancio e di affermazione, Ecco come , restando fedeli alle nostre idee, alla loro coerenza etica, ai loro contenuti spirituali e più nobili, si può, si deve, fare politica; per nobilitarle e affermarle al tempo stesso, quelle idee.

[Fonte: www.ugomariatassinari.it]




RAUTI, Giuseppe Umberto nell'Enciclopedia Treccani


RAUTI, Giuseppe Umberto (Pino). – Nacque a Cardinale (Catanzaro) il 19 novembre 1926, primogenito di Cielino Pietro, usciere presso il ministero della Guerra a Roma, e di Rosaria Coscia. Visse a Roma dall’età di sei mesi, e vi compì gli studi classici all’istituto Sant’Apollinare. Educato in famiglia all’adesione ai principi del regime fascista, all’annuncio della costituzione della Repubblica sociale italiana decise di aderirvi e si arruolò, a 17 anni, nel battaglione «M» di stanza a Orvieto. Frequentò il primo corso allievi ufficiali della Guardia nazionale repubblicana, completato nel settembre 1944. Come sottotenente comandò un presidio sul fronte del Po, fu fatto prigioniero dalle truppe britanniche nell’aprile 1945 e inviato nel 211° POW Camp di Algeri, da cui evase fuggendo in Marocco. Arruolatosi nella legione straniera spagnola (il Tercio), fu nuovamente catturato dai francesi e rinchiuso nella prigione di Ténès, in Algeria.

Rimpatriato nell’aprile del 1946, si impegnò subito in politica per continuare a sostenere le idee per cui aveva combattuto. Aderì, poco dopo la sua costituzione, al Movimento sociale italiano (MSI), ma nel contempo anche al gruppo clandestino dei FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria). Portato all’impegno intellettuale, collaborò con la rivista giovanile missina La sfida e con il giornale ufficioso del partito Rivolta ideale, segnalandosi per i suoi contributi di forte spessore ideologico.

Fin dal 1° congresso del MSI, del giugno 1948, si inserì nel dibattito molto acceso sulla collocazione che l’ambiente neofascista avrebbe dovuto assumere nel contesto politico democratico. Con altri esponenti del fronte giovanile (il Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori), costituì un gruppo che, in polemica con l’ala ‘di sinistra’ del movimento e ispirato dalle opere di Julius Evola e Massimo Scaligero, reclamava un’intransigenza dottrinaria assoluta e vedeva nel fascismo l’espressione contemporanea di una tradizione perenne, legata ai valori spirituali e in radicale antitesi con ogni espressione del materialismo, dal capitalismo liberale al socialismo marxista. Sostenne queste tesi sulla rivista Imperium, nata nel gennaio del 1950.

Senza trascurare l’attività più strettamente politica, che lo vide partecipare a contraddittori pubblici con la Federazione giovanile comunista italiana (FGCI), si dedicò all’attività pubblicistica e all’elaborazione teorica. Nel dicembre del 1950 fu però arrestato, insieme ad altri redattori, perché sospettato di attentati dinamitardi firmati dai FAR, e la rivista chiuse i battenti. Processato, fu assolto nel novembre 1951 per insufficienza di prove. Durante la detenzione continuò a collaborare con varie testate dell’area neofascista, fra cui Asso di bastoni, e riprese gli studi universitari laureandosi in giurisprudenza all’Università di Roma, il 1° marzo 1952, con una tesi dal titolo Il Consiglio di Sicurezza e l’organizzazione delle Nazioni Unite.

Rientrato nella vita di partito, nel 3° congresso nazionale del 1952 difese le posizioni della componente tradizionalista giovanile, battezzata con ironia dagli avversari interni ‘figli del sole’, e venne eletto nel Comitato centrale, da cui si dimise un anno e mezzo dopo, abbandonando anche la responsabilità della stampa e della propaganda nella Direzione nazionale giovanile, a seguito della frattura verificatasi in seno alla corrente spiritualista. Il 15 novembre 1953 fondò il gruppo Ordine nuovo, una vera e propria frazione organizzata, con strutture locali, tessere e una rivista dottrinale omonima, che si ispirava alle idee di Evola e alle esperienze dei movimenti e regimi fascisti del periodo fra le due guerre mondiali, inclusa la Germania nazionalsocialista.

Al 4° congresso del MSI del 1954, strinse un accordo con la corrente spiritualista, capeggiata da Pino Romualdi, e fu rieletto nel Comitato centrale, ma a causa dell’avvento alla segreteria del moderato Arturo Michelini intensificò l’opposizione a una linea ormai lontana da ogni prospettiva rivoluzionaria. Per dare una sterzata al Partito, malgrado le precedenti divergenze di vedute si alleò con la ‘sinistra’ interna capeggiata da Giorgio Almirante. Tuttavia, quando al 5° congresso del novembre 1956 Michelini prevalse di stretta misura sugli avversari, ritenne esaurite le speranze di cambiamento e prese la via della scissione. Il 14 gennaio 1957 si dimise e dette vita al Centro studi Ordine nuovo, ormai autonomo dal MSI.

Nel 1956 iniziò la carriera di redattore del quotidiano romano Il Tempo, che proseguì fino al 1972, svolgendo anche funzioni di inviato e direttore delle pagine della provincia. Il 25 febbraio 1957 sposò Brunella Brozzi, da cui ebbe due figlie, Alessandra e Isabella. Pur continuando a dirigere Ordine nuovo, cui impresse una impostazione più ideologico-culturale che direttamente politica – scelta che causò la defezione di alcuni suoi collaboratori, come Stefano Delle Chiaie, già nel 1959 –, si impegnò prevalentemente nella produzione di testi teorici e storici, come Le idee che mossero il mondo (Roma 1963) e L’immane conflitto (Roma 1965). Tramite la rivista Ordine nuovo, il periodico Noi Europa, i bollettini Corrispondenza europea ed Eurafrica e i rapporti con la World Anti-Communist League sviluppò una linea politica fortemente improntata al contrasto dell’influenza sovietica nel mondo, auspicando la nascita di regimi di salute pubblica in funzione anticomunista. Ciò lo portò ad accogliere con favore il colpo di Stato militare del 1967 in Grecia e a sostenere campagne in favore dei regimi ‘bianchi’ di Rhodesia e Sudafrica e del mantenimento dell’impero coloniale portoghese, nonché a schierarsi dalla parte degli Stati Uniti nella guerra vietnamita. Questa posizione lo portò a partecipare, con la relazione La tattica della penetrazione comunista in Italia, al discusso convegno del maggio 1965 dell’Istituto di studi militari Alberto Pollio e a redigere insieme a Guido Giannettini, su ispirazione dell’allora capo di stato maggiore generale Giuseppe Aloia, il pamphlet Mani rosse sulle forze armate, che gli valse un sospetto di collusione con i servizi segreti militari.

La stasi delle attività di Ordine nuovo, che respingeva l’ipotesi di presentare liste elettorali, il clima di tensione creatosi in Italia nel biennio 1968-69 e l’elezione alla segreteria di Almirante dopo la morte di Michelini, indussero Rauti e la maggioranza dei suoi sodali ad accettare la proposta di rientrare nel MSI. Ciò avvenne il 16 novembre 1969, al prezzo della scissione dal Centro studi Ordine nuovo di una componente più intransigente, che riprese la sigla del gruppo per proprio conto. Cooptato nel Comitato centrale e nella Direzione nazionale, ottenne la direzione della rivista di studi Presenza e riprese le pubblicazioni di Ordine nuovo, poi sostituito da Civiltà, che utilizzò per far conoscere le proprie analisi e proposte politiche nell’ambiente missino. Pur non potendosi ufficialmente costituire in corrente, il gruppo continuò a mantenere una propria fisionomia e una serie di diramazioni locali all’interno del Partito.

Il 4 marzo 1972 Rauti fu incarcerato perché accusato di complicità negli attentati del 1969, culminati nella strage di piazza Fontana a Milano del 12 dicembre, e rimase in prigione per cinquanta giorni. Scarcerato, fu eletto deputato l’8 giugno 1972 e successivamente venne prosciolto. Sarebbe poi rimasto alla Camera per altre quattro legislature, fino al 1992. Moderatamente critico della strategia conservatrice di destra nazionale promossa da Almirante e convinto che il MSI dovesse rinnovarsi organizzativamente puntando alla penetrazione nella società civile attraverso associazioni e sigle parallele, colse l’occasione offerta dallo scontro apertosi tra la segreteria e la corrente moderata di Democrazia nazionale in vista dell’11° congresso del gennaio 1977 per costituire la corrente Linea futura. La formazione voleva proporre un’alternativa ‘nazional-rivoluzionaria’ e rimettere in discussione la collocazione a destra del MSI. Raccogliendo il 22,7% dei voti dei delegati, non riuscì a fare da ago della bilancia degli equilibri interni ma poté lanciare una serie di iniziative che ebbero una sensibile eco tanto all’interno del MSI quanto all’esterno. Fra queste, un festival giovanile, il campo Hobbit, che ebbe tre edizioni fra il 1977 e il 1980, i Gruppi di ricerca ecologica e un quindicinale diffuso in edicola, Linea. Grazie a queste attività la corrente risultò largamente maggioritaria nella 1a assemblea nazionale del Fronte della gioventù del giugno 1977.

Nei congressi del 1979 e del 1982, con la sigla Spazio nuovo, Rauti ripropose la sua alternativa alla concezione almirantiana del partito, auspicandone la trasformazione in un movimento meno legato alla nostalgia del passato e a istanze conservatrici e indirizzato a ‘sfondare a sinistra’, nei ceti sociali delusi dalla svolta riformista consumata in quegli anni dal Partito comunista. La forza della sua corrente rimase tuttavia ancorata alle cifre raggiunte in precedenza e Rauti decise di accettare un accordo con la maggioranza, venendo cooptato nell’organo di vertice.

L’occasione per tornare alla ribalta gli si presentò quando la malattia di Almirante aprì le porte alla successione alla segreteria, che contese una prima volta a Gianfranco Fini nel 15° congresso del dicembre 1987, finendo sconfitto di misura, e che riuscì a conquistare nelle assise seguenti, nel gennaio 1990. Rimase in carica solo fino al luglio del 1991, quando, in seguito a dissidi interni e a due nette sconfitte elettorali in elezioni amministrative, alla guida della segreteria tornò Fini. Nel frattempo, nel 1989 era stato eletto al Parlamento europeo.

Da oppositore della segreteria Fini, Rauti non approvò la ‘svolta di Fiuggi’ (27 gennaio 1995) e capeggiò la nascita del Movimento sociale-Fiamma tricolore in opposizione ad Alleanza nazionale.

Malgrado l’elezione di un senatore nel 1996 e di un eurodeputato nel 1999, il Partito non decollò e fu preda di scissioni e diatribe, che portarono alla sua defenestrazione nel 2003.

L’anno successivo Rauti fondò il Movimento idea sociale, che non riuscì a far uscire dalla marginalità. Nel 2008 venne rinviato a giudizio per la strage di piazza della Loggia a Brescia, del 1974, venendone assolto due anni dopo.

Morì a Roma il 2 novembre 2012.

Fonti e Bibl.: R. Chiarini – P. Corsini, Da Salò a piazza della Loggia, Milano 1983, ad ind.; P. Ignazi, Il polo escluso, Bologna 1989, passim; M. Brambilla, Interrogatorio alle destre, Milano 1994, ad ind.; M. Tarchi, Cinquant’anni di nostalgia, Milano 1995, ad ind.; M. Tarchi, Dal Msi ad An, Bologna 1997, passim; A. Carioti, Gli orfani di Salò, Milano 2008, ad ind.; A Baldoni, Storia della destra, Firenze 2009, ad ind.; A. Carioti, I ragazzi della Fiamma, Milano 2011, ad indicem.

[Fonte: www.treccani.it]




Isabella Rauti al web meeting “La nostalgia dell’avvenire della destra italiana” organizzato da Circolo Fratelli d'Italia "Atreju" di Reggio Calabria, in occasione del 74esimo anniversario del M.S.I.


Video messaggio completo:
https://www.youtube.com/watch?v=uRdQaslP_A4

 

Video messaggio breve trasmesso durante il meeting:
https://www.youtube.com/watch?v=-3MY9wLqVF0

 

ATREJU-640x330




Buon Natale e Buon Anno


Auguri2020-2

“Come un limpido e freddo baleno passò nella sua mente il pensiero che l’Ombra non era in fin dei conti che una piccola cosa passeggera; al di là di essa vi erano eterna luce e splendida bellezza”.

Da “Il Signore degli Anelli” di J. R. R. Tolkie




Nasce il Fondo Pino Rauti alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma


https://www.youtube.com/watch?v=MkXrY9MbDiU

Il 19 novembre 2020, data in cui ricorre il compleanno di Pino Rauti, è stato inaugurato – in modalità virtuale – il FONDO PINO RAUTI , presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, la più grande d’Italia. Al momento la consultazione è possibile solo on-line (archivista.bnc.roma.sbn.it/fonds/32) nel rispetto delle norme anti-Covid ma, con la riapertura al pubblico delle Biblioteche, sarà consentita la fruizione sia della parte archivistica che della biblioteca personale di Pino Rauti. La consistenza del FONDO archivistico e bibliografico PINO RAUTI è di 2880 volumi provenienti dalla biblioteca privata di Pino Rauti, cui si aggiungono un considerevole numero di Riviste, e di 1898 Unità archivististiche, organizzate in 80 Faldoni, contenuti in 6 scatole. Dal sito della Biblioteca, si avvia la Ricerca digitando il Nome e il Cognome, Pino Rauti, per accedere direttamente all’Archivio personale ed anche alla sua Biblioteca (categoria “Possessore”), quest‘ultima è consultabile anche nell’OPAC Catalogo SBN.
L’archivio personale restituisce un arco cronologico compreso tra il maggio 1926 – anno di nascita di Pino Rauti – ed il Febbraio 2012, anno della sua scomparsa, avvenuta il 2 novembre; la biblioteca personale comprende volumi anche datati, dal più antico del 1866, fino ad edizioni moderne che superano il 2012 ed arrivano fino al 2016, si tratta di volumi editi dopo la sua scomparsa, riferibili alla sua figura ed alla sua attività, e che sono stati donati alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma dal “Centro Studi Pino Rauti”.
La parte archivistica del FONDO PINO RAUTI appartiene ai cosiddetti “Fondi d’Autore” ed è stato riconosciuto di interesse storico particolarmente importante nel 2017 dalla Soprintendenza archivistica e bibliografica del Lazio; l’Archivio – donato nel 2018 , insieme ai volumi della biblioteca personale, dagli Eredi Rauti (le figlie Alessandra e Isabella) – è articolato in 10 serie archivistiche tematiche , 28 sottoserie e 23 sottosottoserie, nel complesso le sezioni ricostruiscono l’attività politica e parlamentare, quella giornalistica e di studioso (con la presenza di numerosi manoscritti e appunti) ma anche le vicende giudiziarie che hanno segnato per anni la vita di Pino Rauti, prima di risolversi nella piena assoluzione. Si aggiungono le Sezioni dedicate alla Rassegna Stampa su Pino Rauti, alla sua corrispondenza pubblica e privata, ed un significativo corpus fotografico e di Audiovisivi nonché materiale a stampa di carattere pubblicistico e di propaganda politica.
Nel complesso il FONDO PINO RAUTI rappresenta una miniera di materiali, editi ed inediti, utili agli studiosi, agli appassionati, agli studenti ed ai ricercatori e più semplicemente a tutti colori che vogliano avvicinarsi o approfondire la figura di Pino Rauti ma anche il mondo della Destra italiana. La documentazione ricostruisce il profilo biografico e politico-istituzionale di Pino Rauti ma anche il personaggio poliedrico: intellettuale, ideologo, scrittore, giornalista, saggista, studioso e leader; e sullo sfondo il racconto della storia della Destra in Italia, dalle origini del Movimento Sociale Italiano fino alla fondazione del Partito della “Fiamma tricolore” – dopo il Congresso di Fiuggi e la nascita di Alleanza Nazionale – ed oltre, fino al 2012.
La costituzione del FONDO PINO RAUTI, il riconoscimento di “bene culturale” e la sua collocazione in un soggetto conservatore così prestigioso come la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, rappresentano un traguardo importante nella “storia delle idee” e consentiranno di trasmettere un’eredità intellettuale, ricca di spunti di attualità e di insegnamenti ancora validi.
Pino Rauti non ha avuto il tempo di organizzare la documentazione da lui stesso conservata per anni e selezionata con cura ma in un appunto manoscritto, ritrovato nell’archivio personale, ne auspica la realizzazione scrivendo “Quando (e se) si riuscirà ad organizzare un Archivio Pino Rauti , contenente suoi documenti, discorsi e scritti, rappresenterà una fonte di informazione politica di prim’ordine e anche un valido punto di riferimento di natura culturale. Anzitutto per la storia della Destra in Italia dal primo dopoguerra in poi, anche prima della nascita di quello che fu poi il Movimento Sociale Italiano (…)”.
Niente da aggiungere alle sue parole, qui riportate testualmente, tranne che quell’idea, forse quel sogno, oggi è una realtà e qualcuno è riuscito ad organizzarlo.

Isabella Rauti
Presidente del “Centro studi Pino Rauti”

Guarda la galleria fotografica:

WhatsApp Image 2020-11-20 at 13.53.38

https://www.youtube.com/watch?v=yb0mqbkhrS4




Corriere della Sera - Pino Rauti edulcorato


Qualche polemica è sorta per la consegna alla Biblioteca nazionale di Roma delle carte e dei libri di Pino Rauti, fondatore del movimento neofascista Ordine Nuovo, poi a lungo deputato e per un breve periodo anche segretario del Msi. In effetti si tratta di una figura collocata su posizioni estreme, ma di indubbio spessore intellettuale, che cercò di rinnovare il profilo ideale del suo ambiente, sottraendolo alla pura celebrazione nostalgica del Duce. Ne è testimonianza da ultimo il libro di Sandro Forte Ordine Nuovo parla (Mursia, pp. 321, € 22), nel quale l’autore valorizza l’impronta culturale che l’ambiente rautiano conferì alla propria militanza, ispirandosi soprattutto al pensiero del filosofo tradizionalista, antimoderno e antidemocratico Julius Evola. Inoltre Forte, in maniera appassionata ma non sempre convincente, difende Ordine Nuovo dalle accuse al movimento, in parte suffragate da sentenze giudiziarie, per alcuni degli episodi più terribili del terrorismo nero, a partire dalla strage di piazza Fontana.

Tuttavia il punto più discutibile del libro è un altro: il capitolo in cui Forte evocando la prima serie della rivista «Ordine Nuovo», uscita tra il 1955 e il 1957, ne espone i contenuti evitando di citarne la parte di taglio decisamente antisemita e razzista, compreso il testo di un discorso di Adolf Hitler su razza e cultura del 1933, senza contare che il motto del periodico «Il nostro onore si chiama fedeltà» non era altro che la traduzione in italiano di quello delle SS naziste. È vero che poi Rauti corresse in parte quell’impostazione e si oppose anche agli eccessi delle campagne xenofobe anti-immigrati (sul tema fu persino intervistato dal «manifesto» nel 1988). Ma la sua è appunto una vicenda contraddittoria, per alcuni versi tormentata, di cui vanno ricordati tutti gli aspetti.

di Antonio Carioti

Corriere della Sera – Pino Rauti edulcorato – 13 dicembre 2020
[File pdf – 71 Kb]




il Riformista.it - Piazza Fontana, chi furono gli autori della strage? Non basta dire fascisti…


strage-piazza-fontana-900x600

Chi si macchiò della strage di piazza Fontana, il 12 dicembre di 51 anni fa? “Gli ordinovisti veneti” risponderebbe chiunque non volesse accontentarsi di uno sbrigativo “i fascisti”. Interrogato sul movente della mattanza, la medesima persona risponderebbe probabilmente: “Per portare al massimo livello la tensione, nella speranza di provocare un pronunciamento militare, come era avvenuto due anni prima in Grecia”. Le cose sono più complesse. Pino Rauti, uno dei leader assoluti di Ordine nuovo, la principale e più longeva organizzazione della destra extraparlamentare, era stato effettivamente nel 1966 autore con Guido Giannettini, con lo pseudonimo ”Flavio Messalla”, del libretto Le mani rosse sulle forze armate commissionato dal capo di Stato maggiore Giuseppe Aloja.

Ma On è anche il gruppo che prese apertamente posizione contro il progetto golpista: «Il colpo di Stato militare è sempre un fatto controrivoluzionario, uno dei tanti mezzi attraverso i quali l’ordine costituito trova una momentanea e forzosa soluzione alle contraddizioni che paralizzano il sistema». Lo stesso On, fu, durante il golpe Borghese dell’8 dicembre 1970, una vicenda meno boccaccesca di quanto sia stato poi fatto credere, il solo gruppo della destra radicale a tirarsi indietro. Non per passione democratica, certo, ma perché, come disse Clemente Graziani, l’altro leader storico del gruppo, a Rauti: «È certamente un progetto conservatore dietro il quale potrebbero esserci settori della Dc». On, come tutta la destra radicale italiana, è stato molte cose diverse, a volte opposte. Il volume di Sandro Forte Ordine nuovo parla. Scritti, documenti e testimonianze (Mursia, 2020, pp. 317, euro 22.00) permette di rendersene conto.

Non è propriamente una storia del gruppo ma una panoramica cronologica della sua elaborazione politico-culturale, delineata con evidente simpatia, dunque certamente parziale. Supplisce però a una carenza che rende difficile mettere davvero a fuoco la storia di quel periodo. Considera cioè On per quel che voleva essere ed era: un’organizzazione politica, la cui parabola non si può cogliere se si concentra l’interesse, come fa lo studioso Aldo Giannuli nella sua storia di On, solo sui rapporti e sui contatti degli ordinovisti con le centrali della destabilizzazione neofasciste in Europa, basandosi esclusivamente sulle note e sulle informative dei servizi segreti. Come se l’elaborazione politico-culturale, per un’organizzazione politica, fosse un particolare insignificante. Abitudine del resto comune: nei decenni sono usciti centinaia di volumi sul delitto Moro senza che gli autori si siano quasi mai presi la briga di analizzare la Risoluzione strategica che del sequestro e della sua gestione era all’origine.

Forte fa parlare i testi, gli articoli, a volte le testimonianze. L’impressione che ne deriva è che la parabola del più agguerrito gruppo neofascista sia stata non solo mutevole nel tempo ma anche più divisa e contraddittoria al proprio interno di quanto lo stesso autore non segnali. L’attività del Centro Studi Ordine Nuovo fuoriuscito dal Msi negli anni ‘50 non va oltre la pubblicistica e la saggistica, su posizioni molto diverse da quelle del Movimento Politico Ordine Nuovo, nato dopo il rientro di Rauti nel Msi, che verrà sciolto nel novembre 1973 dal ministro degli Interni Taviani, come quella che lui stesso definì “una scelta politica, non un atto dovuto”.

La lotta contro il comunismo russo e la democrazia americana da un lato, la guerra dei bianchi contro i popoli colonizzati dall’altro erano i cavalli di battaglia della prima On, influenzata sin nelle virgole da Julius Evola. Il primo vessillo verrà abbandonato quando nei ‘60, in nome della comune crociata anticomunista, soprattutto Rauti mette da parte l’antiamericanismo e si lega anzi alla destra del Partito Repubblicano. La seconda bandiera verrà rovesciata nei primi ‘70, quando On passa dalla difesa strenua dei colonizzatori all’esaltazione della rivolta dei colonizzati. Ma ai vertici dello stesso gruppo, la “svolta atlantista” e golpista (su sua stessa ammissione) di Rauti non sembra condivisa, o lo è con palese diffidenza, dal “rivoluzionario” Graziani, che non seguirà Rauti nel Msi e darà vita al Movimento Politico On.

Come si incrocia questo libro, che del 12 dicembre quasi non parla, con la visione storica della strage che cambiò la mentalità degli italiani? I colpevoli sono accertati, anche se mai puniti perché già assolti con sentenza definitiva. A differenza della strage di Bologna, quasi tutti, negli stessi ambienti della destra, sono convinti che verità storica e processuale in questo caso coincidano. Ma le definizioni con cui viene indicato di quel massacro, “strage fascista”, “strage di Stato”, sono insieme giustificate e fuorvianti. Confondo almeno quanto chiariscono, forse anche di più.
La strage fu fascista, perché dagli ambienti del neofascismo veneto, che si può assimilare a Ordine nuovo solo con una enorme forzatura essendo un’area del tutto autonoma, venivano gli autori del crimine.

Fu “di Stato”, perché lo Stato, almeno in alcune sue articolazioni, aveva senza dubbio creato le strutture finalizzate alla provocazione dalle quali provenne e discese Piazza Fontana e perché, dopo il 12 dicembre, lo Stato tutto scelse consapevolmente di indicare negli anarchici i colpevoli precostituiti. Ma parlare senza sfumature di strage fascista e di Stato finisce per identificare con lo stragismo un intero ambiente, in realtà molto diversificato e articolato come la ricerca di Forte dimostra, e finisce anche per attribuire allo Stato tutto e direttamente una responsabilità che è invece parziale e indiretta. È probabile che nessuno nello Stato e neppure ai vertici del neofascismo e di Ordine Nuovo volesse la strage, che fu invece frutto di una forzatura da parte di un gruppo nazista particolarmente feroce e determinato come quello di Freda.

In parte, all’origine della confusione che impedisce di mettere nitidamente a fuoco cosa successe non solo il 12 dicembre ma in tutti i primi anni ‘70, c’è una conoscenza dell’estrema destra di allora che oggi è scarsa e fino a pochi anni fa inesistente e che si limita, come fa Giannuli nel suo libro su On, a considerare gli ordinovisti come manovalanza del terrore. Il libro di Forte si muove all’estremo opposto. Glissa sui particolari della assoluta internità di una parte di On al “partito del golpe”. In compenso restituisce la realtà di un’area che, per quanto minoritaria, sideralmente distante e nemica la si consideri, era a tutti gli effetti una realtà politica e culturale dell’Italia del secondo Novecento.

[Fonte: www.ilriformista.it]

ilRiformista – Pagina 10 – Sabato 12 dicembre 2020
[File pdf – 662 Kb]




Secolo d'Italia.it - Altro che stragi. La vera storia di Ordine Nuovo nell’ultimo libro di Forte. Palestra di idee e sperimentazioni


La-vera-storia-di-Ordine-NuovoUn libro su Ordine Nuovo. Era necessario? L’ultimo volume di Sandro Forte, Ordine Nuovo parla (edizioni Mursia), Premio Caravella 2020, parte proprio da lì. Sottrarre, carte alla mano, il movimento nato nei primi anni ’50 alla narrazione tradizionale. Che per decenni lo ha confinato nel recinto della strategia della tensione , dell’eversione. Dei depitastaggi. Dei golpe vere o presunti.

Ordine Nuovo parla, l’ultimo libro di Sandro Forte
Fino a schiaffargli addosso la responsabilità della strage di piazza Fontana, di cui ricorre il 51esimo anniversario (il Comune di Milano depose una lapide a ricordo della tragedia del 12 dicembre 1969, attribuendogli la paternità). “Ma nessuno dei vari inquisiti per la strade (poi tutti assolti) fece mai parte di Ordine Nuovo”,  scrive Forte,  scrittore e giornalista di lunga esperienza. Dal Giornale d’Italia al Secolo d’Italia dopo una lunga esperienza al Tempo come caporedattore. All’attivo diversi libri, tra cui Il processo alle idee (1994). “E  mai – sottolinea – comparve nei vari processi che On subì per il reato di ricostituzione del partito fascista. E’ stata una condanna senza appello e senza che gli sia mai stata concessa la parola”.

La storia del movimento dalle origini alla segreteria Rauti
Il volume, frutto di un lavoro molto documentato del giornalista, passa in rassegna la storia del movimento dalle origini fino alla segreteria Rauti del 1990. Chiude il lavoro un capitolo dedicato alle testimonianze. Tra le pieghe del libro, che si poggia su una bibliografia vastissima, si scopre un mondo inedito. Almeno per i non addetti ai lavori. Fatto di elaborazione culturale di grande respiro, di progetti politici e non solo. Un mondo brillante, fervido di sperimentazioni e passioni. Ordine Nuovo nasce nei primi anni Cinquanta da una corrente giovanile interna al MSI, dai Figli del Sole.

La prima riunione a Roma nel 1953
Ordine Nuovo prende forma nel novembre 1953. Alla prima riunione, il 15 novembre nella sede missina di via Cola di Rienzo, erano presenti tra gli altri Pino Rauti, Paolo Andriani, Clemente Graziani, Paolo Signorelli, Sergio Sabatini, Elsa Levrini.
Si costituisce in Centro Studi, esce dal partito, elabora tesi e progetti, pubblica riviste e giornali. Si divide fra chi rientra nel Msi e chi continua il suo percorso da extraparlamentare. Lo trovi in tutte le piazze d’Italia, nelle scuole, nelle università. Anche sotto i colpi giudiziari prosegue prosegue la sua elaborazione culturale e politica. Dentro e fuori del Msi.
Partito da un gruppo di giovani  che non hanno fatto in tempo ad indossare le divise della Repubblica Sociale Italiana,  diventa negli anni la palestra culturale più raffinata per migliaia di giovani di destra. Ma nessun nostalgismo.  Semmai una miscela di tante sensibilità e grandi ‘teste’.

La scoperta di Evola a Regina Coeli
La fedeltà all’Idea diventa impegno culturale e filosofico, sotto gli insegnamenti del filosofo Julius Evola. Fu una autentica scoperta, quella di Giulio Cesare Andrea Evola da parte di alcuni giovani  (tra cui Enzo Erra),  chiusi a Regina Coeli per aver distribuito al cinema Splendore di Roma volantini sul 25 luglio. La biblioteca di Regina Coeli è ben fornita. Qui  Erra trova  Rivolta contro il mondo moderno pubblicato nel 1934. “Mi colpì – disse- il modo in cui, ben prima della guerra spiega che americanismo e bolscevismo poggiavano su un comune fondamento edonistico e materialistico“. Evola, che per i ragazzi di Ordine Nuovo, scrive Orientamenti, poco più di un vademecum. Ma anche Drieu La Rochelle, Robert Brasillach, Léon Degrelle.

Nessuna nostalgia, ma una fucina di idee nuove
Non c’è folclore. Ma un crescendo di elaborazione etica e politica. Che  corregge il pensiero della Destra italiana. All’epoca piccolo borghese e ancorato alla visione ottocentesca di Dio, patria e famiglia.
Con Pino Rauti, che per primo da destra cita e fa sua la teoria di Gramsci sull’importanza della cultura per la conquista del potere e comprende la straordinaria rilevanza dei media. E siamo ancora agli inizi degli anni Sessanta. Con Clemente Graziani, che diventa uno dei maggiori conoscitori della guerra rivoluzionaria, che in quel decennio si realizza a Cuba, in Vietnam e in Algeria.

Gli Usa come diga al comunismo in crescita
Da posizioni filo-colonialiste si passa al sostegno dell’autodeterminazione dei popoli ed alla solidarietà  per tutti i movimenti di liberazione nazionale. Cambia anche la tradizionale posizione della destra verso gli Usa. Con la crescita del gigante cinese e del Pci gli Usa diventano l’unica diga contro l’avanzata comunista. Una posizione presa da Rauti in nome di una realpolitik che verrà fortemente contestata all’interno del Msi. E sarà anche uno dei motivi della rottura che porterà Ordine Nuovo a diventare movimento politico extraparlamentare dopo il rientro di Rauti nel MSI.

La Nuova Destra, Morbillo, il Fronte anni ’80
Tutto si lega. In un filo rosso che arriva ai giovani missini della fine degli anni di piombo fino allo straordinaria esperienza dei Campi Hobbit (di cui il primo organizzatore, Generoso Simeone, proviene da Ordine Nuovo). Alla Nuova Destra di Marco Tarchi sulle orme di Alain de Benoist. E forse ai giovani del Fronte della Gioventù degli anni ’80. Che leggono, studiano, annusano. E scoprono la metapolitica (negli anni paludosi del riflusso post strage di Bologna), lo sfondamento a sinistra, l’ambientalismo, il superamento degli opposti estremismi. Quelli della rivista Morbillo prurito e avventura (impossibile senza la Voce della Fogna). Quelli che bloccano il corteo presidenziale di Bush senior a Nettuno.

La repressione voluta da Paolo Emilio Taviani
“Non è un caso – scrive l’autore – che la scure della repressione si sia abbattuta proprio su Ordine Nuovo per mano di un ministro dell’Interno, Paolo Emilio Taviani,  referente degli americani in Italia e capo della struttura segreta Gladio. Ordine Nuovo, per la forza delle sue idee, per il numero dei suoi aderenti per la trasparenza dei suoi capi, in quei primi anni Settanta fu scelto come capro espiatorio di una strategia che si inventò e fomentò lo stragismo nero. Per fare da contraltare al terrorismo rosso”. Ordine Nuovo parla è il  tentativo, ottimamente riuscito,  di ristabilire la verità sulla storia di quella che, comunque la si guardi, è stata la più interessante fucina politica dentro il variegato mondo della Destra radicale italiana.

[Fonte: www.secoloditalia.it]




il Tempo - L'ANPI protesta e Rauti viene censurato


ilTempo

Pino Rauti celebrato sul sito del ministero della Cultura, l’Anpi va su tutte le furie e il ministro Dario Franceschini che prontamente ubbidisce e fa eliminare dal portale le citazioni dell’ex big missino, E’ successo dopo che, nei giorni scorsi la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma aveva proceduto all’acquisizione del fondo Rauti, accompagnando la notizia con alcune note biografiche sul lascito culturale dello stesso rappresentante della destra sociale. Un atto giudicato «intollerabile» dall’Associazione dei partigiani, che si è fatta sentire inducendo il ministero alla retromarcia. Così Franceschini ha riscosso il ringraziamento della sinistra, ma ha fatto infuriare buona parte dell’«altra metà del cielo». «Rauti è stato un parlamentare eletto con sistemi democratici. Il resto è puro esercizio da oliatori da tastiera» ha commentato il deputato di Fratelli d’Italia Ignazio La Russa. «Il loro usare il termine intollerabile fa capire subito l’intolleranza di chi esprime questi giudizi» ha chiosato invece lo scrittore e giornalista Marcello Veneziani.

il Tempo – L’ANPI protesta e Rauti viene censurato
[File pdf – 143 Kb]




PN Il Primato Nazionale.it - Franceschini fa un regalo all'Anpi, "censurato" il Fondo Pino Rauti: "Era fascista"


Roma, 27 nov – Il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, ha «censurato» Pino Rauti. In che modo? Ben 2880 volumi, appartenenti al Fondo Pino Rauti, erano stati donati alla Biblioteca nazionale di Roma. L’archivio dell’ex segretario del Msi, infatti, è stato riconosciuto di interesse storico, e il ministero ha quindi presentato l’evento sul proprio sito. Cosa che, però, non è affatto piaciuta all’Anpi che, per bocca del suo nuovo presidente Gianfranco Pagliarulo, ha vivamente protestato contro questo atto di presunta lesa maestà. È a questo punto che Franceschini, sempre ligio al richiamo di un antifascismo ormai fuori tempo massimo, ha fatto rimuovere la presentazione dal sito del ministero.

Politico e intellettuale
La figura di Pino Rauti (1926-2012), ovviamente, può piacere o non piacere, ma è indubbio che si sia trattato di una personalità di spicco della storia italiana nel secondo dopoguerra. Giovane volontario della Rsi, a cui prese parte inquadrato nella Guardia nazionale repubblicana (Gnr), Rauti ha militato per anni nel Msi, ricoprendo la carica di deputato dal 1972 al 1992 e, per un breve e sfortunato periodo, anche quella di segretario di partito (1990-1991). Inoltre, dopo aver fondato nel 1953 il Centro studi Ordine nuovo, si è profilato come uno degli intellettuali più prolifici della destra radicale. Insomma, piaccia o non piaccia, Rauti rappresenta un pezzo importante della storia repubblicana. Tant’è che il suo archivio ha suscitato l’interesse della Biblioteca nazionale.

Franceschini, Rauti e… La Russa
La decisione di Franceschini di oscurare il Fondo Pino Rauti, accontentando i censori dell’Anpi, ha naturalmente suscitato lo sdegno di Ignazio La Russa, che non le ha mandate a dire al ministro dei Beni culturali: «Franceschini può cancellare tutto quello che vuole almeno fintanto che è ministro. E Pagliarulo, che di sicuro per ragioni anagrafiche non ha fatto il partigiano neanche un minuto, può gridare alla luna le sue modeste valutazioni», ha attaccato il vicepresidente del Senato. «Resta il fatto – ha proseguito La Russa – che Rauti non ha mai negato il suo impegno prima, durante e dopo la guerra, ma è stato un parlamentare eletto con sistemi democratici, ruolo a cui ha improntato i suoi comportamenti. Il resto è puro esercizio da odiatori da tastiera».

Gabriele Costa

[Fonte: www.ilprimatonazionale.it]