La senatrice Isabella Rauti al Circolo FDI Civitavecchia, ricordando Pino Rauti


Un saluto a sorpresa e di passaggio della senatrice Isabella Rauti al Circolo FDI Civitavecchia, dove appena sarà possibile organizzeremo un convegno politico e culturale; intanto la senatrice ha lasciato alla biblioteca una copia de “Le Idee che mossero il mondo”, un testo fondamentale sul quale si sono formate intere generazioni e che continua ad insegnare.

 




Barbadillo.it - Isabella Rauti: “Populisti? Noi siamo nazionalpopolari. Ora una visione per la post-modernità”


La senatrice meloniana, intervenuta a Custonaci alla “Giornata del Tricolore”, approfondisce i riferimenti culturali dell’area patriottica

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Nel corso dell’ultima edizione della tradizionale «Giornata Tricolore», organizzata come di consueto dal «Centro Studi Dino Grammatico», a Custonaci (Trapani) con la senatrice Isabella Rauti (Presidente del «Centro Studi Pino Rauti») abbiamo dialogato sul momento attuale della politica italiana, ma anche sui riferimenti culturali e identitari di una comunità militante che affonda le sue radici lontano nel tempo.

Carissima Isabella, vista la situazione attuale, non ritieni che sia giunto il tempo delle idee per una nuova Italia?

“Sono convinta che le idee di fondo siano sempre le stesse. Mi spiego  le idee, e scusate la citazione, che “mossero il mondo”, perché continuano a muoverlo ed in questo ovviamente non c’è, chi mi conosce lo sa, nessuno atteggiamento di musealizzazione, non c’è nessuna inclinazione al nostalgismo, al passatismo né tantomeno all’immobilismo, all’antiquariato ideale o ideologico, ma c’è, invece, la consapevolezza – mia e per fortuna di un’intera comunità di generazioni diverse – di portarsi dentro questo patrimonio ideale e culturale che vogliamo rielaborare, perché siamo convinti che sia in grado di metterci nella condizione di trovare risposte ai nuovi bisogni ed alle  nuove sfide della post-modernità. Penso che il compito della politica sia anche questo altrimenti la politica diventa solo un rincorrere la cronaca quotidiana, sicuramente importante per la vita del Paese, ma serve anche alzare lo sguardo, per avere una visione ampia e di prospettiva; la politica del “pensiero lungo” ha anche questo compito e questa vocazione. Spero anche un suo destino”.

Per avere questa visione alta della Politica bisogna avere anche una certa dimestichezza sugli eventi che governano il mondo, con un occhio attento alla propria identità.

“Oggi nessuno di noi può fare un progetto politico senza avere la percezione della dialettica tra Nord e Sud del mondo, delle dinamiche della geopolitica e dei suoi equilibri, nonché del ruolo centrale del Mediterraneo, dei conflitti vecchi e nuovi. Non si può pensare ad un progetto politico senza avere – ad esempio – idea della crisi demografica in atto o della sfida dell’immigrazione o delle grandi emergenze planetarie comprese quelle ambientali. Altrimenti si ha una visione che non può essere anche corretta, ma miope e limitata. A questa necessità di visione vanno aggiunte alcune parole chiave come l’identità di popolo, nella consapevolezza della nostra civiltà millenaria, rispetto a quell’onda anomala, che agisce come un rullo compressore, della globalizzazione. E anche il concetto di sovranità e quello dell’interesse nazionale (oggi talvolta minacciato da organismi sovranazionali) sono valori che vanno difesi perché non si può cedere nulla in termini di sovranità nazionale. Serve recuperare l’attaccamento alla Patria, alle sue radici culturali, alla sua lingua, ai suoi dialetti. A tutto ciò che contraddistingue e distingue, con la sua unicità la propria Patria e la propria Terra e anche le piccole Patrie, che appartengono all’identità nazionale e che contribuiscono a definirla”.

Oggi si corre spesso il rischio di essere minacciati da diverse forme di populismo rispetto al quale, non ritieni, bisogna fare chiarezza?

“Il populismo può diventare una minaccia e rappresentare un rischio. Soprattutto lo lascerei come deriva della politica in totale appannaggio dei neo-giacobini del Movimento 5 Stelle. Noi veniamo da un’altra storia e non siamo populisti, ma nazional popolari e con il popolo vogliamo celebrare un patto sociale. Noi siamo quelli che vogliono ricomporre la frattura tra popolo e politica. Noi siamo quelli che quando dicono popolo, dicono centralità della persona all’interno della declinazione di un programma politico. Siamo anche quelli che rivendicano e che vogliono una politica che sia rappresentanza e non delega o peggio autoreferenzialità. Sul piano pratico il concetto della rappresentanza richiede, anche delle modifiche, innanzitutto della legge elettorale esistente da rivedere in senso maggioritario, ma anche riforme di carattere costituzionale nella direzione di una Repubblica presidenziale. Bisogna che la politica si fondi sul consenso e bisogna che la politica sia rappresentanza e democrazia compiuta e non asimmetrica e deficitaria”.

Non ritieni necessaria, proprio in questo senso, un’azione politica, che sia in grado di intercettare, di ascoltare e di rispondere alle istanze reali che provengono, nel senso più nobile del termine, dal basso?

“C’è chi dice che mettere o rimettere il popolo al centro della politica sia un’utopia magica, per altri è un’utopia concreta, per noi è una realtà ed un dovere. Dal mio punto di vista la risposta non è nel populismo, che considero una deriva. Non mi piace come definizione e si presta anche ad un inganno. I Cinque Stelle ne sono la metafora plastica dell’affermazione e della vittoria dell’antipolitica, ma non nel senso del tradimento della vocazione principale della politica, che è quella di assicurare il bene comune. Il populismo è un inganno perché non ha niente a che fare con le politiche sociali, con le politiche popolari e con le reali politiche di solidarietà”.

Fare attività politica ai nostri giorni è veramente complicato. La frammentazione della società italiana è sempre più palese ed è forse il vero motivo che non consente di raggiungere obiettivi importanti.

“Nella nostra elaborazione politica dobbiamo puntare ad un obiettivo: ricomporre quello che è stato definito da Bauman lo «sciame sociale», che deve essere appunto ricomposto in «comunità solida» ed in una «comunità nazionale» con il senso dell’appartenenza. Quella che oggi è una «società liquida», e che i social-media rendono ancora più liquida, deve cercare la strada per ritrovarsi e per ricostruire la coesione sociale. Penso che la globalizzazione abbia mostrato tutta la sua fragilità, questo rafforza la necessità e favorisce la consapevolezza che si deve ricomporre quella frattura, a cui facevo riferimento, tra popolo e politica, tra popolo e partiti, tra popolo ed élite, tra governati e governanti. Ricomporre queste fratture, comporta il ritorno alla centralità della politica, della buona politica intendo con la persona al centro! Direi anche una sorta di ritorno dell’ante-politica per concludere, una volta per tutte, la stagione dell’anti-politica e marginalizzare chi l’ha rappresentata nel peggiore dei modi, dando una risposta sbagliata ad una domanda giusta. Mi sembra utile invocare il ritorno all’ante-politica, mettendo tra parentesi la fase dell’anti-politica; ed il nostro mondo farà meno fatica di tutti gli altri, perché nonostante alcuni inevitabili cambiamenti e nonostante le nostre diaspore, siamo rimasti fedeli a noi stessi e siamo quelli più capaci di riprendere in mano il bandolo di una politica sana, genuina ed autentica, che ascolta e dà risposte. In questo senso parlo dell’ante-politica come capacità di dare risposte ai reali bisogni dei cittadini”.

Torniamo a quella frattura a cui facevi riferimento, ovvero a quella crisi politica e di sistema, che poi è anche una crisi di consistenza stessa della democrazia. Non pensi che bisogna ripartire da una «responsabilità dei valori» di cui ogni società sana dovrebbe essere portatrice?

“Il nodo da cui dobbiamo ripartire è l’assenza del rapporto tra popolo e politica, tra popolazione e Istituzioni. Ripartire dall’attuale crisi della politica, che si è espressa attraverso tutti i tatticismi che ci hanno imposto o attraverso i trasformismi ai quali abbiamo assistito increduli e disgustati, creando maggioranze improbabili e contro natura. Oggi la totale impreparazione viene, addirittura, assunta come criterio meritocratico che è il paradosso dei paradossi. Bisogna, invece, proprio ripartire dalla responsabilità dei valori. Dal territorio, da un’economia sociale di mercato che sia sussidiaria ed inclusiva, ma che non sia assistenzialismo fine a sé stesso e, soprattutto, un’economia che ci veda liberi dalla oppressione fiscale cui siamo soggetti”.

Tuttavia questo ritorno all’ante-politica non delinea la possibilità di un ritorno all’esistenza delle ideologie, che, invece, sembrerebbero ormai definitivamente superate se non addirittura volutamente “cancellate” dalla storia?

“Ragionare sulla fine delle ideologie mi fa, naturalmente, tornare alla memoria quando mio padre in alcuni congressi missini – talvolta senza essere pienamente compreso – esponeva le tesi di Francis Fukuyama sulla «fine della storia» e sulla fine delle ideologie. Fukuyama diceva che nel XX secolo si sarebbe raggiunto l’apice di questo dissolvimento e che poi ci sarebbe stato qualcosa di fluido che avrebbe causato il crollo delle ideologie e appunto la «fine della storia». Ricordo anche, mentre lui esponeva queste tesi alla platea, facce perplesse ed occhi un po’ smarriti. Non tutti allora compresero la portata, non solo di quello che mio padre raccontava, ma soprattutto delle previsioni contenute nelle tesi di Fukuyama ed oggi, invece, siamo qui con lucidità e consapevolezza ad analizzare quanto è accaduto e ad ammettere che si è realizzato era stato previsto. Egualmente si è verificato – e mio padre ne parlava nelle stesse sedi congressuali anticipando in modo profetico quanto è avvenuto – il superamento delle categorie di destra e di sinistra, intese come categorie ottocentesche o meglio come etichette dell’Ottocento superate da una destra sociale per «andare oltre» ed elaborare una politica che fosse in grado di dare delle risposte alle sfide poste dalla modernità. Il sistema bipolare ripropone lo schema destra – sinistra in termini diversi e un po’ convenzionali, ma quella del superamento delle categorie ottocentesche è stata un’intuizione profetica e feconda, che non portava con sé l’abbandono di quelli che sono le idee ed i valori della Destra ma voleva “comprenderli e superarli” in una visione politica fedele, ma rinnovata ed attenta alle nuove emergenze. Tornando al tema, le generazioni più giovani sono cresciute immerse in credenze post-ideologiche, che hanno portato quello che tecnicamente viene definito il «disallineamento dell’elettorato». Cioè lo spostamento anche nei voti e nei consensi e, quindi, alla caduta delle ideologie ed al superamento delle categorie tradizionali. Oggi viviamo tutti un po’ immersi nel post-ideologismo, ma – attenzione – c’è un’ideologia che a mio avviso resiste e ci minaccia, quella del «pensiero unico», che non è affatto post, ma è molto ideologica e vorrebbe imporsi come dominante. E dal mio punto di vista è la minaccia principale alla quale dobbiamo lanciare la nostra sfida. L’ideologia del «pensiero unico» è quella che vuole trasformare le persone in numeri. È quella degli algoritmi. È quella che vuole svuotare di senso e di valore le identità, le tradizioni, la famiglia e la storia”.

Oggi appare sempre più evidente che esiste una censura, che si abbatte contro chi esprime la sua idea nel contrastare l’avanzata del cosiddetto «pensiero unico».

“C’è un pensiero unico, abbiamo detto, ma c’è soprattutto un’offensiva sottile, diffusa, pervasiva attraverso la globalizzazione e la sua potenza nichilista; un rullo compressore che viaggia con la globalizzazione e colpisce, ad esempio, la famiglia, con la sua ideologia gender di genitore 1 e 2; delle oltre 50 “identità di genere” contemplate. E, ancora, l’offensiva colpisce quando con “l’automatismo” dello ius soli vorrebbe concedere la cittadinanza o quando rivendica come diritto la pratica dell’utero in affitto e la maternità surrogata per vendere figli alle coppie omosessuali. Tutti elementi – e si potrebbero fare anche altri esempi – di una medesima visione nichilista, che lancia quotidianamente la sua guerra radicale, profonda e pericolosa a quello di cui noi siamo portatori e difensori: l’identità e la tradizione. Quella tradizione che sfida la modernità. Quella tradizione che è in grado di rinnovarsi. Quella tradizione che sa essere rivoluzionaria e non naftalina. La minaccia e l’attacco è sferrato all’identità, alle tradizioni, alla sovranità nazionale, alla nostra religione, all’Europa dei popoli e delle piccole patrie. Un’Europa di Stati liberi e sovrani, che riconosca le sue radici cristiane. La sfida c’è ed è la sfida delle identità, delle tradizioni e delle radici. Tutto questo è sicuramente un programma ed una visione politica e culturale ed è il nostro contributo per salvare l’identità nazionale, le identità locali, le piccole patrie e la sovranità nazionale contro le oligarchie, contro i maestri della globalizzazione, contro anche l’islamizzazione dell’Europa che passa attraverso la demografia religiosa e l’arrivo indiscriminato di ondate migratorie. La minaccia esiste e noi, dunque, dobbiamo fare fronte, per difendere il concetto della libertà. Non solo delle libertà individuali, ma della libertà di pensiero, della libertà di parola, della libertà di espressione che si dà per scontata, quando scontata non è. Perché c’è il «pensiero unico» e dominante, che è un “moloch” minaccioso e prepotente della cui pervasività tentacolare forse non abbiamo la percezione esatta”.

Tuttavia per contrastare tutto ciò ci vorrebbe un Governo che tuteli e difenda le prerogative identitarie. Quello attuale, a parte che non sembra affatto interessato, non sembrerebbe attrezzato per una sfida così importante.

“Questo è un Governo abusivo e senza consenso, che invece è uno dei pilastri della democrazia. È un Governo senza consenso interno, perché tra di loro lo dicono continuamente non si apprezzano ed è privo, anche, di un consenso esterno, perché non si è misurato con il voto popolare. Ci ritroviamo, quindi, con un Governo senza consenso e senza rappresentatività, secondo concetto fondamentale e asse portante di ogni visione e di ogni costruzione democratica. Tutti quelli che, mentre noi chiedevamo e continuiamo a chiedere il voto anticipato, ci davano lezioni di diritto costituzionale, ci dicevano che c’era necessità di dare vita a questo Governo privo di consenso e privo di rappresentanza, perché siamo una democrazia parlamentare ovvero basata sulla maggioranza presente in parlamento, ignorando che la stessa democrazia parlamentare non solo riconosce la sovranità al popolo, ma prevede anche come diritto, altrettanto costituzionale, che ci sia una concordanza tra il corpo elettorale e quello parlamentare, una sorta di armonia tra il sentimento politico più diffuso nel Paese e la maggioranza in Parlamento, concordanza e armonia che non ci sono in questo Governo. Lo stesso diritto costituzionale, inoltre, prevede che si possa ricorrere allo scioglimento anticipato delle Camere se giudicato opportuno, ovvero quando ci sia disarmonia fra l’attività degli eletti ed il sentimento popolare. Io non ricordo disarmonie peggiori di quelle espresse da questo Governo, che ci è stato imposto calpestando la rappresentanza, il consenso e la sovranità popolare. Invece proprio le democrazie sono al centro del desiderio politico. Questo desiderio politico è un desiderio che resta insoddisfatto. Le democrazie che conosciamo sono fragili, sono deficitarie, sono contraddittorie, perché con un sistema elettorale malato la vittoria non va più alle maggioranze e questa è la contraddizione più profonda ed è anche il rovesciamento del concetto fondamentale di sovranità popolare. Un sistema elettorale malato che ha trasformato, le cosiddette minoranze sociologiche in maggioranze politiche e, infatti, oggi governa chi ha perso le elezioni e non chi le ha vinte nel sentimento popolare per questo ribadisco dovremmo rimettere il demos al centro della politica”.

[Fonte: www.barbadillo.it]




ilprimatonazionale.it - Il pensiero di Adriano Romualdi per la destra di oggi


Roma, 25 ott – Ormai 47 anni fa ci lasciava, in un tragico incidente stradale, Adriano Romualdi. Figlio dell’esponente (e poi presidente) del Msi, Pino Romualdi, fin da ragazzino inizia la sua militanza politica nelle file del partito della fiamma. Ciò basta a scatenare le prime censure nei suoi confronti: riuscirà a laurearsi solo in semi-clandestinità alla Sapienza, con Renzo De Felice e Rosario Romeo, con una tesi sulla rivoluzione conservatrice tedesca.

I conti della destra con la cultura
In Italia il concetto di “destra” è sempre stato, erroneamente, tacciato come sinonimo di ignoranza e grettitudine. Risulta però vero che spesso gli esponenti della destra politica non abbiano puntato sulla formazione di una classe giovanile ed adulta di stampo culturale, capace di riportare il sapere a perno della classe dirigente. Esaminare e conoscere Romualdi può giovare per il risalto dell’immagine di chi non si vuol chinare ad un pensiero unico, progressista e liberista.
Mezzo secolo fa Adriano Romualdi già si esprimeva, in maniera raffinata e tagliente, sul concetto di Europa unita, come sul tema dell’ambiente: risaputo che il concetto di nazione fosse alla base dell’istinto patriottico, egli rivedeva ciò come punto di partenza, non di arrivo. Aspirava in maniera netta alla costruzione di un’Europa, che diventasse casa comune, per cittadini di origini e nazioni differenti, uniti da unica causa. Sulla scia mazziniana sognava l’Europa dei popoli, che potesse così resistere ad eventuali ritorni al bipolarismo tra potenze mondiali ben più attrezzate. In compagnia di Pino Rauti, contestava alla destra italiana l’abbandono delle tematiche ambientali, ad interesse esclusivo della sinistra. Con fare avanguardista trattava il tema della natura non come feticcio, né come ingombro da calpestare, ma componente fondamentale da conservare, con cui congiungersi in un orizzonte ideologico di profondo rispetto, base per le radici dell’uomo.

Il cammino intellettuale di Adriano Romualdi
La filosofia fu colonna portante del suo cammino intellettuale. Egli fu capace di adattare le teorie platoniche alla società attuale. Stimatore di Nietzsche, Spengler, Brasillach, riteneva suo maestro Julius Evola, al quale non risparmiava talvolta critiche, in quanto riteneva le accuse al nostro tempo vane, se non seguite da risposte e proposte adeguate.
Strenuo oppositore del nichilismo attivo, intravedeva con timore l’avvicinarsi di una cultura politica negatrice di ogni dimensione sacrale, portatrice di interessi ed egoismi personali. Una politica che, dietro alle retoriche di finta uguaglianza, umanità e pace, aveva come scopo l’abbattimento delle menti, e delle identità, per favorire l’avvento delle grandi lobby e potenze.
Quel che resta oggi del controverso intellettuale sono lo sguardo al futuro, la sfida alle stelle da attuare per le classi giovanili, attraverso un ideale composto da rispettive diversità, ma fortemente unitario. “Tutti gli irredentismi sono invecchiati. Se ne ricordino quelli che pretendono di incatenare i giovani a un nazionalismo che è quello di ieri, non quello di domani”: con questa frase Adriano Romualdi tracciava una linea ideologica che può tornare ad essere spunto per il proprio cammino.

Tommaso Alessandro De Filippo

[Fonte: www.ilprimatonazionale.it]




La sabbia di El Alamein


A 78 anni di distanza, là dove i “Leoni della Folgore” resistettero con epico ed eroico coraggio. ONORE.
“IO SONO LA SABBIA DI EL ALAMEIN” 23 Ottobre 1942
“(…) Perché, amici di tutto il mondo, io non sono granello di un deserto qualunque, sono la sabbia del deserto più brutto e glorioso che esista, io sono LA SABBIA DI EL ALAMEIN!!!”

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Sabato 26 settembre, ore 10:00 – Giornata Tricolore “Il tempo delle idee per una nuova Italia”, Custonaci


Segui l’intervento di Isabella Rauti

https://www.youtube.com/watch?v=XtY3TY4Am9Q

https://www.youtube.com/watch?v=TUoej9QAFUQ

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Giornata Tricolore - 11

Giornata Tricolore

Leggi l’intervista a Isabella Rauti a cura di Fabrizio Fonte




videosicilia.com - Il tempo delle “Giornate Tricolore 2020”: a Custonaci la “destra” della Sicilia Occidentale riunita in un appuntamento atteso. Intervista ad Isabella Rauti capogruppo Fratelli d’Italia al Senato


https://www.youtube.com/watch?v=FXYySZAFpfQ

[Fonte: www.videosicilia.com]




marsalalive.it - "Il Tempo delle Idee" alla "Giornata Tricolore 2020": a Custonaci


Si terrà sabato 26 settembre presso la Sala Conferenze di Villa Zina Park Hotel, la tradizionale “Giornata Tricolore”, che in questa edizione ha per tema “Il Tempo delle Idee per una nuova Italia”…

Locandina-GT2020Custonaci – «Il 2020 è stato caratterizzato da avvenimenti imprevisti ed imprevedibili, che ci hanno visto, per la prima volta, privati della nostra piena libertà nei movimenti e nella normale conduzione della nostra vita quotidiana. Proprio nelle settimane del «lockdown» tantissimi italiani hanno “riscoperto”, anche alla luce di queste privazioni personali, l’importanza, in termini valoriali, dell’identità nazionale e dei suoi simboli (dall’ascoltare il «Canto degli italiani» affacciati sui balconi al vedere il «Tricolore» che illuminava le facciate dei palazzi più celebri).In tal senso abbiamo pensato, mentre le «Frecce Tricolori» sorvolavano con le loro scie colorate i nostri cieli, di dedicare l’edizione 2020 della «Giornata Tricolore» a tutte le vittime del «Covid-19» ed a tutti gli operatori sanitari che hanno combattuto in prima linea e, soprattutto, ci siamo imposti di riflettere sulla nascita di un’auspicabile nuova Italia, che sappia affrontare, con una marcia in più, la ripartenza ed il prossimo futuro. Anche quest’anno, insieme al «Centro Studi Dino Grammatico», ad organizzare l’evento hanno voluto esserci rispettivamente le fondazioni «Nazione Futura», «Tatarella», «Giuseppe e Marzio Tricoli», il «Centro Studi Pino Rauti» e l’«Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici» (ISSPE), con il patrocinio della fondazione «Alleanza Nazionale».

Saranno presenti, dunque, i rappresentanti degli istituti culturali (Francesco Giubilei, Marcello Tricoli, Isabella Rauti, Umberto Balistreri e Roberto Menia) appena citati e con loro numerosi parlamentari (Carolina Varchi, Raffaele Stancanelli, etc..) ed ha confermato la sua presenza anche l’«Assessore Regionale dei Beni Culturali e dell’identità siciliana» Alberto Samonà. Mentre il «Premio per la Cultura della Legalità 2020» (ovvero una piccola quercia, che rappresenta il radicamento ai valori legalitari, realizzata in marmo di Custonaci ad opera dello scultore Giuseppe Cortese), è stato assegnato alla memoria di Enzo Fragalà (verrà consegnato nelle mani della figlia Marzia), per aver contrastato la criminalità mafiosa al punto di costargli, purtroppo, la sua stessa esistenza.

Per questa edizione 2020 si è voluta riprendere la celebre frase di Paolo Borsellino, puntuale figura di riferimento del «Centro Studi Dino Grammatico», dove si ricorda che «la lotta alla mafia deve essere un movimento culturale e morale che coinvolga tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo della libertà, che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità».

A moderare l’incontro sarà, infine, il giornalista Massimo Magliaro (già Direttore di «Rai International» e Presidente di «Rai Corporation»)».

La manifestazione è a numero chiuso per ottemperare alle restrizioni sanitarie, per cui è obbligatorio prenotarsi, fino all’esaurimento dei posti disponibili, inviando una mail al seguente indirizzo csdinogrammatico@gmail.com.

[Fonte: www.marsalalive.it]




Barbadillo.it - Se la destra si posiziona tra Stato organico e difesa delle identità


Il classico dibattito estivo sulla natura del fronte della “droite” e la necessità di riaggiornare la categoria secondo la visione sociale
 
Giacomo Balla - Si è rotto l’Incanto
Da qualche tempo si è scatenata nuovamente la polemica su cosa connoti, identifichi la destra. Da ultimo Marcello Veneziani, nell’articolo La destra che piace a lorsignori, pubblicato su La Verità il 26/07, ha tracciato il perimetro valoriale attorno a cui ruota ogni destra “che abbia conquistato il consenso dei popoli e il governo”. Una destra, dunque, realista per vocazione: pertanto religiosa per logica (Dio), patriottica per necessità (Patria), comunitaria per istinto (Famiglia).
 
Eppure, dando un’occhiata alla storia, potremmo chiederci se sia questo “soltanto” ciò che abbia contraddistinto, nello specifico, la destra italiana lungo la sua breve storia. Se non occorra “puntellarla” maggiormente. Ernesto Galli Della Loggia è forse uno dei più noti intellettuali che da sempre si batte affinché in Italia possa nascere una destra “finalmente” liberale. Liberale ontologicamente, il che vuol dire: sgombra dalle “storture”, a suo dire, che hanno reso la destra italiana assai differente da quella a vocazione puramente conservatrice o liberale di stampo anglosassone, per esempio.
Destra sociale?
 
Giungiamo così ad uno snodo fondamentale, spesso sottovalutato o ancor peggio dimenticato. Taluni hanno denominato la destra nostrana con l’appellativo “destra sociale”. Può non piacere, ma ciò che emerge è che quell’aggettivo, a ben vedere, non identifica semplicemente una corrente ma, più in generale, la specificità della destra italiana, la quale ha piantato radici nel mondo. “La più audace e mediterranea delle idee” aveva la sua scaturigine nell’ideale di uno Stato organico, il quale postula ex se “l’alternativa al sistema” dei partiti e il superamento del liberalismo così come del socialismo. Ossia l’inserimento delle categorie professionali e dei ceti produttivi al centro della comunità politica, nei posti dove si redigono proposte e si approvano le leggi. Lo stesso Mussolini ebbe a scrivere: “Corporativismo e fascismo sono termini che non si possono dissociare” (“Critica fascista”, 1° gennaio 1931).
 
La ripresa dei motivi corporativi lungo il XX secolo, da parte di molti regimi europei, segnò il punto di contatto tra il messaggio economico sociale del cattolicesimo (superamento del conflitto tra classi sociali e antiliberalismo filosofico-economico) e i nuovi movimenti di ricostruzione nazionale che durante gli anni ’20, ’30 del secolo scorso conquistarono buona parte d’Europa.
Anche Papa Pio XI
 
Pio XI (1857-1939) nell’Enciclica Quadragesimo Anno (1931), parlando del nuovo assetto corporativo italiano, scrive: “Basta poca riflessione per vedere i vantaggi dell’ordinamento per quanto sommariamente indicato; la pacifica collaborazione delle classi, la repressione delle organizzazioni e dei conati socialisti, l’azione moderatrice di une speciale magistratura.” Tuttavia, continua il Sommo Pontefice: “dobbiamo pur dire che vediamo non mancare chi teme che lo Stato si sostituisca alle libere attività invece di limitarsi alla necessaria e sufficiente assistenza ed aiuto, che il nuovo ordinamento sindacale e corporativo abbia carattere eccessivamente burocratico e politico, e che, nonostante gli accennati vantaggi generali, possa servire a particolari intenti politici piuttosto che all’avviamento ed inizio di un migliore assetto sociale”.
 
Quest’ultimo aspetto costituirà il limite dell’esperienza corporativa promossa dal Fascismo e il pungolo per gli altri regimi europei a che si dotassero di una conformazione statuale corporativa quanto più vicina alle indicazioni fornite dalla Dottrina sociale della Chiesa: l’Estado Novo portoghese di Antonio de Oliveira Salazar (1889-1970) e il Christilicher Ständestaat (Stato corporativo cristiano) del cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss (1892-1934), ne sono un esempio su tutti.
 
Il riferimento al corporativismo e l’ambizione alla ricostruzione di una società organica, ossia di una societas formata non da un insieme di individui isolati, ma da un insieme di famiglie e di corpi intermedi che si situano tra l’individuo e lo Stato e che hanno una rappresentanza politica, non può essere omesso né può essere ritenuto irrilevante o utopico, quasi si trattasse di una labile fiammata di inizi XX secolo. Le sue radici profonde vanno ricercate nelle comunità politiche antecedenti la Rivoluzione francese. Ed è proprio questa connessione tra passato e futuro che necessita di esser messa in risalto e che consente di addentrarsi in quella parola magica che è la “Tradizione”. La quale, è bene precisare con vigore, prescinde dal riferimento ai fascismi europei, seppur in essi abbia potuto qui e là innervarsi talvolta con molta fatica, talora con più scioltezza ma non senza contraddizioni.
 
Nel 1995 l’ex segretario del Msi-Dn Pino Rauti, dal palco di Fiuggi, dove si celebrava il XVII nonché ultimo Congresso nazionale del partito, denunciò l’abbandono, da parte della nascente Alleanza Nazionale, della progettualità corporativa: “C’è, è evidente e la stampa l’ha colta subito – egli disse – la rinuncia al corporativismo il che implica la rinuncia a tutto il nostro programma sociale”. Sforzandosi inoltre nel precisare l’autentica concezione corporativa, che non doveva essere confusa con una battaglia di retroguardia volta a difendere un ceto sociale, una posizione raggiunta: “(…) tra persone che fanno politica il corporativismo era ed è quell’impostazione che mirava alla creazione di uno Stato organico, all’inserimento delle categorie nella struttura giuridica dello Stato”.
 
Quella di. Rauti non era una mera forma di nostalgismo come sovente è stata intesa. “Non è il passato che mi preoccupa, è l’avvenire!” ripeteva spesso e ripeté ancora in quell’intervento dal titolo quanto più eloquente: Alternativa e futuro: “Non c’è nell’art. 1 nuovo – affermava con insistenza – quello che invece non mancava ovviamente nell’articolo 1 dell’ancora vigente statuto: “Mediante l’alternativa corporativa” il che stava a significare tutta intera la nostra progettualità verso un altro nuovo tipo di Stato, di economia, di società al limite, sia pure finalisticamente e strategicamente, verso un altro modello di sviluppo”.
 
La posizione di Pino Rauti non venne compresa, o peggio, venne scambiata per fossilizzazione inutile su di un passato ormai morto e sepolto. L’aspetto più tragico, se si vuole, è che il passato a cui faceva riferimento Rauti aveva molto più a che fare con la civiltà cristiana che con l’esperienza del ventennio.
 
Erano gli insegnamenti di Leone XII (1810-1903) e di Pio XI, con le Encicliche Rerum Novarum e Quadragesimo Anno, nei loro principi universali, ad essere messi in discussione, e non banalmente la Carta del Lavoro del 1927.
 
La posizione di Rauti uscì sconfitta dal Congresso. Culturalmente, invece, essa ha necessità di vivere, di essere depurata alla luce dell’etica cristiana e di quelle che furono delle evidenti storture di ordine storico. La destra ha sempre raccolto attorno a sé sensibilità varie, progettualità diverse, ispirazioni simili ma declinate in maniera differente. Nessuno osa mettere in dubbio ciò. Talvolta però è necessario definire con maggior precisione cosa rappresentò la destra nel ‘900, servendosi magari di qualche spunto offertoci dal passato al fine di capire cosa è stata, cosa è oggi e, infine, cosa vorrà essere domani.
 



"MELISSANO dal dopoguerra ad oggi" a cura di Roberto Tundo


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"In linea con le idee" di Annamaria Sperduto, edizione Booksprint - Prefazione di Isabella e Alessandra Rauti


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Ci lega all’Autrice una solida ed antica amicizia. È un’eredità affettiva trasmessa e lasciataci dai nostri genitori che hanno avuto con Anna Maria Sperduto e suo marito Emilio Durante un rapporto di amicizia duraturo e costante ed una condivisione e militanza politica, ininterrotta e sempre leale. Fino alla fine. È anche per questo legame profondo, sentimentale ed ideale, personale e politico – e forse anche per la nostalgia dell’assenza – che l’Autrice nella parte iniziale, si immerge in alcuni scritti di nostro padre, li rilegge, li stralcia, li riporta, si immedesima analizzandoli o raccontandoli. Suggestioni ed emozioni che l’Autrice prova in prima persona e vorrebbe trasmettere al lettore. Attraverso questo lavoro di “cucitura” – operato sulla base di molta documentazione in originale in suo possesso – di alcuni brani e passi di articoli e del libro magistrale di nostro padre, Pino Rauti “Le Idee che mossero il mondo”, si citano realtà culturali e politiche come le Riviste di “Ordine Nuovo “, “Presenza”, “Civiltà “ e del giornale “Linea” ; ma trovano spazio anche le citazioni di documenti fondamentali, vere e proprie pietre miliari, come le mozioni congressuali missine elaborate e presentate dalla componente rautiana, da “Spazio Nuovo “ ad “Andare oltre” ed alcune iniziative prese durante la segreteria Rauti del MSI nel 1990. E così l’ordito delle pagine restituisce frammenti della storia del Partito ma anche dello sviluppo del pensiero politico rautiano e ne emerge la visione profetica di allora e la perenne attualità di oggi: dalle riflessioni sulla globalizzazione alla denuncia del rischio dell’islamizzazione dell’Europa; dalle analisi sul terrorismo a quella di politica estera e geopolitica. L’Autrice, in questa parte dello scritto, prende per mano il lettore e lo accompagna lungo la ricostruzione di un percorso e lo fa seguendo un suo viaggio, fatto di immagini e citazioni testuali, talvolta con voluta discontinuità temporale, per poi ritornare alla “trama” principale che è la storia delle idee, la permanenza delle idee, e la loro forza motrice, la loro spinta nelle persone, nelle rivoluzioni, nel mondo, almeno secondo (ossia in linea) con una certa visione della vita, ben sintetizzata ed espressa anche dalla citazione fronte testo di Marcello Veneziani che definisce le idee “una guida”. Ogni elemento selezionato e riportato nel testo risponde ad un imperativo che è quello della centralità delle idee ed in questo senso, la prima parte dello scritto aiuta a ricordare nostro padre ed i suoi insegnamenti politici e di questo omaggio amicale siamo grate; ma le pagine servono anche a ricordare, a tutti coloro che cedono alla tentazione del nichilismo e si arrendono alla cosiddetta era post-ideologica, che al di là ed oltre la fine delle ideologie, restano le idee, resta la Patria, restano le radici e le identità e – anche – a ricordare che alcuni maestri non muoiono mai.
L’Autrice prosegue il suo viaggio tra le idee, compiendo una virata e facendo un salto dalle tematiche squisitamente politiche per approdare a quelle femminili e lo fa con la sua personale sensibilità di donna e di madre e dedica lo scritto “A NOI DONNE”. Lo spazio dedicato alle questioni femminili parte dalla considerazione di fondo della “condizione di subalternità femminile e di discriminazione” delle donne nella storia di tutti tempi e in tutto il mondo. L’analisi prosegue ponendo l’attenzione e la penna sull’evoluzione normativa, anche a livello internazionale, sui diritti delle donne e sulle “pari opportunità”, nonché sulle dieci Leggi che hanno cambiato la situazione femminile in Italia, fino ad arrivare ai più recenti interventi legislativi di settore. L’Autrice, oltre al quadro ed agli aspetti normativi che costituiscono il perimetro di riferimento della materia, sottolinea le tante drammatiche emergenze che rappresentano un mondo sommerso di dolore, quello delle violenze sulle donne – subite, in particolare tra le mura domestiche e all’interno delle relazioni interpersonali sentimentali – ma anche dei fenomeni delle spose bambine e dei matrimoni forzati e precoci e del turismo sessuale che vittimizza migliaia di bambine e di bambini. La lunga esperienza di insegnante dell’Autrice – professione svolta con grande passione e profonda sensibilità – la porta a denunciare con forza la condizione di sfruttamento dei minori ed a rivendicare la centralità di idee giuste e che siano queste a governare le azioni ed i destini.

Isabella e Alessandra Rauti