Barbadillo.it - "Conservare la Natura": viaggio nella vocazione della destra ambientalista


Francesco Giubilei si cimenta in un saggio su un tema di cui il mondo progressista vorrebbe detenere il monopolio

Lo scrittore Francesco Giubilei sfonda una porta tanto aperta che, negli anni, in molti si son presi la licenza o di non vedere o di non attraversare. L’incrocio cioè tra ambiente e destra. Sì, perché i temi dell’ecologia appartengono di buon diritto anche all’altra metà della sfera politica. Non solo ai progressisti o ai globalisti. Un punto che prima o poi andava ribadito, rompendo le catene di un’ideologizzazione verde sempre più forzosa e che non accetta intrusioni o contributi altri. Ma che invece ci sono e sono radicati in una diversa lettura dello sviluppo economico e nella critica comunitaria al modello dominante di industrializzazione capitalista.

Scrivendo Conservare la natura. Perché l’ambiente è un tema caro alla destra e ai conservatori (Giubilei Regnani, 2020), Giubilei rimette le cose al loro posto e al tempo di Greta Thunberg e della sovraesposizione progressista in questo ambito, propone una narrazione che per vastità e complessità merita di essere affrontata fuori dalla mode del momento e dalle semplificazioni culturali.

Buonsenso
L’ambiente è di tutti e tutti se ne devono occupare. Ognuno con il suo approccio, le proprie gradualità e le relative sensibilità. Giubilei ragiona da conservatore (ma in un’accezione vasta, che ricapitola cioè il ventaglio di frequenze del pensare a destra). Che vuol dire? Non assolutizzare le questioni ambientali (o, nello specifico, i cambiamenti climatici) e armonizzarle con i temi del lavoro e della salute. Perché le ricette che puntano massicciamente alle sole questioni ecologiche, senza badare agli effetti occupazionali, rischiano di essere indigeste a chiunque. O, peggio ancora, inutili.

Partire dalle comunità

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Eccolo: «È necessario sviluppare la conservazione della natura a partire proprio dalle piccole comunità, dai quartieri, dai comuni, dai corpi intermedi: solo un ambientalismo (o meglio un’ecologismo) dal volto umano può avere a cuore le persone. Una reale salvaguardia della natura non viene attuata solo perché lo Stato (o l’Unione Europea) impone leggi e obbliga i cittadini a seguire determinati comportamenti, è piuttosto il risultato della volontà delle persone di vivere in un ambiente salubre, di avere riguardo degli spazi verdi vicini a casa propria, di non gettare rifiuti o inquinare i luoghi in cui si vive».

Giubilei mette anche in luce l’ipocrisia di chi, dietro il paravento delle questioni ambientali, spinge il piede sulla leva del prelievo fiscale: «È evidente che lo Stato debba svolgere una funzione di controllo verso i comportamenti poco virtuosi, multando chi trasgredisce e incentivando le aziende e i privati che scelgono di investire a favore della tutela dell’ambiente, ma è altrettanto importante svolgere un’attività di sensibilizzazione dei cittadini per educarli, senza però colpirli con le cosiddette “tasse etiche”».

Chiesa e fraintendimenti
Conservare la natura contribuisce inoltre a rendere l’insegnamento dei papi sulla difesa del creato intellegibile a chiunque. Compreso quello di Bergoglio, su cui – a dire il vero – le destre hanno riservato finora un giudizio frettoloso. L’autore fa un passo utile alla comprensione del magistero bergogliano, mettendo in chiaro i contenuti del pontefice argentino (come nel caso emblematico della “Laudato si’”), dove la cura della «nostra casa comune» e l’opzione per i poveri procedono di pari passo. Giubilei non manca tuttavia di porre attenzione alle voci critiche circa il sinodo sull’Amazzonia.

Come detto, c’è un ambientalismo di destra che viene da lontano e che andava ricapitolato. Spesso poco raccontato. Ma generoso. Prima di Greta c’erano i Gar (Gruppo Azione Risveglio) e i Gre (Gruppi di ricerca ecologica) e l’impegno pionieristico del leader missino Pino Rauti, «firmatario, nel 1982, della prima proposta di legge in difesa dell’ambiente mai presentata nel Parlamento italiano».  C’era il pensiero ecologista di Rutilio Sermonti e l’iniziativa di Fare Verde (vedi il lavoro di ricerca promosso da Barbadillo e citato nel saggio). C’era soprattutto un grande testimone: Paolo Colli – fondatore di Fare Verde ed esponente della comunità politica di Colle Oppio –, andato via troppo presto per un male incurabile. Uno di quelli che sul campo ha dato tutto se stesso – in prima linea nel volontariato in Kosovo e Nigeria –, pagandone gli effetti sulla propria pelle. Quel che resta della sua testimonianza è un esempio solare di umanità e passione.

@fernandomadonia

@barbadilloit

[Fonte: www.barbadillo.it]

Conservare la natura – Da pagina 149 a pagina 155




"Ugo Venturini - Un operaio dimenticato", la prima vittima degli anni di piombo, di Massimo Lionti


Un operaio dimenticato - 1Un operaio dimenticato - 2

Cinquant’anni sono il discrimine temporale nel quale si dimentica o si ricorda per sempre. E noi abbiamo il dovere di custodire e trasmettere la memoria dei nostri Caduti e riabilitare le verità negate affinché diventino Storia. E tutta la tragica stagione dei cosiddetti “anni di piombo” esige una rilettura anche politica ed una ricostruzione attenta dei singoli episodi che restituisca il quadro di insieme e racconti, tra luci ed ombre, quale strategia sia stata orchestrata per alimentare gli opposti estremismi e la logica del “nemico principale”.
E’ una storia che non riesce a passare quella degli anni bui e di piombo; non passa perché  troppi assassini sono rimasti impuniti e perché contro il ricordo dei nostri martiri, “il vento soffia ancora” , ieri come oggi, lo stesso vento dell’antifascismo militante e della logica per cui “uccidere un fascista non è un reato”.
In queste pagine – e ringrazio l’Autore per il lavoro serio ed appassionato – si ricorda il sacrificio di Ugo Venturini, giovane operaio edile e militante missino, ferito a morte il 18 aprile 1970, mentre assisteva a Genova in Piazza Verdi  ad un legittimo comizio elettorale del Segretario Giorgio Almirante. E’ la storia del primo caduto missino dei lunghi “anni di piombo”; non c’è una sparatoria, uno scontro armato o una traccia di terrorismo come non c’è nessuna responsabilità – tranne la propria fede politica e l’appartenenza ai Volontari Nazionali – riconducibile alla vittima ma lo scenario è quello di un agguato vigliacco, un assalto come tanti in quegli anni,  per impedire lo svolgimento di una manifestazione del MSI. Insomma, la persecuzione di un’Idea, la violenza e l’odio politici.
Contro il palco e la Piazza del comizio del MSI, quel giorno i “democratici” contestatori lanciarono sassi, pietre e bottiglie piene di sabbia, una di queste colpì e ferì Ugo Venturini che morì il 1 maggio successivo, dopo giorni di agonia; il giornale “Lotta Continua” titolò trionfalmente disgustoso: “Giustiziato il fascista Venturini” e nessun ricorda alcun gesto di pietà pubblica. Solo fiumi di odio da parte delle forze politiche avversarie, negligenze nelle indagini che non fecero mai piena luce sui fatti di quel giorno, sulle identità e  responsabilità degli aggressori e, anche in questo caso,  gli assassini sono rimasti impuniti.
Nell’accurata ricostruzione di Massimo Lionti non mancano elementi e riferimenti importanti a quella “nulla giudiziario” che ha avvolto il caso Venturini,  alle  responsabilità non sufficientemente indagate degli aggressori  ed alla pista di Lotta Continua, una delle maggiori formazioni della sinistra extraparlamentare italiana, che negli anni ha supportato la lotta armata, la stessa praticata anche da Potere operaio e dalle cellule dell’ultrasinistra che hanno agito nelle maggiori città italiane compiendo  crimini per lo più rimasti senza autore.
Ugo Venturini è stato pianto e ricordato negli anni solo dal Msi, da quelli della sua stessa parte e poi da quella comunità umana che non ha voluto dimenticarlo neanche nella diaspora di un mondo politico; e ad ogni ricorrenza e commemorazione l’antico odio comunista riprende consistenza e si scatena in contromanifestazioni per un nuovo oltraggio anche alla memoria. Non viene accettato neppure il diritto di intitolare al  suo nome di martire le nostre sedi ed i circoli di Partito, più volte assaltati né viene riconosciuto il dovere della città di Genova perchè non si deve ricordare “il Fascista Venturini”. E  non è stato facile né indolore arrivare al primo aprile 2012, all’ intitolazione del Viale (la targa è stata successivamente danneggiata nel 2015 e ripristinata) a distanza di un anno dalla delibera del Municipio interessato e del parere favorevole (finalmente!) della Commissione Toponomastica del Comune.  E se questa è la cronaca della mancata pacificazione nazionale, la sua storia viene da lontano e voglio raccontarne una parte riportando qualche stralcio dell’editoriale “Chi sono, chi siamo”, di mio padre Pino Rauti comparso sul Secolo d’Italia l’11 gennaio del 1979, nel primo anniversario della strage di Acca Larenzia (Roma), quando Il  Ministero degli Interni aveva vietato ogni manifestazione di commemorazione. “(…) si realizza, lo stesso “gioco”: lo stesso squallido e sanguinoso giuoco: mettere in piedi un meccanismo di tensioni, di azioni e di reazioni, di esasperazioni, che poi fanno da retroterra ad oscuri e torbidi episodi il cui risultato politico è uno solo, quello di continuare a scagliare la sinistra più o meno estrema contro i giovani del nostro schieramento politico. E intanto l’antifascismo si rimobilita, dà fiato a tutte le sue trombe, rincolla i suoi cocci (…).Ogni ragionamento coerente appare ormai insufficiente. Perché viviamo in tempi nei quali il livello di violenza, tende ad espandersi, e il suo richiamo torbido e vischioso filtra, si insinua e si diffonde per mille e mille rivoli, (…); soprattutto quando sull’altro versante politico, sia il sistema nel suo complesso e sia la sua “ala sinistra” continuano ogni giorno ad assestare i colpi della sopraffazione, della più ottusa discriminazione (…).

Rauti rivolge un ’appello ai giovani di destra contro la deriva del terrorismo e li esorta a non cadere nella trappola ed a superare gli opposti estremismi e “l’istigatissimo odio forsennato”: “ Il terrorismo non è nostro; non è nelle nostre tradizioni, non c’è mai stato; non ha il benché minimo diritto di entrarvi. (…) Esso promana dall’anarchismo, ha accompagnato e quasi ritmato le fasi più aspre della lotta politica marxista, ha trovato il suo nuovo rilancio nel partigianesimo durante la seconda guerra mondiale ed è lì, infatti, che si riferisce e si autogiustifica; Noi veniamo da un’altra storia, da ben altro filone di vita e di battaglia; (…); noi veniamo dal combattentismo, dal volontariato, dall’arditismo; da tutto ciò che, anche in termini di durezza, ha sempre, dico sempre, postulato il pagare in prima persona, il battersi a viso aperto; il non colpire mai alle spalle; il non emergere vigliaccamente dall’ombra; il non coinvolgere gli innocenti e gli inermi”.

Questa era ed è la differenza tra noi e loro. E la riflessione ,contenuta nell’articolo, sulla violenza politica di quegli anni rappresenta un documento storico valido e di valore ancora oggi, utile per interpretare la cronaca e per leggere la storia che ci portiamo dentro ed addosso. E per non dimenticare chi siamo e da dove veniamo e per onorare chi è caduto durante il cammino.

Isabella Rauti
(Presidente del “Centro Studi Pino Rauti”)




Secolo d’Italia - La Mozione che reca come primo firmatario l’on Rauti “Spazio Nuovo” (inserto del 15 settembre 1979)


La Mozione che reca come primo firmatario l’on Rauti “Spazio Nuovo” [testo]; Le adesioni

Secolo d’Italia del 15-9-1979 – La mozione “Spazio Nuovo” – Pp 1-12
[File pdf – 2 Mb]

Mozione-Rauti-pag1  Mozione-Rauti-pag2 Mozione-Rauti-pag3 Mozione-Rauti-pag4 Mozione-Rauti-pag5 Mozione-Rauti-pag6 Mozione-Rauti-pag7 Mozione-Rauti-pag8 Mozione-Rauti-pag9 Mozione-Rauti-pag10 Mozione-Rauti-pag11 Mozione-Rauti-pag12




Intervista a Pino Rauti estratta dal video “Nero è bello” di Giampiero Mughini del 6 dicembre 1980


https://www.youtube.com/watch?v=dBLfAQ5rMZA




Pino Rauti sulla mozione "Spazio Nuovo" al XII Congresso Nazionale del Movimento Sociale Italiano - Destra nazionale, Napoli, 6 ottobre 1979


https://www.youtube.com/watch?v=wog_0y4-atM




Diorama Letterario - "Il tema"


Diorama

Nell’ultimo numero di Diorama Letterario, una interessante recensione ed analisi a firma di Marco Tarchi, sulla corrente nazional-rivoluzionaria del Msi.
Il pensiero lungo continua a far riflettere.

Diorama Letterario
[File pdf – 2 Mb]




TgVercelli.it - Nasce la sezione di Vercelli del Movimento Fiamma Tricolore


Riceviamo e pubblichiamo

Si comunica che è stata costituita la Sezione di Vercelli del Movimento Sociale Fiamma Tricolore, il movimento fondato dall’on. Pino Rauti nel 1995 e che attualmente è guidato da Attilio Carelli, ritorna ad operare politicamente dopo alcuni anni, ricordiamo infatti che dal 1998 al 2013 in provincia la Federazione del MSFT aveva svolto una intensa attività politica, partecipando a diversi appuntamenti elettorali.
Un gruppo di militanti ha in questi giorni deciso di riaccendere la Fiamma degli italiani nella nostra città e nella nostra provincia.
“Il Movimento Sociale Fiamma Tricolore è un’organizzazione politica, ispirata a una concezione spirituale della vita, che ha il fine di garantire la dignità e gli interessi del popolo italiano, nella ininterrotta continuità storica delle sue tradizioni di civiltà e nella sua prospettiva di una più vasta missione occidentale, europea, mediterranea. Il MSFT si propone la realizzazione dello Stato Nazionale del Lavoro, per il raggiungimento – mediante l’alternativa corporativa – dei più vasti traguardi di giustizia sociale e di elevazione umana, nel rispetto della libertà per tutti e nell’armonia dell’ordine con la libertà.”

Sono state aperte una pagina Facebook e una casella di posta elettronica

Fiamma Tricolore – Vercelli

[Fonte: tgvercelli.it]




InTerris.it - Mattarella ricorda la strage di piazza della Loggia a Brescia


Il Presidente della Repubblica ricorda l’attentato terroristico fascista compiuto il 28 maggio 1974 a Brescia in cui morirono 8 persone

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rilasciato una dichiarazione per ricordare l’anniversario della strage di piazza della Loggia, l’attentato terroristico fascista compiuto il 28 maggio 1974 a Brescia, nella centrale piazza della Loggia. Una bomba nascosta in un cestino portarifiuti fu fatta esplodere mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista. L’attentato provocò la morte di 8 persone e il ferimento di altre 102. Dopo molti anni di indagini, depistaggi e processi, vennero riconosciuti colpevoli e condannati alcuni membri del gruppo neofascista Ordine Nuovo; quali esecutori materiali vennero riconosciuti Maurizio Tramonte (condannato in appello, in qualità di “fonte Tritone” dei Servizi Segreti Italiani), assieme ai già detenuti Carlo Digilio (addetto agli esplosivi) e Marcello Soffiati (che aveva trasportato l’ordigno). Come mandante è stato condannato, in appello, il dirigente ordinovista Carlo Maria Maggi. Gli altri imputati, tra cui Delfo Zorzi, il generale Francesco Delfino e l’ex segretario del MSI e fondatore del Centro Studi Ordine Nuovo Pino Rauti furono invece assolti. Quello di Piazza della Loggia è considerato uno degli attentati più gravi degli anni di piombo, assieme alla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 (17 morti), alla strage del treno Italicus del 4 agosto 1974 (12 morti) e alla strage di Bologna del 2 agosto 1980 (85 morti).

La dichiarazione del Presidente

“La ricorrenza della strage di piazza della Loggia, compiuta da terroristi neofascisti, viene celebrata quest’anno dalla città di Brescia, incamminata sulla strada della ripresa civile, economica, sociale dopo che l’emergenza sanitaria causata dal Covid 19 ha assunto tra la sua gente le dimensioni di una immane tragedia. Brescia ha risposto, ora come 46 anni fa, con coraggio, con dignità, con la solidarietà di cui la sua comunità è capace. L’unità con la quale i bresciani reagirono all’attentato terroristico del 1974 fu decisiva per spezzare la catena eversiva che, attraverso una scia di sangue e di morti innocenti lunga diversi anni, intendeva minare le fondamenta popolari della democrazia e colpire i principi costituzionali. L’impegno e la solidità democratica di Brescia sono divenuti una testimonianza per l’intero Paese, e il presidio della memoria, coltivato dai familiari delle vittime, dalle istituzioni locali, dalle formazioni sociali costituisce tuttora un valore quanto mai prezioso e un bene comune, a disposizione anzitutto delle generazioni più giovani”.

“Riprendere il cammino dopo la sofferenza, il dolore, il lutto è sempre faticoso – prosegue il Capo di Stato -. Ancor più sentiamo il bisogno di una comunità partecipe quando non abbiamo da soli le forze per superare un’avversità. Insieme è possibile. Dopo la bomba del 28 maggio non è stato facile giungere alla verità e completare il percorso della giustizia. Oggi esprimiamo riconoscenza agli uomini dello Stato che hanno contribuito a svelare le responsabilità e ricostruire il piano eversivo in cui l’attentato era inserito. Insieme a loro, ringraziamo quanti hanno tenuto sempre viva la domanda di giustizia. Ai familiari di chi fu ucciso, ai tanti feriti, agli amici e ai compagni di lavoro la Repubblica rinnova il sentimento più intenso di vicinanza e solidarietà. Il legame di Brescia con la democrazia – conclude Mattarella – con la storia e lo sviluppo del nostro Paese, si manifesta sempre più saldo”.

[Fonte: www.interris.it]




In ricordo e ad onore di Pino Rauti


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Pregiatissima Signora RAUTI mi permetto di rivolgerLe un affettuoso saluto alla memoria di Suo Papà che ho avuto la fortuna di conoscere dal 1978 presso il parcheggio della Camera dei deputati ove svolgevo la mansione di parcheggiatore.
Quasi giornalmente ci si incontrava e, con affettuosa e paternale simpatia, Suo papà aveva per me sempre una particolare attenzione fermandosi spesso ad interloquire con me, con l’umile pazienza che ha chi molto sa, sui dubbi politici che gli manifestavo. Ho molto imparato da Lui.
Per reciproca simpatia ci scambiammo doni: io lo omaggiavo di olive greche kalamon e pistacchi (le mie origini sono greche per parte di mamma) mentre Lui ricambiò donandomi l’intera collana della “STORIA DEL FASCISMO” (purtroppo distrutta da allagamento) e il libro con dedica autografa “LE IDEE CHE MOSSERO IL MONDO”.
Questa la premessa.
In questo periodo mi sono dedicato alla lettura e, rileggendo il libro per la terza volta, ne ho apprezzato ancor di più la profonda cultura e la lungimiranza del “POLITICO DI RAZZA” (razza ormai quasi estinta!).
In particolare le analisi e le riflessioni formulate nell’ultimo capitolo sono di impressionante attualità.
Mi permetto di rivolgeLe l’invito a ravvivare le “preziose fonti di pensiero” che il Suo papà ci ha donato in eredità.
Non vorrei esserLe sembrato retorico o peggio nostalgico ma confido e spero di potermi un giorno riavvicinare alla “POLITICA” da molto tempo abbandonata perché divenuta ormai “politica”.
Ci spero ancora!
Grazie per l’attenzione che ha voluto riservare alla presente e, con l’occasione Le formulo i miei migliori saluti unitamente agli auguri di buon lavoro in questo difficile momento.

Pericle SAVINO




ilfoglio.it - Non poteva che essere Parigi il cuore dell’Atlante ideologico sentimentale di Solinas


Le passioni totalizzanti di una vita in ottocento pagine

Con le sue oltre 800 pagine che lo rendono arduo persino da maneggiare, questo Atlante ideologico sentimentale di Stenio Solinas (GOG editore) è una sfida mica da niente per il lettore. Da quanto Solinas lo ha inzeppato delle passioni totalizzanti di tutta una vita, a cominciare dal fascino irresistibile che su di lui esercita la Parigi degli anni che precedono e seguono la Seconda guerra mondiale.

Lui nato nel 1951 e dunque di dieci anni più giovane di me, ho conosciuto Solinas la bellezza di quarant’anni fa. Nei Settanta era stato uno dei giovani intellettuali più vicini a Pino Rauti, il fondatore e leader di “Ordine nuovo”, gente che nei miei vent’anni non era stata tra i miei preferiti. Solo che già quarant’anni fa avevo imparato il gusto delle sfumature, il fatto che ogni persona è un romanzo a sé quale che sia la sua matrice ideologica di partenza. Ci tenevo così tanto a capire che gente fossero Stenio e i suoi coetanei di formazione politico/ideologica detti di “nuova destra”, Marco Tarchi, Umberto Croppi, Giuseppe Del Ninno, Paolo Isotta, Maurizio Cabona. Cominciai a frequentare la ospitalissima casa romana di Stenio, dov’era la prima volta nella storia della repubblica che cenavamo amicalmente gli uni accanto agli altri gente di sinistra – Oliviero Beha uno di questi – e loro di destra. Nacque da quegli incontri e da quelle cene un libro bellissimo curato da Solinas e da Cabona nel 1984, C’eravamo tanto a(r)mati, che credo abbia avuto un ruolo importante nel seppellire la libidine psicotica dell’“antifascismo militante”, quella pulsione ossessa che se ne faceva un dovere morale dello scontro fisico a tutti i costi tra noi di sinistra e loro di destra. Più tardi Solinas sarebbe divenuto il capo delle pagine culturali del Giornale diretto da Vittorio Feltri. Quel mestiere di giornalista nel 2000 divenuto per lui meno decisivo che non i suoi numerosi libri, ogni volta saggi tesi a individuare e raccontare personaggi situati alle latitudini morali le più instabili e le più irrequiete del Novecento. Una cosa Stenio e io abbiamo visceralmente in comune, quella di non riuscire a traslocare dalle topografie intellettuali del Novecento, che per noi due costituiscono allo stesso tempo un paradiso e un inferno.

Brasillach si era abbeverato a quello stile che nell’avversario politico vedeva un nemico da annientare, e di quello stile aveva continuato a servirsi quando i nazi erano padroni di Parigi. La motivazione della condanna, che lui fosse colpevole di “tradimento” per essersi fatto paladino di un’alleanza con i tedeschi, è risibile. Il governo di Charles Pétain che patrocinava quell’alleanza era un governo pienamente legittimo, lo aveva autorizzato il Parlamento più a sinistra della storia di Francia, quello eletto nel 1936 ai tempi della vittoria del Front Populaire. Il fatto è che la Francia reale del 1940 e anni seguenti era la Francia annichilita e prostrata dall’assalto delle Panzerdivisionen. E comunque furono tantissimi, da François Mauriac a Albert Camus, gli intellettuali che a Charles De Gaulle chiesero invano la grazia per Brasillach.

Non ricordo esattamente quando ho incontrato e letto per la prima volta Brasillach, di certo quando da studente che viveva a Parigi con una borsa di studio giravo incessantemente per le librerie del Quartier a pizzicare qualche libro. Non è uno scrittore tra i massimi in assoluto, ma è un autore e un personaggio “incontournable”, da cui non puoi prescindere se vuoi capire gli anni e le tragedie della sua generazione. Nella seconda metà degli anni Ottanta sono stato nella casa parigina, a un passo dall’École Normale, dove Brasillach aveva vissuto con sua sorella e con il cognato Maurice Bardèche sino al momento del suo arresto. Con l’ascensore arrivai al terzo piano, ma non sapevo a quale delle tre porte corrispondesse l’appartamento di Bardèche. In quel momento da una delle tre porte vidi uscire tre giovani che ce lo avevano scritto in fronte di essere dei giovani di destra. Chiesi loro se sapessero qual era l’appartamento di Bardèche. “Il n’est pas là”, risposero diffidenti. “Je suis un journaliste italien, j’ai un rendez-vous avec lui”, replicai. Mi indicarono la porta da cui erano appena usciti.

L’appartamento era tale e quale quello del 1944, solo che lo scrittoietto con ribaltina su cui Brasillach aveva battuto a macchina i suoi libri era stato spostato da una parete a un’altra. Con Bardèche ci rintanammo in una stanzetta più piccola. Mi disse più volte che lui e suo cognato non avevano saputo nulla dell’entità omicida della politica antisemita dei nazi. Mi regalò una copia del libro di Le Mensonge d’Ulysse, il libro del socialista Paul Rassinier che inaugura il filone del “negazionismo” francese, gli autori che negano l’esistenza delle camere a gas nell’avere massacrato gli ebrei. Un filone di cui ho poi letto praticamente tutto, e i pro e i contro. Tra gli autori che hanno dato addosso al “negazionismo”, lo storico Pierre Vidal-Naquet è il maggiore. Sono stato anche a casa sua, un’abitazione al Quartier distante poche centinaia di metri da quella di Bardèche. A un certo punto mi condusse verso una vetrinetta dov’erano custodite le prime edizioni di Molière, libri di cui suo padre, un sarto ebreo assassinato ad Auschwitz, era stato un ardente collezionista.

[Fonte: www.ilfoglio.it]