secoloditalia.it - Giornata Tricolore: a Custonaci politici e intellettuali a confronto sulle nuove sfide dell'Italia


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Si terrà a Custonaci (Trapani) sabato 30 settembre (ore 10) presso la Sala Conferenze di Villa Zina Park Hotel, la tradizionale «Giornata Tricolore», che in questa undicesima edizione ha per tema «Governare il Futuro – La nuova sfida dell’Italia».

«La «Giornata Tricolore 2023» affronterà il fenomeno della globalizzazione, che ha già cambiato, e che continuerà a farlo, la nostra società, il nostro modo di vivere e la nostra cultura. È, infatti, un processo sociale veloce, silenzioso e non appare, ad oggi, possibile contenerlo. Tuttavia, dinanzi a certe derive, è invece auspicabile «governare il futuro» soprattutto in questa sua attuale fase di trasformazione e guidare, da parte delle classi dirigenti, il cambiamento, garantendo un sano esercizio alla partecipazione.
Immaginare il domani, e gettarne le fondamenta, significa infatti identificare ed implementare i principi che governeranno la nostra società negli anni a venire, con l’auspicio che possano essere, sotto il profilo sociale, culturale ed economico, alla portata di una sempre più larga parte della popolazione.

Nel corso della manifestazione si ragionerà, pertanto, sulle «nuove sfide» che attendono l’Italia. Anche per quest’anno, insieme al «Centro Studi Dino Grammatico», ad organizzare l’evento, patrocinato dalla fondazione «Alleanza Nazionale», hanno voluto rispettivamente esserci le fondazioni «Tatarella», «Almirante», «Tricoli», «Stato e Partecipazione», i centri studi «Nazione Futura», «Pino Rauti» e l’ISSPE («Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici»).

Saranno presenti, dunque, i rappresentanti degli istituti culturali appena citati e con loro numerosi esponenti del panorama politico italiano. Mentre il «Premio per la Cultura della Legalità 2023» (ovvero una piccola quercia, che rappresenta il radicamento ai valori legalitari, realizzata in marmo di Custonaci ad opera dello scultore Giuseppe Cortese), è stato assegnato a Liliana Riccobene (moglie dell’agente di Polizia penitenziaria Giuseppe Montalto vittima per mano mafiosa), per aver voluto testimoniare, in tutti questi anni, l’affermazione della «cultura della legalità». A moderare l’incontro sarà, infine, il giornalista Fernando Massimo Adonia («LiveSicilia»).

[Fonte: www.secoloditalia.it]




Telex - Pino Rauti, la sua posizione al Congresso di Fiuggi del 27/01/1995 - Intervista


https://www.youtube.com/watch?v=3Hb2p6hrszo




30 settembre, ore 10:00 - "Giornata Tricolore 2023 - Governare il Futuro. La nuova sfida dell'Italia", organizzata dal Centro Studi Dino Grammatico, a Custonaci, Villa Zina Park Hotel


Giornata Tricolore 2023




IlGiornale.it - Rossi ma bruni. Gli opposti coincidono. I nemici comuni? Società aperta e mercato


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Tra le categorie politiche più suggestive e al tempo stesso difficilmente realizzabili quando dalla teoria si passa alla pratica c’è senza dubbio quella del rossobrunismo. Complesso dare una definizione precisa del concetto di rossobruni, di certo si tratta di una convergenza tra mondi all’apparenza distanti e antitetici come destra e sinistra che, teorizzato un superamento delle tradizionali categorie, si ritrovano su un terreno comune. La critica al capitalismo e alla globalizzazione rappresentano due elementi cardine dei rossobruni intesi come chi manifesta simpatie verso idee e personalità apparentemente distanti dalla propria radice ideologica. Tra le figure più note e considerate un riferimento dai rossobruni ci sono Eduard Limonov e Alain De Benoist che teorizza un superamento dei concetti di destra e sinistra con l’unione delle forze populiste contro le élite. Guillaume Faye ideò il Gruppo di Ricerca e Studio per la Civiltà Europea (G.R.E.C.E.) teorizzando un «gramscismo di destra» e la necessità di nuove categorie: «la nostra società non è più ispirata dal rinnovamento della sua ideologia. Questa ideologia è oggi al suo culmine e quindi all’inizio del tramonto, le idee morte sono diventate canoni morali, sistemi di abitudini, tabù ideologici, che non entusiasmano più». Proprio in Francia alle presidenziali del 2017 Marine Le Pen chiese ai sostenitori di Mélenchon di votarla per contrastare gli europeisti di Macron.
Se non tutti i tentativi di una visione comune tra destra e sinistra si possono ascrivere alla categoria di rossobrunismo che ha proprie specificità, va detto che la storia della destra italiana è costellata da «sfondamenti a sinistra», in particolare sui temi sociali ed economici.Il caso più celebre rimane senza dubbio quello di Pino Rauti che teorizzò lo sfondamento a sinistra del Msi venendo eletto segretario del partito nel 1990 a capo della corrente Andare oltre e cancellando la dicitura «destra nazionale» cara ad Almirante. Si tratta di una convergenza non solo sui temi economici ma anche in politica estera dove l’antiamericanismo ha rappresentato un collante duro a morire.
La crisi della sinistra con l’abbandono di alcune sue istanze tradizionali, non significa che la destra debba appiattirsi su posizioni che escludono sensibilità liberali e conservatrici. Un ragionamento che vale in modo speculare anche per la sinistra come testimonia il libro dell’ex leader del partito tedesco Die Linke Sahra Wagenknecht intitolato Contro la sinistra neoliberale in cui l’autrice se la prende contro una «sinistra alla moda» ispirata «ai dogmi del cosmopolitismo, del globalismo, dell’europeismo, del multiculturalismo, dell’ambientalismo, dell’identitarismo e del politicamente corretto». Non è un caso che, secondo un recente sondaggio, in Germania un ipotetico nuovo partito guidato dalla Wagenknecht potrebbe superare il 10% intercettando numerosi voti non solo da Die Linke ma anche dall’Afd, partito considerato di estrema destra ma con una forte vocazione sociale sui temi economici.
Si tratterebbe dell’ennesima conferma di una tendenza che ha avuto un’accelerazione dopo la grande crisi del 2008 e in particolare dal 2011 con un progressivo avvicinamento tra istanze tradizionalmente di sinistra e altre più vicine alle destra. La critica alla globalizzazione, il fallimento delle delocalizzazioni, la crisi dell’industria in Occidente con la perdita di milioni di posti di lavoro, hanno portato a vedere nello Stato la panacea di tutti i mali favorendo un modello sempre più interventista del pubblico. Se ciò può andar bene nei settori strategici come le forze armate, la difesa dei confini, la salvaguardia dei settori strategici, diventa problematico quando lo Stato interviene colpendo le libertà individuali (periodo del Covid docet), limitando il libero mercato (cosa diversa da regolamentare) o introducendo nuove tasse.
La stagione sovranista ha rappresentato un esempio perfetto di superamento delle tradizionali categorie, non a caso si è parlato anche di un sovranismo di sinistra e la convergenza con forze populiste (come testimonia l’esperienza del governo giallo-verde) è stata resa possibile anche grazie a un terreno comune in vari ambiti di azione.
In verità, già nel 1994, Anthony Giddens nel suo libro Oltre la destra e la sinistra sosteneva la necessità di una politica che superi le tradizionali categorie ma, secondo il sociologo inglese, occorreva prendere dal conservatorismo filosofico alcuni principi di base (protezione, conservazione, solidarietà) mettendoli al servizio di obiettivi appartenenti al patrimonio tradizionale della sinistra: la liberazione, l’emancipazione, l’uguaglianza. Il dialogo tra destra e sinistra non è per forza qualcosa di negativo, ben venga anzi un confronto tra conservatori e progressisti, il punto è tra quale destra e quale sinistra e soprattutto a quali risultati porta.
La convergenza tra alcune misure economiche del governo spagnolo di Sanchez e quello italiano di centrodestra (per esempio la tassazione degli extraprofitti) testimoniano come oggi siamo entrati in una nuova fase di interventismo dello Stato e limitazione del mercato che accomuna le forze di sinistra con quelle di destra. Si tratta di punti di incontro che potrebbero emergere anche sul salario minimo e su misure che, in nome della giustizia sociale, si allontanano da un approccio più liberale e conservatore, lo stesso dicasi per gli investimenti pubblici in settori non strategici che stanno tornando sempre di più in auge. Il rischio di politiche economiche troppo sbilanciate verso la destra sociale è quello di discostarsi non solo da una visione liberale ma anche conservatrice di cui oggi invece c’è quanto mai bisogno.




Il Giornale - Rossi ma bruni. Gli opposti coincidono. I nemici comuni? Società aperta e mercato


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Il Giornale – Rossi ma bruni. Gli opposti coincidono. I nemici comuni? Società aperta e mercato
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Il piccolo - Ciani, l'imprenditore dell'alimentare «Sulla strada del food grazie a Illy»


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Il Mattino di Puglia - I pulcini di Giorgia


LA GENERAZIONE FENIX DI FRATELLI DʼITALIA ALLA FESTA DI GIOVENTUʼ NAZIONALE

•Chi sono e cosa vogliono gli eredi di Atreju?
•Le nuove nomine nel partito, ma senza pensare al congresso: il dopo Meloni è un futuro lontano

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In molti hanno sperato fino all’ultimo nel videomessaggio della premier Giorgia Meloni. E invece, a chiudere la festa di Gioventù Nazionale, arriva “A mano a mano” di Rino Gaetano. Sparata a tutto volume dalle casse. I giovani di Fratelli d’Italia si abbracciano e la cantano a squarciagola, come se fosse un inno. A qualcuno scappa qualche lacrima.
“É la tensione di tre mesi di preparazione che si scioglie in un momento”, spiega un militante di vent’anni. Fenix, questo il nome della kermesse, si conclude con una foto di gruppo dei volontari sul palco. Al centro, il presidente Fabio Roscani. Che nel discorso finale sigla il motto del suo movimento: “la generazione Fenix sarà pronta a raccogliere il testimone della generazione Atreju”. É una sorta di manifesto generazionale quello che i ragazzi di FdI hanno voluto scrivere nei quattro giorni di festa al laghetto dell’Eur. Il futuro della destra si costruisce nei movimenti giovanili, questo il messaggio. Meloni e i suoi l’hanno già fatto anni fa, con Atreju. Che a settembre tornerà, ma che qui è vista come la festa dei “grandi” del partito.
Ci pensa il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, però, a legare con un filo rosso Fenix e Atreju. Lo fa con un annuncio esclusivo, “regalato” alle nuove leve: “in autunno organizzeremo una grande mostra per i 50 anni della scomparsa di Tolkien”.
La platea si alza in piedi, l’applausometro segna il record della kermesse. La letteratura fantasy, insomma, come frammento che non può andare perso nel passaggio della fiaccola e che rimanda ai famosi campi Hobbit della destra degli anni ‘70. La fiamma, del resto, è il leitmotiv della festa. Ignazio La Russa apre giovedì invitando i giovani a “tenere la fiamma nel cuore”, ché “il simbolo è una conseguenza”. Sangiuliano chiude citando Prezzolini e ricordando il “knavu, il custode del fuoco nelle tribù indoeuropee”. “Voi conservatori – dice ai ragazzi – siete chiamati a modernizzare la società salvaguardandone i valori e la tradizione”. I giovani di Fratelli d’Italia, nel 2014, avevano scelto la fenice come simbolo della resurrezione del movimento dalle ceneri di un Pdl dissolto. Oggi volano sulle ali dell’entusiasmo suscitato dalla vittoria della beniamina Meloni. Sulla passerella di Fenix sfilano diversi ministri. Da Antonio Tajani a Eugenia Roccella, da Anna Maria Bernini a Giuseppe Valditara. Ma i più acclamati e ricercati per i selfie di rito arrivano l’ultimo giorno: Francesco Lollobrigida e Guido Crosetto. I militanti di Gioventù Nazionale applaudono la generazione Atreju,
ma non mancano di riservare tributi a Giorgio Almirante e Pino Rauti. A cavallo tra passato e futuro, rivendicano un ambientalismo di destra e si scagliano contro Ultima Generazione. Se la prendono con la “violenza degli antifascisti” e ribadiscono la loro apertura al confronto, con la “forza delle idee”. Se gli si chiede di nominare qualche modello, rispondono Falcone e Borsellino: “veri eroi moderni”. Quando qualcuno fa notare i numeri non troppo alti di affluenza all’evento, gli organizzatori ricordano che siamo in giorni di esami universitari e di maturità. “Io mi laureo domani”, dice
un ragazzo col trolley già in mano. Ma c’è ancora il tempo di un ultimo coro. I più curiosi rimangono in attesa di una nota nostalgica, e invece parte lo stornello “ma che ce frega, ma che ce ‘mporta”. E via nei territori a raccontare quattro giorni trascorsi nel segno della fenice. Un’ultima stretta di avambraccio e si parte.

IL DOPO MELONI, DONZELLI: «NON È UNA PRIORITA’»
Fratelli d’Italia, intanto, si rinnova e guarda con fiducia alla prossima sfida, quella delle elezioni europee del 2024. E se l’organizzazione della creatura politica di Giorgia Meloni si arricchisce di nuove figure, l’ipotesi di un congresso nel 2024 – ventilata nelle ultime settimane – sembra allontanarsi sempre di più: “Non è un’esigenza, nessuno ha proposto un cambio di linea. Poi, se qualcuno pensa di essere più bravo di Giorgia, si faccia avanti”, dice, intervistato dall’Adnkronos, il responsabile dell’organizzazione di Fdi Giovanni Donzelli.
Al laghetto dell’Eur oggi si è conclusa ‘Fenix’, la kermesse dei giovani meloniani.
E Donzelli non ha dubbi: “I ragazzi sono stati bravissimi, ‘Fenix’ è stata una manifestazione perfettamente riuscita, che ha costretto anche il mainstream a raccontare una gioventù diversa da quella che si vuole descrivere.
Abbiamo visto oltre mille ragazzi, volontari, discutere

Il Mattino di Puglia
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secoloditalia.it - Lo storico invito di Craxi ad Almirante per le "consultazioni": finiva 40 anni fa l'emarginazione del Msi


Craxi

Quarant’anni fa Bettino Craxi fece la mossa giusta. Ricevuto l’incarico di formare il governo da Sandro Pertini, convocò nelle consultazioni partitiche la delegazione del Msi guidata da Giorgio Almirante. Per la prima volta, 35 anni dopo la prima legislatura, la forza politica di destra, tenuta fuori dall’arco costituzionale, veniva legittimata politicamente.  Craxi avrebbe formato il governo rimanendo per ben tre anni e mezzo a Palazzo Chigi.

Per la destra italiana non si trattava di un puro esordio nel decisionismo democratico repubblicano. C’erano state l’esperienza delle comunali di Roma, con l’alleanza con la Dc in funzione anti comunista, caldeggiata dal Vaticano, il governo Tambroni fermato dai fatti di Genova, il milazzismo, il contributo determinante all’elezione di Giovanni Leone, il 1971, al Quirinale. Erano stati, però, fenomeni di collateralismo anticomunista ( al netto del milazzismo) mentre l’invito di Craxi poneva fine all’embargo “democratico ” nei confronti della fiamma.

Il patriota di Sigonella
Per la destra Craxi diventò una specie di patriota quando nell’autunno del 1985 a Sigonella ribadì la sovranità nazionale nella vicenda Abu Omar. All’epoca il Msi stava per assumere una posizione contraria ma fu Beppe Niccolai, deputato lucchese e membro del comitato centrale, a pretendere che il  partito desse l’appoggio al governo. La base missina apprezzava, però, anche il suo anticomunismo, la svolta presidenziale, l’introduzione del concetto di merito ( nel congresso del 1981).

Una lunga amicizia
Tra Craxi e Almirante si sviluppò una profonda amicizia e stima personale. Ciò non impedì al segretario del Msi di schierarsi contro il governo al referendum del 1985 sulla scala mobile. Come confermato dalla vedova del leader missino, Donna Assunta ( che il 2005 fu invitata da Stefania Craxi a visitare la fondazione), i due leader spesso si sentivano e si confrontavano. Ai funerali di Giorgio Almirante, nel maggio del 1988, Craxi fu accolto con un’ovazione dai militanti del partito. Lo stesso Pino Rauti ebbe a dire che ” il 1983, pochi mesi dopo il suo insediamento, Craxi commentò un tentativo di attentato rivolgendosi ai nostri banchi e dicendo che non avrebbe sposato nessuna linea pregiudiziale che mettesse in dubbio la nostra correttezza”.

Il Presidenzialismo
Craxi e Almirante condividevano l’idea d una Repubblica presidenziale, vecchio cavallo di battaglia del segretario nazionale del Msi. Giuliano Ferrara, all’epoca europarlamentare del garofano, lanciò nel 1991 l’idea di un raggruppamento alternativo alla Dc con a capo il leader di via del Corso che potesse includere anche il Msi, suscitando le ira demitiane. Ferrara parlava di arco “riformista”.

Un passaggio chiave
Seppure il mondo di lì a qualche anno sarebbe cambiato, con la destra al governo, l’incontro del 1983 resta un passaggio chiave nella democrazia repubblicana. L’atto simbolico, dopo i duri anni del terrorismo, che restituiva legittimazione a generazioni provate dalla ghettizzazione. In tutti i congressi provinciali del Psi fu data indicazione di invitare le rappresentanze del Msi. Altrettanto fece Giorgio Almirante.

[Fonte: www.secoloditalia.it]




Più di secoloditalia.it - 40 anni fa la destra rilanciava il manifesto ecologico di Konrad Lorenz. E i Verdi ancora non c’erano…


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Erano le 9.40 del 17 marzo 1979 quando mi raggiunse a Milano, dove ero ospite di un’amica, la telefonata di Sandro Di Pietro dall’ufficio romano di Pino Rauti in via degli Scipioni . “Nicola quando torni a Roma ?” Mi chiese Sandro, sapendo che la mia permanenza nel capoluogo lombardo stava ormai per concludersi. Gli risposi “Domani, perché?”. Sandro mi disse che era urgente che io facessi ritorno a Roma il prima possibile perché per il 19 era in programma un viaggio importante in Austria per andare a trovare Konrad Lorenz, il famoso etologo, Premio Nobel.

L’intervista concessa a Rauti per “Linea”

Lorenz aveva accettato di concedere a Pino Rauti un’intervista per il settimanale Linea, e la mia presenza era indispensabile perché nel nostro gruppo ero l’unico che masticava un po’ di tedesco. Qualche tempo prima avevamo fondato i Gruppi di Ricerca Ecologica e i rautiani erano stati tra i primi ad affrontare in Italia il tema importantissimo dell’ecologia e della salvaguardia dell’ambiente. Sandro, ricercatore del CNR, oltre che segretario personale di Rauti, aveva appena dato alle stampe un libro scritto a quattro mani con Rutilio Sermonti, Il prezzo della salvezza, al quale poi, dopo qualche tempo, era seguita la creazione del mensile Dimensione Ambiente, una rivista dinamica e interessante alla quale anche io collaboravo attivamente. Ovviamente l’invito mi riempì di entusiasmo, non capitava tutti i giorni infatti di avere la possibilità di incontrare uno scienziato di fama mondiale come Konrad Lorenz e, accettando di partire, gli dissi che sarei rientrato a Roma in serata per predispormi al viaggio in Austria.

In viaggio con Rauti, Di Pietro e Rubei

Lo studio della lingua tedesca che avevo intrapreso qualche anno prima in maniera assidua, cominciava ad offrirmi delle occasioni interessanti e l’opportunità di conoscere di persona Lorenz, addirittura a casa sua, ripagava tutte le mie fatiche. Di certo allora, nel 1979, le mie conoscenze linguistiche erano ancora quelle di un principiante. Avevo cominciato a studiare il tedesco appena due anni prima da un’insegnante madrelingua che abitava a Monte Mario, una giovane signora originaria di Charlottenburg, il noto quartiere di Berlino, che aveva avuto cura di insegnarmi il primo anno un po’ di conversazione e il secondo i primi rudimenti di grammatica. Non che non mi fossi impegnato, anzi, ma ancora non mi sentivo preparato a tal punto da gestire un’intervista con uno scienziato così importante come Konrad Lorenz. Sapevo però in ogni caso che per le esigenze del viaggio e il soggiorno in Austria, di certo avrei saputo rendermi utile. Così la mattina del 19 marzo, alle 8.00, ci incontrammo a casa di Pino Rauti. Eravamo io, Sandro Di Pietro, Pino Rauti e Giampiero Rubei, che aveva messo a disposizione la sua auto, una VW golf nera, nuova fiammante. Bevuto un caffè, gentilmente offerto dalla moglie di Rauti, la signora Brunella, sistemate le valigie in auto, partimmo alla volta di Altenberg, un piccolo centro, non lontano da Vienna, dove Konrad Lorenz abitava in una sorta di fattoria con sua moglie e una grande varietà di animali di ogni genere. Dopo aver viaggiato tutto il giorno, passato il valico del Brennero, facemmo sosta nel paese di Steinach, una località tirolese, attraversata dalla Bundestrasse 182, una strada impervia che congiunge il confine italiano con Innsbruck, il capoluogo della regione. In verità la strada mi era da tempo familiare per i numerosi viaggi verso la Germania dove mi recavo spesso con il mio amico Maurizio a trovare alcune amiche.

L’arrivo ad Altenberg

Trascorsa la serata a cenare e bere birra in una Stube, la mattina dopo riprendemmo il viaggio verso la capitale austriaca. A dire il vero, potevamo prendercela con comodo. L’appuntamento con Lorenz era il pomeriggio del 20 marzo alle 17.00 e di tempo a diposizione ne avevamo parecchio. Durante il viaggio mi impegnai a formulare in tedesco le domande che avremmo rivolto a Lorenz, anche se poi le cose andarono in modo del tutto diverso da come ci eravamo immaginati.

Arrivati puntuali ad Altenberg, davanti alla residenza di Lorenz, mentre scendevamo dalla macchina, lo scienziato, accompagnato da uno stuolo di cani, ci venne incontro con grande cordialità, attraversando l’ampio cortile sterrato della sua villa. La prima impressione che ne ebbi fu quella di un uomo semplice e alla mano, ben lontano dallo stereotipo di un accademico, una persona di grande umanità e dai modi gentili, ben lontana da ogni formalismo, capace di affascinare i visitatori al primo contatto. Certo, la sua barba bianca incuteva rispetto e pensare di trovarsi di fronte a quell’uomo tante volte visto sulle copertine dei suoi volumi esposti nelle vetrine delle librerie, magari immerso fino al collo nell’acqua di un laghetto con la testa accarezzata dai beccucci delle anatre selvatiche a lui tanto care, faceva un certo effetto.

Gli otto peccati capitali della nostra civiltà

Di Lorenz avevo letto diversi scritti, ma quello che mi aveva colpito maggiormente era stato Gli otto peccati capitali della nostra civiltà, edito in Italia da Adelphi, un libro ricco di osservazioni critiche, capace di fare riflettere sui disagi della vita moderna e sulle manchevolezze della Zivilization di cui aveva parlato 60 anni prima Oswald Spengler.

Ovviamente eravamo al corrente delle sue teorie sull’imprinting (i primi studi sull’imprinting vennero fatti da Konrad Lorenz sulle oche: egli studiò come esse, subito dopo lo schiudersi dell’uovo, identificano la propria madre nel primo oggetto o persona in movimento che vedono). Ma quello che ci interessava di più della sua personalità era il suo coraggio di andare controcorrente e di prendere posizione in modo critico verso il mondo moderno. Del resto era questa la ragione per la quale era stato deciso di andarlo a trovare con lo scopo di realizzare l’intervista per Linea, il nostro settimanale. Fatte le debite presentazioni, durante le quali non mancò di esprimere il suo affetto per Roma e per l’Italia, dopo la prima conversazione Lorenz volle condurci a visitare il suo Acquario personale, situato in una dependance esterna alla villa.

L’acquario di Konrad Lorenz

Entrammo così in una costruzione di forma rettangolare, semplice ed essenziale. Con nostro stupore ci trovammo dinanzi ad un immenso specchio di acqua con una vetrina molto spessa che occupava un’intera parete. Ad occhio e croce le sue dimensioni dovevano essere di sei sette metri di larghezza e tre d’altezza. Approfondendo le idee di Konrad Lorenz sull’acquario in generale e le sue teorie sull’acquario casalingo, ho avuto modo di scoprire come lo scienziato austriaco concepisse la vasca come una porzione di un autentico mondo vivente, non una costruzione artificiale, bensì un piccolo ecosistema libero da ogni esigenza estetica e tale da costituire un ambiente reale e naturale sostanzialmente autonomo. La vasca di Lorenz si estendeva davanti ai nostri occhi in profondità ed era popolata da diverse specie di pesci tropicali variopinti.

Ciò che colpiva erano le sue dimensioni enormi. Davanti allo specchio, ad una debita distanza, erano montate cinque poltrone di pelle nera sulle quali ci potemmo accomodare per osservare i movimenti dei pesci, i dettagli della loro vita quotidiana. Lorenz ci spiegò che per costruire un simile acquario aveva speso tutto il denaro ricevuto con il premio Nobel e molto di più ancora. Le poltroncine servivano a lui e ai suoi collaboratori per osservare ed analizzare i comportamenti degli abitanti della vasca.

Un tè per gli ospiti italiani

Dopo questa prima sosta in sua compagnia, Lorenz ci pregò di seguirlo nella palazzina dove abitava e che si affacciava sul grande cortile, non lontano dal locale dell’acquario. Raggiungemmo così il salotto al primo piano a cui si accedeva da una larga scala, e dove ci accomodammo per dare inizio all’intervista. Per prima cosa però, lo scienziato volle presentarci la moglie, una donna sulla settantina, semplice e gentile che esprimeva nel viso e nei gesti la gioia e la serenità di una persona abituata a vivere secondo i ritmi della campagna.

Lorenz la pregò di preparare un tè per gli ospiti e subito dopo ci chiese di porgli le domande che desideravamo. La conversazione fu amabile e pacata e si svolse sia in tedesco che in italiano, Lorenz infatti conosceva la nostra lingua. Sollevato dalla preoccupazione di dovermi concentrare per effettuare la traduzione, potei gustare appieno l’eloquio sciolto ed erudito dello scienziato che spaziò su diverse tematiche di grande interesse, di natura sociale, morale e politica. Lorenz, era all’epoca un esponente di primo piano dei movimenti ambientalisti ed era fortemente impegnato nella lotta contro la diffusione delle centrali nucleari. Tuttavia non apparteneva alla sinistra politica. Anzi. Ne venne fuori un bellissimo scoop giornalistico pubblicato qualche settimana dopo sul periodico Linea che fu letto e apprezzato da migliaia di abbonati e che ebbe grande risonanza in tutta la nostra comunità umana e politica.

[Fonte: www.secoloditalia.it]




L'Araldo - Difendere l'italiano per difendere l'identità culturale dell'Europa


CopertinaPlurilinguismo e multiculturalismo sono l’essenza dell’identità linguistica e culturale dell’Europa

Nei numeri precedenti abbiamo dato conto della proposta di legge costituzionale del Senatore Menia per l’inserimento nella Costituzione italiana di una norma che sancisca che l’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica e della proposta di legge ordinaria dell’on. Rampelli volta a tutelare e garantire l’uso della lingua italiana attraverso norme che, a seconda dei casi e dei soggetti destinatari di esse, vietino, scoraggino, disincentivino o sconsiglino l’uso di termini forestieri, sopratutto anglofoni. La proposta Rampelli prevede anche l’istituzione di un Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana.

Alle polemiche sollevate più per pregiudizi e preconcetti che non per una effettiva conoscenza e lettura critica del testo delle proposte e che hanno trasferito il dibattito sul piano della contestazione politico-ideologica, ha risposto lo stesso Rampelli in una intervista rilasciata al sito italofonia. info che l’ha pubblicata lo scorso 18 Apri- le (vedi: italofonia.info).

Rampelli tra i tanti argomenti trattati nell’intervista, mette in risalto come il divieto alle pubbliche amministrazioni di usare foriesterismi in propri atti, delibere, regolamenti, contratti, testi normativi sia giustificato non solo per ragioni di carattere culturale – di per sè già sufficienti – ma anche per un problema di democrazia: coloro che non hanno una buona conoscenza della lingua inglese e sono la stragrande maggioranza della popolazione, sono di fatto esclusi dalla possibilità di una piena conoscenza di tali atti.

Indubbiamente il testo Rampelli nel corso del dibattito parlamentare potrà essere modificato – si auspica in meglio. Ma vogliamo qui allargare il discorso oltre i nostri confini, perchè come è noto, e come ricorda lo stesso Rampelli, l’Italia è uno dei pochi Paesi europei in cui non è costituzionalizzata l’esistenza di una lingua ufficiale, mentre sono molti i Paesi in cui esistono leggi che obbligano all’uso della lingua ufficliale negli atti della pubblica amministrazione (ma anche in taluni atti privati), come la Francia con la Legge Toubon del 1994, ovvero esistono disposizioni di carattere regolamentare e amministrativo che parimenti tutelano l’uso delle lingue nazionali, come avviene nella Confederazione Elvetica, o che comunque sottopongono all’esame di un Istituto specializzato l’uso del termine straniero quando non sia possibile tradurlo nella lingua nazionale, come avviene in Spagna con l’Istituto Cervantes.

In tutti questi Paesi, ove peraltro l’insegnamento della lingua inglese è sicuramente più esteso ed efficace che non in Italia, la lingua ufficiale dello Stato è tutelata, protetta, sostenuta, salvaguardata, senza che ciò faccia ritenere questi paesi grettamente nazionalisti o contrari al processo di integrazione europea.

E proprio dando un’occhiata all’Europa e al difficile cammino avviato verso forme via via più stringenti di integrazione europea, ci sovviene come nel lontano 1986 l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa ebbe ad approvare una risoluzione dal titolo ”L’identità culturale e linguistica dell’Europa” la cui relazione illustrativa era stata redatta da un parlamentare italiano, Pino Rauti. Nell’introduzione della relazione veniva evidenziato come “La diversità dei linguaggi dell’Europa è il centro della sua identità culturale. Un linguaggio non è esclusivamente un mezzo di comunicazione, ma riflette anche una storia, una civiltà ed un sistema di valori”. A fondamento di tale affermazione si citano Péguy (“il linguaggio esprime lo spirito dei popoli”), Braudel (“La Francia è prima di tutto la lingua francese”), Gramsci (“Il linguaggio possiede al suo interno gli aspetti fondamentali di una concezione del mondo e di una cultura”).

Nella relazione si anticipava quello che oggi si è oramai verificato: il pericolo rappresentato dall’avvento dell’informatica e delle nuove tecnologie, prevedendo già allora la standardizzazione dei linguaggi e il conseguente depauperamento delle lingue nazionali europee, compreso l’inglese (“quest’ultimo, sempre più usato come una lingua universale, come puro mezzo di comunicazione corre perciò il rischio di rimanere impoverito in modo significativo”).

Partendo da queste e da altre puntuali considerazioni, la risoluzione approvata da quella Assemblea Parlamentare raccomandava al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa di:
– Incoraggiare il multiculturalismo in Europa;
– Intraprendere iniziative concrete per salvaguardare l’eredità linguistica e letteraria dell’Europa ed incoraggiare il suo continuo sviluppo creativo;
– Favorire la lettura in Europa, anche mediante la lotta all’analfabetismo;
– Iniziare specifici progetti per far avanzare la cooperazione europea in questi campi.

La costruzione di una identità europea in quel lontano 1986 veniva individuata come frutto della conservazione e della tutela dell’identità linguistica e culturale dei singoli popoli europei.

L’europeismo, la voglia d’Europa, il voler essere Europei in quanto Italiani non solo non contrasta con la tutela della nostra lingua nazio- nale, ma anzi pretende che la nostra lingua, come tutte le altre lingue d’Europa, l’inglese compreso, siano tutelate nei confronti di un monolinguismo utilitaristico, la cui affermazione non può che portare ad un impoverimento dell’eredità linguistica e culturale dell’Europa.

Ecco perchè riteniamo positivo che, ancora una volta in Italia sia stato proposto il tema ed auspichiamo che il dibattito parlamentare pos- sa incentrarsi sui contenuti, arricchendosi dei contributi di quanti da anni lanciano l’allarme (l’Accademia della Crusca, il gruppo di italofonia.info) e possa condurre ad una soluzione condivisa perchè l’italiano non è di uno schieramento politico è di tutti gli italiani e tutti gli italiani, anche quelli residenti all’estero hanno diritto di usarlo, di conoscerlo, di studiarlo.

[Aldo Rovito]

L’Araldo – 5 – 15 maggio 2023
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