Video con le fotografie dall'archivio storico di Pino Rauti


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Video con le fotografie dell’archivio storico di Pino Rauti, trasmesso il 9 novembre 2018 alla la Sala Zuccari del Senato della Repubblica, durante la conferenza stampa per la presentazione della costituzione del Fondo archivistico e librario nella Biblioteca Nazionale Centrale di Roma




FascinAzione.info - I funerali di Pino Rauti: una resa dei conti finale nel Msi


Per taluni aspetti i funerali di Pino Rauti, celebrati il 5 novembre 2012, dopo tre giorni di camera ardente, per assicurare un adeguato omaggio al vecchio leader, finiscono per assumere un rilievo politico maggiore della stessa morte. Perché, con la bagarre scatenata contro il presidente della Camera Gianfranco Fini, si consuma la resa di conti finali del Movimento sociale italiano e di tanti militanti neofascisti con la propria storia. Non a caso Nicola Rao ha scelto di aprire la Trilogia della celtica con i funerali di Peppe Dimitri e di chiuderli con quelli di Pino Rauti. E se non è esatto parlare di storia che si ripete in farsa, ci sono comunque elementi grotteschi che hanno lasciato un segno politico forte. Nella Trilogia della Celtica, il volume che unifica i tre tomi (La fiamma, il sangue, il piombo), Nicola Rao racconta e riflette sui funerali di Rauti come resa dei conti finale nel Msi.

Quel brusio che monta e diventa un tuono

«O Dio, fonte di misericordia e di perdono e gioia eterna dei tuoi santi, concedi al nostro fratello Giuseppe, a cui diamo oggi l’estremo saluto, di entrare in Paradiso insieme a…».  Il sacerdote ha appena cominciato a officiare la messa, ma le sue parole vengono bruscamente interrotte. Monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo ausiliare di L’Aquila, in trasferta nella Capitale su richiesta del suo amico Gianni Alemanno, aveva avvertito un certo brusio che arrivava dall’esterno della chiesa, ma non ci aveva fatto caso più di tanto.
Del resto, aveva pensato, stiamo celebrando i funerali di Pino Rauti, con tutto quel che ne consegue: le lacrime e i saluti romani all’arrivo della salma, l’assembramento all’ingresso della basilica, la folla che sta riempiendo il sagrato e che da fuori preme per entrare. Ma poi il brusio iniziale era cresciuto, fino a diventare un tuono. E il suono delle sue parole, per quanto pronunciate al microfono e amplificate dagli altoparlanti, era stato cancellato dal boato che arrivava dall’esterno, assordando i presenti. Un boato prolungato e dirompente. Un misto di urla sconnesse, grida, insulti e slogan ritmati. Come se una folla di centinaia di persone stesse linciando qualcuno. E proprio di questo si trattava. Di un vero e proprio linciaggio, anche se politico.

Una bagarre peggiore dei funerali di Capaci

«Fuori, fuori!» «Traditore! Fuori!» Dopo alcuni secondi, dalle urla indistinte iniziano a comporsi nitidamente delle parole ben precise. Molte persone tra i banchi della chiesa si alzano in piedi, rivolte verso l’entrata, e cominciano a loro volta a urlare e inveire contro una figura alta e magra, che, a fatica, si sta facendo avanti. «Vattene via!» «Venduto!» «Bastardo!» Adesso è tutto molto chiaro. Centinaia di persone stanno raccogliendo e rilanciando le urla e gli insulti che arrivano dall’esterno. E ora, dentro la basilica di San Marco, a due passi da Palazzo Venezia, stanno dando vita alla più plateale e rumorosa contestazione di un leader politico mai avvenuta in Italia durante una cerimonia religiosa.
Scene simili si erano viste soltanto vent’anni prima, il 25 maggio 1992, nella cattedrale di Palermo, in una circostanza ben più tragica: i funerali di Giovanni Falcone, della moglie e dei tre agenti della scorta, falciati dall’esplosione dell’autostrada a Capaci. In quell’occasione la rabbia e il dolore dei cittadini e dei colleghi dei tre agenti uccisi si erano riversati contro tutte le autorità presenti, con urla, spintoni, fischi. Il capo della polizia, Vincenzo Parisi, e il magistrato Giuseppe Ayala si erano frapposti personalmente tra i contestatori e il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per evitare il peggio. Ma quella volta la cerimonia funebre non era in corso. Invece oggi sì.

E Fini decide di non poter mancare

Gianfranco Fini ha deciso all’ultimo momento di partecipare ai funerali di Pino Rauti. Non si era presentato alla camera ardente, perché sconsigliato dai famigliari del leader scomparso. «Meglio evitare contestazioni», avevano convenuto. Ma oggi, 5 novembre 2012, il presidente della Camera ha rotto gli indugi: l’ultimo segretario del Msi non può non partecipare ai funerali del suo predecessore. È una questione di dignità e rispetto.
Così quando, masticando la solita caramella, compare all’improvviso, a piedi, all’angolo tra Palazzo Venezia e la basilica, le centinaia di ex militanti e simpatizzanti missini che stazionano là davanti non ci vogliono credere. Lo accompagnano il portavoce Fabrizio Alfano, tre uomini della scorta in borghese (uno dei quali lo sta proteggendo dalla pioggia con un ombrello), l’amico e collega del Secolo d’Italia Aldo Di Lello, un brigadiere dei carabinieri, seguito da un maggiore dell’Arma.
L’ex leader della destra neo e postfascista italiana, per anni acclamato da tutte le folle d’Italia («Fini, Fini, sei il nostro Mussolini», gli avevano urlato, osannandolo, dopo l’exploit del novembre 1993, quando per un soffio non aveva battuto Francesco Rutelli per la corsa al Campidoglio), si sta avviando, più o meno consapevolmente, verso quello che sarà il suo «processo di Verona».

La folla si scatena contro il capo (ex)

«Ancora qua stai?» gli fa il primo che si accorge del suo arrivo. «Ma perché nun te ne vai? E vattene, vatteneeee. Te ne devi annaaaa’!» L’effetto sorpresa tra i presenti dura alcuni secondi. Sconcerto, qualche timido fischio, sembra che tutto sia già finito. E invece tutto deve ancora cominciare. Come per incanto, improvvisamente, la rabbia e l’odio esplodono violenti e improvvisi.
Ora le urla sono tante e si sovrappongono. «Traditore!» «Buffone!» «Ladro di case!» «Badoglio!» «Vai in sinagoga!» È il caos. E quando il presidente della Camera raggiunge il preingresso della basilica, stracolmo di gente, la contestazione esplode. Decine e decine di persone, di tutte le età, tentano di aggredirlo, contenute a stento dalla piccola scorta e dal povero Alfano, che fanno scudo a Fini con i loro corpi.
Pugni minacciosi roteati in aria, manici di ombrelli branditi come clave verso il drappello che protegge il presidente della Camera, monetine e sputi verso di lui e verso i suoi protettori. Un paio di schiaffi riescono a raggiungerlo, spettinandolo e spostandogli la stanghetta degli occhiali, proprio mentre, sempre più a fatica, guadagna l’ingresso della chiesa.

La contestazione dilaga in chiesa

Ed è a quel punto che la contestazione si trasferisce all’interno della basilica, costringendo monsignor D’Ercole a interrompere la cerimonia. Intanto davanti alla chiesa almeno duecento persone stanno gridando «Fuori, fuori!» scandendo la richiesta con i saluti romani. E dentro, in centinaia, ora stanno urlando la stessa richiesta:«Fuori, fuori!» Un vecchio dirigente missino tenta inutilmente di riportare i presenti alla calma. «Basta, basta, siamo in chiesa, finitela!» Ma è tutto inutile.
La rabbia, la frustrazione e il dolore di un’intera comunità per la fine della destra postfascista italiana stanno trovando un perfetto parafulmine, un ideale capro espiatorio su cui avventarsi e sfogarsi. Intanto Fini, con un certo coraggio, cerca di non mostrarsi intimidito da quel che gli sta accadendo intorno e guadagna, tra urla, fischi e invettive, la prima fila di panche. Ma la bolgia non cessa. E monsignor D’Ercole non sa più cosa fare. Non gli era mai capitata una cosa del genere.

La preghiera di Isabella, il presente di Bruno

A quel punto Isabella Rauti (figlia minore di Pino, a sua volta ex militante del Fronte della Gioventù negli anni Settanta e Ottanta, moglie di Gianni Alemanno) decide di intervenire. Sale sull’altare e urla dal microfono: «Vi prego, vorrei poter celebrare i funerali di mio padre insieme a voi. Vi prego. Altri i momenti per le discussioni. Siamo in chiesa. Di questo discorso ne riparleremo, ma adesso, vi prego, vi prego. Vorrei celebrare i funerali di mio padre con voi. Vi prego». E solo a quel punto la gazzarra finisce, lasciando il posto a un applauso liberatorio.
Alla fine della cerimonia (Fini, su consiglio delle autorità di polizia, ha lasciato da tempo la chiesa, uscendo da una porta laterale) il rituale appello del caduto «Camerata Pino Rauti» verrà urlato, come sempre, dal solito Bruno Di Luia, avanguardista nazionale della prima ora ed ex stuntman. E come sempre, in migliaia, risponderanno per tre volte «Presente», irrigiditi nel saluto romano. Ma quello che è successo un’ora prima lascerà il segno. Eccome se lo lascerà.

La fine dell’unità politica dei neofascisti

Alleanza Nazionale, il partito nato dallo scioglimento del Movimento Sociale Italiano, da quasi quattro anni non c’è più: nel frattempo è confluita nel Popolo della Libertà insieme a Forza Italia (all’ultimo congresso di An, in cui era stato deciso lo scioglimento del partito dei «postfascisti», il voto favorevole era stato unanime, con la sola eccezione del triestino Roberto Menia) e due anni dopo Fini, seguito da quaranta parlamentari, ha dato vita a una scissione, in polemica con la leadership di Silvio Berlusconi, fondando Futuro e Libertà per l’Italia.
A quel punto, gli ex esponenti prima del Msi e poi di An si sono ritrovati divisi e dispersi tra La Destra di Storace e Buontempo, il Pdl e Futuro e Libertà. La fine dell’unità politica dei postfascisti. E poi le polemiche sulla casa di Montecarlo (un appartamento lasciato in eredità ad Alleanza Nazionale dalla contessa Colleoni, fervente militante, e risultato, dopo qualche anno, acquistato da una società che faceva capo a Giancarlo Tulliani, cognato di Fini), quelle sulla fecondazione assistita e l’immigrazione. Ma prima ancora, sopra ogni cosa, la frase pronunciata da Fini (o meglio, attribuitagli per semplificazione giornalistica, come abbiamo visto) sul fascismo «male assoluto». Ma mai smentita chiaramente dall’interessato. E ora all’ex delfino di Giorgio Almirante la comunità degli eredi del Duce sta presentando il conto. E lo fa nel modo e nel luogo che da settant’anni caratterizzano il neofascismo italiano: a un funerale.

Il ruolo centrale dei funerali nella fascisteria

Se sei anni prima, alle esequie di Peppe Dimitri, all’interno di un rituale solenne, mitologico e condiviso da tutti i presenti, si erano ritrovati per la prima e unica volta tutti i rappresentanti dei mille neofascismi italiani, in una sorta di omaggio a se stessi, stavolta la rabbia, gli insulti e la tentata aggressione a Fini rappresentano la vendetta, la resa dei conti verso colui che agli occhi dei presenti è visto come il principale responsabile della fine del neo e postfascismo italiano.
Nel neofascismo, come abbiamo visto, i momenti storicamente ritenuti importanti sono sempre stati contrassegnati dai funerali. Dei veri e propri congressi o omaggi o regolamenti di conti.
I funerali del maresciallo Graziani e, ancor più, quelli del principe Borghese a Santa Maria Maggiore, vissuti come tributo alla generazione che aveva combattuto a Salò, salvando l’onore dell’Italia. Le esequie di Arturo Michelini avevano rappresentato l’ultima autocelebrazione del neofascismo nostalgico e mussoliniano. Gli oceanici funerali a piazza Navona di Almirante e Romualdi avevano mostrato a tutta l’Italia l’esistenza di un mondo, di una comunità che fino a quel momento tutti o quasi si erano ostinati a non vedere, a disconoscere. Dell’ultimo saluto a Peppe Dimitri abbiamo già abbondantemente scritto. E ora i funerali di Pino Rauti come resa dei conti contro il «traditore» Fini.

Quel legame tra neofascismo e morte

C’è sempre stato un legame profondo e indissolubile tra il fascismo, ma ancor più il neofascismo, e la morte.
Ben individuati, del resto, sia dal germanista e sociologo Furio Jesi, che ha parlato esplicitamente di «simbologia funeraria» e di una vera e propria «religio mortis» del neofascismo, sia da Umberto Eco che più volte, nei suoi scritti, è tornato a individuare nel «culto della morte» una delle principali caratteristiche di quello che definisce «Urfascismo», ovvero il «fascismo eterno». Ma torniamo a quel 5 novembre 2012 e alle contestazioni di Fini.
Il diretto interessato non dirà una parola su quella vicenda. Ma esattamente un anno dopo, nel suo libro Il ventennio. Io, Berlusconi e la destra tradita (Rizzoli), ci tornerà, togliendosi qualche sassolino dalle scarpe. E chiarendo, una volta per tutte, che lui con il neofascismo non ha più niente, anzi, non ha mai avuto niente a che fare.
FONTE. La Trilogia della Celtica/Nicola Rao

[Fonte: www.fascinazione.info da www.ugomariatassinari.it]




Isabella Rauti ricorda su Facebook suo padre Pino


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“Con la rivolta dell’individuo, ogni coscienza del sovramondo va perduta. Allora resta come onnicomprensiva e certa la sola visione materiale del mondo, la natura come esteriorità e muto fenomeno (…)”, cit. da “Le idee che mossero il mondo” di PINO RAUTI. Ci hai insegnato la concezione eroica e spiritualistica della vita, l’appartenenza alla comunità, un ordine gerarchico ed organico della società, la persona che è nazione e patria, la legge morale che presiede all’azione politica.
A sei anni dalla tua scomparsa gli insegnamenti restano validi e resta “Re colui che è senza corona”.
Grazie papà!

[Fonte: www.facebook.com]




Articolo21.org - Dov’è casa loro?


noallaguerraPrendiamo due delle guerre di cui si è parlato di più negli ultimi anni: il conflitto in Ucraina dell’est e quello in Siria. Ne avete letto (o visto) di recente? Le domanda è retorica, la risposta negativa è scontata. Continuano eppure i media (noi giornalisti, insomma) non ne parlano.
La categoria delle “crisi dimenticate” mi ha sempre fatto una strana sensazione allo stomaco, perché è l’ammissione di un fallimento senza nemmeno tentare una cura. La patologia è cronica, va amministrata e gestita ma il paziente non può essere curato.
E’ così che nell’indifferenza generale lo Yemen è diventato un mattatoio a cielo aperto, appestato dal colera; dei profughi Rohingya in Bangladesh si è persa traccia; l’epidemia di ebola in Congo è stata ignorata e via dicendo.
Almeno con l’Afghanistan ci si consola – scusate il sarcasmo – cioè ci si da una ragione all’oblio che ha inghiottito la guerra infinita: come Occidente abbiamo sacrificato vite e miliardi, la politica dimentica per assolversi.
Ora il tema delle “crisi dimenticate” (al rovescio, il tema delle “periferie da illuminare”) non è solo questione di civiltà dell’informazione, magari esistesse una par condicio delle “crisi” oltre che sulla triade maggioranza-opposizione-governo. Non è nemmeno una questione di buonismo al contrario dovrebbe essere puro egoismo quello di voler sapere in anticipo quale problema del mondo verrà a bussare alla nostra porta di casa in una pianeta dove ad essere globalizzate non sono solo le merci (ritiriamo fuori tutto il dibattito post-11/9 sulle disattenzioni americane verso il radicalismo islamico nato dal conflitto afghano?).
Dare spazio alle crisi dimenticate, quindi smetterle di dimenticarle è anche una necessità ormai vitale della democrazia italiana.
Quando Pino Rauti lanciò la frase “aiutiamoli a casa loro” (di cui sicuramente nessuno avrebbe scommesso sul futuro e trasversale successo) erano tempi in cui, molto più di ora la politica dibatteva di terzo mondo e l’editoria italiana si occupava del mondo ben più di quanto faccia oggi (al netto del turismo esotico e della cucina etnica).
Nell’Italia del 2018, lo slogan “aiutiamoli a casa loro” risuona nel vuoto e fa l’eco come amano dire gli esperti di social media. In pratica rafforza le convinzioni di chi già la pensa in un certo modo.
Il vuoto è generato dall’assenza di informazioni su “casa loro”. Per esempio, l’opinione pubblica che l’equivalente della Firenze afghana (una città nodo nei collegamenti, presa la quale si taglia il Paese a metà) cioè la città di Ghazni è finita nelle mani dei talebani per cinque giorni. Qualcuno ricorda che nella “casa loro” chiamata Afghanistan, con dispendio di sangue italiano e di soldi del contribuenti, li abbiamo già aiutati.
L’elenco potrebbe continuare per esempio nel 2015, Amnesty International intitolavo un suo rapporto ” “Nient’altro che disertori. Come la leva a tempo indeterminato ha creato una generazione di rifugiati”. Qualcuno ricorda in Italia che gli eritrei sono costretti ad una leva obbligatoria che può durare a vita tipo lavori forzati?
Per farla breve forse conviene ricordare solo un dato: l’opinione pubblica italiane – spaventata dall’invasione – è a conoscenza che oltre l’80% dei rifugiati mondiali sono ospitati da 10 Paesi nella cui lista non comprare un solo – dico uno – Paese sviluppato? Nè Usa, né Francia, né Regno Unito, né ltalia, né alcun’altra ricca nazione “invasa”?

Nico Piro

[Fonte: www.articolo21.org]




Venerdì 24 agosto, ore 18:00 - Presentazione del libro "L'aquila e la fiamma" di Nazzareno Mollicone - Sala Consiliare di Bagnone, Piazza Roma


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Con l’autore sono intervenuti: Stefano Tozzi (Consigliere del I Municipio di Roma Capitale), Umberto Zangani (Vice Coordinatore Provinciale FdI), Alessandro Amorese (Capogruppo FdI al Comune di Massa)

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Gazzetta di Mantova - La Rauti: basta perdere tempo. Si confrontino storici e politici


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Cittadinanza del Duce

«Il Comune ha cose più importanti da discutere invece che impegnare le sedute consiliari per revocare la cittadinanza a Mussolini». Lo afferma la senatrice di Fratelli d’Italia, Isabella Rauti. Che definisce quella di Pd e Si «una battaglia contro la storia».
«Qui non si tratta – prosegue la Senatrice Rauti – solo di perder tempo e di spostare l’attenzione sulla cittadinanza onoraria a Benito Mussolini per distrarre l’opinione pubblica dalle vere urgenze cittadine, ma in tutto questo accanimento c’è l’incapacità di una sinistra in crisi di identità ed ossessionata da un passato che non torna e che è stato storicizzato». Per questo motivo «li invito a portare fuori dall’aula la loro decisione ed a organizzare un incontro-confronto pubblico diverso da quelli fatti fino ad ora sulla questione, alla presenza del sindaco Palazzi, di storici di chiara fama e di politici di tutti gli schieramenti a garanzia di imparzialità. Questo confronto, del quale mi farei personalmente promotrice insieme a loro, permetterebbe di fare maggiore luce sulla storicizzazione del Fascismo e sulla necessità del Paese tutto di una “pacificazione nazionale”».




Giovedì 17 maggio, ore 17:30 – Presentazione del libro "L'aquila e la fiamma" di Nazzareno Mollicone – Aula Consiliare, Palombara Sabina, Via Piave 35


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Segui l’intervento di Isabella Rauti

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ALLE RADICI DI UN’IDEA: Il progetto nazionalpopolare e l’attualità del pensiero di PINO RAUTI - Hotel Loreto San Gabriele - Via Guglielmo Marconi 22, Loreto (AN) - Intervento di Ovilio Vitali


Ringrazio Fabrizio Del Gobbo per avermi invitato a rendere la parola e darvi un cameratesco saluto. Mi tocca, anche se non era necessario, perché sono stato il promotore di questa manifestazione che si doveva tenere in precedenza nel nostro abituale “covo” di Villa Luzi a Passo di Treia, ma poi ho pensato di coinvolgere gli amici del circolo “Il Quadrato” di Ancona e il gruppo “Aires” di Fermo, per dargli una impostazione regionale, come ben merita la figura del personaggio politico che oggi stiamo celebrando, coinvolgendo anche Gabriele Bavona di Fano, e Peppe Traini di San Benedetto, nostri vecchi rappresentanti nelle lorpo provincie, delle tesi che oggi stiamo rievocando.

Sono un vecchio arnese di una vecchia politica ma di un’idea che non tramonta anzi ora è attuale più che mai, dopo lo sfracello che sta attraversando questa falsa democrazia corruttrice di un popolo anch’esso corrotto e corruttore, per totale mancanza di senso dello stato e amor di patria. Ma quest’idea, specialmente in questo momento, non trova uomini e mezzi capaci per riportarla in auge, anche per la responsabilità di centinaia di piccole formazioni locali, ognuna con una fiamma diversamente stilizzata e altri simboli di riferimento che servono solo alla bramosia dei titolari per essere eletti al massimo consiglieri comunali, senza alcun vincolo di appartenenza. Inoltre non riesco a comprendere le due formazioni di estrema destra che da anni si cimentano nelle competizioni elettorali nazionali ma che si odiano e si annullano fra di loro. Senza considerare anche la parte moderata e democratica di chi ci dovrebbe rappresentare in parlamento, che si è adagiata al vangelo partitocratico e che per sopravvivere deve fare lo zerbino a personaggi che non sono nostri anche se qualcuno esprime alcuni nostri concetti e con tali concetti ha preso perfino (forse) il potere, ma questi nostri parlamentari soffrono del peccato originale per essere stati, quasi tutti, marchiati da tatuaggi indelebili impressi sulla loro pelle dal cognato di Giancarlo Tulliani e che ora vogliono rifarsi una verginità. I veri missini non dimenticano e non perdonano.

Potrei chiudere qui, ma mi permetto di dilungarmi un po’ perché io dal 1976 al 1991 sono stato un “homo rautianus” e un fervido propangadatore del suo verbo. Sono arrivato ad affascinarmi alle tesi rautiane attraverso un lungo percorso. Vengo da lontano, sono, penso, il decano di questa assemblea e fieramente fra un anno, se il destino vorrà, festeggerò i 70 anni di continuo impegno politico militante, non da protagonista (ed abbiamo visto i protagonisti dove ci hanno condotto) ma come manovalanza a mie spese, come tanti altri.  Sono anche, forse, l’unico rappresentante della gioventù italiana del littorio e uno degli ultimi rappresentanti della RSI, fiamma bianca ed i miei maestri sono stati poi Ernesto Massi, il primo Almirante, non segretario del partito, Pino Rauti ed ultimo Beppe Niccolai, per cui il movimento sociale italiano è stato per me un’esperienza di sinistra, beninteso, di una certa sinistra, sociale e nazionale. Ma posso dire con la celebre frase del giusti: “e buon per me che la mia vita intera mi regalasse di conservare un sasso su cui c’è scritto non cambiò bandiera”. Che io non ho mai tradito. «Etiamsi omnes ego non».

Il mio rapporto politico con Pino nel tempo

Nel 1976 deluso da una certa politica dei nostri voti in frigorifero, subii la scissione del partito e benché fossi amico di Grilli e Cerquetti che abbandonarono, per fedeltà rimasi nel MSI. Intanto avevo già sentito parlare da qualche anno di un Centro Studi Ordine Nuovo che con la sua azione cuturale e politica stava combattendo l’immobilismo politico ed un reducismo sterile, utile per conservare un bacino elettorale consolidato con lo sguardo rivolto al proprio originario mondo d’appartenenza il MSI. E quando Rauti e gli altri rientrarono nel partito, manifestando la volontà di misurarsi su un terreno più strettamente politico, compreso quello elettorale, non ebbi nessun dubbio ed entrai nel famoso covo di Via degli Scipioni, a Roma sede storica dei seguaci del “Gramsci nero”.

Intanto qualche anno prima un giovane sannita, Generoso Simeone, aveva lanciato  questo appello al mondo giovanile. «Non è più possibile restare alla finestra a guardare un mondo che va in rovina, una civiltà che viene distrutta… ci vuole una politica che incide, qualifica, chiarisce; una politica che graffia e che colpisce; una politica di alternativa globale, che faccia, balenare un mito e un’idea per le nuove generazioni, capace di affascinare e trascinare per la creazione di un nuovo ordine sociale.  E l’Europa si unisca davvero e torni al suo primato di civiltà». Rauti capì che era arrivato il momento di uscire allo scoperto e radunò nel suo “covo” giovani delusi ed altri volenterosi, che divennero poi tanti ed incisero per 15 anni sulla politica del MSI. Io fui l’unico presente delle Marche.

Bisognava venire qui o nella libreria di Enzo Cipriano per rendersi conto che il rautismo è qualcosa di più di una semplice corrente. Un’area composita di fascisti eretici di tutte l’età, nazional bolscevichi (in odio agli USA), cattolici tradizionalisti, cultori della mitologia dei popoli iperboreali, appassionati di sette esoteriche, oltre a pochi originali che vengono definiti “i maghetti”. Un’apparente confusione e in estrema sintesi, come scrisse un osservatore esterno Giovanni Tassani «il caso teorico nella cultura di questo mondo è la conseguenza del sovrapporsi di storia e mito. Le vicende del passato sono cioè vissute e interpretate attraverso elementi simbolici più che razionali.»

Simbolo del rautismo è la medaglietta, croce celtica, che mette insieme l’emblema cristiano e la paganeggiante ruota solare dei popoli arì. Portata al collo con catenina è l’unico gadget dell’homo rautianus.

Nel 1977, il guppo “Linea Futura” nato in occasione dell’XI congresso missino e di cui ero delegato per le Marche, diventa il centro politico intorno a quella che Rauti definisce la strategia delle “iniziative parallele” destinate a riannodare il nostro dialogo con una più vasta opinione pubblica e che, per loro natura e modo di esplicitarsi, sono rinnovatrici rispetto alla struttura classica del nostro partito. Si da vita alle radio libere di area, emerge dopo il primo Campo Hobbit, la realtà della musica alternativa; nascono pubblicazioni e associazioni che si occupano, in modo specifico del mondo femminile, dell’ecologia attraverso i “G.R.E.”, e delle altre forme di comunicazione come grafica, satira, fumetti.

Intanto io mi do molto da fare, promuovo riunioni e convegni, affronto un congresso provinciale con la presenza proprio di Almirante dove leggo la mozione di Linea Futura fra clamori e schiamazzi con dura reprimenda del segretario, ma riuscii a far eleggere tre delegati per il già citato congresso nazionale. Il solco era stato tracciato.

Nel 1979 nasce il quindicinale “Linea” e l’esperienza di questo giornale da ulteriori ragioni all’azione del gruppo rautiano, che, con le tesi di “Spazio Nuovo” elaborate in vista del congresso di Napoli dello stesso anno pone l’accento sulla necessità di proporre non solo un modello alternativo di stato rispetto a quello democratico parlamentare, quanto anche di dare una risposta alla crisi di fiducia del marxismo e alle debolezze del modello capitalistico, nel segno di una battaglia sociale incentrata sull’idea corporativa e sulla socializzazione. In questo congresso fui cooptato per entrare a far parte del comitato centrale del partito. Nel 1982 ci fu l’abbandono degli “Amici della Fogna” i giovani del Fronte della Gioventù capitanati dal valido Marco Tarchi espulsi dal partito per indisciplina. Fu un grave colpo per la corrente rautiana, ed anche per me, perché molto amico di Marco e appassionato per i suoi indirizzi metapolitici. Ma rimasi.

Poi gli anni a venire e altri congressi, altre mozioni come “Andare Oltre” dove si lanciò lo slogan dello «sfondamento a sinistra» perché era previsto con largo anticipo la fine dell’unione sovietica e il conseguente sbandamento del Partito Comunista Italiano e dei suoi seguaci. Erano i tempi in cui Almirante cominciò ad avvertire scarso fiuto politico per il vento che durante il suo lungo regno cambiò più volte, grandi gli errori, le incertezze, le ambizioni. Poi  nel 1983 l’occasione perduta per far uscire i nostri voti dal “frigorifero” a lui tanto caro e che già gli era costato la scissione di democrazia nazionale. Per la prima volta un Presidente del Consiglio, Craxi, lo incontrò in forma ufficiale a Palazzo Chigi e lo autorizzò a dire all’esterno che “l’arco costituzionale è morto” per cui avvenne anche lo sdoganamento pubblico del MSI. Non solo, Craxi, nella breve stagione del cosiddetto “socialismo tricolore”, invia il ministro Formica a prendere contatti con Niccolai e Accame, noti e bollati come “fascisti di sinistra”. Ma Almirante continua ad ondivagare e non coglie, ancora una volta, l’occasione propizia. Si crogiola sull’esistente, riempie ancora le piazze con la sua oratoria, ma le urne sono ancora scarse di voti. Non afferra le chiavi per aprire quel chiavistello che lo isola nel ghetto, ma lui nel ghetto ci sta bene e non ha alcuna voglia di uscire.

Nel 1987 Rauti prosegue per la sua strada e si allea con Beppe Niccolai che con la sua mozione “Progetto Italia” sfida il segretario del partito Almirante che, per l’età e le condizioni di salute precarie è costretto a passare il testimone al suo delfino Gianfranco Fini. In questo congresso di Sorrento Rauti declina il nuovo ruolo alternativo al partito con cui si propone di fare del MSI il nuovo “polo di riferimento” per gli illusi ed ormai disillusi della “vecchia sinistra”. Vince Fini per pochi voti e diventa il nuovo segretario. Ma la costante polemica interna e la debolezza della gestione finiana, tre anni dopo, per un “colpo di palazzo” ordito dagli stessi vecchi almirantiani contro Fini, reo di averli scavalcati dall’ordine generazionale alla normale successione del vecchio capo, portano Rauti a conquistare, al congresso di Rimini del Gennio 1990, la guida del MSI. In realtà è il canto del cigno della linea nazional popolare, che stenta a trasformarsi in azione politica concreta, che spesso appare contraddittoria agli occhi dei suoi stessi sostenitori che si sono accorti del voluto isolamento che avevano costretto la loro guida i nuovi componenti della segreteria. Nel Giugno de 1991 Rauti si dimette da segretario. Per il suo gruppo di riferimento è diaspora. Alcuni scendono a patti con Fini, rieletto senza congresso, altri  danno vita a nuovi soggetti politici irrilevanti. Altri ancora abbandonano l’agone politico. Io fra questi.

Rauti rientra nei ranghi, ormai isolato. Dopo quattro anni al congresso di Fiuggi si batte come un leone contro lo scioglimento del MSI in Alleanza Nazionale. Perde, ma fonda nel Marzo 1995 “Fiamma Tricolore” e dopo alterne vicende nel 2005 “Idea Rauti” ma al di la della sua vicenda politica, un alternarsi di visioni alte, previsioni geopolitiche azzeccate, proposte innovative e coraggiose intrecciate, purtroppo, a un tatticismo talvolta incomprensibile, rimane il “pensiero”, rimangono le “inquietudini”, le «idee che mossero il mondo», come il titolo del suo primo libro che ho letto, e di seguito i sei volumi della «storia del fascismo» scritta insieme a Rutilio Sermonti, che feci acquistare a tutti coloro che mi seguivano nella propaganda politica di quel tempo.

I miei rapporti personali con Pino

Quale è stato il mio rapporto personale con Pino in tanti anni che ho avuto rapporti con lui?  Dal 1976 quando primo fra tutti andai alla prima riunione a Roma dopo l’appello di generoso Simeone e poi continuando  attraverso le mozioni congressuali di “Linea Futura”, “Spazio Nuovo” e ”Andare Oltre” fino al congresso di Sorrento nel 1987, poche volte ho avuto modo di parlare con lui a lungo perché era uno strano  personaggio  che non voleva essere disturbato più del lecito. E, ogni volta che mi convocava era per lamentarsi dei miei comportamenti in quanto, per la verità aveva sempre ragione.  E’ venuto a Civitanova tre volte e ne ricordo una in particolare. Eravamo nel 1979, nel pieno degli anni di piombo, e doveva tenere un comizio in una piazza che non prometteva nulla di buono. Presi le necessarie contromisure e feci venire da Osimo un sostanzioso schieramento di giovani (allora ce n’erano parecchi) di Radio Mantakas, muniti tutti di bandierine tricolori allacciate a robusti manichi di legno che servirono infatti durante e dopo il comizio quando scoppiò una bagarre senza esclusione di colpi. Mi premunii a portare, dopo il comizio, Pino fuori dal campo di battaglia, ma durante il percorso prima di arrivare nella vicina sezione del partito, trovammo un robusto personaggio con una pesante pietra in mano che la scagliò contro di noi e che fortunatamente non ci colpì. Siamo stati poi asserragliati in una stanza fino a notte fonda.

Oltre alle riunioni ufficiali, ogni mese  frequentavo  il “covo” di Via degli Scipioni a Roma e lì dovevo presentare un rapporto delle attività svolte nel territorio. E non era facile avere la sufficienza. Poi quando dovevo riferire qualcosa di extra  allora erano guai, ma c’era la scorciatoia: telefonavo a casa sua (non c’erano i cellulari) e la moglie, signora Bruna, che rispondeva sempre  bonariamente, faceva da tramite fra me e il marito e mi diceva anche se Pino era di buono o cattivo umore. Un benevolo ricordo della gentile signora prematuramente scomparsa.

Nel 1991 dopo le dimissioni di Rauti da segretario del partito (qui ci sarebbe da aprire una lunga pagina, anzi un libro) mi sono ritrovato con lui in un sottoscala dell’Hotel Ergife dopo il Congresso di Fiuggi per redigere le basi e il simbolo per la costituzione di “Fiamma Tricolore” insieme a Biglia, Pisanò ed altri. Ma nel 2000 in occasione di un congresso a Chianciano, restituii la tessera del nuovo partito direttamente nelle sue mani dopo le note ed assurde divergenze con Luca Romagnoli.

Ci siamo rivisti nel 2005 a L’Aquila in un convegno organizzato per il centro-sud  da Peppino Incardona di Bari e Bruno Esposito di Napoli per l’avvio di una nuova formazione “Idea Rauti”. In un momento di sosta mi avvicinai a lui e sommessamente gli dissi : “Pino è una vita che ti rincorro e ti seguo” aspettavo che mi avesse risposto “bravo”, invece mi disse laconicamente “vuol dire che ci siamo invecchiati insieme”. Non l’ho più rivisto né sentito. Ma ogni mattina, quando esco da casa e attraverso il mio piccolo  giardino, vedo troneggiare verso l’alto un maestoso albero, un po’ storto come era lui, che personalmente piantai  nel 1990 in giorno dopo la sua elezione a Segretario al Congresso di Rimini.  Chiesi al giardiniere un ”pino” , per ricordare nel tempo il suo nome, invece, vederlo crescere, mi sono accorto che era un cipresso. Era, forse, un fatto premonitore. Addio Pino, ti ringrazio per  quello che mi hai imparato. Ti ho voluto bene.

Ovilio Vitali




ALLE RADICI DI UN’IDEA: Il progetto nazionalpopolare e l’attualità del pensiero di PINO RAUTI - Hotel Loreto San Gabriele - Via Guglielmo Marconi 22, Loreto (AN) - Intervento di Fabrizio Del Gobbo


Aprire, introdurre questo incontro, questa che vuole essere una “festa” delle idee o di un grande progetto è un ruolo, un compito che mi si addice poco, sia perché i nostri ospiti hanno certo cose da dirci più interessanti e più attese rispetto alle mie sia perché caratterialmente preferisco ascoltare più che a parlare, considerato che nell’epoca del social ritengo che in troppi parlino, spesso a sproposito e senza dire nulla, e invece sarebbe meglio adottare la prima regola imposta dal Capitano alla sua Legione dell’Arcangelo Michele, ossia il silenzio.

Ringrazio innanzitutto i nostri ospiti, Isabella, Nazzareno e Giuseppe e, nel ringraziarli, voglio ribadire che la nostra associazione, ma credo di parlare anche per Aries e il Fronte antagonista ecologia e politica, nasce, è e vuole rimanere distinta e distante da qualsiasi contenitore politico oggi esistente che più o meno faccia riferimento ad una idea di destra latamente intesa. Ribadiamo fortemente, come associazione la nostra assoluta libertà rispettando le scelte dei nostri singoli associati. Forse con ambizione e presunzione il nostro obiettivo è mettere in campo, e mai sede più appropriata di questo incontro per ribadirlo, una azione diffusa metapolitica, allo scopo di promuovere e attualizzare i valori di appartenenza ad una comune Tradizione Politica e Culturale che affonda le proprie radici nella millenaria storia d’Europa, nelle sue radici Ellenistico – Romane, poi Cristiane e nello sviluppo delle Identità Nazionali e dell’Idea di Nazione, nel reciproco rispetto delle identità e culture altrui.

E quindi un particolare ringraziamento ad Isabella che, con grande sensibilità, nulla ha obbiettato, anzi ha accettato, nel non comparire nella promozione di questa iniziativa come senatrice di noto partito, avendo noi preferito evidenziare e privilegiare la presidenza del centro studi Pino Rauti.

E’ attuale il “rautismo”? E’ ancora, come dire, contemporaneo e realizzabile un progetto definito dallo stesso Pino Rauti Nazional Popolare e nazional rivoluzionario? Lasciando ai nostri relatori la risposta più approfondita, mi limito a poche ed essenziali riflessioni: nazionalpopolare è una definizione che, fuori dall’uso volgare e gergale poi acquisito, nasce con ben più nobili origini intellettuali riportandosi alla riflessione critica di Gramsci, in ordine a quei fenomeni culturali che, esprimono valori profondamente radicati nella tradizione di un intero popolo e riescono a interpretare le aspirazioni e la specificità della civiltà di una nazione.

Qui si origina il tutto…… Pino Rauti, “il Gramsci nero”, l’ideologo messo all’attenzione della Pravda, oggi più che mai, in virtù del suo articolatissimo pensiero, va scoperto e studiato, prima ancora che ricordato e celebrato nella sua azione politica, come Maestro di pensiero e di filosofia politica; un caposcuola che ci insegna, innanzitutto, il primato della cultura in politica, a discapito del piccolo cabotaggio elettoralistico, e quindi il dovere morale di tracciare sempre e pervicacemente una LINEA FUTURA, UN COSTANTE ANDARE OLTRE la stretta contingenza, l’ insostituibile necessità di continua ricerca culturale e politica per coniugare e portare a sintesi i valori della tradizione, della nostra tradizione italiana ed europea, con la questione sociale o le questioni sociali.

E se questo, con un po’ di presunzione, trovo essere il nucleo, lo spunto di riflessione essenziale del pensiero rautiano e del conseguente progetto nazionalpopolare, il progetto non può che essere sempre attuale, perché ontologicamente proiettato oltre la contingenza e in un continuo presente. Così Pino Rauti anticipa e prevede, quelle che oggi sono emergenze sociali quando se ne manifestavano alle sue spesse lenti solo accenni in embrione, dalle nuove povertà all’impatto disgregante dell’immigrazione, al crollo dell’Unione Sovietica in piena guerra fredda, al pericoloso risveglio delle mai sopite pulsioni islamiste e a tutto quello che più diffusamente viene raccontato e analizzato nell’Aquila e La Fiamma.

Nella desertificazione culturale – tanto a destra quanto a sinistra -, nell’affermazione del pensiero debole o relativista o – più modernamente – del pensiero FLUIDO, il progetto nazionalpopolare, il “sogno” nazional rivoluzionario è non solo attuale ma, ancora una volta, l’unica possibile e praticabile alternativa all’esistente, trovandone i giusti interpreti. In conclusione, ringraziando nuovamente i nostri relatori, mi permetto di parafrasare Ezara Pound, invitando noi tutti a “Rendere forti i vecchi sogni, perché questo nostro mondo non perda coraggio. A lume spento”.

Fabrizio Del Gobbo




Il Resto del Carlino (ed. Ancona) - Loreto. La senatrice Rauti parla del padre


IL_RESTO_DEL_CARLINO_LORETO_12-05-2018

Loreto – «Alle radici di un’idea: il progetto nazionalpopolare e l’attualità del pensiero di Pino Rauti» è il titolo dell’incontro convegno di oggi alle 17.30 all’hotel San Gabriele di Loreto organizzato dalle associazioni culturali «Il quadrato» di Ancona, «Aries» di Fermo e «Fronte antagonista politica ecologia» di Macerata, che vede la partecipazione come relatori della senatrice Isabella Rauti, presidente del centro studi «Pino Rauti», e di Nazzareno Mollicone, autore del libro «L’aquila e la Fiamma – Storia dell’anima nazionalpopolare del Msi». Sarà un importante momento di riflessione e approfondimento sul pensiero di pino Rauti, storico, intellettuale, politico e ideologo che ha tracciato quella linea futura, politica e culturale, oltre gli schemi di destra e sinistra, in grado di coniugare i valori della tradizione con la «questione sociale».