Rouen: moderna e antica la capitale della Normandia


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

C’è davvero da vergognarsi delle “lungaggini” italiche sulle grandi opere pubbliche, quando si gira un po’ per l’Europa. E si va per esempio a Rouen, la capitale della Normandia. dove è stato inaugurato un ponte sulla Senna, con due piloni a farfalla che reggono, con tiranti d’acciaio, la campata mobile, che è una delle più alte al mondo e la più lunga in Europa.

Un ponte che è stato inaugurato in occasione della “Armata”, la grande festa nautica che ogni cinque anni richiama lungo i 100 Km di fiume che la separano dall’Atlantico, le più belle, le più antiche e le più moderne imbarcazioni a vela da tutto il mondo.

E’ impressionante quello che è stato realizzato dopo gli anni del primo dopoguerra, con il recupero dei 10 chilometri di banchine del porto distrutti dalle vicende del conflitto.

Il porto, allora, venne riaperto più a valle.

Ma poi, tutti i magazzini del porto, sono stati “recuperati” per cercare di nuovo di saldare la città al tratto locale della Senna.

Leggiamo insieme, un po’ del tanto che ne scrive Ernesto Fagiani in un servizio supportato dalle splendide foto di Emanuela De Santis, su un recente numero de “I Viaggi” di “Repubblica”. dove si ricorda che però “il volto gotico di Rouen va cercato altrove”, ad esempio nell’atrio di Saint’Maclou (usato come lazzaretto durante l’epidemia di peste del 1348), la cui luce ampia si incupisce sotto i teschi e gli ossari scolpiti in legno, in una danza macabra che sembra uscire da una fantasmagoria medievale. Oppure nelle architetture, tutte pinnacoli e guglie, archi e rosoni, del medioevale Palazzo di giustizia appena restaurato. E ancora nella spettacolare vista che si gode dal campanile del Vecchio Orologio, simbolo di Ruen…”.

Negli angoli più nascosti di Ruen, tra le linee dell’Abbaziale di Saint’ ouen, uno dei più importanti monasteri benedettini di Normandia e il sontuoso portale delle chiesa di Saint’Maclou si coglie il carattere gentile e insieme scontroso di una città dall’anima provinciale che accoglie però alcuni dei più alti tesori dell’arte e della cultura francese. più che i pezzi rari del Museo della Ceramica, che documenta l’evoluzione delle faiences rouennaises, o la collezione del Musèe des Beaux Arts (con Caravaggio, Pussin, Degas, Monet, Corot, Duchamp) incuriosiscono le pitture e le stampe i quaderni e i sussidiari, i banche e le cattedre del Museo Nazionale dell’Educazione, che racconta l’evoluzione del sistema pedagogico negli ultimi secoli. Il Museo Flaubert è il più singolare della città. Non è dedicato a Gustave (nonostante vi sia conservata la sua camera natale) quanto a suo padre, primario chirurgo nel vecchio ospedale.

Raccoglie strumenti chirurgici, letti da corsia che accoglievano fino a sei ammalati, statue di santi guaritori, trattati di medicina, formaline anatomiche di criminali in stile lombrosiano.

U. G.




Nel mare si nasconde il “mistero” di Atlantide


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Più si legge più si resta stupiti da quelle che erano le bellezze dell’antichità.
Ancora su “In Viaggio”, a firma di Beba Marsano, leggiamo che il colosso di Rodi “sfiorava i 40 metri di altezza, come la Statua della Libertà o un palazzo di 12 piani. Le sole caviglie misuravano un metro e mezzo di diametro, le cosce 3 metri. Ci vollero 9 tonnellate di argento e 12 tonnellate e mezzo di bronzo per realizzarlo e 12 anni per terminarlo. Parliamo di una delle Sette Meraviglie del Mondo, il Colosso di Rodi, la più celebre statua dell’antichità (protagonista, tra l’altro, del kolossal con cui, nel 1960, Sergio Leone esordì alla regia), costruita tra il 290 e il 280 a.C. e distrutta circa 60 anni dopo da un tremendo terremoto.
I suoi frammenti rimasero sparpagliati a terra per più di 400 anni, fino a sparire misteriosamente verso il VII sec. d.C. Oggi nemmeno una pietra è rimasta a memoria di questo capolavoro, che gli abitanti dì Rodi vollero a immagine e somiglianza del loro protettore: Helios, il dio del sole. Ignoriamo quali sembianze e quale forma avesse esattamente, ma una tradizione consolidata lo immagina con i capelli lunghi (in alcuni disegni ricciuti), una fiaccola nella mano destra alzata e le gambe divaricate all’ingresso di Mandraki, il porto di Rodi. Secondo la leggenda potevano passarci sotto intere flotte di navi. Era l’orgoglio dell’isola, ma quando la statua si abbatté un oracolo ne sconsigliò la ricostruzione. Molti si chiedono se esistette davvero. La verità storica, però, poco importa, se da più di 2.000 anni il Colosso continua a far parlare di sé.
***
Creta fu dal 2800 al 1400 a.C. culla di una delle più splendide civiltà del passato: quella minoica. Simbolo della sua grandezza il palazzo reale di Cnosso, residenza del re Minosse e sede del leggendario Labirinto, teatro dei miti di Teseo, Arianna e del Minotauro. Quello che oggi è un grandioso insieme di scavi e rovine a 6 km da Iraklio, capoluogo dell’isola, era con i suoi 1.300 ambienti la reggia più grande dell’antichità. Un incastro di sale affrescate e scalinate, appartamenti e terrazze colonnate, sotterranei e magazzini, riportati alla luce all’inizio del secolo scorso dall’archeologo inglese sir Arthur Evans, che scavò il sito a proprie spese e ne ricostruì varie parti con molta fantasia e poco rispetto della realtà storica. Due esempi? Le enormi corna in cemento armato a guardia dell’area e le colonne, dello stesso materiale, che Evans volle di un colore rosso fuoco. Nel palazzo di Cnosso regnava uno sfarzo senza precedenti.
Ogni ambiente era decorato con coloratissimi affreschi, oggi al Museo Archeologico di Iraklio e sostituiti con copie. Ritraggono eleganti figure femminili, animali e nobili personaggi come il Principe dei gigli, il più noto ambasciatore di Creta nel mondo. La leggenda vuole che nei sotterranei di Cnosso si trovasse un labirinto, progettato da Dedalo per imprigionare il Minotauro, mostro dalla testa di toro e corpo d’uomo generato dall’unione di Pasifae, moglie di Minosse, con il dio-toro. Il mostro fu ucciso da Teseo, che riuscì a guadagnare l’uscita del labirinto riavvolgendo il filo tesogli con amore da Arianna.

“In Viaggio” – Dir.re Andrea Biavardi – Editoriale Mondatori – Corso Magenta, 55 – 20123 Milano – Tel. 02.43313746




Ce n’è di Storia fra Rodi e Creta


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Più si legge più si resta stupiti da quelle che erano le bellezze dell’antichità.

Ancora su “In Viaggio”, a firma di Beba Marsano, leggiamo che il colosso di Rodi “sfiorava i 40 metri di altezza, come la Statua della Libertà o un palazzo di 12 piani. Le sole caviglie misuravano un metro e mezzo di diametro, le cosce 3 metri. Ci vollero 9 tonnellate di argento e 12 tonnellate e mezzo di bronzo per realizzarlo e 12 anni per terminarlo. Parliamo di una delle Sette Meraviglie del Mondo, il Colosso di Rodi, la più celebre statua dell’antichità (protagonista, tra l’altro, del kolossal con cui, nel 1960, Sergio Leone esordì alla regia), costruita tra il 290 e il 280 a.C. e distrutta circa 60 anni dopo da un tremendo terremoto.

I suoi frammenti rimasero sparpagliati a terra per più di 400 anni, fino a sparire misteriosamente verso il VII sec. d.C. Oggi nemmeno una pietra è rimasta a memoria di questo capolavoro, che gli abitanti dì Rodi vollero a immagine e somiglianza del loro protettore: Helios, il dio del sole. Ignoriamo quali sembianze e quale forma avesse esattamente, ma una tradizione consolidata lo immagina con i capelli lunghi (in alcuni disegni ricciuti), una fiaccola nella mano destra alzata e le gambe divaricate all’ingresso di Mandraki, il porto di Rodi. Secondo la leggenda potevano passarci sotto intere flotte di navi. Era l’orgoglio dell’isola, ma quando la statua si abbatté un oracolo ne sconsigliò la ricostruzione. Molti si chiedono se esistette davvero. La verità storica, però, poco importa, se da più di 2.000 anni il Colosso continua a far parlare di sé.

***

Creta fu dal 2800 al 1400 a.C. culla di una delle più splendide civiltà del passato: quella minoica. Simbolo della sua grandezza il palazzo reale di Cnosso, residenza del re Minosse e sede del leggendario Labirinto, teatro dei miti di Teseo, Arianna e del Minotauro. Quello che oggi è un grandioso insieme di scavi e rovine a 6 km da Iraklio, capoluogo dell’isola, era con i suoi 1.300 ambienti la reggia più grande dell’antichità. Un incastro di sale affrescate e scalinate, appartamenti e terrazze colonnate, sotterranei e magazzini, riportati alla luce all’inizio del secolo scorso dall’archeologo inglese sir Arthur Evans, che scavò il sito a proprie spese e ne ricostruì varie parti con molta fantasia e poco rispetto della realtà storica. Due esempi? Le enormi corna in cemento armato a guardia dell’area e le colonne, dello stesso materiale, che Evans volle di un colore rosso fuoco. Nel palazzo di Cnosso regnava uno sfarzo senza precedenti.

Ogni ambiente era decorato con coloratissimi affreschi, oggi al Museo Archeologico di Iraklio e sostituiti con copie. Ritraggono eleganti figure femminili, animali e nobili personaggi come il Principe dei gigli, il più noto ambasciatore di Creta nel mondo. La leggenda vuole che nei sotterranei di Cnosso si trovasse un labirinto, progettato da Dedalo per imprigionare il Minotauro, mostro dalla testa di toro e corpo d’uomo generato dall’unione di Pasifae, moglie di Minosse, con il dio-toro. Il mostro fu ucciso da Teseo, che riuscì a guadagnare l’uscita del labirinto riavvolgendo il filo tesogli con amore da Arianna.

“In Viaggio” – Dir.re Andrea Biavardi – Editoriale Mondatori – Corso Magenta, 55 – 20123 Milano – Tel. 02.43313746.




A Merano: trionfo delle “sculture verdi”


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Merano, città di cura, shopping, cultura, vacanze, è sempre attenta nel proporre l novità o manifestazioni capaci di essere ricordo indelebile per chi vi abita e ancor più per i turisti. Nascono così le rassegne Meranflora, le sere d’estate, le Settimane musicali, la Festa della città e molte altre iniziative di vario tipo. E il fiore all’occhiello della città sono i suoi parchi, giardini, aiuole. Ogni primavera, c’è la curiosità di vedere cosa la fervida fantasia è riuscita a produrre abbinando idee geniali a manualità invidiabili, condendo il tutto con tanta passione.
E’ in questa ottica che si inseriscono le nuove “sculture del verde”. Il Lungopassirio è tradizionalmente una delle più importanti passeggiate di Merano, frequentatissimo già a partire dai primi anni del 1900, immerso fra aiuole e decorazioni floreali. Quest’anno a cura delle Giardinerie municipali, la piantumazione della passeggiata segue un tema preciso, concretizzato mediante la creazione di una “Passeggiata delle figure”. Le protagoniste della scena sono le figure vegetali, le quali, create e posizionate ad arte, costituiscono davvero un’attrazione speciale. Si tratta di una storica tradizione di Merano. città di cura: le strutture portanti in ferro vengono realizzate dai fabbri del cantiere comunale, mentre i giardinieri provvedono a “dare vita” alle figure riempiendole con materiale vegetale come muschio, foglie e piante a cuscinetto. I commenti di ammirazione e le “mitragliate” di otturatori di macchine fotografiche sono il giusto riconoscimento a cotanto lavoro. (www.meran.eu)

Segnaliamo:

  • Hotel Meranerhof – Famiglia Eisenkeil – Via Manzoni 1 – I-39012 Merano – Alto Adige – T. 0473 23 02 30 – www.meranerhof.com – info@meranerhof.com;
  • Hotel Restaurant Edelweiss (3 stelle) Vinschgaustrasse 105 Via Venosta – 39020 Parcines – 0473 967128 – edelweissferien.com‎;
  • Hotel Westend – Via Speckbacher 9, 39012 Merano – Tel. +39 0473 447654 – Fax. +39 0473 222726 www.westend.it.



Pecs si prepara a “Capitale di cultura”


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Pochi ancora la conoscono, ma l’anno prossimo, la città ungherese di Pecs sarà la “Capitale europea della cultura”. Pecs: 200 Km. da Budapest, 162 mila abitanti, 25mila studenti; patrimonio millenario d storia e cultura; con Musei importanti, templi di tre religioni, un magnifico sito archeologico protetto dall’UNESCO…”.
Pecs, al tempo dei Romani, scrive Laura Campo su “I viaggi di Repubblica, “si chiamava Sophianae; e da lì passarono ebrei e turchi, tedeschi e croati, come risulta dall’esteso centro storico concentrato attorno alla spaziosa piazza – simbolo, Szechenyi tèr; circondata dal possente Belvarosi Templon, ex moschea, oggi chiesa cattolica; è dal Municipio (Varoshaza) e dalla Chiesa della Misericordia.
C’è anche la Moschea Haszan con il suo minareto “oggi museo e tempio mussulmano dell’epoca turca meglio conservato del Paese…”.
Importante, Pecs, anche per i ritrovamenti paleocristiani che si estendono sotto la Cattedrale e nei dintorni.
Gli scavi hanno portato alla luce centinaia d strutture funerarie sotterranee della grande necropoli dell’antica Sophianae, straordinario complesso monumentale tra i più vasti (Sito Unesco) del paleocristianesimo ungherese. Ultima in ordine di tempo ad essere stata aperta al pubblico è la nuova ala della Cella Septichora, battistero del IV secolo a.C. utilizzato anche come luogo di sepoltura. Uno dei più importanti progetti per il 2010, riguarda la manifattura Zsolnay, produttrice dell’omonima, raffinata ceramica, nota in tutto il mondo e utilizzata anche per decorare edifici e fontane della città. Toccherà a questa fabbrica, fondata nel 1853 da Miklos Zsolnay, ospitare il nuovo Centro artistico culturale e turistico di Pecs. Nella ristrutturazione del grande stabilimento troveranno spazio mostre e un parco-museo dedicato al passato industriale della città. Già oggi, lo Zsolnay Muzeum è una tappa fondamentale: le opere che illustrano la storia della manifattura comprendono anche magnifici esemplari smaltati all’eosina, a effetto iridescente, tecnica esclusiva del marchio Zsolnay.
A Pecs c’è anche da percorrere “la strada del vino”.
La Viticoltura, favorita dal clima mite della regione, ha radici antichissime in questa zona dell’Ungheria. Nei dintorni di Pecs vale la pena di fare un’escursione lungo l’itinerario della Strada del Vino Villany-Palkonya-Siklos, tra vigneti, borghi caratteristici, piccoli musei e particolari cantine (considerate monumenti popolari protetti) a due piani con l’aspetto di minuscole abitazioni mediterranee. Tra i numerosi indirizzi per degustazioni, acquisti e assaggi delle migliori varietà e annate, segnaliamo quello delle cantine Erkel Ferenc (0336-72-492839) e ristorante con alloggio (Diòfas tèr 4  00336-72-492195) di Attila Gere a Villany, uno dei migliori produttori della zona i cui vini hanno ricevuto numerosi premi internazionali. Top della produzione il Gere Kopar Cuvvèe, rosso intenso stagionato per 16 mesi in botti di rovere.
INFO sul percorso e le soste: 0036-72-492181 – www.borut.hu




E’ festa a Cagli con “distinti salumi”


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Successo di pubblico per “distinti salumi” una fetta di salame come monocolo, una di mortadella ripiegata a mo’ di farfallino e una di prosciutto al posto del classico fazzoletto da taschino: gli orpelli dell’elegante signore in cilindro e marsina del manifesto trovano gustosa sintesi nel titolo che si dà la rassegna nazionale di Cagli, giunta alla sua V edizione. Con “Distinti salumi” una piccola città d’arte dichiara nobili sentimenti verso i suoi prodotti della norcineria aprendo loro nei primi tre giorni di maggio chiostri, piazze, cortili e dimore gentilizie. I laboratori del gusto targati Slow Food interessano le sale secentesche di Palazzo Felici per dotti abbinamenti tra rosati e prosciutti di montagna, Verdicchio di Matelica e tonno, salumi da cuocere e vini marchigiani, wurstel o insaccati olandesi e birre, e, dulcis in fundo, salami di cioccolata e whisky. Costa solo 5 euro l’accesso ai cortili del sale per scoprire quanta varietà si cela dietro i salumi interi (Palazzo Felici), crudi (palazzo Marcelli), particolari (Palazzo Episcopale), e . cotti (palazzo Mochi-Zamperoli). Lo spiedo di cinta senese, la salsiccia, “matta” quella meranese, ogni sera a piazza delle Erbe in onore della salumeria cotta allo spiedo e alla griglia.




Anche in Europa “muraglia cinese”


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

E’ lunga 5,5 Km ma questo le basta per essere la più grande muraglia d’europa; e per essere seconda al mondo dopo la Muraglia Cinese.
E’ il “muro” che si trova a Ston (Stagno), in Croazia; che finalmente potrà essere visitato dopo i restauri.
Leggiamo questa bellissima storia di turismo culturale europeo sui “Viaggi di Repubblica”, a firma di Eugenio Boscardi.
Il restauro delle mura di Ston, promosso dalla Società degli amici delle antichità di Dubrovnik, è stato invece finanziato con i fondi raccolti dalla vendita dei biglietti d’ingresso alle mura di Dubrovnik (antica Ragusa). La costruzione delle mura iniziò nel XIV secolo, con l’annessione della penisola di Peljeaac entro i confini della Repubblica ragusea (1334). L’imponente sistema difensivo, considerato la maggiore impresa urbanistico-militare dell’epoca in Europa, fu progettato e costruito per difendere la Repubblica. L’immenso complesso, costruito dai Ragusini dal 1333 al 1506, tagliava la penisola in due. Sulle estremità della muraglia il progetto prevedeva la costruzione di due cittadine fortificate: Ston, a nord, e Mali Ston, a sud. La cinta muraria è un vero e proprio spettacolo: intervallata da 41 torri (31 quadrangolari e 10 circolari) e sette bastioni (6 circolari e uno quadrangolare). Una notevole opera di architettura militare, cui contribuirono tra gli altri Michelozzo Michelozzi, Bernardino da Parma, Giorgio Orsini il Dalmatico e Paskoje Mili. Ragusa ottenne il duplice risultato di proteggere le preziose saline della città dall’attacco dei Turchi e di impedire alle truppe ottomane di penetrare nella penisola di Sabbioncello via terra attraverso l’istmo. Oggi gli edifici più interessanti abbracciati dalle antiche mura sono sia di tipo religioso che amministrativo. Vale la pena visitare il palazzo della cancelleria in stile gotico e rinascimentale. L’ex palazzo del vescovo realizzato nel 1573, il monastero francescano con il suo chiostro gotico-rinascimentale e la chiesa romanica di San Nicola, del 1347.
Ston si trova sulla penisoia di Peljesac, la più grande della Dalmazia, che offre splendide spiagge. Nei dintorni della cittadina di Orebric, nel piccolo villaggio di Trpanj, valgono una giornata le piccole spiagge di ghiaia e le cure di fango termale.
Questa parte della costa croata è anche famosa per l’allevamento delle conchiglie. Infatti è proprio da queste parti che si gustano delle ostriche eccezionali.
Per gli amanti del trekking ci sono dei percorsi segnalati che salgono sulle montagne della penisola: S.Ilija e S.Ivan. Per quanto riguarda l’alloggio, tutta la costa offre numerosi appartamenti e case direttamente sul mare che si affittano a prezzi ragionevoli.




Merano: trame nobili sul “sentiero di Sissi”


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Sissi, la popolare imperatrice Elisabetta d’Austria amava fare lunghe passeggiate sia in città sia nei dintorni. E Merano, città dei giardini e dei parchi, in suo onore ha realizzato un nuovo itinerario. “Il Sentiero di Sissi”, una comoda passeggiata di tre quarti d’ora, segue le tracce della indimenticabile imperatrice e si snoda fra angoli reconditi, ville signorili, eleganti residenze e parchi, dai Giardini di Castel Trauttmansdorff fino al centro cittadino, attraversando Maia Alta tenendosi lontano dal traffico. L’itinerario, percorribile in entrambi i sensi, si snoda lungo strade adatte anche a carrozzine e sedie a rotelle.
A Sissi, del resto, piacevano le lunghe passeggiate. Fece costruire “ameni sentieri coperti di ghiaino” nel bosco di roverella presso Castel Trauttmansdorff, dove soggiornò più volte, “per poter passeggiare indisturbata dal trambusto del mondo”. All’imperatrice è dedicata una statua in marmo al centro della fresca Passeggiata d’estate lungo il Passirio e all’interno dei Giardini c’è un camminamento speciale che porta il suo nome.
Cento anni orsono, sempre al Trauttmansdorff, il Barone Von Deuster, proprietario del Castello, organizzò una festa principesca a ricordo della visita dell’Imperatore e dell’Imperatrice d’Austria. In tale occasione un trono di marmo bianco, lungo tre metri e con l’immagine della coppia imperiale, venne posto nello spiazzo dove l’imperatrice Sissi amava sostare all’ombra di un vecchio castagno. Il “Trono di Sissi” rivive ora la sua gloria sulla terrazza di Castel Trauttmansdorff. Una scalinata di marmo e ardesia con comodi gradini conduce fino ad esso. Qui i visitatori, seduti sotto l’imponente castello, possono immergersi nei ricordi del passato e ammirare la vista stupenda sui Giardini. Per poi passare al ristorante interno e farsi viziare con la “Colazione di Sissi”. www.merano.eu

• a giugno in VarVenosta per provare un peenrig alla polvere di marmo. E che marmo! Quello di Lasa, proveniente dalla cava più alta d’Europa. bianchissimo e resistente alle intemperie, perciò molto utilizzato per esterni. La polvere di marmo assieme a gusci di mandorle ha potere esfoliante, mentre la crema di calendula aiuta la pelle a “riprendersi”. E’ la ditta “Krauterschlossl” a produrre il peeling (www.krauetergold.it);
• a luglio all’ Alpe di Siusi per la fienagione e poi per i più classici bagni contadini, quelli al fieno.
Il fieno per essere curativo deve contenere almeno 50 erbe e piante sul metro quadrato, provenire da terreni biologici, non trattati, ideale se tagliato a mano e fatto asciugare nelle baite di alta montagna. Un bagno di fieno è il toccasana per chi soffre di reumatismi. Specializzato da sempre ad offrire i bagni di fieno, l’Hotel Heubad dì Fiè allo Sciliar (www.hotelheubad.com);
• ad agosto in Val Venosta sono mature le albicocche, che oltre ad essere utilizzate per favolosi manicaretti (canederli dolci, strudel e marmellate), trovano il loro utilizzo nella cosmesi per impacchi e massaggi, prodotti da “Kruuteruschlossl” (www.krauetergold.it).




Stanno “mangiando” perfino le Alpi


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Proprio così: le stanno facendo scomparire, le alpi; i divoratori di territorio; i distruttori dell’ambiente. Ed è un ambiente unico, frutto di secoli e secoli di cure attente; ed è un territorio molto più ampio di quanto si pensi. Leggiamo su: “Repubblica D” che le Alpi sono una vera e propria regione ; quasi un Paese. Una nazione, di fatto. E che si estendono per ben 180.000 Kmq.
Otto Stati se ne dividono il territorio; l’Austria (ne possiede il 30 %); l’Italia (il 28% ), e poi, la Francia ( 20%) la Svizzera ( 15 %). E poi Slovenia, Germania, Liechtenstein, Principato di Monaco,
13 milioni di abitanti; 4 Ligure e un’infinità di dialetti parlati.
“Sembrano lontano da tutto”; si fa fatica a ricordarle; tanta fatica che si è trovata una frasetta per tenerne a mente i nomi. La insegnano a Scuola, alle elementari: “Ma con gran pena le reca giù”. In nove sillabe si tiene l’arco alpino italiano, da ovest a est: Marittime, Cozie, Graie, Pennine, Lepontine, Retiche, Carniche, Giulie. E sarebbero solo una parte, ma sono già abbastanza. Tutte fuori dall’agenda politica di casa nostra.
Eppure esiste la convenzione delle Alpi, un Trattato per la tutela e lo sviluppo sostenibile, stipulato su iniziativa della Cipra (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) composta da un centinaio di Associazioni. Nove i contraenti, gli otto stati più l’Unione Europea. Firmata nel 1991, entrata in vigore quattro anni dopo, è stata ratificata dall’Italia nel 1999. Affronta aspetti come pianificazione territoriale e salvaguardia del paesaggio, agricoltura di montagna, turismo ed energia, difesa del suolo e trasporti, idroeconomia e economia dei rifiuti. Italia e Svizzera non hanno ancora ratificato i protocolli attuativi.
Leggiamo ancora: “C’è il turismo, manna dal cielo, anzi dalla pianura, ma anche occasioni di speculazioni. “Come fenomeno economico è nato proprio sulle Alpi, nella seconda metà dell’ Ottocento”, racconta Di Simine, responsabile Alpi di Legambiente; uno dei più documentati esperti e conoscitori di quelle zone “quando furono scoperte come luogo gradevole dove soggiornare, vennero chiamate il “campo da gioco dell’Europa”. A livello mondiale è ancora una delle prime mete turistiche. E però ci sono rischi pericolosi. I problemi sono rappresentati dai grandi progetti di impianti sciistici. Uno enorme è previsto nel massiccio della Presolana, in provincia di Bergamo. Poi c’è il collegamento Pinzolo – Madonna di Campiglio. E altri progetti nelle Alpi Carniche. Ci si accanisce per salire di quota. Ci si sposta per trovare la neve; ma più in alto si va e più i danni diventano irreparabili. Nella sola Valtellina “ogni giorno vengono persi oltre 1.300 mq. di terreno, utilizzati per edifici e infrastrutture”.
Situazione “variegata”.
L’Alto Adige non si spopola; e lo stesso accade nei paesi di lingua tedesca e nella zona francese, dove ora il saldo di popolazione è un’altro.
Solo l’Italia non smette di spopolarsi, soprattutto nelle Alpi liguri e piemontesi. Con le seconde case, invece, andiamo forte: nel 2001, ultimo dato disponibile, erano 590 mila. “Il fenomeno inizia negli anni Sessanta e Settanta, alimentato e sfruttato come ancora di salvezza per le casse comunali”, ricorda Di Simine.
“E’ particolarmente grave in Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia e parte del Veneto. Ci sono esempi negativi come Cervinia, enorme borgo nato dal nulla: nel 1960 era un pascolo. Ma anche al Passo del Tonale, in Trentino, non si scherza. Ponte di Legno, in provincia d Brescia, è un paese “ecomostro: oggi ha 1.800 abitanti, nel 2001 contava 4.242 seconde case con un incremento del 79% in vent’anni. E poi l’Aprica, provincia di Sondrio: 1.650 abitanti e 6.189 seconde case nel 2001, il 66% in più rispetto al 1981. Ma il record spetta a Bardonecchia, provincia di Torino: 7.404 seconde case censite”.




Roma: le lunghe mura e le loro "porte" antiche


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

La città di Roma ha posseduto per secoli la stessa cinta muraria e numerose sono le porte che vi si aprono. Queste possono essere divise a seconda delle mura di appartenenza: serviane, aureliane, leonine e gianicolensi. Una delle porte meglio conservate è sicuramente porta San Sebastiano (mura aureliane) in origine chiamata Appia dal nome dell’importante arteria stradale su cui si apriva. Prevalse poi il nome S. Sebastiano in ricordo del martire cristiano sepolto nella basilica sull’Appia poco fuori delle mura. Nel 1536 la porta fu scelta, per ordine di Papa Paolo III, come ingresso solenne per l’arrivo di Carlo V Re di Spagna e per l’occasione addobbata e decorata come un arco trionfale su progetto di Antonio da Sangallo il giovane, con statue, festoni e pitture ad affresco. Non tutti sanno forse che la porta San Sebastiano ospita al suo interno il piccolo e non molto frequentato Museo delle Mura di Roma dal quale è possibile accedere a un lungo tratto, circa 350 metri, di cammino di ronda sulle mura. Il camminamento si presenta come una galleria coperta intervallata da dieci torri. La porta più monumentale di Roma è invece Porta Maggiore. In origine questa porta era la mo numentalizzazione dell’acquedotto Claudio, nel punto dove questo scavalcava la via Labicana (l’odierna via Casilina) e la via Praenestina. Le arcate, erette dall’Imperatore Claudio nel 52 d.C,assunsero l’aspetto di un vero e proprio arco di trionfo: le due fasce superiori corrispondono ai canali degli acquedotti Anio Novus, in alto, e Claudio, in basso. Tra le porte che non fanno parte delle mura cittadine, la più nota è Porta Furba, che in realtà è un arco sulla via Tuscolana fatto costruire da Sisto V per l’attraversamento dell’acquedotto Felice. Il nome, “Porta Furba”, deriverebbe dalla corruzione della parola “forma”, che nel Medioevo era usata per dare il nome agli acquedotti, e della parola “urbis”. Irene Pace