A Brugge: dove trionfa l'eleganza delle Fiandre


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Cioccolato, Champagne e birra al triplo maalto; cosa volere di piu’ per un bel giro – anche – di Turismo culturale in uno dei “cuori” piu’ fervidi della Vecchia Europa. E poi, lungo strade e canali -come scrive in un bellissimo articolo su “V.S”, Camilla Barabino – “alla scoperta di mercatini antiquari e botteghe di merletti”.

MANGIARE Uno spuntino veloce, un tète à tète. Innaffiati di birra. Brevdel-De Coninc. pochi tavoli, un arredamento tradizionale e una cucina rigorosamente belga a base di pesce curata dai proprietari, madre e figlio. Da provare le cozze gratinate allo Champagne, oppure al miele o ancora alla panna, Wjefke, filetti di aringa marinati e serviti freddi, accompagnati da fagioli bianchi, il gracht brood, dolce con zucchero caramellato. Breidelstraat 24, tel. 0032.(0)50.339746, chiuso il mercoledì. Conto da 35 euro.

La Taverne Brugeoise, sulla piazza principale della città. Ambiente easy, brace a vista. Da non perdere la zuppa di cozze declinata in numerose varianti (speciale quella con rosmarino, timo, basilico, aglio e pomodorini secchi), le crocchette e i fagottini di gamberetti grigi, oppure il waterzooi, una casseruola di pollo e verdure. Come dessert le famose gaufres servite con marmellata, zucchero o cioccolato fuso e le crèpe con zucchero scuro, cioccolato fuso, gelato o marmellata. Markt 27, tei. 050.332132. Conto da 25 euro, www.taverne-brugeoise.be Per i cioccolato-dipendenti d’obbligo una visita, con degustazione, al Museo del Cioccolato. Sint- Jansplein B, tei. 050.612237.

DORMIRE De Orangerie, della catena Small Luxury Hotel of thè World, è un convento del XV : secolo nel cuore della Brugge medievale, trasformato in hotel di charme. Nel grande salotto si può indugiare nella lettura delle migliori riviste di arredamento del mondo. Le 20 camere sono state arredate dai proprietari che hanno scelto tessuti, mobili e oggetti d’arte. Momento privilegiato è la prima colazione con Champagne (classificata la migliore del Belgio), con vista sul fiume Den Diyver. Karthuizerinnenstraat 10, tel. 050.341649. Camera doppia da 195 euro. www.hotelorangerie.com

L’hotel The Pand, ex rimessa per ; carrozze del XVIII secolo, è un albergo di lusso con 26 camere arredate con grande gusto. Ha un’accogliente biblioteca e una sala in stile country dove è servita la ricca prima colazione, anche qui con Champagne. Pandreitje 16, tei. 0032.(0)50. 34066. Camera doppia da 150 euro, www.pand hotelcom e www.romantikhotels.com. SHOPPING A piedi, lungo i canali, per una full immersion tra le infinite proposte di moda, cultura e golosità che si alternano a luoghi simbolo della città, come il museo Groeninge, con i capolavori d’arte fiamminga, e la chiesa gotica di Notre Dame, che vanta una Vergine con il Bambino di Michelangelo. Sulle rive del Dijver, tutti i sabati e le domeniche, si svolge il mercato delle pulci con oggetti e mobili di antiquari e rigattieri. Da Verheecke si va per gustare i celeberrimi wafles, le praline al cioccolato. Steenstraat 30, tei. 050.332286. Tintin Shop vende giocattoli, cartoleria, prodotti tradizionali delle Fiandre, abiti per bambini, donna e uomo. Steenstraat 3. www.tintinshopbrugge.be. Meire è la boutique più elegante, con un ricco assortimento di capi, da Mulberry a Daks ai più noti stilisti belgi. Geldmuntstraat 6. The Lace Garden è un negozio incredibilmente fornito di merletti, tovaglie di Fiandra, camicie da notte con entre-deux di pizzo e persino di un’ampia scelta di fazzoletti souvenir. Breidelstraat 8, www.thelacegarden.be.




Spiegamoci bene il cambio climatico


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Che cosa significa l’espressione “cambiamenti climatici”? In che modo il riscaldamento globale influenzerà la nostra vita? È questa la causa di uragani sempre più frequenti alternati a periodi di siccità? Il processo che si è messo in moto è inevitabile? Sono domande urgenti e complesse a cui Flannery risponde con chiarezza, inserendole nel contesto di una storia del clima che ha inizio milioni di anni fa e che negli ultimi decenni ha subito brusche alterazioni, inimmaginabili su periodi così brevi. Tutti i paesi del mondo sono colpiti dal riscaldamento globale e al tempo stesso ne sono responsabili, seppure in misura diversa. Ma, soprattutto, gli uomini di tutto il mondo condividono la medesima situazione: siamo noi i “signori del clima” e il futuro della civiltà umana è nelle nostre mani.

Tim Flannery (1956) vive a Sidney dove è Principal Research Scientist all’Australian Museum. Studioso molto stimato, nel corso della sua carriera ha classificato numerosi tipi di mammiferi sconosciuti e pubblicato diversi libri.




Poi il lavoro si è corrotto


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C’era una volta il lavoro… E ora? Negli ultimi due decenni, o poco più, il lavoro ha subito uno stravolgimento che lascia smarriti. Era il pilastro centrale del nostro mondo. Oltre alla sicurezza economica, sostanziava le nostre identità e i nostri sogni, individuali e collettivi, e dava un torte senso di appartenenza a un’azienda, a un progetto, a una società. Poi il lavoro si è “corrotto”: ristrutturazioni, informatizzazione, nuove tecnologie, delocalizzazioni, soprattutto l’imporsi dell’ideologia del profitto – tanto, benedetto e subito – hanno intaccato il valore portante del Novecento, rendendolo “flessibile”, effimero, incerto. Mentre la globalizzazione disotterra un nuovo antico “lavoro”: la schiavitù. L’autrice ripercorre queste tappe, anche con testimonianze e interviste a studiosi, esplorando il senso di precarietà e insicurezza che sta invadendo i singoli e la società. E la paura che si insinua: il sole tramonta davvero a Occidente? Serena Zoli è nata a Lugo di Romagna (Ravenna) e lavora come giornalista per il Corriere della Sera. Con Longanesi ha pubblicato: E liberaci dal male oscuro, con Giovanni B. Cassano e La generazione fortunata.




A Calvi: sulla tavola le "meglio tradizioni"


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Siamo a Calvi dell’Umbria, tutta vicoli e piazzette. Ci siamo con Alvaro Fiorucci, che ne scrive benissimo su “La Repubblica”

A Calvi, dove c’e’ “la Tradizione di chi Conosce l’arte di coltivare la terra senza tradirla seguendo le regole antiche che fanno raccogliere qualità ed eccellenza. Ci sono le mani abili di coloro che rispettano le ricette del passato come i gesti del direttore d’orchestra gli spartiti più complessi. E c’è anche la sapienza artigiana che ricama tovaglie e tessuti con l’estro dell’artista impegnato nella realizzazione dell’opera che rimarrà nel tempo. In altre parole: Calvi dell’Umbria mette in tavola le tradizioni e non in senso figurato. In tavola ci sono proprio i migliori prodotti della gastronomia locale, i piatti cucinati alla maniera di una volta, gusti, profumi, sapori e prodotti artigianali, che questo piccolo centro della sabina longobarda, “fundus carbinianus” nell’anno 1000, vuole caparbiamente conservare per non perdere la sua identità più profonda.Edificato su uno sperone di tufo che guarda la valle del Tevere e scopre i Monti Cimini, Calvi a suo modo è una piccola capitale della Valnerina Ternana, un angolo di ambiente umbro tra i più suggestivi. E difatti insieme al buon mangiare c’è anche il bel vedere: percorsi didattici tra le colline dove ci sono olivi e vigneti a perdita d’occhio.

Si comincia al mattino presto: nelle piazzette e per i vicoli di Calvi ci sono postazioni culinarie dove i prodotti tipici (dalle farine, ai cereali, dai salumi ai formaggi, dal pollame ruspante all’agnello dei pascoli) non solo sono in mostra ma potranno essere degustati e, a scelta, anche manipolati. Ossia sono allestiti diversi laboratori del gusto dove tutti potranno in qualche modo mettere concretamente le mani in pasta. I più piccoli e più bravi tra questi improvvisati chef di strada avranno anche un premio: bisogna formare le giovani generazioni se non si vuoi perdere quel sottile file che tramanda da genitori a figli il rispetto per la terra e per i suoi prodotti che finiscono in cucina, una cucina sana e genuina secondo gli standard imposti dagli organizzatori.

I ristoranti e gli agriturismi dal cantò loro hanno preso un impegno in linea con le scelte del comune e della proloco: solo cibi tradizionali e a prezzi turistici. E ” a pranzo da Suor Angelica”, cioè alla Taverna del Monastero è, visto il contesto, un capitolo da non saltare.

Informazioni: Pro loco : tel 0774-710731 – Dove Mangiare: Agriturismo biologico Santa Brigida: 0774/710183




FAI: un appello per la "Selva di S. Francesco"


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Assisi è un nome che in tutto il mondo evoca uno spirito speciale: lo spirito di San Francesco.

Francesco, come pochi altri giganti dell’Umanità, ha saputo dare al mondo un messaggio nuovo: il messaggio della fratellanza universale e di una speciale armonia tra gli uomini e la natura. Ha saputo sperimentare linguaggi nuovi e moderni, creando ponti con tutti gli uomini e persino con gli animali…ricordate gli episodi del lupo e degli uccellini? Guardando Assisi da lontano vediamo i suoi diversi volti: il versante noto in tutto il mondo delle case, dei palazzi e delle chiese…ma anche il versante sconosciuto, quello dei boschi: una grande, intatta macchia scura denominata “Selva di San Francesco”. Si entra nella Selva varcando il portone che si apre nel possente muro di cinta della Basilica Superiore. Era proprio qui, in questo bosco di querce, aceri e ulivi che i frati andavano a raccogliere legna, per riscaldare il convento nei rigidi inverni umbri. Così i ceppi hanno perso vigore e la mancanza di cure ha trasformato la Selva in un bosco degradato e moribondo, mettendo in pericolo le specie della zona:tassi, volpi e istrici. Questo luogo speciale si estende su un territorio di 63 ettari ed è stato recentemente donato al FAI perché se ne prendesse cura. Il nostro sogno è quello di farlo rifiorire, di riportarlo al suo splendore originario, per restituirlo a tutti coloro che qui potranno sperimentare quel contatto puro e simbiotico

Ecco cosa chiede/propone il FAI:
DONA IL TUO CONTRIBUTO PER PROTEGGERE LA SELVA DI SAN FRANCESCO.
Con 40 euro metti a dimora 5 piantine di acero;
Con 50 euro ripristini 1 metro di sentiero nel bosco;
Con 80 euro pulisci 80 mq di bosco dai rovi;
Con 120 euro metti a dimora 2 piccoli alberi di frassino;
Con 350 euro pianti una quercia.

Ed ecco come inviare il contributo:Con il bollettino postale allegato; con carta di credito, telefonando al numero: 02 4676152.59; online sul sito www.fondoambiente.it con bonifico bancario intestato al FAI, c/o Unicredit Banca d’Impresa Milano Cordusio, IBAN IT 14 J 03226 01604 000030014311, specificando la causale “Selva San Francesco”;con un assegno non trasferibile intestato al FAI, spedito in busta chiusa a: FAI, Viale Coni Zugna 5, 20144 Milano, Ufficio Raccolta Fondi Privati.




L'attuale Valtiberina è "creazione" romana


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Quando si dice la Storia… e quanta ce n’e’ in tutte le terre che costituiscono il nostro Paese! prendiamo la Val Tiberina; che sta conoscendo un impetuoso sviluppo turistico.

Come niente, si potrebbe scrivere un libro. Qui, ovviamente ci limitiamo all’essenziale. Milioni e milioni di anni fa, l’attuale Valle del Tevere era occupata da un lago enorme, di cui si è tramandata come una leggenda, il nome: Lago Tiberino e che si estendeva da Sansepolcro fino a Terni e Spoleto.

A seguito di sconvolgimenti tettonici, il lago si prosciugò lasciando il posto all’odierna valle attraversata dal Tevere. La Valtiberina fu terra di confine tra le popolazioni umbre ed etrusche, ma è soprattutto ai Romani che si deve lo sviluppo di una serie di infrastrutture a collegamento dei vari municipi, accampamenti e stazioni di posta. Vestigia di epoca romana sono presenti un po’ ovunque, anche perché da Roma si pensò bene di sfruttare il Tevere come via di collegamento per il trasporto di legname dalle immense foreste dell’Appennino.

Anche se è stato sommerso dalle acque del bacino artificiale, non si può dimenticare la scoperta dei piloni dell’enorme ponte (un ponte, addirittura, a cinque campate) che consentiva alla strada consolare Ariminensis, che scendeva da Viamaggio (Via Maior) in direzione di Arezzo, di scavalcare il Tevere all’altezza di Sigliano. Tante sono le storie ed i ricordi che accompagnano il corso di questo fiume. Abbandonato a se stesso dopo le invasioni barbariche, il Tevere (che scorreva ai piedi di Anghiari) fu deviato verso Sansepolcro onde evitarne l’impaludamento. Per ripagare il territorio di Anghiari dell’acqua perduta, fu scavato un canale che, in prossimità del colle di Montedoglio, riportava una parte delle acque del fiume verso Anghiari fino a restituire, a valle di Pistrino, l’acqua concessa in prestito. Oltre all’irrigazione dei campi, il fosso servì soprattutto per alimentare l’energia necessaria alle macine dei mulini costruiti lungo il suo corso. La Reglia arrivò a contare undici mulini (di cui rimane ancora funzionante quello di Catorcio, di origine camaldolese), a cui si aggiungevano, nel Comune di Anghiari, i cinque posti nella piana del Sovara.

Ad un certo punto della storia la Reglia dei Molini assunse il nome di Acquaviola. Qual è il motivo di questo fatto? Probabilmente ci troviamo di fronte ad uno dei primi casi di inquinamento fluviale. Difatti è plausibile che alcuni molini venissero utilizzati per l’estrazione del guado, il colorante simile all’indaco per la cui produzione Anghiari fu famosa, cosa che avrebbe comportato la colorazione dell’acqua del canale.

Paese a forte vocazione turistica, grazie anche ai suoi incantevoli panorami, Anghiari vanta origini antiche e si presenta al visitatore con un suo caratteristico aspetto medievale, posizionato su di una altura a dominio della valli del Tevere e del Sovara. Le pittoresche case in pietra, i vicoli, le scale, le suggestive piazzette, testimonianze di valori storici tramandati attraverso i secoli.

Di certo fu durante il Medio Evo che Anghiari assunse la massima importanza soprattutto per l’evidente posizione strategica: si trova nominato per la prima volta in una pergamena del 1048, conservata nell’archivio di Città di Castello, anche se i primi insediamenti furono in epoca romana.

Ancora una segnalazione culturale: sulla terracotta invetriata. Che fu una tecnica artistica utilizzata per un lasso di tempo piuttosto limitato (1440-1540 circa) e solo in ambito fiorentino: dagli ‘sghiribizzi’ di Luca della Robbia a cui si deve l’invenzione del procedimento, alla bottega del nipote Andrea che arriverà quasi a una produzione seriale, fino alla bottega del figlio di quest’ultimo, Giovanni, con i suoi più stretti collaboratori Benedetto e Santi Buglioni andremo alla scoperta di opere che, proprio grazie al procedimento con il quale sono state realizzate, si sono conservate splendidamente.

Partiremo dalla Pala con la Madonna della Misericordia nella Propositura di Anghiari a cui seguirà una breve visita alle robbiane conservate all’interno del Museo Taglieschi , per poi proseguire per Badia Tedalda, dove nella chiesa di S. Michele Arcangelo si trovano tre grandi pale commissionate a Benedetto e Santi Buglioni.

L’itinerario avrà il suo culmine nella visita del Santuario della Verna in Casentino dove straordinarie terracotte invetriate ornano le pareti della Cappella delle Stimmate, della Basilica e della chiesetta di S.Maria degli Angeli.




Come è nata nel Valdarno una tenuta agricola "eccellente"


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Ce lo racconta Candida Zanelli in un bel servizio, documentatissimo, illustrato dalle foto di Stefania Giorgi, sulle pagine di “V.S.”- Testo di Stefano Tesi.

Galeotta fu la battuta di caccia. Durante la quale Ferruccio Ferragamo, rampollo della nota famiglia calzaturiera e figlio del capostipite Salvatore, si innamorò. Non però di una bella fanciulla o della consorte del padrone di casa, all’epoca (si era nei primissimi anni ’90) Amedeo di Savoia, duca d’Aosta, ma della sua tenuta: il Borro, glorioso e un po’ malmesso borgo dalle parti di San Giustino Valdarno, nella più bella campagna aretina, storica proprietà degli Aosta. Uno di quei colpi di fulmine che lì per lì sembrano costituire più una fissazione passeggera che altro: la grande villa, malinconicamente mutilata di un’ala per colpa di una mina tedesca esplosa durante l’ultima guerra, l’abitato vetusto, arrampicato su un’altura. Un borgo a cavalcioni del torrente nel quale, correva il 1440, dopo la battaglia di Anghiari tra Firenze e Arezzo erano rotolati i cadaveri di dieci membri della famiglia fiorentina dei Pazzi, alleati degli aretini e per questo impiccati. Tutto un po’ fané appunto, come si addice a un possedimento nobiliare, ma in qualche difficoltà. Eppure lo scalpiccio degli stivali sulle lastre di pietra serena del selciato, le grandi querce e la bellezza accecante del paesaggio avevano lasciato un segno indelebile nella mente dell’imprenditore fiorentino. Vero che, già da un po’, i Ferragamo avevano deciso di diversificare l’attività (ad esempio nel proficuo settore dell’hótellerie di lusso in riva all’Arno e nella cantieristica d’altura), ma nessuno fino ad allora aveva pensato a una digressione nei panni del country gentleman. Poi, si sa come vanno le cose, una chiacchiera tira l’altra. Forse l’amabilità del duca, forse l’accenno a qualche castello in aria, vagheggiando di quote e società, fino alla scoperta finale che il Borro era in vendita. O almeno si poteva trattare.

Da qui, tutto è scorso velocemente. Un primo accordo, l’ingresso parziale nella proprietà, poi grande salto: nel 1993 il Borro diventa a tutti gli effetti dei Ferragamo. C’è un punto della storia sul quale Ferruccio insiste: “L’impegno finanziario era grosso, sarebbe ridicolo pensare che nelle intenzioni della famiglia non ci fosse l’idea, e l’obbligo anche morale, di mettere a reddito l’investimento” dice. “Devo tuttavia riconoscere che l’operazione è nata e continua tincora oggi a prescindere dal puro business. Non c’è stata speculazione e gii aflari sono stati l’effetto, non la causa, del nostro acquisto”. Comunque la si pensi, bisogna ammettere che al Borro i Ferragamo non si sono risparmiati. Nei sontuosi lavori di restauro, che nell’arco di tre lustri hanno letteralmente trasformato l’abitato, la villa e l’azienda agricola circostante, diventata azienda vitivinicola, c’è infatti molto del loro stile di vita, oltre che molto denaro e il lavoro esperto degli architetti. Come si dice, la “mano” della famiglia si è fatta sentire. Al Borro la presenza del made in Italy aleggia ovunque, palpabile. Prima di tutto nella grande villa padronale, completamente ristrutturata e reintegrata, al termine di una complessa ricostruzione, delle porzioni mancanti.

Per restituire al godimento dei visitatori l’integrità di questa grande casa di campagna, la villa viene offerta in affitto empie e solo tutta intera, senza suddivisioni, compreso il personale di servizio (con maggiordomo e chef) che in qualche nodo condivide lo stile di vita del palazzo e le sue facilities: dieci camere da letto, sauna, palestra, sala da biliardo, giardi-o all’italiana, una piscina coperta e una esterna. Lo stesso stile con cui Ferruccio e Ilaria Ferragamo hanno reinventato, senza stravolgerla, l’ex abitazione del duca d’Aosta, si ritrova negli altri interventi: quello sul borgo vero e proprio e quello sui 700 ettari di tenuta agricola. «La trasformazione dell’attività da un’agricoltura tradizionale .Una filosofia che si ritrova anche nell’altra struttura ricettiva allestita al Borro. Si tratta di nove appartamenti indipendenti, ricavati dalle antiche abitazioni del villaggio medievale, tutte restaurate con grande attenzione per i dettagli e il comfort, ma con una forma sottintesa di rispetto verso la tranquillità, l’assenza di clamore e di chiasso.




Nelle dolomiti bellunesi c'è "Il Parco che cammina"


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Davvero una forza della natura le Dolomiti bellunesi: nella zona, sono state censite 1.400 specie vegetali; un quarto di quelle nazionali!

Leggiamo su “Qui Touring”: L’impatto è di quelli che lasciano a bocca aperta. Se un sito web è in qualche modo indicativo dell’efficienza e dell’organizzazione di una struttura, allora il parco delle Dolomiti Bellunesi supera ogni record. Cliccare per credere: pagine e pagine di informazioni dettagliate, contatti skype, download di delibere e disciplinari, traduzioni in 17 lingue (persino in arabo e in cinese!). “Vogliamo rendere il parco una casa di vetro ” racconta il direttore. Nino Martino. “Nessun segreto né per i turisti né per gli abitanti. Il nostro è il sito più visitato tra quelli dei parchi nazionali italiani: siamo secondi solo a www.parks.it”. E non c’è da stupirsene, vista la qualità del prodotto ma anche le attrattive del territorio, un’ampia area dolomitica alle spalle di Feltre e Belluno, che spesso passa in secondo piano rispetto alle montagne trentine e altoatesine. “Prima del 1993, erano in pochi a conoscerci” continua Martino. “Il parco ha avuto una funzione importante per la promozione del territorio. E per festeggiare i nostri primi 1 5 anni, il 12 luglio inauguriamo il giardino botanico Campanula morettiana, nella valle del Mis, dedicato soprattutto a chi non può vedere i nostri bellissimi fiori dal vivo”. Altro segnale di un parco che cammina: il giardino è pensato per essere usufruito da persone con qualsiasi disabilita, sia essa motoria o visiva, una prima assoluta per un parco italiano. “Entro la fine dell’anno inaugureremo un centro culturale a Belluno, dedicato a Piero Rossi, amico di Dino Buzzati, che volle fortemente il l’arco. Sarà un vero e proprio caffè letterario, una sorta di piazza al coperto per mostrare alla gente che non esiste iato tra cultura e natura’. Ancora, altri progetti: la reintroduzione del gipeto e dello stambecco, dopo quella della marmotta, avvenuta con grande successo. Ma la gente, come reagisce? “E sempre difficile legare gli abitanti al parco” spiega Martino, “ma l’esperienza degli ultimi anni fa ben sperare, considerando che addirittura duecento aziende nel territorio dei comuni del parco hanno aderito alla carta qualità che abbiamo proposto, sottoscrivendo un contratto per autolimitare il loro impatto ambientale”. Detto questo (ma molto altro si potrebbe ancora dire) non resta che partire per le montagne bellunesi, splendide nella loro aspra solitudine. “Invito tutti a scoprire il silenzio delle nostre vette’ conclude Martino. “Spesso i turisti si fermano solo ai catini del Brenton e nella valle del Mis. Ma abbiamo tanto altro da offrire: dalle miniere di valle Impenna ai pianori d’alta quota. Magari bisogna scarpinare un pò , ma la soddisfazione è impagabile”. Sul web, naturalmente, tutti i sentieri passo per passo.

Qualche libro per l’estate.
Per chi vuole capire un po’ di più di quello che succede sulle nostre montagne, Noi Alpi!, il terzo rapporto sullo stato delle Alpi della Cipra (Cda&Vivalda, 24,90 euro). Per chi vuole scoprire un’altra faccia della Toscana, Viaggio nella Toscana dei parchi di Giulio lelardi (Ets, 14 euro): un’inchiesta on the road, incontrando chi lavora nelle aree protette della regione. Per chi vuole saperne di più, ma senza parole difficili, sullo stato di salute del pianeta Terra, La scomparsa delle api di Sylvie Coyaud (Mondadori, 15 euro).

Come si arriva
Principali città d’ingresso al parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi (tei. 0439.3328; www.dolomiti park.it) per chi viene da sud sono Belluno e Feltre. Centri visitatori a Pedavena, nel Feltrino, e a valle Impenna, nell’Agordino. Sentieri natura in vai Falcina, lungo la valle del Mis, e in vai di Canzoi (due delle tre valli percorribili anche in auto). Molti altri suggerimenti sul sito del parco.




La guerra fu terribile sui monti della "bella" Cortina


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Fu sui monti della oggi assai mondana ed elegante Cortina, che furono scritte molte delle pagine più aspre e sanguinose della Prima Guerra mondiale fra Italia e Imperi Centrali. Sono trascorsi 90 anni e più ma ancora si continua a pubblicare libri e a organizzare convegni; e a “scavare” sul territorio.

Adesso, è stato inaugurato il “Museo all’aperto del Passo di Stria” e, nonostante il maltempo, alla cerimonia hanno partecipato oltre un migliaio di persone; e, tra agosto e settembre, si prevedono almeno 200.000 visitatori.

Anche perchè i massicci flussi di turisti austriaci e tedeschi, per ovvi motivi, continuano a prediligere queste zone, dove combatterono centinaia di migliaia di loro antenati; e dove morirono a decine di migliaia; oggi sepolti in tanti cimiteri accuratamente separati e tenuti con ogni cura e attenzione.

Certo, lo scontro fu durissimo da queste parti, dov’era situato- leggiamo- “il più importante caposaldo austriaco”; il più complesso tecnicamente, anche; tanto che ci sono voluti ben dodici anni di lavoro di lavoro per “ricostruirlo” e farne “il più grande Museo all’aperto di tutta Europa” (sulla Grande Guerrea), esteso venti chilometri quadrati. E quì non ci sono vincitori nè vinti. Qui c’è soprattutto “passione per la Storia”; e impegno di non dimenticare quella che fu su un terreno “terribile”, spaventosamente difficile, su per montagne dove ci si affrontava fra neve e gelo a tremila metri e più di quota, guerra spietata; come spiega – leggiamo su “Repubblica” in un articolo di Roberto Bianchi – Stefano Illing ingegnere cortinese, al quale si deve l’iniziativa, insieme al Comitato “Cengia Martini/Lagazuoi”: “Nel nuovo museo all’aperto del Sasso di Stria, uno sperone di roccia di 2.477 metri a strapiombo sul Falzarego, si possono percorrere, sino alla vetta, tutti i camminamenti, le trincee e le quaranta postazioni da combattimento che i Kaiserjaeger austriaci avevano scavato nel ventre della montagna e che sono stati tutti recuperati. Come già era stato fatto perle gallerie del monte Lagazuoi che sta di fronte, dov’erano installati gli italiani. Dai due monti vicini combattevano una guerra sporca e sorda, sotterranea, in un gelo implacabile, fatta di mine che scoppiavano improvvise nelle viscere e di sventagliate di mitraglia nella notte sulle trincee.”




A Rovigo il "progetto" per dieci fiumi europei


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Come tra il Tigri e l’Eufrate si sono alternate le vicende dei popoli che hanno abitato la mezzaluna fertile (la Mesopotamia), anche tra i fiumi più grandi d’Italia, l’Adige e il Po, l’uomo, sin dall’alba dei tempi, ha costruito i propri insediamenti.

Il vecchio e il fiume
Nel Museo dei Grandi Fiumi di Rovigo è raccolta la testimonianza del legame dell’uomo con il suo territorio ed in particolar modo con l’acqua in tutte le sue forme. L’Adige e il Po sono di volta in volta fonte di vita, risorsa per la pesca, via di comunicazione e scambio con altre culture. Dalla preistoria all’alto medioevo, attraverso ricostruzioni virtuali e reperti archeologici, il visitatore è accompagnato in un viaggio immaginario, durante il quale ripercorre le tappe fondamentali della sua evoluzione biologica e culturale per essere, infine, proiettato verso il futuro.

Storia del territorio, storia dell’uomo
Le ampie sale del Monastero Olivetano di Rovigo, restaurate di recente, ospitano il Museo che nella fase attuale propone i settori dedicati all’Età del Bronzo e del Ferro. Il percorso espositivo dell’Età del Bronzo attraversa l’Europa a volo d’uccello, per poi atterrare sull’area polesana: vale la pena fermarsi un po’, perché sono stati ritrovati molti insediamenti di epoche diverse, accomunati dalla necessità di restare sempre vicini ai corsi d’acqua.

Tra questi l’insediamento protostorico di Frattesina di Fratta Polesine, edificato lungo le rive dell’antico Po di Adria. Nella sezione dedicata all’età del Ferro è ricostruita la trama dei traffici commerciali e dei contatti culturali che si svilupparono nell’antico Polesine lungo diramazioni del Po oggi scomparse. Tra i modellini esposti una nave oneraria greca del periodo arcaico con il suo carico di anfore. Per finire un video racconta l’evoluzione del Delta del Po in relazione alla storia dei centri urbani di Adria (che diede il nome al mare Adriatico) e di Spina.

Dove mancano gli oggetti arriva la tecnologia: una serie di video accompagnano la visita e presentano l’acqua sia come elemento vitale, sia come legame di continuità tra le civiltà del passato e quella del presente.

Tre sentieri e un trampolino
Archeologia e tecnologia si fondono e offrono tre diversi spunti narrativi per la visita al museo:
Dalla preistoria all’alto medioevo: l’evoluzione dell’uomo in rapporto al suo territorio.
La formazione della pianura padana: gli interventi di bonifica e la creazione di canali.
La storia dell’acqua: i fiumi si muovono in lungo e in largo, formano anse, cambiano i percorsi.

Ovviamente, per conoscere i fiumi bisogna andare sui fiumi. Il museo in questo caso funziona un po’ da guida, un po’ da trampolino: nella sezione il Po e l’Adige verso la foce del sito Internet sono suggeriti diversi percorsi e molti link per approfondire il rapporto degli uomini e delle donne (cioè noi) con i due grandi fiumi italiani.

10 fiumi europei sfociano in un progetto comune
Il museo dei grandi fiumi di Rovigo, inaugurato nel 2001, nasce come fulcro di un progetto di monitoraggio dei bacini fluviali europei che ha l’obbiettivo di fornire un quadro esauriente delle conoscenze storico ambientali delle aree esaminate in modo da divenire uno strumento per la gestione territoriale e per la valorizzazione del patrimonio culturale.

Partecipano al progetto i fiumi: Adige, Dunàrea, Ebro, Guadalquivir, Reno, Rhone, Po, Tejo, Tamigi, Rodano.

= Info: Direttore del Museo – Raffaele Peretto
prenotazioni:CeDi Centro didattica Beni culturali Ambientali Tel. 042 521530 Fax 042 526270