Tangenti agli infermieri del Molinette


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La Guardia di Finanza ha arrestato a Torino cinque persone per presunte tangenti date agli infermieri delle camere mortuarie dell’ospedale Molinette in cambio di favorì ad impresari funebri. Le accuse vanno dalla corruzione all’associazione per delinquere. Gli arrestati sono quattro infermieri e il responsabile di un’ impresa di onoranze funebri. Alcuni di loro sono stati presi in consegna nelle camere mortuarie dell’ ospedale. Altre sei persone hanno ricevuto dal sostituto procuratore Giuseppe Ferrando un avviso di garanzia per corruzione, e portano il totale degli indagati a undici. Le società coinvolte sono in tutto quattro. Le Fiamme Gialle, grazie anche a fotografie e intercettazioni ambientali, hanno scoperto che gli impresari, alla ricerca di clienti tra i familiari delle persone decedute, si facevano aiutare dagli infermieri in cambio di somme di denaro.




Italia: si muore sul lavoro più che nell'Irak in guerra


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Gli incidenti sul lavoro in Italia negli ultimi anni hanno fatto più morti della seconda Guerra del Golfo: il dato è dell’Eurispes, che ha calcolato come dall’aprile 2003 all’aprile 2007 i militari della Coalizione che hanno perso la vita sono stati 3.520, mentre, dal 2003 al 2006, in Italia i morti sul lavoro sono stati ben 5.252. Un incidente ogni 15 lavoratori, un morto ogni 8.100 addetti: queste le cifre, secondo le elaborazioni Eurispes, del fenomeno. «È impressionante» ha commentato il presidente della Commissione attività produttive della Camera, Daniele, Capezzone, che ha commissionato all’Eurispesil Rapporto. Proprio di recente, ha ricordato Capezzone, si è verificata una recrudescenza di questi incidenti, ma all’indomani del clamore suscitato dalla cronaca, il riflettore sul fenomeno delle morti bianche si spegne inesorabilmente. Occorre invece intervenire, anche perché questi infortuni costano ogni anno alla comunità 50 miliardi di euro: «Con le imprese, anziché vessarle fiscalmente e burocraticamente – ha proposto Capezzone – occorre fare un patto per la sicurezza, intensificare i controlli ed eliminare il meccanismo appalti-subappalti». Un problema, quello degli infortuni sul lavoro, per il quale in 25 anni non sono stati fatti significativi passi avanti secondo il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, che ha raffrontato i dati di questo Rapporto con quelli di una vecchia indagine dell’Istituto, avvertendo che le cifre restano più o meno le stesse. La mappatura, realizzata dall’Eurispes elaborando dati Inaii, evidenzia come ogni anno in Italia muoiono in media 1.376 persone per infortuni sul lavoro. Poco meno del 70% dei lavoratori (circa 850) perdono la vita per cadute dall’alto di impalcature nell’edilizia; ribaltamento del trattore in agricoltura; in un incidente stradale nel trasporto merci per le eccessive ore trascorse alla guida. L’età media di chi perde la vita sul lavoro si aggira sui 37 anni. Le donne infortunate sono in media il 25,75% e i decessi si attestano su un valore medio del 7,7%. La percentuale media delle denunce per infortunio tra i lavoratori immigrati è dell’11,71%, mentre quella dei decessi è del 12,03%: la sostanziale uguaglianza, sottolinea il rapporto, è anomala, dato che per i lavoratori italiani la percentuale degli incidenti è di gran lunga superiore a quella dei morti.

Il fatto che la percentuale dei lavoratori immigrati deceduti sul lavoro è leggermente più alta di quella degli incidenti fa pensare che molti infortuni non siano denunciati. È nei trasporti che il tasso medio di incidenti si attesta su posizioni più elevate, mentre nell’industria si registra il valore più basso. Osservando l’andamento delle morti bianche nel periodo 2003-2005, l’Eurispes evidenzia un picco nel 2004 nel settore agricoltura, passata da 129 morti (2003) a 175 (2004) per poi ridiscendere a 127; un decremento nell’industria e nei servizi, passati dai 1.308 morti del 2003 ai 1.137 del 2004 e ai 1.065 del 2005; una sostanziale stabilità del settore pubblico (12-16-14). Per quanto riguarda la distribuzione territoriale degli infortuni (circa 950 mila nel 2005), l’Eurispes ha calcolato, rapportando il numero degli addetti e moltiplicandolo per 100, che la provincia con il maggiore tasso di incidenti (anno 2005) è quella di Taranto (11,33), seguita da Gorizia e Ragusa. La regione con più incidenti mortali in assoluto (anno 2003) è invece la Lombardia, seguita dall’Emilia Romagna; ma si tratta di un dato, sottolinea il rapporto, che non tiene conto della dimensione della popolazione a rischio di incidenti, cioè degli occupati.Il Lazio è terzo nel record regionale negativo è terzo dopo Lombardia e Emilia Romagna: nel 2003 aveva 98 le morti bianche, numero che è andato crescendo fino ai 121 nel 2004, per poi scendere a 105 nel 2005, con incidenti mortali più di frequenti in industria e servizi. Se si rapporta invece il numero di morti al numero di ore lavoro 0 al totale degli addetti, la regione con la maggiore incidenza di morti bianche è il Molise, seguita da Basilicata e Calabria e in genere da regioni del Sud. In Italia le leggi e le norme ci sono, ha spiegato il presidente di Eurispes, il problema è farle osservare. Fara ha puntato il dito contro la pratica, in uso soprattutto nella Pubblica Amministrazione, si assegnare gli appalti pubblici al ribasso: «e le imprese – ha detto – quasi sempre risparmiano sulla sicurezza e sul costo dei lavoratori, scegliendo maestranze poco preparate e precarie».




Valanga di imputati per il crack Tecnosistemi


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Tecnosistemi, secondo round. Dopo che il gup Antonella Brambilla ha rinviato a giudizio per bancarotta fraudolenta il fondatore del gruppo di information technology, Mario Mutti, ora i pm Laura Pedio e Luigi Orsi chiudono le indagini anche per amministratori e sindaci delle società (pure fallite) della galassia Tecnosistemi, e cioè Eudosia, Tecno field services, Tecno safety System, Tecnosistemi facility management, e Ict Systems. Così accade che, tra i 56 indagati a vario titolo per concorso in bancarotta ai quali la Procura ha depositato gli atti, compaiono persone che, nel prosieguo di quei tatti datati 2000-200S, hanno avuto, o hanno tuttora, importanti ruoli. Tra loro, per esempio, l’attuale presidente dell’Authority per l’energia elettrica e il gas, Alessandro Ortis, già vicepresidente dell’Enel; l’ex amministratore delegato di Sviluppo Italia, Massimo Caputi; gli ex presidente, vice e amministratore delegato di Italtel, Fausto Plebani, Giovanni Barbieri, e Salvatore Randi; l’ex vicepresidente di Meliorbanca, Ferruccio Piantini; l’ex presidente di Tecnimont, Rosario Alessandrello; e il figlio di Mutti, Maximiliano. Nel 1999 il finanziere fonda Tecnosistemi, in breve fatturati da capogiro e una decina di società in Italia e all’estero. Nel 2002, l’imprenditore lancia un’Opa su Freedomland (poi pure fallita) per cercare la quotazione in Borsa con un’alchimia finanziaria analoga anni prima allo sbarco in Borsa della Parmalat di Tanzi. Ma nel 2003 vengono dichiarate insolventi le sue società. Di rilievo per il crac, nella ricostruzione del pm, «l’acquisizione di Italtel sistemi spa, sproporzionatamente più grande dell’acquirente e già in difficoltà finanziarie»; «l’acquisizione, ricapitalizzazione e successiva vendita della partecipazione nella Sai spa con in contropartita crediti inesigibili» mentre «altri soci di Sai beneficiavano indebitamente delle risorse di Tecnosistemi»; «l’acquisizione del ramo call center Siemens».




Caso Visco: è gravissimo e non si può ignorare


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Dopo le accuse di pressioni, minacce e ingerenze rivolte dal comandante generale Roberto Speciale a Visco, altri tre generali di corpo d’Armata della Guardia di Finanza puntano l’indice contro il viceministro dell’Economia. Confermando, parola per parola e per quanto a loro conoscenza, fatti, iniziative e anomale sollecitazioni riferibili a Visco. Si tratta quindi di preziose conferme a quanto già messo a verbale dal numero uno della GdF Speciale nel suo interrogatorio del 17 luglio. I due generali hanno firmato verbali resi ai magistrati milanesi e che II Giornale ha potuto visionare. Si tratta del generale Italo Pappa, all’epoca comandante in Seconda, di Sergio Favaro, capo dei reparti di istruzione, e di Emilio Spaziante all’epoca capo di Stato Maggiore. «Ordine di Visco»

Sia Favaro che Pappa confermano che fu Visco a chiedere loro l’azzeramento dell’intera gerarchla della GdF in Lombardia. Ecco le parole di Favaro: «II 13 luglio sono stato convocato telefonicamente per un incontro alle 15.30 con l’on. Visco. (…) Dal ministro Visco mi fu segnalata l’opportunità di valutare che nel piano di assestamento fossero ricompresi gli ufficiali di dirigenti di Milano ad esclusione del comandante Interregionale. (…) Il discorso della sostituzione degli ufficiali dirigenti di Milano fu una proposizione del ministro Visco». Sulla stessa linea Pappa: «II viceministro Visco mi rappresentava (durante l’incontro del 13 luglio alle 15, ndr) l’opportunità di valutare la possibilità di movimentare ad altri incarichi di alcuni ufficiali della sede di Milano». Entrambi confermano che Visco non indicò «motivazioni specifiche – le parole di Pappa – per trasferire gli interessati». Spaziante afferma invece di aver saputo da Pappa e Favaro che Visco voleva i trasferimenti. È quindi ha confermato che fu proprio Visco a ordinare gli avvicendamenti.

Gdf commissariata

Ma è anche confermato che sempre il viceministro dispose che gli avvicendamenti dovevano essere decisi da Pappa e Favaro per poi essere vistati da Speciale. Mentre la normativa indica nel comandante generale l’unico soggetto tributato a decidere i trasferimenti. Ad ammettere quest’inversione gerarchica e ad attribuirla a Visco sono proprio i due generali. «Dal viceministro Visco – sostiene Favaro – fu rimesso al comandante generale, al comandante in seconda e a me di individuare concordemente i sostituti. Per Visco gli ufficiali di Milano trasferiti non avrebbero dovuto essere nelle nuove destinazioni in alcun modo danneggiati». Pappa è ancor più preciso: «II viceministro – afferma – mi precisava che si rimetteva alle scelte effettuate dallo scrivente d’intesa con il gen C. A. Favaro e successivamente concordate con il comandante generale». Pappa ubbidisce a Visco, predispone l’azzeramento, le sostituzioni: «Nel pomeriggio (dopo l’incontro con Visco, ndr) con Favaro proposi a Speciale un elenco di ufficiali sostitutivi di quelli eventualmente da avvicendare». Predisposti i cambiamenti, Favaro e Pappa li sottopongono quindi al comandante generale. I ricordi di Pappa si sovrappongono a quelli di Favaro.




Rifiuti: pessimi risultati per tutti i commissariamenti


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Leggiamo sul “Corriere della Sera”, a firma di Lorenzo Salvia

“«L’abbandono della gestione ordinaria a favore di quella straordinaria non sembra affatto giustificato dai risultali ottenuti». Anzi, «l’inefficienza del regime commissariale ha assicurato a se stesso la sopravvivenza in un circolo vizioso, dove : I ritorno alla ordinarietà è divenuta una prospettiva assai lontana». È una bocciatura su tutta la linea quella che arriva dalla Corte dei conti per i commissari straordinari nominati dal governo per l’emergenza rifiuti. Le 200 pagine della relazione non si occupano solo della situazione della Campania esplosa in questi giorni. Ma analizzano i risultati ottenuti nelle cinque regioni dove dal 1994 a oggi si è fatto ricorso ai commissari: oltre alla Campania, ci sono Puglia, Calabria, Sicilia e Lazio. Le conclusioni sono severissime. Non c’è stata alcuna velocizzazione delle procedure: «II risultato non è stato una più efficace applicazione della disciplina ambientale, bensì quello di differirne nel tempo l’applicazione». La Corte dei conti accusa i commissari per «l’inerzia nel non affrontare con forza le cause del mancato decollo della raccolta differenziata». E critica anche il modo in cui sono state impiegate le risorse sottolineando le «significative quote di spesa per il funzionamento della struttura in relazione alle spese per la realizzazione degli obiettivi». Critiche anche per la «mancanzs di un approccio decisionale improntato al dialogo e alla negoziazione» che ha prodotto una «pletora di ricorsi, rallentando pesantemente la soluzione dell’emergenza». Ma sono soprattutto gli effetti di lungo periodo a preoccupare i magistrati: la relazione sottolinea la «non applicazione delle norme di concorrenza nell’affidamento degli appalti», e ricorda gli affidamenti diretti in Campania, come quello per la messa in sicurezza della discarica di Sant’Angelo Trimonte che ha portato al modesto ribasso del 6,25%. L’effetto peggiore? «La deresponsabilizzazione degli enti locali che ha fatto loro perdere, probabilmente negli anni, le capacità tecniche necessario per affrontare l’ordinaria gestione».




Niente mele-antimedico 6 su 10 sono inquinate


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Una mela al giorno non “toglie (più) il medico di torno”. Perchè 6 mele su 10 sono inquinate da fitofarmaci come rivela l’annuale Rapporto di Legambiente: Pesticidi nel piatto. Ecco i dati, in dettaglio:

Solo la metà dei campioni di frutta (54%) – spiegano nel dossier — è esente da residui di pesticidi, mentre i campioni decisamente irregolari si attestano sull’1,7%. Eclatante è il caso, come detto, delle mele, frutto associato tradizionalmente alla salute, di cui solo il 39% è esente da pesticidi; il 30% dei campioni analizzati presenta più di un principio attivo e addirittura il 3,6% risulta irregolare. Su 253 campioni di uva analizzati poi, 3 risultano irregolari (1,2%), 80 regolari senza residuo (31,6%), 53 regolari con un residuo (21%) e ben 117 (pari al 46,2%) contaminati da più di un residuo.

Anche il 20% dei prodotti derivati risulta contaminato da uno o più principi attivi: un dato particolarmerrte significativo se si pensa che tra questi compaiono proprio quei prodotti tipici del made in Italy (come l’olio e il vino) e alcuni tra gli alimenti preferiti dai bambini come succhi di frutta e omogeneizzati. Oltre l’84% delle verdure analizzate risulta, invece, regolare e privo di residui chimici, il 15% presenta uno o più residui e l’1 % è proprio irregolare.

«Il costante anche se lento miglioramento dei dati – ha dichiarato Francesco Ferrante, direttore generale di Legambiente – conferma la validità delle nostre battaglie a favore di un’agricoltura di qualità, il più possibile sana, stagionale e legata al territorio. Purtroppo aumentano anche le evidenze scientifiche dei danni all’ambiente e all’organismo umano causati dall’abuso o uso improprio dei pesticidi. Per questo abbiamo voluto allargare la presentazione del dossier ai rappresentanti degli apicoltori – preoccupati per l’aumento del fenomeno della moria delle api, principali indicatori degli squilibri ambientali – e dell’associazione italiana endometriosi che da tempo denunciano i collegamenti sempre più evidenti tra la presenza di pesticidi e la diffusione di questa malattia che in Italia interessa il 4% dei 10.000 ricoveri femminili annui». In generale, la percentuale dei campioni irregolari di prodotti ortofrutticoli (cioè fuori legge per superamento dei limiti di concentrazione di residuo chimico o per uso di pesticidi non autorizzati) rimane invariata rispetto allo scorso anno (1,3%), e i campioni con più di un residuo diminuiscono leggermente (con un calo del 1.7 % rispetto alle percentuali dell’indagine del 2006).

Nel dettaglio, i campioni di prodotti ortofrutticoli e derivati analizzati nel corso del 2006 dai laboratori pubblici provinciali o regionali sono 10.493, con un aumento delle analisi effettuate pari a ben il 13% in più rispetto all’anno precedente. Anche quest’anno, risulta molto vario il comportamento delle regioni rispetto al numero di analisi effettuate e ai principi attivi ricercati, con il Molise che dichiara proprio di non svolgere le analisi. Va sottolineato – conclude Legambiente – che la normativa vigente non considera ancora la questione del multiresiduo: la presenza contemporanea, entro i limiti di legge, di più principi attivi su uno stesso prodotto. In Toscana è stato trovato un campione di pesche con 6 residui, ma è anche qui da segnalare il caso dell’uva, con diversi campioni contaminati da 5 pesticidi. Le analisi della provincia di Bolzano evidenziano 5 mele di provenienza locale con 5 residui e – ancora una volta – un campione di uva nera pugliese con 6 principi attivi. Stesso trend per le analisi condotte in Lombardia con due campioni di pere e uno di uva – tutti di origine italiana – con residui di 5 pesticidi diversi.




Polstrada: parco auto è tutto da rottamare


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Quando si parla di efficenza dei pubblici servizi, specie in riferimento alla sicurezza, bisogna aver presenti molti “fattori”. Guardiamo, ad esempio, cosa accade nella Polizia Stradale di Roma e del Lazio. Con il sindacato “Consap” che denuncia: mezzi inadeguati a garantire la sicurezza. E denuncia cifre da brivido in un esposto al ministero dell’Interno.

Annota e commenta Federica Angeli, su “Repubblica”: Il settanta per cento delle pattuglie della polizia stradale, sul Gra, viaggia su mezzi inadeguati, vecchi, vecchissimi. A denunciarlo è il Consap, il sindacato di polizia più rappresentativo della capitale, che chiede ai vertici del ministero degli Interni «un intervento immediato, per una situazione a dir poco indecente».

Ecco perché Delle ventuno automobili , disposizione del Compartimento della polizia stradale Lazio, chiamata a garantire la sicurezza del Grande raccordo anulare, ovvero una delle arterie più fortemente a rischio di tutta la rete viaria nazionale, oltre il settantapercento ha abbondantemente superato i 200 mila chilometri. Tra le Fiat Mareae le Subaru Legacy in dotazione, ce ne sono tre che addirittura hanno 328 mila chilometri di percorrenza. «Operare con questi mezzi — denuncia la Confederazione Sindacale Autonoma di Polizia — rappresenta un pericolo per i colleghi, oltre a una perdita di prestigio ed autorevolezza per tutta l’istituzione e per tutti gli agenti della stradale, costretti a svolgere il proprio servizio con autovetture indecorose e insicure». Situazioni di estrema carenza della automobili pesano infatti sulle attività di controllo e prevenzione in ambito di sicurezza stradale. Anche perché il Grande raccordo anulare è stato spesso e volentieri utilizzato come via di fuga da parte di malviventi che, per evitare di rimanere intrappolati nel traffico cittadino, scelgono le tre corsie del nastro d’asfalto attorno alla città. Inseguimenti mozzafiato con macchine di servizio arrivate all’età della pensione diventa dunque un’impresa al limite del possibile, a volte oltre il limite della prudenza.

«E’ paradossale — si legge nella lettera indirizzata dal Consap al ministero dell’Interno — che un’istituzione, che ha tra i suoi scopi primari quello di tutelare la sicurezza dei cittadini, non riesca nemmeno a garantire quella dei suoi dipendenti».

Ma c’è dell’altro. Da questo risicato parco auto a disposizione della stradale di Settebagni, basta un semplice guasto di uno dei veicoli (come ad esempio l’avaria di un anabbagliante), per mandare al collasso la situazione «con conseguenze sempre peggiori sulle condizioni della auto stesse. Cosa che accade frequentemente».

Il problema della inadeguatezza delle 21 pattuglie della Stradale è stato portato, qualche giorno fa, all’assemblea della Consulta del Cnel sulla sicurezza stradale. Giorgio Innocenzi, segretario generale del sindacato di polizia, presente all’incontro in qualità di delegato della Cisal, ha sollevato forti perplessità per le linee progettuali d’intervento esposte dal ministro dei trasporti Alessandro Bianchi: «II governo punta le sue politiche di contenimento delle stragi sulle strade e sul potenziamento e sul potenziamento delle attività di pattugliamento, sostenendo di avere come obiettivo il raddoppio degli equipaggi delle forze di polizia sulla rete viaria nazionale. Quello che mi domando è: ma con quali risorse?».




Sul "fronte cocaina" situazione drammatica"


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L’espressione è esagerata; lo dicono le cifre, usano cocaina 2 milioni di italiani che vi spendono ben 4 miliardi di euro l’anno; e tra gli esperti -scrive Giacomo Amadori su “Panorama” -cresce un allarme:come saranno;vertici del Paese di domani? La cocaina infatti, è particolarmente pericolosa. “E una droga che modifica il codice etico, che disinibisce, toglie la paura e dà il gusto del rischio, magari in mestieri dove sarebbero necessarie calma e riflessività” avverte Furio Ravera, direttore sanitario del CRES, centro milanese antidroghe e autore del libro “Un Fiume di Cocaina”, che sta per uscire nelle librerie.

Di cocaina, nel 2006, sono state sequestrate oltre 4.000 chili; e risulta evidente che essa “conquista spazi in tutte le fasce sociali, quasi nell’indiferenza generale, come era già successo con l’eroina della quale nello stesso periodo sono stati sequestrati “solo” 1.092 chili); e non è un caso se la Clinica di Ravera, presso Cuneo, è considerata la casa di cura VIP, al costo di 700 euro al giorno “Non mancano gli assassini…” cita il criminologo Massimo Pirozzi, dalle «Bestie di Satana» a Stefania Diamante, uccisore della madre o al quel Prete De Negri, detto il “canaro”che, maltratto di droga “sevizio’ per ore la sua vittima, facendola a pezzi…” Sono cambiate le “dipendenze”,ecco un altro punto da tener presente; tra il 1991 e il 2005 -in base alle cifre di chi si fa disintossicare- i consumatori di eroina sono calati dal 90,1 al 72,3% e cioè del 17,8 per cento mentre quelli di cocaina sono cresciuti dall’1,3 al 13,2 con un aumento di quasi il 12% .(è cresciuto anche l’uso della cannabis, dal 5 al 9,7 con un +4,7 %).

Non allarmano meno i dati di Prevo.Lab, l’osservatorio della Regione Lombardia affidato alla Asl di Milano e diretto dal dottor Riccardo Gatti. Da due anni ipotizza previsioni o scenari sulla diffusione delle droghe, analizzando dati propri e istituzionali. A dicembre Gatti ha presentato l’ultimo dossier: «Nel 2009 i consumatori italiani aumenteranno del 40-50 per cento» ha calcolato. Un trend in linea con quello degli ultimi sette anni, dove l’uso di polvere bianca è cresciuto costantemente e in particolare in Lombardia: qui, dal 1998, l’utilizzo è aumentato del 17 per cento (11,3 in Italia, secondo l’Istituto superiore di sanità). E, secondo il 63 per cento degli oltre 200 esperti intervistati da Prevo.Lab in tutta Italia, la parabola è in salita. «Tra i tossicodipendenti che si sono rivolti nel 2006 ai quattro Sert cittadini il numero dei cocainomani ha eguagliato quello degli eroinomani – precisa il dott. Mollica del Prevo-Lab. Secondo Gatti,la cocaina “sta entrando nei ranghi del potere.Il fatto è che le organizzazioni malavitose vendono la droga a uomini potenti e in questo modo li legano a sé.

Ma la «colombiana» si infiltra in modo pure più sottile, stabilendo un conflitto d’interessi permanente. Mondi diversi si incrociano davanti a vassoi pieni di polvere bianca: dalla politica alla comunicazione, alla finanza, molti potenti vengono uniti da un filo bianco. «È una specie di setta» continua Gatti «un club esclusivo, i cui membri si scambiano notizie sensibili, magari durante i droga party». Come quel paziente che ha ceduto importanti segreti industriali al suo pusher o quei banchieri che si approvvigionano dai loro broker e li ricambiano con informazioni. «Quello di lasciare la società nelle mani delle organizzazioni criminali è un problema reale» conferma Riccardo De Facci, responsabile nazionale del Cnca, il coordinamento delle comunità d’accoglienza che si occupa di circa 7 mila tossicodipendenti all’anno. «Conosco un agente immobiliare che ha ceduto alla malavita la sua attività e so che un noto avvocato cocainomane ha dovuto uscire dal giro che conta per occuparsi esclusivamente della difesa delle cosche». Per De Facci non sono pochi i consumatori che hanno iniziato a mantenere il proprio vizio pagando «in natura», ovvero in «prestazioni lavorative» o notizie. Una rete sempre più estesa, in cui anche il consumatore può diventare spacciatore e guadagnare molto denaro…”




Fuga dal carcere


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Il primo caso, si ricorderà, fu quello di Mario Tanassi, che venne condannato a 2 anni e 4 mesi per corruzione nell’affare Lockeed. Si fece sei mesi poi chiese la “pena alternativa, impegnandosi a “comportarsi bene”. Il secondo fu anche lui un socialdemocratico, Pietro Longo: 5 mesi a Rebibbia e poi “trasferito” semilibero alla Caritas. Curava, pensate un po’, “il recupero il reinserimento di minorenni deviati”.

Su “la Repubblica”, Filippo Ceccarelli – documentatissimo, come al solito – ricorda che “Il secolo” (che allora “non spiccava esattamente per garantismo”, pubblico’ un corsivo dal titolo: «Longo “assistente sociale” – chi salverà quei ragazzi?»

Terzo, fu Francesco De Lorenzo, del PLI, prima 7 mesi in carcere a Poggioreale e poi, nel 2001, ancora in cella a Civitavecchia. Poi, pena alternativa e “lavoro sociale” -dalle 9,30 alle 18,30 – a S.Marinella, da Don Gelmini.

Quarto e ultimo caso, ricorda ancora Ceccarelli, Forlani;

Condannato definitivamente nel 1998 a due anni e quattro mesi, appena possibile Forlani ha chiesto l’affido ponendo tra le opzioni, si scrisse, la guardiania di una chiesa, la cura di una biblioteca, la Comunità di Sant’Egidio o la Caritas. Quest’ultima istituzione si è preso in carico l’ex leader della DC, che pur con tutti i limiti del rango e dell’ufficio svolto, resta una delle figure più distaccate (e pigre) e civili, comunque, della Prima Repubblica. Cosi, fino all’ottobre del 2003 il democristiano che la penna arguta e fiorentina di Gianfranco Piazzesi aveva illustrato come «II Coniglio Man-naro» si è diviso fra la sua casa dell’Eur-Laurentino e la sede centrale dell’organizzazione benefica della Chiesa cattolica occupandosi di relazioni internazionali, progetti di legge pubblicazioni….

Adesso, siamo a Previti, che è agli arresti domiciliari per la condanna al processo IMI-SIR: che ha chiesto sulla base della Legge Gozzini e avendo piu’ di 70 anni – di essere “affidato ai servizi sociali”.




Lazio: 38 Comuni sono in bancarotta


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Dopo la Calabria (124 Comuni) e la Campania (110), quanto a Comuni in pieno dissesto finanziario, c’e’ il Lazio, con ben 78 Comuni sull’orlo della bancarotta. Ne il cambio politico di gestione – da Storace a Marrazzo- sembra aver migliorato le cose. Anzi. Anche perchè in molti casi si tratta di “vicende” croniche, sulle quali da Roma Regione e dallo Stato nessuno e intervenuto. Si è lasciato che le cose continuassero ad andare per il verso loro. E così sono, ovviamente, andate. Al peggio…

Qualche cenno.

Clòamorosa la situazione di Nettuno che sta per vendere i suoi “gioielli”- dal Palasport all’ex-convento sul lungomare- per ripianare i debiti enormi trovati dai 3 Commissari straordinari dopo lo scioglimento per “motivi di mafia” e dove si era arrivati alla sconcertante situazione che vedeva il capo dell’Ufficio Finanze comunali in collegamento diretto con il cassiere della Banda della Magliana. In termini di vecchie lire, il disavanzo è di 13 miliardi ma l’indebitamento è stratosferico: quasi 30mila miliardi.

E’ piu’ o meno così stanno le cose, da Guidonia ad Alatri (Frosinone); e ci sono ben 11 Comuni che pur essendo in dissesto non sono riusciti a varare nessun “progetto” per uscirne. Ed è anche da sottolineare il fatto che ci sono molti Comuni medi e grossi, tra i 15mila e i 50mila abitanti. Leggiamo sul “Corriere della Sera”, a firma Alessandro Felloni:
“Alla base delle bancarotte c’è un intreccio di malagestione e scarsa cultura amministrativa. Che nel Lazio, dice la Corte dei Conti in un dossier chiuso a giugno emerge da un preoccupante dato: quello relativo al 2005 dei debiti fuori bilancio («indizio di irregolarità gestionali») per una cifra totale d 77,715 milioni di euro spalmati tra 100 dei 378 comuni della Regione. Cioè poco meno di uno su quattro. Peggio stanno solo Campania 148,15 milioni di euro e 22;enti coinvolti, e Sicilia, «fuori» per 126,530 milioni di euro distribuiti tra 252 municipi. Preoccupante ciò che accade a Latina, dove il dissesto incombe per quella sentenza (impugnata da un imprenditore con un’istanza alla prefettura) che obbliga la giunta a rimborsare un’esposizione fuori bilancio di un milione e 697 mila euro per un contenzioso immobiliare che risale al 1985…”