Misteri e Piramidi in un catalogo “ricco”


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Riceviamo molti Cataloghi e, da anni, ne siamo lettori attenti perché in ciascuno di essi c’è sempre da trovare qualcosa di interessante.

Ma possiamo dire che raramente ci è capitato un catalogo “ricco” come questo che vi riportiamo; ricco non solo per il numero dei libri segnalati ma per la “varietà” delle materie e degli argomenti. Se potessimo lo riprodurremmo per intero; ma si tratta di un fascicolo con ben 80 pagine…!

E allora, qualche segnalazione, mentre invitiamo quelli che ci seguono via internet (e che sono sempre più numerosi, perché in certi giorni abbiamo avuto più di 700 accessi in 24 ore!) a prenderne visione. Ed ecco dunque alcune segnalazioni:

Le Sfere di Granito – Metafisica della civiltà antidiluviana – Antonio Iaccarino- Edizione Atanòr – Luglio 2009 – Pg. 206. Le sfere di granito, antichissimi monumenti funebri rinvenuti in Libia, in Costa Rica e in Nuova… Prezzo € 15,00

Impronte degli Dei – Edizione Economica – Un’indagine sull’inizio e sulla fine della civiltà- Graham Hancock – Tea libri – Gennaio 2009 – Pg. 675. Uno dei libri più sorprendenti e controversi che siano mai stati scritti, un’indagine storica… Prezzo € 13,90

I Misteri di Voyager di Roberto Giacobbo – Giunti Edizioni – Maggio 2008 – Pg. 383. Con Roberto Giacobbo sulle tracce degli enigmi più affascinanti del pianeta… e non solo…. Prezzo € 19,50

Astroarcheologia – Una scienza eretica di John Michell – Età dell’Acquario Edizioni – Maggio 2008 – Pg. 176. In questo volume Michell schiude per noi la suggestiva prospettiva di coloro che seppero guardare al… Prezzo € 16,50

Il Codice Egizio – Un mistero svelato: il “Grande Progetto Unitario” che legava le piramidi dell’Antico Egitto di Robert Bauval – Tea libri – Febbraio 2009 – Pg. 350. Molto si è scritto su «come» gli egizi possano aver allineato con tale precisione i loro… Prezzo € 10,90

2012 – L’Ultimo Mistero dei Maya di Giorgio Terzoli – Minerva Edizioni – Luglio 2007 – Pg. 238. Cosa ci aspetta sabato 22 dicembre 2012, data spartiacque e fatidica, che accende da sempre la… Prezzo € 15,00

Il Mistero delle cattedrali – Un’importante opera alchemica che contiene il segreto della Grande Opera – Fulcanelli Mediterranee – Dicembre 2005 – Pg. 326 “Fulcanelli non è più. Eppure il suo pensiero è rimasto, ardente e vivo, chiuso per sempre in… Prezzo € 38,50

I Misteri della Cattedrale di Chartres di Louis Charpentier – Età dell’Acquario Edizioni – Ottobre 2005 – Pg. 213. Un uomo interroga una cattedrale, e il mistero di un sapere perduto si disvela poco a poco. Prezzo € 21,00

Il Mistero delle Cattedrali – Vecchia Edizione Fulcanelli Mediterranee – Novembre 2001 – Pg. 189 Il mistero delle cattedrali (“Le Mystère des Cathédrales”), scritto nel 1922 e pubblicato nel 1929… Prezzo € 34,90

Chi ha Veramente Costruito le Piramidi e la Sfinge di Riccardo Luna – Stampa Alternativa – Gennaio 2000 – Pg. 90 È possibile che in tempi remoti abitanti della Terra siano stati costretti ad abbandonare il… Prezzo € 7,50

Il Mistero delle Mummie – Dall’antichità ai nostri giorni attraverso il tempo e lo spazio di Renato Grilletto – Newton & Compton Editori – Aprile 2005 – Pg. 230  – Dalle Piramidi alle cripte dei santuari, dalle torbiere della Danimarca agli studi polverosi di… Prezzo  € 7,90

Il Codice di Giza – Edizione Economica Segreti, enigmi e verità sconvolgenti del sito archeologico più misterioso del mondo – Ian Lawton, Chris Ogilvie-Herald -Newton & Compton Editori – Febbraio 2005. Pg. 526. Non esiste al mondo un sito archeologico più straordinario della piana di Giza, a due passi dalla… Prezzo € 9,90




Spagna: “scuse” agli eredi Mori?


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Se ne discuterà molto nelle prossime settimane, nella Spagna di Zapatero; e anche in Italia si vorrà saperne di più: sulle “scuse”, anzi sul risarcimento economico agli eredi dei “Moriscos”, i musulmani espulsi dalla Spagna 400 anni fa, nel 1609.
A sollevare il “caso” il Gruppo socialista al Parlamento spagnolo, con una sua mozione.
Ne scrive sul “Corriere della sera”, Mario Vargas Llosa in un articolo sul “El Pais” (tradotto per l’Italia da Francesca Buffo) nel quale si sostiene che “solo un retrogrado cavernicolo oserebbe mettere in dubbio che si tratta di riparare ad un’ingiustizia perpetrata dall’intolleranza religiosa e dal pregiudizio razzista”.
E tuttavia, prosegue Vargas Llosa, esaminata “a mente fredda”, la proposta – che è appoggiata dal premier Zapatero – “E’ fonte di confusione”. Perché “il passato storico dev’essere analizzato con una prospettiva critica … “ma questa funzione spetta alla società aperta in generale, agli storici, ai ricercatori… ma non ai governi né ai politici professionisti” che mancano di obiettività, di competenza tecnica e che vivono e operano asserviti alla lotta politica e all’ attualità, pessime consigliere al momento di ponderare e di spiegare i fatti storici. Le ingiustizie del passato non possono né devono essere vagliate in funzione delle necessità del presente. Ciò che accadde all’ inizio del XVII secolo con i moriscos fu barbaro e brutale, senza alcun dubbio. Lo fu forse di meno l’ espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492? I loro eredi non meritano forse una compensazione analoga a quella dei moriscos? L’ elenco delle riparazioni dello Stato spagnolo nel corso della sua lunga storia potrebbe essere infinito (ovviamente questo vale per tutti gli Stati, senza eccezioni). Gli indios d’ America, per esempio. Il prossimo anno cominceranno le celebrazioni per i duecento anni dall’ emancipazione coloniale e dalla nascita delle repubbliche ispanoamericane. Sarà l’ occasione propizia per dare il via a una vera e propria esplosione – guidata da Evo Morales, che ha già fissato una cifra vertiginosa di miliardi di dollari di risarcimento che la Spagna dovrebbe sborsare alle «nazioni indie» per le atrocità commesse dai conquistatori – da un confine all’ altro dell’ America Latina, di condanne e vituperi contro la Spagna da parte di politicastri opportunisti e demagoghi come il presidente boliviano (mi viene l’ acquolina in bocca al pensiero delle effusioni fulminanti e delle disquisizioni di Filosofia Morale della Storia che spargerà al riguardo il presidente Hugo Chávez nel suo programma «Aló Presidente»). Se lo fa con i moriscos, lo Stato spagnolo non dovrebbe pentirsi, discolparsi e far proposito di ammenda anche con gli indios d’ America? E che dire dei protestanti, quei poveri luterani, calvinisti, ugonotti, perseguitati come topi appestati, incarcerati e perfino dati alle fiamme? La prima vittima dell’ Inquisizione di Lima si chiamava Mateo Salado, che accusato, giudicato, sottoposto a torture e condannato per la sua appartenenza alla «maledetta e diabolica setta luterana», fu bruciato vivo nella Plaza de Armas della Lima dei Viceré. Quanti poveri diavoli come lui patirono simili sofferenze per aver praticato il cristianesimo riformato in tutto l’ orbe ispanico? Non dovrebbero anche loro essere simbolicamente risarciti dal Congresso dei deputati? E gli omosessuali? E i gitani? E gli schiavi africani? E le streghe e stregoni? E gli atei? Allo Stato spagnolo non basterebbero i giorni e le notti di anni per mettersi in ginocchio e chiedere perdono a Dio e ai vivi per tutte le ingiustizie commesse da coloro che governarono nell’ arco della sua antichissima storia contro intere comunità o singoli individui. La revisione critica del passato non è compito del potere politico ma di storici e studiosi che, collocando i fatti trascorsi nel loro dovuto contesto, e stabilendo gerarchie e priorità indispensabili, ci forniscono le informazioni necessarie per poter giudicare il nostro passato e ci aiutano a discernere, con un minimo di obiettività, ciò che è condannabile, perdonabile, inevitabile e mirabile dei fatti e dei personaggi che ne fanno parte.




Cattolici contro le “coppie di fatto”


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Più che un attacco, è stato una sorta di “anatema”, quella dell’Arcivescovo di Bologna, Cardinale Carlo Caffarra.
Perché – ha detto tra l’altro – quella è una legge che “ ha effetti devastanti sul tessuto sociale” e i cattolici possono, anzi debbono, “non rispettarla”. La <<legge>> è stat voluta dalla Giunta emiliana-romagnola del governatore Vasco Errani; e consento “anche alle coppie di fatto l’accesso ai servizi pubblici e al Welfare regionale” mettendo sullo stesso piano le convivenze e le famiglie fondate sul matrimonio:
Frontiera ad alta infiammabilità, il riconoscimento delle coppie di fatto era stata una delle spine nel fianco dell’ultimo governo Prodi, dilaniato dalle lotte intestine tra cattolici e Sinistra e messo sotto pressione dalle gerarchie vaticane. Ora, anche se con dinamiche diverse, la storia si ripete in Emilia. Il presidente Errani, consapevole dell’esplosività del tema, si è affrettato a far sapere che chiederà un incontro con il Cardinale «per chiarire le nostre intenzioni e posizioni». Ma nel frattempo, dopo aver definito «inedito» il pronunciamento di Caffarra, tiene a puntualizzare che «l’articolo 42 della Finanziaria regionale è rivolto ad assicurare l’accesso ai servizi regionali, senza alcuna discriminazione… Parole che difficilmente faranno breccia nel cardinale, secondo il quale quella norma, se fosse approvata, rappresenterebbe «un attentato alle clausole fondamentali del patto di cittadinanza» e contribuirebbe ad alimentare «la credenza falsa e socialmente distruttiva che il matrimonio sia una mera convenzione ».
L’Arcivescovo conclude con un appello accorato ad assessori e consiglieri regionali: «Dio giudicherà, anche chi non crede alla sua esistenza, se date a Cesare ciò che è di Dio stesso».
Spaccato il fronte politico. Con il cardinale si schiera il Pdl, che accusa la giunta di «mostruosità giuridica». Critica pure l’Udc, che alle prossime Regionali correrà in Emilia con un suo candidato, il parlamentare Gianluca Galletti. I vertici del Pd sono con Errani. E l’Arcigay definisce «sconcertante» l’affondo del Cardinale.

(a cura di Umberto Giusti)




Mezzogiorno: ancora polemiche


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Continuano – e sono sempre interessanti – le polemiche sul nostro Sud e il Risorgimento; un “rapporto” più difficile e complesso di quanto sin qui si è creduto.
Leggiamo ad esempio, quanto pubblica sul “Giornale”, Gianni Granzotto; che comincia accogliendo una lettera di Leonardo Accorsi:
Amico Granzotto, mi consenta di chiamarla così frequentandola seppure impersonalmente da oltre vent’anni, cosa succede? Dopo aver per lunga pezza fieramente polemizzato nel suo angolo con gli adepti della Vulgata risorgimentale getta la spugna e passa questo succoso e intrigante argomento al suo dirimpettaio Mario Cervi, che non la pensa esattamente come lei? In vista del centocinquantesimo dell’Unità preferisce mettersi in disparte e lasciare che le celebrazioni abbiano luogo nel trionfalismo subalpino?
Ed ecco la risposta:
È vero, Mario ed io abbiamo visioni un tantinello divergenti sull’ epopea risorgimentale, ma niente che non si possa chiarire con una bella scazzottata, come diceva quel tipo alla mano di Mike Tyson. Vedo, però, che Mario si «apre al dialogo» auspicando nel contempo il ritorno a un Risorgimento meno retorico, a un’ equilibrata valutazioni delle luci e delle ombre risorgimentali pur senza arrivare, eh eh, a una «impossibile» riabilitazione dei Borboni. E qui sta il punto. Perché non si tratta di riabilitare, ma semplicemente di abilitare una schiatta (e di conseguenza il loro regno e i loro sudditi) che la storiografia risorgìmentalista ha letteralmente coperto di guano per giustificare lo scippo, reso si dunque necessario al fine di redimere i duosiciliani, affrancarli dalla ottusa tirannia borbonica e portarli per mano verso le luminose praterie dove cresce l’erba della libertà, della pace, del progresso e dell’ armonia sociale.
Fatto sta che gli argomenti portati oggi a suffragio della scatologica damnatio personae son sempre quelli di Luigi Carlo Farini, il quale così dava conto a Cavour (mai sceso oltre Firenze) dell’ appena redento Regno delle due Sicilie: «Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica: i beduini, a riscontro di questi caffoni sono fior di virtù civile».
Primo asso di bastoni: le condizioni sociali ed economiche dei contadini meridionali. Pessime. Miserande. Certo, ma non è che i contadini piemontesi e lombardi stessero meglio e godessero dell’orario di lavoro, di una dignitosa retribuzione, di alloggi con servizi, della cassa mutua, dell’assicurazione sanitaria e delle ferie retribuite. Una era la condizione contadina, vuoi sotto i Savoia, vuoi sotto i Borboni.
Secondo asso, di coppe: sì d’accordo,la prima ferrovia fu la Napoli-Portici, «trastullo del Re Bomba», ma trent’anni dopo il Nord contava oltre 2 mila chilometri di strade ferrate e il Sud solo un centinaio. Ma va? Ma davvero? E chi mai, dopo il 21 ottobre 1860, le doveva costruire le ferrovie nell’« Affrica» se non i bravi amministratori piemontesi? Che si guardarono bene dal farlo, privilegiando (dopo essersi appropriati dei cantieri navali, degli opifici, delle industrie per la produzione di rotaie e materiale rotabile, tutti locati al sud) i Gianduia e i Brighella ai danni dei Pulcinella.
Terzo asso, di fiori: nel Meridione c’erano pochissime strade. Vero. C’era la dorsale adriatica e quella tirrenica, mancavano, del tutto o quasi le vie di comunicazione fra l’una e l’altra sponda. Anche qui si potrebbe osservare che una volta diventati i padroni non è che i bravi piemontesi ci abbiano dato dentro, con le strade. Ma il punto è un altro: la civiltà si misura a pietre miliari o a università? Se ne può citare una pre risorgimentale che tenesse testa a quella di Napoli?
Quarto asso, di quadri: ma se il Meridione aveva davvero uno standard economico e culturale ai livelli di quelli piemontese e lombardo veneto, come mai non l’ha mantenuto riducendosi a provincia parassitaria e inoperosa? E qui vale la risposta data all’asso di coppe: la criminaliizazione, il disinteresse per 1’« Affrica», la sistematica spoliazione da parte dei conquistadores avrebbero reso Meridione anche il Bacino della Ruhr, figuriamoci ‘0 Paese do’ sole.




Anche in Afganistan c’è tanta corruzione


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Ormai, è “storicamente” provato: dove arriva la democrazia di stampo occidentale, arriva anche la corruzione. Tanta e massiccia; sparsa ad ogni livello della vita sociale, pubblica o privata.
E’ quanto sta emergendo a Kabul, dove un passaporto falso si acquista correntemente per 100 dollari e una patente di guida per 160.
Il quartiere più ricco, che si chiama Serpur è diventato “Sher-Chur” : leoni da saccheggio.

Scrive Davide Frattini sul “Corriere della Sera”:

“La corruzione che Hamid Karzai dovrebbe sradicare cresce come una villa di quattro piani, intonaco rosso e colonnine bianche neoclassiche. Appartiene al nipote di Yunus Qanuni, il presidente del parlamento, ed è in affitto per 12 mila dollari al mese. Altrettanti per il castelletto con piscina, che sta dietro l’ angolo. Qui vicino ha costruito anche Mohammad Ayub Salangi, ex capo della polizia di Kabul e Kandahar: 11 mila dollari al mese per ornamenti greci e una fontana nel parco. L’ umorismo amaro degli afghani ha storpiato il nome di questo quartiere. Sherpur è diventato Sher-Chur, leoni da saccheggio. I leoni si sono spartiti a prezzi stracciati la terra demaniale, dove sorgeva una vecchia base militare dei tempi della seconda guerra contro i britannici. Nel 2003, Mohammad Qasim Fahim, allora ministro della Difesa, adesso neo-vicepresidente, ha distribuito i lotti tra colleghi di governo e amici potenti (tra loro il governatore della Banca centrale). «Quelle ville pacchiane rappresentano la narco-mafia che ha preso il controllo. L’ altra faccia del problema è che molte sono affittate a stranieri», dice Ramazan Bashardost, il politico asceta delle ultime elezioni. Dalla sua tenda impolverata, presidio permanente davanti al parlamento, ha condotto una campagna che alla fine ha conquistato non solo gli azara come lui. È arrivato terzo con lo slogan: fermiamo la corruzione. «Nel 2004, da ministro della Pianificazione, volevo ripulire il mercato delle organizzazioni non governative. Su oltre 2300, ne ho identificate 1935, di cui il 98% afghane, che mungevano i fondi, usati per macchine di lusso, guardie del corpo, salari dati ai parenti… Ad Ahmed hanno rubato la macchina un mese fa. Difficile non è stato ritrovarla, ma ottenerla indietro dalla polizia. «Ci sono voluti 25 giorni e 600 dollari». Elenca la lista della spesa: 60 dollari a un agente, 10 a un impiegato, 300 al magistrato… Gli afghani ormai sono costretti a pagare per tutto. Il listino può variare, se il cliente è ricco: 100 dollari per avere il passaporto, 160 per intascare la patente senza dover fare l’ esame, 6.000 per entrare all’ università di Kabul, stessa cifra per muovere un camion attraverso il Paese (così la polizia non avvisa i talebani), 60.000 per evitare una condanna a morte. Al ministero degli Interni, avrebbero diviso le 34 province in tre aree, da A a C. Al primo posto, le zone dove i trafficanti di droga offrono ricompense più alte: ottenere là un posto da capo della polizia può costare anche 300 mila dollari, il ritorno sull’ investimento è garantito…

Verso le montagne e il tramonto, Ashraf Ghani osserva la carcassa del palazzo reale Darulaman, corroso e al collasso come lo Stato che ha conosciuto negli anni da ministro delle Finanze…

L’ Afghanistan è al 176° posto su 180, nella classifica dei Paesi più corrotti stilata da Transparency International, un’ organizzazione tedesca. Era al 117° nel 2005. «È anche colpa degli Occidentali – continua Ghani, ex funzionario della Banca Mondiale, che ha corso alle elezioni -. Nel 2001 eravamo poveri, ma avevamo la nostra moralità. I miliardi di dollari che hanno inondato il Paese, a volte con pochi controlli, ci hanno tolto l’ integrità, la fiducia l’ uno nell’ altro». Gli studenti di Francis Patrick Davis sono magistrati di mezz’ età. Ridono alle battute dell’ irlandese, vestito come un barrister, quando prova a spiegare il conflitto di interessi, che da queste parti è soprattutto pensare prima al clan che alla giustizia. «La corruzione è endemica – commenta Davis, a Kabul per l’ Unodc, l’ ufficio Onu per la lotta alla droga e alla criminalità -. La speranza è educare le nuove generazioni, creare funzionari pubblici puliti con stipendi adeguati. Il governo deve cominciare a far processare e condannare gli impuniti. Tutti dicono che tutti i giudici sono corrotti. Io non ne ho ancora visto uno in tribunale. Da imputato».”




USA: fallimenti nei centri minori


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E’ un brutto segno ma è proprio quello che sta accadendo in USA: la crisi arriva anche “in provincia”; e lo si è appreso in occasione del fallimento bancario numero 100; il tracollo della Banca di Spring Grove, nel Minnesota, che aveva beni per 56,3 milioni di dollari e depositi per 52,4 milioni.

E ancora, come scrive su “Repubblica” Angelo Aquaro in un documentatissimo articolo: “La Banca Warren, una piccola istituzione gloriosa nel Michigan, aveva beni per 538 milioni di dollari e depositi per 501 milioni. Chiusa. La Southern Colorado National Bank di Pueblo, Colorado, aveva beni per 39,5 milioni di dollari e depositi per 31,9 milioni. Chiusa. Una dopo l’ altra, le piccole banche d’America cadono come birilli. Quest’ anno siamo già a quota 98: un record nell’ ultimo ventennio. E questa settimana, prepariamoci: si tocca quota cento. La centesima banca fallita. Un disastro, un’ ecatombe. Ogni venerdì è come una campana a morte. Con ineluttabilità notarile, la Federal Deposit Insurance Corporation registra l’ ultimo caduto. In Florida, l’ ex Stato del Sole, l’ unico che fino a quest’ anno poteva vantare il segno più davanti a tutto, dalla crescita economicaa quella demografica, le vittime sono 6. In California, l’ex Golden State travolto dal deficit nazionale, lo stato in cui Amadeo Peter Giannini, un secolo fa, aprì quella Banca d’Italia che sarebbe diventata Bank of America, i caduti sono 9. Strage nello Stato di Barack Obama: 16 caduti in Illinois. Strage nella terra della Coca Cola, dell’ Ups, della Delta Airlines: 19 i caduti in Georgia. Dice al “New York Times” Sheila C. Bair, che ha l’ ingrato compito di presiedere la Fdic, che in questo momento è un po’ come vestirei panni neri del becchino…”.

Erano stati 50 miliardi di dollari: “Le casse sono già in rosso. E questo è solo l’inizio…”. Vero che i grandi colossi come Goldman Sachs e Jp Morgan cominciano a rivedere il sole. Per i piccoli, però, non c’ è pace. Anzi. Ricordate come tutto cominciò ad andare a rotoli? I mutui-spazzatura concessi dalle grande banche. Abbagliati dal denaro facile anche i piccoli si lanciarono nei mega-prestiti: edilizia residenziale e soprattutto commerciale. La fossa se la sono scavati da soli. Ma adesso, come piccole erano le banche, sono i piccoli consumatori a farne le spese. «La gente si aspetta che possa fallire un’ azienda, mica una banca», dice James R. Foust, il sindaco di Warren, che si è visto chiudere la banca cittadina (ora acquisita dalla Huntington) mentre le sue140mila anime operaie già piangevano la chiusura temporanea di General Motors e Chrysler. Gli esperti dicono che la moria non è finita. Ma se nei posti che contano qualcuno osserva la strage con un certo distacco. Perché al di là della disgrazia dei singoli neppure un’ ecatombe delle piccole banche – controllano soltanto il 15% – minerebbe l’ intero mercato. Il paradosso è che per sfuggire ai pescecani di Wall Street i poveri cristi avevano dato fiducia alla banca sotto casa. Ora i grandi si riprenderanno tutto. Tra una campana a morto e l’ altra…”.




Tutti i colori del mondo antico


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Mostra al Quirinale, alle “Scuderie”, su “Roma. La pittura di un Impero”. I curatori dell’esposizione, sono stati coordinati da me esperto, Eugenio La Rocca; e c’è un bel Catalogo che accompagna la rassegna.

Ne scrive – su “Repubblica” – Giuseppe M. Della Fina.

“«Ciò che sopravvive dall´antichità sopravvive per lo più grazie a un caso, sovente un caso capriccioso» così osserva Andrew Wallace-Hadrill nel saggio di apertura del Catalogo che accompagna la mostra Roma. La pittura di un impero allestita a Roma negli spazi delle Scuderie del Quirinale (sino al 17 gennaio 2010).

L´osservazione è particolarmente vera proprio per la pittura: si pensi, ad esempio, a quello che ha significato la scoperta di Pompei e Ercolano: senza le loro testimonianze avremmo potuto solo immaginare e con molta difficoltà il ruolo svolto dalla pittura parietale nelle decorazioni delle domus romane.

I curatori dell´esposizione, coordinati da Eugenio La Rocca, hanno voluto offrire un´antologia della pittura romana che si è conservata e mostrarne le potenzialità: la possibilità, da un lato, di parlarci – in una qualche maniera – della pittura scomparsa e delle sue scelte; dall´altra di suggerirci la presenza di un legame stretto e misterioso tra la produzione romana – o se si vuole greco-romana – e quella moderna e contemporanea. Un filo che affiora nel confrontare singole opere, o andando a rileggere le considerazioni critiche di alcuni artisti e talvolta le loro confessioni.

I curatori avevano anche un altro obiettivo consistente nell´offrire un contributo visivo al superamento di un´immagine dell´Antico legata al colore bianco dei marmi, mentre osserva La Rocca: «tutto nel mondo antico era colorato». Uno scopo raggiunto: percorrendo la mostra, con le sue cento opere, si è attratti dai colori prima che dalle forme dell´Antico. Si osservano con curiosità le soluzioni cromatiche, prima di cercare di comprendere la scena raffigurata o l´inquadramento cronologico.

Aspetti ovviamente importanti e ben analizzati lungo il percorso espositivo, ma che interessano subito dopo. L´allestimento, curato da Luca Ronconi e Margherita Palli, l´attenzione prestata all´illuminazione di ogni singola opera più che all´insieme delle sale favorisce un simile approccio: volti, uomini e donne, architetture più o meno reali, alberi, fiori, uccelli, pesci, barche, oggetti comuni balzano agli occhi e rivivono per un breve intervallo di tempo: un piccolo miracolo che si verifica ogni volta sappiate vederlo…”.

(U.G.)




Nuove energie e posti di lavoro


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Le energie rinnovabili non solo “ risparmiano” rispetto alle altre ma hanno anche il vantaggio di creare molti nuovi posti di lavoro. Riprendiamo qui – perché ottimamente documentato; e quindi da tener presente per ulteriori citazioni e riferimenti – quanto scrive in merito, sul “Messaggero”, Massimo Perdetti:

Una ricetta contro la crisi economica capace di creare nuovi posti di lavoro. E una necessità ormai impellente sul fronte ambientale. Di energie rinnovabili – e soprattutto di soluzioni concrete ed economicamente vantaggiose – si è parlato a Siaenergia ed Ecomondo, eventi fieristici di livello internazionale a Bologna e Rimini in collaborazione, tra gli altri, con il ministero dell’ Ambiente.

Si tratta di temi che condizionano il nostro agire di tutti i giorni ma è evidente che non ci rendiamo conto pienamente dell’importanza che l’energia riveste i ogni istante della vita di ognuno di noi. Per capirlo basta un esempio. Un uomo i buona salute (fa sapere Nicola Armaroli autore con Vincenzo Balzani del libro Energia per l’astronave Terra) in un’attività continuativa protratta per 8/10ore può sviluppare una potenza di circa 50 watt. Per tenere acceso un televisore sarebbe quindi necessario il lavoro continuativo di due persone, per far funzionare una lavatrice ne servirebbero 15, per un’auto che viaggia a 80 chilometri orari si arriva a 1.500 persone.

Ma il calcolo più interessante è questo: ( un cittadino degli Stati Uniti ogni giorno consuma una quantità di energia pari a quella prodotta da un centinaio di “schiavi virtuali”; un italiano, meno consumista dell’americano” utilizza la stessa quantità di energia, di una trentina di “schiavi virtuali”. E’ evidente che di questo passo non è realistico pensare che il consumo energetico primario mondiale, già aumentato di 16 volte nel XX secolo, possa mantenersi agli stessi livelli di crescita anche nel XXI secolo nell’ambito dell’attuale sistema basato per 1’80% sui combustibili fossili. Non solo per motivi ambientali (ogni anno nel mondo si prelevano 8 miliardi di tonnellate di carbonio sotto forma di combustibili fossili che vengono riversati nell’atmosfera come biossido di carbonio) ma anche più pragmaticamente per problemi di esaurimento delle scorte sul lungo periodo.

A fronte di una situazione di questo genere, in attesa che gli scienziati riescano a trovare le risposte giuste nel campo delle energie rinnovabili – le cui fonti, va ricordato, sono sole, vento, acqua e calore della Terra – noi possiamo fare molto fin da subito. Per esempio cominciando a non sprecare energia. Secondo una recente ricerca, resa nota al convegno “Energetica”, le case italiane sprecano energia pari a quella prodotta da 8 centrali nucleari. Attualmente nel nostro Paese l’efficienza media del sistema edificio-impianto è pari al 45%. Questo significa che ogni giorno nelle nostre case va persa almeno la metà dell’energia che acquistiamo. Secondo i calcoli fatti, la quota di energia sprecata equivale a 17 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (tep), la stessa energia che producono 8 centrali nucleari di grandi dimensioni. I dati evidenziano come, in Italia, i consumi di energia primaria (l’energia che serve a mantenere le condizioni di comfort all’interno di un edificio) sono pari a 31.158.240 tep che, a loro volta, si traducono in una bolletta energetica di 32 miliardi di euro. La fetta maggiore di questa cifra. è destinata ai consumi termici (66%), la parte restante viene spesa per i consumi elettrici (34%).

Basterebbero pochi interventi, per abbassare sia i costi che i consumi. Come? Cambiando combustibile, installando caldaie a condendensazione e strumenti di termoregolazione e di contabilizzazione del calore. Ma le potenzialità di risparmio, sono sensibilmente maggiori se si interviene anche sull’involucro edilizio. Il sistema Italia può e deve puntare, con incentivi e sgravi fiscali, sull’efficienza energetica, un mercato potenziale da 36 miliardi di euro all’anno che potrebbe dare lavoro a 430.000 persone. Una scelta strategica che gioverebbe sia al potere d’acquisto delle famiglie, grazie al risparmio energetico, che alla qualità di vita dei cittadini, in termini di riduzione di emissioni di C02.

Anche Christopher Flavin, presidente del Worldwatch institute, l’organizzazione internazionale di ricerca focalizzata su energia, risorse e problemi ambientali, vede nelle energie rinnovabili ottime possibilità di business. Secondo una sua ricerca, ogni milione di dollari investito nel settore produce 21,5 posti di lavoro e già oggi sono impiegate 2,3 milioni di persone. Programmando investimenti pubblici a livello mondiale per complessivi 630 miliardi di dollari, si calcola che entro il 2030 avremo 20 milioni di nuovi posti di lavoro.




Petacco: Crociate “legittima difesa”


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Ancora un saggio sulle Crociate, interessante perché a scriverlo è Arrigo Petacco e perché in esso “viene ricalcolato il politicamente corretto della storiografia: nel Medio Evo l’Europa frenò l’onda islamica”. Su “Avvenire” Petacco viene intervistato da Edoardo Castagna sul volume “L’ultima crociata. Quando gli ottomani arrivarono alle porte dell’Europa”; un volume che, significativamente, si apre proprio con le parole di Manuele II Paleologo riportate dal Papa: Una citazione – ammette Petacco – che ignoravo.

Approfondendo, ho poi appurato che Manuele II fu l’imperatore bizantino che per più volte si era in­sistentemente rivolto alla Chiesa latina per ottenere un aiuto contro la minaccia musulmana. Purtroppo, Roma non rispose all’appello, e alla fine la Chiesa di Bisanzio fu fagocitata dall’islam».

Il titolo del suo lavoro – chiede Castagna a Petacco – si richiama espressamente all’«ultima crociata», quella combattuta sotto le mura di Vienna assediata. Eppure il termine sembra essere ancora d’attualità, frequente com’è nei discorsi degli estremisti islamici…

«Continua la retorica che identifica ’crociati’ ed ’ebrei’ con cattivo, il nemico. Ma nel mio libro io ho voluto offrire, sulle crociate, una chiave di lettura nuova. Da qualche tempo i nostri storici, in nome del politicamente corretto – che poi significa dire bugie pur di star tranquilli con tutti –, hanno messo in giro la tesi che le crociate furono una vile aggressione dei cristiani cattivi contro il pacifico popolo islamico. Invece è andata esattamente al contrario: le crociate furono la legittima reazione ispirata dalla Chiesa quando si accorse che ormai l’islam era sul punto di fagocitarsi l’Europa intera. Ci si dimentica troppo spesso che, quando Urbano II nel 1095 proclamò la prima crociata, l’avanzata islamica si era già spinta fino a Poitiers, un paio di secoli prima; che aveva occupato la Spagna; che aveva sommerso la Sicilia; che si era spinta in Calabria. Solo un secolo prima una spedizione musulmana aveva risalito il Tevere fino a devastare la basilica di San Pietro. Urbano II aveva capito che era arrivato il momento di fare qualcosa: altrimenti, sarebbe stata la fine dell’Europa cristiana. Ecco: le crociate furono sì una guerra santa, ma condotta per respingere un’altra guerra santa – la jihad – che era in atto ormai da secoli».

E Ratisbona?

«Prima di tutto, Ratisbona era la città dove aveva sede la Dieta del Sacro romano impero. E poi, la cosa più importante: proprio Ratisbona fu la punta di massima penetrazione raggiunta dalla cavalleria del sultano, nel suo tentativo di invadere l’Europa.

Quando Vienna fu cinta per la seconda volta d’assedio, nel 1683, le armate musulmane si spinsero un po’ più a nord di Vienna: fino a Ratisbona, appunto. È questo che dona un significato particolare a quel luogo».

Allora la cristianità, solcata dal recente scisma protestante, seppe reagire in modo compatto davanti alla minaccia islamica?

«L’Europa riuscì a mostrarsi unita. Oggi, purtroppo, sembra non esserne più capace, ma allora, per quanto la cristianità fosse divisa da lotte intestine, quando scattava l’allarme dell’invasione islamica il papa riusciva, bene o male, a rimetterla insieme.

Nel suo saggio dedica ampio spazio anche a un altro momento cruciale del plurisecolare scontro tra islam e Occidente: la battaglia di Lepanto. Un episodio che ancora ricorre frequentemente in certa retorica fondamentalista…

«Per loro fu uno scacco decisivo, il momento in cui l’onda islamica dovette ri­nunciare al suo sogno di cogliere la ’mela rossa’ – così era indicata, nell’immaginario collettivo musulmano, Roma, con la sua basilica di San Pietro. In effetti, se quella battaglia fosse stata vinta dall’islam la storia dell’Europa avrebbe avuto tutt’altro corso. E le nostre donne porterebbero il velo».




L’immigrazione e la denatalità


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

La denatalità italiana è “contagiosa” ma neanche i nuovi arrivi – 10/12 milioni di stranieri previsti entro il 2050 basteranno a contrastare il nostro declino demografico. E’ il tema su cui si trattiene di recente su “Repubblica”, Massimo Livio Bacci. Che comincia col porsi la domanda più diffusa in merito: “Può l’immigrazione raddrizzare il bilancio riproduttivo del nostro paese, che da un quarto di secolo è inchiodato su esangui livelli?”. E così risponde: “Le statistiche ci dicono che il figlio di genitori “stranieri” era davvero una rarità fino all’inizio degli anni ‘90 (uno ogni cento nati); la frequenza è poi rapidamente aumentata e nel 2008 un nato ogni otto era figlio di stranieri. Tra meno di dieci anni la proporzione sarà di uno su cinque.

Ma anche col contributo degli stranieri la natalità italiana rimane insufficiente a evitare un forte declino e un costoso stravolgimento della struttura per età. È facile comprenderlo confrontando i 577.00 nati in Italia nel 2008 con i 750.000 della Gran Bretagna e gli 800.000 della Francia, Paesi che hanno una popolazione di dimensioni all’incirca uguale alla nostra, ma che vantano conti demografici “in ordine”. Da un punto di vista strettamente contabile – perciò – il contributo degli stranieri, alla natalità italiana è cospicuo in sé, ma modesto in termini relativi, e difficilmente potrà rimettere in sesto il bilancio riproduttivo. L’eventuale ripresa, dipenderà soprattutto da nuovi comportamenti dell’intera comunità nazionale.
È possibile che le comunità straniere crescano a dismisura non solo perché alimentate da nuovi arrivi, ma soprattutto perché fanno tanti figli? E che sommergano “noi”, autoctoni, per la loro alta natalità? Prima di rispondere, una considerazione è d’obbligo. Nei Paesi a forte immigrazione molti nati sono figli di genitori non più “stranieri” perché hanno acquisito la nazionalità del paese di arrivo, o sono figli di terza o quarta generazione di immigrati naturalizzati. Questi Paesi convertono un’alta proporzione di immigrati in cittadini. La loro progenie si diluisce in quella autoctona, diventa essa stessa autoctona e le comunità immigrate, alla lunga, tendono a dissolversi. Non così in Italia: nonostante un recente aumento, la proporzione degli stranieri che acquisisce la cittadinanza è molto bassa, una piccola frazione di quanto avviene altrove. I nati degli immigrati rimangono stranieri, e così rischiano di rimanerlo i loro figli, perpetuando la barriera giuridica che li separa dagli italiani.
Per quanto riguarda i comportamenti riproduttivi, è vero che le donne straniere hanno mediamente più figli delle italiane: ma non di molto. Metà delle straniere proviene da Paesi europei che hanno una natalità uguale o minore di quella italiana; l’altra metà, è originaria di Paesi nei quali la natalità è in rapido declino. Inoltre nelle seconde generazioni il divario con gli autoctoni tende ad annullarsi. Il modello della famiglia numerosa è – del resto – svantaggiosissimo nelle società urbane e postindustriali d’immigrazione, e l’alta abortività delle straniere testimonia della dolorosa volontà di adattamento ai nuovi contesti di vita. Per questa ragione (al netto dei nuovi arrivi) le comunità di origine straniera tenderanno a stabilizzarsi su ritmi di crescita non troppo diversi da quelli della popolazione di origine italiana”.
(P.R.)