Con amore al Circeo nel Parco naturale


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Tra le tante, davvero tante “Guide” che, specie negli ultimi mesi, hanno invaso edicole e librerie specializzate, da segnalare – per completezza e impegno di documentazione; ma anche per i non pochi spunti storici e culturali – quella di Franceschetti Forniz, edita da Franco Muzzio sul “Parco naturale del Circeo”.

Il Parco del Circeo – ricorda nella prefazione Enrico Ortese – occupa “una posizione particolare nel patrimonio delle aree protette nazionali”, e ciò per la “centralità che l’elemento «uomo» ha avuto in ogni fase della sua vita”.

E non a caso questo orientamento – “parco per l’uomo” e anche “parco dell’uomo” – è stato sancito dai molti riconoscimenti ambientali internazionali e dallo stesso mandato normativo della Legge – quadro sui Parchi nazionali “che pone il Circeo al servizio di tutti” indicandolo come “risorsa ambientale di valore scientifico, didattico e formativo…”.

Gli autori, anzi le autrici:

– Cecilia Franceschetti: Naturalista ed esperta di aree protette; per anni consulente della Regione Lazio, del Ministero e già direttore del Parco “Marturanum”.

Lavora anche nel “Comitato di pilotaggio italo – francese” per il Parco Marino Internazionali delle Bocche di Bonifacio;

– Cinzia Forniz Biologa, autrice di varie pubblicazioni scientifiche; è stata collaboratrice alla Regione Lazio e alla Rai. Esperta, tra l’altro, nelle tecniche di “censimento e catalogazione” della fauna.

Nel gruppo Franco Muzzio editore (vedi Makallè, 9735138 – Padova); la collana “Viaggi e Natura” è curata da Marco Lambertini e la serie “Parchi” è affidata a Cecilia Franceschetti.




Matteo, l'eccentrico tra Umbria e Marche


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Appuntamento a Gualdo Tadino (Perugia) – che già da sola, peraltro, vale una lunga visita! – al Museo Civico di Rocca Flea sino al 27 giugno 2004. Per la nostra “Matteo da Gualdo Rinascimento eccentrico tra Umbria e Marche”.

Mostra promossa dal Comune di Gualdo Tadino nell’ambito delle iniziative culturali del Sistema Museale dell’Umbria. Nell’ambito delle periodiche iniziative del Sistema Museale, il Comune di Gualdo Tadino propone, nel museo civico della Rocca Flea recentemente ampliato e riallestito, la mostra “Matteo da Gualdo e il Rinascimento eccentrico tra Umbria e Marche”. Protagonista, Matteo da Gualdo, capostipite di una singolare famiglia di notai-pittori che lasciò importanti testimonianze, spesso caratterizzate da particolare estrosità e vivacità stilistiche, nel territorio gualdese e nelle vicine Assisi e Nocera Umbra. La mostra è occasione anche per ammirare, nella maestosa cornice della Rocca FIea, le collezioni pittoriche, ceramiche ed archeologiche del museo e per scoprire, attraverso un itinerario esterno alla mostra, quella porzione di Umbria “minore” compresa tra l’antica via Flaminia, Assisi e Gubbio, ricca di piccoli centri suggestivi ed inesplorati.

La pittura di Matteo di Pietro, più noto come Matteo da Gualdo (circa 1435-1507) rappresenta una delle più originali testimonianze della varietà di linguaggi artistici che caratterizzano il Quattrocento italiano. A fianco dei principali artisti attivi in Umbria, espressione delle grandi novità portate in pittura dall’ambiente fiorentino, la sua opera, estrosa e ricca di riferimenti culturali, rivela l’aspetto non uffIciale ma comunque prezioso del vivace e variegato panorama del Rinascimento umbro. Si pensa sempre ad un unico Rinascimento, nato a Firenze ed esportato in altri centri, ma in realtà nel Quattrocento i fenomeni di rinascita artistica sono molti e non tutti riconducibili a una stessa matrice.

(Per informazioni: www.matteodigualdo.net - e: Sistema Museo:telefono: 075-916078 – Aperto tutti i giorni 10,00-13,00; 15,00-19,00; da lunedì a venerdì – prefestivi e festivi: 10,00-19,00).




In quattro Palazzi Ducali tutto sui Della Rovere


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Anzitutto, le sedi: i Palazzi Ducali di Senigallia, Urbino, Pesaro e Urbania. La data: dal 4 aprile al 3 ottobre. E l’oggetto; anzi, gli “oggetti”; i 300 capolavori e opere d’arte che illustrano per la prima volta cronologicamente i fasti della celebre dinastia che succedette dal 1508 ai Montefeltro: l’illuminata signoria del Della Rovere, che attraversa una lunga stagione di arte e di bellezza. Si tratta di una signoria nuova e diversa rispetto alla precedente: alle soglie del Cinquecento, gli sviluppi della storia europea (comprese le conquiste di francesi e spagnoli sul suolo italiano) impongono una nuova figura di “principe” e una aggiornata versione del ruolo del “cortegiano”. E sono proprio i Della Rovere i primi duchi del Cinquecento Italiano a comprendere i limiti e le prospettive di una signoria che deve rinunciare ad ambizioni di conquiste territoriali, ma assicurarsi una fama internazionale grazie allo splendore della produzione artistica e delle residenze, al generoso mecenatismo, all’esportazione o al dono diplomatico di prodotti assolutamente unici e inconfondibili. Oggi, quattro importanti centri marchigiani celebrano le figure, i fasti, gli artisti, le collezioni e gli interessi scientifici dei Della Rovere. Senigallia, Pesaro, Urbino e Urbania aprono ai visitatori i propri monumenti più importanti, alcuni dei quali altrimenti inaccessibili, invitando a un itinerario che porta dal mare ai boschi di “roveri” nella valle del Metauro, nella meraviglia di una natura intatta e sempre mutevole, capace non solo di accogliere ma anzi di ispirare e di generare grandi maestri e indimenticabili capolavori. L’esposizione è il frutto di recenti e approfonditi studi scientifici che hanno esplorato a tutto campo la cultura e il gusto di un’epoca ricostruendo filologicamente la storia e il mecenatismo dei Signori, uomini d’arme, sofisticati esteti, scaltri politici, immortalati nei ritratti di Tiziano (Francesco Maria I e la consorte Eleonora Gonzaga), del Bronzino (Guidubaldo II), del Barocci (Francesco Maria II) e di tanti altri protagonisti del tempo. Pedro Berruguete cl mostra invece le sembianze di Papa Sisto IV come Raffaello quelle di Giulio II: i memorabili pontefici che diedero nobiltà alla nuova signoria sotto fronde di quercia cariche di ghiande, divenute facilmente, in virtù del nome, inequivocabile e fecondo segno di riconoscimento: non solo firma di una committenza colta e insistito simbolo di appartenenza, ma anche autonomo, raffinatissimo intreccio decorativo: come nel lussureggiante Stipo di ebano intarsiato d’avorio realizzato alla fine del Cinquecento per Francesco Maria II, recentissimamente acquistato dalla Galleria Nazionale delle Marche.

Celebri dipinti, sculture antiche e Rinascimentali, preziose oreficerie, ricchissime ceramiche, lucide armi, delicati manoscritti miniati tornano eccezionalmente a rivivere nelle antiche stanze dei grandi palazzi nelle quattro capitali ducali. I duchi favorirono Infatti l’immagine del policentrismo del loro Stato, dando quasi vita ad una sorta di federalismo ante-litteram. Se Federico di Montefeltro aveva scelto Urbino e Gubbio, Guidubaldo I amò soprattutto Fossombrone, Francesco Maria I Della Rovere predilesse Pesaro, Guldubaldo II ancora Pesaro e poi Senigallia, e Francesco Maria II predilesse Casteldurante, poi ribattezzata Urbania in onore di papa Urbano VIII.

I due pontefici Della Rovere, Sisto IV (1471-1482) e Giulio II (1503-1515) fanno del Ducato di Urbino il centro da cui passare per ottenere i loro favori. I re d’Inghilterra, di Francia e di Spagna, gli imperatori asburgici accolgono al meglio gli ambasciatori del Ducato e conferiscono ai signori di Urbino le più alte onorificenze. Ed è proprio Giulio II nel 1507 a concedere al Collegio dei Dottori urbinate più ampie prerogative, dando vita, di fatto, al primo nucleo della celebre Libera Università fiore all’occhiello e fortuna moderna di Urbino.

C’e di tutto, nei quattro Musei in memoria della Signoria dei Della Rovere, uomini d’arme che, dopo i Montefeltro, si assicurarono fama e potere grazie a un coraggioso mecenatismo e al fasto delle loro residenze. Celebri dipinti, sculture antiche, preziose oreficerie, ricchissime ceramiche e manoscritti miniati tornano a rivivere nei palazzi dei quattro centri ducali. La rassegna debutta a Senigallia nel palazzo del Duca, progettato dal Genga e decorato dallo Zuccari, e qui illustra le origini savonesi della dinastia: per l’occasione torna la splendida Madonna di Senigallia, eseguita da Piero della Francesca per Federico di Montefeltro. Sisto IV, uno dei due pontefici dei Della Rovere, è rappresentato dal ritratto, mai visto in Italia, dello spagnolo Pedro Berruguete. Nel Palazzo Ducale di Urbino, seconda

tappa, viene approfondito il tema della committenza con l’opera pittorica di Federico Barocci (la Natività, la Deposizione, e il Ritratto di Lavinia). A Pesaro, nel Palazzo Ducale di piazza del Popolo, e a Villa Imperiale, residenza estiva aperta per l’occasione, la rassegna si sofferma sulla committenza di Francesco Maria I e sulla ricchissima produzione di ceramica. A Urbania, infine, la città di Francesco Maria Il, si ammirano antichi disegni e si indaga il rapporto dei Della Rovere con la scienza. (Informazioni e prenotazioni: telefono: 0721-370956).




Asiago: è l'altopiano con i suoi sette comuni


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

La denominazione antica, anzi, è proprio questa “dei Sette Comuni”, citati uno per uno: Enego, Foza, Gallio, Lusiana, Roana e Rotzo. Ai quali poi si aggiunse Conco, diventato Comune nel 1796. Oltre ad Asiago, naturalmente, la cui fama turistica è cresciuta via via che cambiava nome: dalla cimbrica Sieghe (taglio del bosco) ad Asigliago ed Asillago. Finché diventò, unica delle “sette sorelle”, città nel 1924, dopo essere risorta dalle macerie cui l’aveva ridotta la 1° Guerra Mondiale.

E fu, per D’Annunzio,” la più piccola ma la più luminosa città d’Italia”, con il corso principale intitolato al IV Novembre e con il Sacrario Militare vicino, sul Colle del Larten, con Museo con reperti bellici e tanti Caduti anche austroungarici.

Numerose – e tutte note a livello internazionale – le manifestazioni tipiche di Asiago: dalla “fiaccolata del Kaberlaba” (il primo sabato di gennaio) indetta dai maestri della Scuola-Sci al Concorso internazionale di scultura in legno che nell’ultima settimana di agosto, affolla la città, trasformando vie e piazze in affascinanti “laboratori all’aperto”.

Il mercato settimanale si tiene ogni sabato;e poi ci sono le Fiere: 1° mercoledì di giugno; 21 settembre; 2 novembre. Ma intorno ad Asiago, come dicevamo, c’è ancora molto, da vedere e scoprire. A cominciare da Sasso, unica frazione di Asiago, che conta ben 13 “contrade”. Essa è famosa per la “Calà”, una salita unica al mondo con i suoi 4.444 gradini che venne costruita nel 1387 da Gian Galeazzo Visconti; e sulla quale si inerpia; a fine agosto, una spettacolare “fiaccolata storica”.

Poi ci sono: Foza, con il suo territorio tutto boschivo; Conco (l’ottavo dei sette), con le case “veneziane” del centro e con quattro frazioni, in una delle quali è il “balcone”, con vista mozzafiato; quando c’è il sole, lontanissimo, si vede il campanile di S. Marco; Enego, che molti chiamavano la “perla dell’altopiano”, con vista – e non è davvero poco! – del Monte Grappa e delle Dolomiti; Gallio – tutta ricostruita dalle macerie della 1° Guerra Mondiale – con, tra l’altro, la “Valle dei Mulini”, con vista ad un reticolo bellissimo di torrenti e “canali”; Lusiana (bosco consacrato a Diana) con intorno contrade e fattorie, molte in stile “germanico”, e con accanto il Parco naturale del Cormion, autentico museo all’aperto, con la “passeggiata delle Calcare”, forni dove si produceva la calce.

Più grande Roana, con i suoi 6 centri e altrettanti Campanili e con il suo Istituto di Cultura cimbra, con ricchissima biblioteca; e infine Rotzo “l’antica (dal cimbro “Rotz”, roccia) con l’Altare “Knotto” antica pietra magica dove venivano offerti i sacrifici degli Dei.

Ancora una nota culturale di rigore. Quella sugli “usi civici” ai quali rimandano ancora oggi le tabelle visibili qua e là dove si legge “Proprietà della gente del posto”.

Erano i diritti di godimento “comunitari” in vigore da sempre nelle terre altopianesi; le terre e quanto esse producevano: alberi e legnami, frutti e funghi e grano.

Si tratta dei diritti di godimento che gli abitanti dei Comuni dell’Altopiano hanno sopra le terre oggi in capo ai Comuni. Gli altopianesi, ancora in data immemorabile, riuscirono a conquistare la proprietà delle terre suddette e quindi dei loro prodotti: frutti, funghi, legna ecc. Ciò significa che gran parte del territorio che ci circonda (praticamente tutti i boschi e i prati che si vedono) non è di tutti(dello stato), né della regione o della Provincia e neanche dei Comuni in quanto Enti( che gestiscono il territorio per conto dei proprietari). Esso appartiene agli “antichi abitatori” di ciascun Comune. Sicchè ciò che compete agli asiaghesi sul territorio di Asiago non compete ai roanesi, che godono invece i “loro” territori.

(Per informazioni più approfondite: ai Municipi di Asiago, Lusiana, Enego, Rotzo,Roana, ecc. e alle Pro – Loco); (0424 – 600211)




Vitrum: fra arte e scienza dei Romani


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Si intitola così la Rassegna che ha avuto inizio qualche giorno fa a Palazzo Pitti, a Firenze e che resterà aperta sino al prossimo 31 ottobre. E che allinea autentici “tesori” (circa 400) per lo più provenienti dalle città vesuviane. Tra le tante cose che vi si imparano è che la tecnica del vetro soffiato, la introdussero per primi i Romani, nel I Secolo avanti Cristo; una tecnica, com’è noto, del tutto rivoluzionaria, visto che prima, da sempre, il vetro era stato “trattato” con il metallo.

La Mostra si tiene al “Museo degli Argenti”, nelle sale terrene di Palazzo Pitti, destinate originariamente ad appartamento estivo del Granduca e nel mezzanino, è collocato dal 1861 il Museo degli Argenti che raccoglie oggetti preziosi diversissimi (gemme, cammei, pietre dure, avori, gioielli, argenti), documenti del fasto principesco e del collezionismo delle dinastie che si sono succedute al governo della città di Firenze, dai Medici ai Lorena.

E la visita al “Vitrum” può e deve essere l’occasione per conoscere la preziosa raccolta del Museo, il cui nucleo fondamentale, di provenienza medicea, iniziato già nel Quattrocento, si trovava in origine riunito nel palazzo di Via Larga (oggi via Cavour), dove Cosimo il Vecchio aveva iniziato una vasta e non omogenea raccolta di oggetti d’arte, continuata poi dal figlio Piero, vero e proprio fondatore della collezione di famiglia. Uno dei complessi più antichi e preziosi è costituito dai vasi di Lorenzo de’Medici, pezzi di importanza fondamentale sia per il loro valore storico che per la loro bellezza. I diciotto rimasti rappresentano solo una piccola parte della collezione originaria e testimoniano il grande interesse per le pietre dure e semipreziose, che fu una costante del collezionismo mediceo.

Nel Cinquecento, con Cosimo I Granduca, si può dire che inizia la vera storia della collezione: essa rispecchia oggi l’oculata politica culturale delle corte toscana, che proteggendo gli artisti commissionando preziosi manufatti fecero di Firenze uno dei centri europei più qualificati nella produzione delle cosiddette “arti minori”. Fra gli artisti al servizio del Granduca troviamo Benvenuto Cellini (1500-1571) (al quale si deve l’acquisto di molti vasi di cristallo, oggi esposti nel Museo). Da questi primi tecnici raffinati traggono origine le botteghe granducali che, potenziate dal Granduca Francesco, figlio di Cosimo, furono organizzate in complesso autonomo e funzionale di Ferdinando I de’ Medici agli inizi del Seicento. Intagliatori di cristallo, di cammei, di pietre dure, orefici, argentieri, concorrono con prodigi di invenzione e tecnica altissima alla produzione di oggetti che in gran parte sono rimasti a formare il nucleo più prestigioso del Museo: un esempio fra i più raffinati è il vaso di lapislazzulo montano in oro dall’orafo Bilivert (1576-1644) su disegno di Bernardo (1536-1608). Accanto a queste preziose testimonianze del gusto manierista del Cinquecento troviamo le collezioni di avori portati dalla Germania dal principe Matthias de’ Medici nel XVII secolo.

Insieme alla grande collezione di cammei, di cui alcuni di provenienza romana, e alle “Galanterie gioiellate” di Anna Maria Luisa de’Medici (sec. XVIII) committente di preziosi gioielli in tutta Europa, si possono ammirare gli oggetti portati al Palazzo Pitti da Ferdinando III di Lorena, al rientro dall’esilio dopo la parentesi napoleonica. Si distinguono per antichità e bellezza di lavoro piatti d’oro, i boccali, i corni potori, le coppe di radica, racchiuse in montature d’argento e di smalto.

Responsabili del Museo: Marilena Mosco (direttore) e Ornella Casazza (vice-direttore) – Prenotazioni e informazioni: 055.264406




Con noi al Museo della Magna Grecia


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

La prima origine dell’attuale Museo di Reggio Calabria risale al 1882, quando fu istituito il Museo Civico per raccogliere e far conoscere alla cittadinanza, nel clima culturale dell’ancora recente Unità nazionale, varie testimonianze della storia e della cultura locale, dai reperti archeologi ci alle memorie risorgimentali, a collezioni di pittura e di oggetti esotici. Nel 1907 fu istitutita la Soprintendenza Archeologica della Calabria, diretta da Paolo Orsi, che esguì intensi scavi a Locri, a Reggio e nei principali centri archeologici della regione. Dopo il terremoto del 1908 che distrusse Reggio Calabria, Paolo Orsi propose la creazione di un grande Museo Nazionale nel quale riunire i materiali degli scavi statali con quelli delle collezioni civiche. La Soprintendenza Archeologica, insediata a Reggio dal 1925, realizzò l’edificio del Museo, progettato da M. Piacentini e iniziato nel 1932.

Nel 1954 le collezioni del Museo Civico furono riunite a quelle del Museo Nazionale, che fu parzialmente aperto al pubblico per la prima volta nel 1959 dal Soprintendente A. de Franciscis. Il Soprintendente G. Foti curò successive ristrutturazioni e ampliamenti del Museo (sezione preistorica 1962, pinacoteca 1969, sezione numismatica 1973) fino alla creazione della sezione di archeologia sottomarina in cui sono esposte dal 1981 le statue greche in bronzo rinvenute nel mare di Riace e di Porticello, che hanno reso largamente famoso il Museo di Reggio Calabria. Nel 1982 furono aperte al pubblico le sale del 2° piano del Museo, raggiungendo l’attuale assetto di circa 40 sale espositive.

In questi ultimi anni il Museo Nazionale sta rinnovando e modernizzando gli apparati didattici informativi, e i servizi di vendita di pubblicazioni.

Il Museo Nazionale che fino agli anni’60 fu l’unico museo archeologico in Calabria, deve ormai considerarsi il centro di un sistema museale costituito dai Musei istituiti dalla Soprintendenza nei principali centri archeologici della Calabria (Crotone, dal 1967; Vibo Valentia, dal 1969; Sibari, dal 1969; Locri, dal 1971; Amendolarra dal 1996).

Il museo Nazionale detto anche Magna Grecia è uno dei più noti musei della Magna Grecia.

La struttura museale ospita reperti proveniente da tutto il territorio calabrese prevalentemente del periodo magno-greco, a partire dall’VIII sec. a.C., ma anche dei periodi precedenti della preistoria e protostoria; e poi dei periodi romano e bizantino.

Perché di particolare rilievo, si ricordano: i bronzi di Riace, forse del sec. V a.C. e di provenienza ellenica. Ritrovati in Calabria raffigurano due guerrieri. Pervenuti in eccezionale stato di conservazione, sono considerati tra le più significative strutture elleniche in bronzo esistenti. La testa del filosofo, anche questa ritrovata in Calabria, nei pressi di Villa S. Giovanni, rarissimo – esempio di ritrattistica greca. La splendida testa in marmo di Apollo Aleo da Cirò; il gruppo dei dioscuri che scendono da cavallo nella battaglia della Sagra, da Locri ; le tavole bronzee, dell’archivio del tempio di Zeus di Locri; le vaste collezioni di Pinakes (ex voto in terracotta riproducenti a rilievo scene del tratto di Persefone, da Locri ), di gioielli, di specchi in bronzo, il ricco medagliere. Nella pinacoteca sono tra le altre ospitate due tavole di Antonello da Messina.

Il Museo Nazionale di Reggio Calabria dipende dalla Soprintendenza Archeologica della Calabria.

Sede: Museo Nazionale, Piazza De Nava, 26, 89100 Reggio Calabria.

Telefoni: +39.965812255 +39.965812256 – Fax: +39.96525164

Direttore in carica: dott. Claudio Sabbione

Informazioni: orario di apertura al pubblico: ore 9 – 19 tutti i giorni (escluso il I° e i1 3° lunedì del mese) Costo del biglietto: 4,50 euro.

Ingresso gratuito a tutti i cittadini italiani, degli Stati della Comunità Europea e dei paesi con una reciprocità di regolamento a quello dello Stato italiano, di età minore di 18 e maggiore di 60 anni.




Festa della piccola e "grande Italia"


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

E’ fissata per domenica 28 marzo l’appuntamento con la prima edizione di “Voler bene all’Italia” – la festa nazionale, la giornata di promozione dei piccoli Comuni italiani che quel giorno invitano gli italiani a scoprire riscoprire le loro “ricchezze”, le loro tante e straordinarie bellezze, la storia – quasi sempre antica e complessa; e i “talenti” che spesso vi sono nascosti.

Uno sguardo finalmente approfondito, insomma, su centri minori e piccoli borghi nei quali però ancora vivono – spesso fra molti stenti e tanti disagi – 10 milioni di italiani; piccoli centri che rappresentano il 72% dei Comuni italiani.

Sono una zavorra o una ricchezza?

Sono un patrimonio da riconquistare e da valorizzare, come ha ricordato il Presidente Ciampi. Questi borghi, questi paesi – ha detto – rappresentano un presidio di civiltà, concorrono a formare un argine contro il degrado idrogeologico e spesso possiedono impianti urbani medievali, antichi, di grande valore. Riconquistiamo questi luoghi…Sono parte integrante, costitutiva della nostra identità, della nostra patria.

In termini di contenuti le iniziative previste vogliono recuperare e “radicare” quanto si fece nelle due passate edizioni del Sindaco Cicerone, la giornata che ha visto tanti primi cittadini trasformarsi, per un weekend, in guide turistiche della propria città. Dice Pedro Spinnato, sindaco di Caronìa (3.850 abitanti in provincia di Messina); «Accompagnerò anche quest’anno i miei ospiti in una visita al centro storico, al castello normanno, faremo poi una puntata nel verde dei boschi a 1.500 metri sul mare dove scorazzano i maialini selvatici, quelli da cui derivano le pregiate carni “filo nero” dei Nebrodi. E non dimenticheremo di presentare i nostri prodotti tipici, tra cui l’olio, per cui stiamo cercando di ottenere dei riconoscimenti europei».

Ma custodire la memoria vuoi dire anche scommettere sul futuro. Un esempio? Poggio Moiano (Ri), ai piedi del Parco dei monti Lucretili, dove si festeggerà la consacrazione pel travertino, già diffuso in tutto il mondo, nella lista dei marmi pregiati. Tutta la giornata del 28 marzo sarà del resto una gara tra itinerari enogastronomici, bellezze naturali e artistiche. Ne scrive ampiamente la rivista “Legambiente” e ne parla Ermete Bralarri.

Itinerari vari, dunque, come a Valverde, minuscolo comune nel cuore dell’Oltrepò pavese, con 400 abitanti: nel raggio di 14 chilometri si possono visitare 20 castelli dell’XI secolo e un sito di rilevanza archeologica che risale all’età del ferro, dove sta sorgendo il Giardino delle farfalle per favorire la presenza delle specie autoctone. O come a Castel Sant’Angelo sul Nera, 380 anime nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, dove ci sono 20 chiese di architettura romanica e pitture rinascimentali. Qui a tavola si incontrano due regioni nel sodalizio tra il ciauscolo marchigiano e le lenticchie della piana umbra di Castelluccio. Ma a contendere il primato di una produzione famosa in tutta Italia ci pensa Santo Stefano in Sessanio, nell’aquilano, dove si coltivano delle minuscole lenticchie nere: «Sicuramente più buone di quelle di Castelluccio – afferma con un pizzico di sfida il sindaco Antonio D’Aloisio – Una produzione da sempre biologica limitata a 200 quintali l’anno e a rischio di estinzione».




Cavallo "spiegato" nei pressi di Pavia


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Proseguono il 28 marzo e il 18 aprile gli incontri per “spiegare il cavallo”.

Si tengono nel Parco Lombardo del Ticino, a cura del Centro Cascina Venara di Zerboò (PV). Ogni incontro ha una parte teorica e una pratica (con i cavalli Camargue del Parco, sopra), dura due ore (10.30 – 12.30) e costa € 15,00.

In sintesi….Centro Parco Cascina Venara offre ai visitatori del Parco del Ticino l’occasione per trascorrere momenti di relax immergendosi nella splendida natura di questo suggestivo angolo di Lomellina. Gestione: il Centro Parco Cascina Venara è gestito da OLDUVAI Onlus per conto del Consorzio Parco Lombardo della Valle del Ticino in collaborazione con il Comune di Zerbolò. Indirizzo ed Apertura: Cascina Venara – 27020 Zerbolò (PV). Orario di apertura: da Mercoledì a Domenica – dalle ore 10.00 alle 18.00 tel: 338.6320830

Il Centro Parco è il punto di riferimento per i visitatori del Parco del Ticino nella provincia di Pavia, costituito da:

Centro Cicogne: il Centro opera per la reintroduzione in natura dello splendido migratore, nell’ambito di un progetto di conservazione della Cicogna Bianca. Il Centro Cicogne è fruibile dal pubblico su un sentiero didattico che si snoda tra le voliere.

Centro Parco – Centro Cicogne Cascina Venara – 27020 Zerbolò Telefono: 338.6320830

da Mercoledì a Domenica – dalle 10.00 alle 18.00

INFO: www.centroparcovenara.it

(U.G.)




Le visite guidate nell'antica torbiera


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

C’è tutta una storia sulla torba che si estraeva dalla brughiera intorno ad Inarso, nel Varesotto. Poi, come in tante altre zone analoghe, gli scavi sono stati abbandonati e, anno dopo anno, l’acqua li ha riempiti dando luogo ad una «zona umida». E’ nata così, la Palude Brabbia, che è dal 1983 “riserva regionale”. La LIPU vi gestisce 460 ettari; un vero paradiso naturale di canneti e di stagni, nel quale passano o si sono stanziati 140 specie di uccelli. Tra di essi, come “simbolo” è stato scelto il raro «porciglione». Con la primavera, riprende l’attività, specie con le visite guidate; a temi; tipo: i segreti degli aironi e i “Rapaci” (4 aprile), dedicato a falco pescatore e falco di palude.

Qualche cenno storico. Con materiale tratto dal libro “La Palude Brabbia” – Pubblinova Edizioni Negri:

“I primi documenti relativi alla Palude Brabbia risalgono al 1400, ma per i due secoli successivi si tratta semplicemente di atti notarili.

Le prime notizie certe, anche se indirette, ci sono offerte da Giovanni Ranchetti uno zelante abate che, con le sue ricerche, avallò la considerazione del carattere nocivo delle esalazioni della Brabbia.

A partire dal 1778 fino al 1945, in nome delle condizioni igienico – sanitarie, si produsse una lunghissima serie di progetti di “bonifica”, auspicati da solerti paladini della salute pubblica, ma sempre contrastati da ostacoli ed impedimenti di varia natura. Il dibattito che ne è seguito, durato quasi due secoli, ha ottenuto l’unico effetto di preservare miracolosamente integro il delicato ecosistema palustre che la cultura contemporanea ci impone ora di proteggere e valorizzare come un prezioso patrimonio.

Quella che segue è ormai storia dei nostri giorni: riconosciuto il suo inestimabile valore naturalistico, la Palude Brabbia, nel 1981 , viene compresa nel primo elenco dei biotopi e geotopi approvato dal Consiglio regionale; nel 1983 viene indicata tra le Riserve Naturali della Regione Lombardia e, nel 1984, viene dichiarata, con decreto del Ministero dell’Agricoltura, ai sensi della Convenzione di Ramsar deI 1971; zona umida di importanza nazionale!”

Per informazioni: Centro Visite Oasi Brabbia Via Patrioti 22, Inarzo (Va) Tel. 0332/964028




Verso la primavera nel Delta del Po


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Siamo lieti di annunciarVi che nel Parco del Delta del Po, una delle più importanti zone umide d’Europa, si sta lavorando per promuovere lo sviluppo del prodotto turistico birdwatching. E’ in questo contesto che il Parco del Delta del Po Emilia Romagna, DELTA 2000 – Agenzia per lo sviluppo locale del Delta emiliano romagnolo – le Province di Ferrara e di Ravenna, il Comune di Comacchio, la Camera di Commercio di Ferrara, la Camera di Commercio di Ravenna, e l’APT Servizi della Regione Emilia Romagna organizzano la prima edizione di una manifestazione quasi unica nel suo genere:

INTERNATIONAL PO DELTA BIRDWATCHING FAIR

Fiera internazionale del Birdwatching e del Turismo Naturalistico

che si svolgerà dal 29 aprile al 02 maggio 2004 a Comacchio – Palazzo Bellini – nel cuore dell’area protetta del Parco del Delta del Po, fra le città d’arte di Venezia, Ferrara e Ravenna.

Si tratta del primo grande evento che si tiene in Italia dedicato al birdwatching e che intende coinvolgere aziende, enti, istituzioni, associazioni attive a livello nazionale ed internazionale nel settore del birdwatching e del turismo naturalistico.

La fiera si aprirà con una conferenza stampa il giorno 29/04 alle ore 11.00. L’inaugurazione ufficiale è fissata alle ore 15.00 di giovedì 29 aprile 2004.

Chi espone alla INTERNATIONAL PO DELTA BIRDWATCHIIVGrAIR:

– Turismo naturalistico

– Tour Operators

– Produttori materiali specifici per birders e/o birdgardeners

– Ottica e fotografia

– Campeggio e accessori

– Abbigliamento sportivo e accessori

– Alimentazione tipica naturale

– Associazioni di birding, birdwatching e birdgardening

– Editoria specializzata

– Parchi, Associazioni ambientali e naturalistiche

E molto altro ancora…

Numerosi gli eventi e le attività collaterali previste accanto all’area espositiva: evento fotografico, importanti convegni, manifestazioni enogastronomiche, raduni e manifestazioni sportive, visite guidate alle oasi naturalistiche ed attività di osservazione dell’avifauna, nonché possibilità di incontri e dimostrazioni a cura delle aziende espositrici. Tutto ciò aumenterà la risonanza a livello nazionale ed internazionale dell’evento – il primo in Italia – così come il gradimento e la fruibilità da parte di birdwatchers, convegnisti, operatori e turisti.

E’ possibile concordare inoltre fin d’ora modalità per l’organizzazione di conferenze stampa, pubblicità e comunicazioni speciali che potranno arricchire il programma delle lectures, ed essere inserite nel catalogo della manifestazione.

DELTA 2000 – Via Mezzano, 10 – 44020 Ostellato (FE) Italia

Tel: +39 0533 681180/681816-fax: +39 0533 680515 – E-Mail: deltaduemila@tin.it

 

 

“VIVI UN BATTITO D’ALI”

Programma speciale per le scuole

In occasione della fiera, verranno allestite alcune stazioni nel Parco del Delta del Po, dove i ragazzi avranno la possibilità di imparare giocando e partecipando a laboratori didattici seguiti da personale specializzato.

Si potranno realizzare: 1) “Il gioco dell’oasi” Grande gioco dell’oca a squadre, in cui più classi potranno sfidarsi in quiz e prove di abilità a carattere ambientale. 2) “Penne e piume al microscopio” Gli operatori mostreranno agli studenti come osservare penne e piume al microscopio. Ad ogni ragazzo saranno consegnati materiali di supporto e schede didattiche di lavoro pratico. 3) “Canti e Becchi tra Pineta e Valle” Le classi si affronteranno a “colpi di becco” e in gare canore nelle “arene del canto”. I giochi, a carattere didattico, hanno lo scopo di far comprendere agli studenti i rapporti fra morfologia anatomica e adattamenti alle diverse caratteristiche ambientali per procacciarsi il cibo. 4) “Giochiamo con le sagome”

Non sempre in natura è possibile osservare un esemplare in tutta la sua bellezza. Ciò che appare al binocolo è a volte solo una sagoma scura. Lo studio delle sagome aiuta a riconoscere alcuni tra i principali gruppi di uccelli. Giocando con semplici sagome geometriche magnetiche, i ragazzi potranno scoprire com’è “facile” comporre un ardeide piuttosto che un limicolo, cosa differenzia un’anatra da un gabbiano, e molto ancora.

Sono previsti: laboratori manuali per imparare come costruire un riparo per gli uccelli, come offrire il cibo agli “amici pennuti”, acquisire le nozioni necessarie per dare un piccolo contributo alla protezione dell’avifauna una volta rientrati in città; – escursioni naturalistiche a piedi durante le quali i ragazzi, dotati di binocolo e notes di raccolta dati, potranno esplorare la natura in maniera attenta e discreta attraverso l’attività di birdwatching; – attività serali di “moonwatching”, e scoprire così il fascino della natura notturna, fra rumori e sagome di uccelli migratori che attraversano il cielo; – un concorso fotografico: ogni classe verrà munita di macchina fotografica digitale per poter fotografare le specie avifaunistiche abbinate ad ogni stazione visitata. Una giuria sceglierà le fotografie più rappresentative ed assegnerà i seguenti premi ai primi classificati: binocoli, una macchina fotografica digitale, Guide Birdwatching. Tutte le stazioni saranno collegate da un servizio pullman gratuito.