barbadillo.it - Il corteggiamento del Pci verso gli ex Rsi (o dello sfondamento a destra)


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L’analisi evidenzia da principio le motivazioni che, già prima del pesante rovescio del Fronte Popolare alle elezioni del 18 aprile 1948, indussero il Pci a concentrarsi sullo sfondamento a destra con circospezione e riserbo, onde evitare di riaprire le polemiche innescate dall’amnistia Togliatti

Soffermarsi su vicende minori e circoscritte rappresenta talvolta la cartina di tornasole che i processi di formazione della storia spesso non sono affatto lineari, né si lasciano facilmente ingabbiare nei rigidi schemi della competizione politico-ideologica.

La lettura dell’articolo di Giuseppe Pardini “Lo specchietto per le allodole. Il Pci e il reclutamento dei neofascisti (1949-1953)”, comparso sulla rivista “Il Presente Storico” nel 2024, si segnala per la profondità con cui corrobora questa tesi.

L’analisi evidenzia da principio le motivazioni che, già prima del pesante rovescio del Fronte Popolare alle elezioni del 18 aprile 1948, indussero il Pci a concentrarsi sullo sfondamento a destra con circospezione e riserbo, onde evitare di riaprire le polemiche innescate dall’amnistia Togliatti. La realistica presa d’atto dell’inaspettata capacità di attrazione del neofascismo nei confronti dei giovani si sovrapponeva in tal senso alla scelta tattica di rinvigorire i nemici del sistema, specialmente a partire da quando per i due partiti delle estreme si materializzò il rischio concreto di finire sotto la scure della legge Scelba.

La politica di attenzione per i missini antisistema
La politica di apertura, soprattutto verso i missini d’orientamento repubblicano, si articolava lungo le direttrici sia del reclutamento da parte della Federazione dei giovani comunisti italiani (Fgci) sia di quello degli ex combattenti o sostenitori della Repubblica Sociale Italiana; la scelta era infatti finalizzata anche a respingere le accuse provenienti dalla sponda opposta di fomentare l’odio verso i reduci di Salò.

Pajetta e Ruinas
Non desta quindi sorpresa che, sotto la supervisione di Pajetta (capo del settore stampa e propaganda), i comunisti finanziarono circoli e gruppi della rivista di Stanis Ruinas “Il Pensiero nazionale” – schietta interprete di istanze tipiche del “fascismo rivoluzionario”, quali le contrapposizioni alla borghesia, al capitalismo, all’occidente e il netto rifiuto dell’inserimento nel gioco militare dell’imperialismo straniero – allo scopo di penetrare negli ambienti ostili al Movimento sociale italiano che guardavano verso sinistra.

L’ampio spazio dedicato alle informative del Sifar e alle relazioni preparate dagli organi di controllo e di polizia per la questura di Roma restituisce i contorni di una fitta e altalenante rete di contatti.

L’apertura di Berlinguer
Ispirandosi al contenuto di un’inchiesta del periodico di partito “Pattuglia”, incentrata sulla centralità del patriottismo come elemento catalizzatore di un nuovo patto d’unione della gioventù italiana, Berlinguer affermava durante un comizio al cinema “Splendore” di Roma la necessità che il dialogo fosse aperto ai temi della pace e della patria e che le ragioni dell’altra parte (“errate, ma in buona fede”) giustificassero la politica della mano tesa. Piuttosto diffusi nelle regioni del Veneto, della Liguria e della Toscana, gli inviti al confronto raccolsero le adesioni del settimanale “L’Asso di bastoni”, che si avvaleva tra gli altri della collaborazione di Pino Rauti, di federazioni giovanili socialiste e della Cgil, ma non quella dell’Azione Cattolica.

Indicativi di un elemento sottovalutato se non completamente ignorato da più parti, quello dell’estrema eterogeneità e frammentarietà della galassia neofascista, sono i rilevanti cenni al puntuale ripresentarsi di dissidi e contrasti personali che si erano manifestati sin dal periodo bellico.

Il duello Graziani-Borghese
“Il Pensiero nazionale” avviò così una campagna di avvicinamento all’ex maresciallo Graziani (che, in cambio dell’appoggio alla sua liberazione, avrebbe assunto un atteggiamento “democratico di sinistra”) e ostile al principe Borghese, in seguito presidente onorario del partito della fiamma, influendo sulla ripresa delle ostilità tra i due.

Sotto la medesima chiave interpretativa viene letta la nomina, voluta da Graziani, a ispettore nazionale della Federazione nazionale combattenti repubblicani del comandante Ferruccio Ferrini, già sottosegretario alla Marina a Salò, collaboratore dei comunisti e penna del periodico di Ruinas, nonché protagonista anni addietro di una frizione con Borghese, contrario al fatto che il reparto autonomo della X Mas rispondesse a ordini ministeriali.

Su iniziativa di Luigi Longo nacque nel marzo 1952 il “Comitato patriottico della gioventù contro l’occupazione straniera e per l’indipendenza nazionale”, legato ai Partigiani della pace e alla Fgci e presieduto da un altro attore principale e molto discusso delle trattative, Lando Dell’Amico.

Il progetto poi sfumato
Consapevole della primaria importanza dell’obiettivo di rompere il monopolio democristiano, il bollettino della commissione stampa della Direzione centrale del Pci Propaganda” propose di estendere il dialogo ad altre tematiche in vista della campagna elettorale nel Mezzogiorno per le amministrative. L’attività diretta ad attrarre nell’orbita della sinistra i neofascisti però si interruppe e non ottenne i risultati sperati, inducendo molti dissidenti missini a spostarsi verso le sirene del cosiddetto socialismo nazionale.

L’esperienza approfondita in queste pagine costituisce, tuttavia, un monito valido ancora oggi perché nell’attuale congiuntura assistiamo sempre più di frequente, non di rado tra gli stessi addetti ai lavori, alla crescita delle schiere sempre più numerose di coloro i quali confondono il mestiere dello storico con quello del militante politico.

[Fonte: www.barbadillo.it]




Da Gioventù Nazionale Torino - Sez. D'Annunzio





barbadillo.it - Le ragioni storiche del Movimento sociale italiano


Giorgio Almirante e Pino Rauti

Il saggio “ ‘Abbiamo avuto ragione’ – La Fiamma nel pensiero e nell’azione dei suoi protagonisti” rivendica le ragioni identitarie di una esperienza politica unica in Europa

E’ proprio vero – come ha scritto Jean Madiran, pensatore cattolico francese di orientamento tradizionale, che “chi è di destra lo decide la sinistra”, con il risultato di trasformare la destra in una sorta di ghetto nel quale la sinistra tenta di rinchiudere gli avversari, etichettandoli a suo piacimento?

Nel passato, nel pieno della battaglia, ad armi  impari, delle idee, era forse così. La sinistra cavalcava l’egemonia culturale di stampo gramsciamo,  difficile resisterle. Oggi qualcosa è cambiato. Mutati i vecchi stereotipi , sono caduti e si sono trasformati i rapporti ideali in campo. Sta di fatto però che – troppo spesso – schiacciata sotto il peso delle manipolazioni  ideologiche altrui, la destra è parsa sguarnita (e smemorata) nella difesa del proprio patrimonio  ideale e programmatico.

Ben vengano perciò, sull’onda dei successi elettorali e delle esperienze di governo, opere di ricapitolazione storica,  culturale e politica, finalizzate finalmente a salvaguardare le idee, i progetti e le battaglie ideali di una destra per decenni tenuta ai margini del confronto politico democratico  (ci volle Bettino Craxi, nel luglio 1983,  ad ammettere, per la prima volta,  il Movimento Sociale Italiano   alle consultazioni per la costituzione del nuovo governo da lui presieduto)  fino a demitizzarne l’impegno escludendone, a priori,  le capacità progettuali. Al punto che uno studioso attento come Piero Ignazi è arrivato ad identificare la destra italiana, incarnata dal Msi,  come il “Polo escluso”.

Nel mutare dei tempi e della realtà socio-politica e comunicativa nazionale l’emergere di una ricca e stratificata storiografia dedicata alla destra italiana, non ha però permesso di focalizzare il valore programmatico-culturale di quell’esperienza (della quale, il prossimo anno, cadrà l’ottantesimo anniversario dalla fondazione). Giunge propizio, in questa ottica, il recente libro “ ‘Abbiamo avuto ragione’  – La Fiamma nel pensiero e nell’azione dei suoi protagonisti” (Colosseo Editore, pagg. 250, Euro 20,00) di Paolo Chiarenza e Michele Salomone.

Il titolo rivendica – senza mezzi termini –  l’orgoglio rispetto ad un’appartenenza,  non tanto genericamente ideale, quanto sostanziale perché fatta di progetti, proposte, battaglie, percorsi e programmi, articolati in decenni di impegno politico a vari livelli.

Più che una Storia, quello di Chiarenza, figura di rilievo, negli Anni Settanta,  del Msi e della Cisnal in Piemonte, e di Salomone, cultore della materia, è un lungo viaggio ideale che si snoda lungo le elaborazioni progettuali  della destra italiana. Alla base di questo itinerario ci sono certamente le idee di base ed i valori di fondo, che motivavano la classe dirigente missina, ma c’è soprattutto lo sforzo di volere incarnare sulle scelte valoriali concrete proposte programmatiche.

Scontati – in premessa (siamo agli Anni Cinquanta) – i richiami alle tesi più avanzate del fascismo repubblicano, con la proposta di legge, nel luglio 1955, sottoscritta dai deputati del Msi, per la “socializzazione delle imprese statali e a partecipazione statale”, con la costituzione di consigli di gestione composti di rappresentanti di tutte le categorie dei lavoratori, l’elezione del capo dell’impresa e la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda. Provocatorio il riferimento alla “soluzione corporativa”,  in occasione di un discorso alla Camera dei Deputati di Augusto De Marsanich, vista quale rapporto di associazione tra capitale e lavoro e quale strumento di partecipazione del lavoro al governo della produzione e al  profitto dell’impresa.

Non mancano ovviamente i richiami alla “pacificazione degli italiani”, della quale il Senatore Franz Turchi fece una bandiera ideale, né le doverose puntualizzazioni rispetto alla vicina esperienza del Ventennio  rispetto alla quale Arturo Michelini, segretario nazionale del Msi, dichiarava  – senza mezzi termini – l’irrepetibilità (“Chi pensasse che noi vogliamo le Federazioni fasciste, le squadre, i fez, come una volta, vorrebbe dire che non ha compreso nulla del Msi”).

Nella fitta rete di richiami e di proposte, significativa è l’attenzione, spesso minuta, alle tante emergenze nazionali: dai problemi ecologici alla “riforma organica della Scuola”, dalla tutela dell’istituto della famiglia ai dettagliati rapporti sulla “politica economica”, dalla leva volontaria all’istituzione del servizio femminile nelle Forze Armate, dall’estensione della proprietà della casa all’assegno mensile alle casalinghe.

Non mancano, nel contempo, proposte innovative, tuttora al centro della discussione politica. Risale al 1961 l’idea, lanciata da   Araldo Di Crollalanza,  per la realizzazione di  un collegamento tra Calabria e Sicilia con un tunnel sotto lo Stretto. E’ del 1986 , la proposta di  Pinuccio Tatarella per una riforma, poi realizzata, degli Enti Locali (Comune e Regione) finalizzata all’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Regioni,  mentre rimane ancora “tabù” l’idea del presidenzialismo, lanciata a più riprese dal Msi. Vengono declinati , nel 1998, dall’on. Ugo Martinat i principi “identitari” di una nuova politica del territorio.  Data 2005 l’iniziativa  di legge del Sen. Giuseppe Menardi per il ritorno alla produzione nucleare.

Ad emergere, grazie a Chiarenza e Salomone,  è  un vero e proprio patrimonio culturale, politico e programmatico, da rivalutare non solo in un’ottica memorialistica, ma per il valore e l’attualità di molte proposte, laddove nella    ricca, documentatissima rassegna offerta dagli autori di “Abbiamo avuto ragione” non c’è solo l’orgoglio di un’appartenenza, ma il senso   di una “cultura di Governo” oggi arrivata ai vertici delle istituzioni, che – a ben vedere – ha radici ben salde  e un’indubbia potenzialità. Certamente senza facili torcicolli, ma anche senza sterili smemoratezze.

[Fonte: www.barbadillo.it]




panorama.it - Il Caso Moro torna in tv con uno speciale in seconda serata


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In occasione del 47º anniversario del rapimento di Aldo Moro, Mediaset propone uno speciale televisivo in seconda serata con la riproposizione di un documentario che ripercorre uno degli eventi più drammatici e controversi della storia italiana. Attraverso un’analisi approfondita, il programma ricostruisce le dinamiche dell’agguato, noto come operazione “Fritz” per le Brigate Rosse, esplorando i dettagli operativi, le circostanze che lo precedettero e le conseguenze politiche e sociali. Inoltre, si indagano le responsabilità e i possibili coinvolgimenti esterni, gettando luce su aspetti ancora irrisolti di una vicenda che ha segnato il Paese.

I fatti

Alle ore 9:00 circa, in via Mario Fani, quartiere Trionfale, l’auto di Aldo Moro (secondo Piero Laporta, ex generale di Stato maggiore della Difesa, il politico DC non era presente sul mezzo: era stato prelevato con uno stratagemma durante il tragitto verso l’ufficio e separato dalla scorta, prima che quest’ultima fosse trucidata al completo in via Fani; qui vengono rinvenuti 91 bossoli, 49 dei quali sparati da una sola arma (quella di un tiratore mai identificato, di altissima perizia, peculiare a militari delle forze speciali); la scorta viene bloccata all’incrocio con via Stresa da un gruppo di terroristi, che apre il fuoco uccidendo l’autista Domenico Ricci (43 anni), il maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi (51 anni), la guardia di P.S. Giulio Rivera (23 anni), il vicebrigadiere di Pubblica sicurezza Francesco Zizzi (29 anni) e la guardia di P.S. Raffaele Iozzino, 24 anni.

La prima comunicazione alle forze dell’ordine viene registrata alle 9:03, al 113, che riceve una telefonata anonima. Dalla documentazione della Questura risulta che alle 9:05 sia arrivata una pattuglia di Monte Mario, che allontana la folla, ispeziona le auto con i colleghi morenti, raccoglie le prime notizie e chiede di «inviare subito le autoambulanze, sono della scorta di Moro e hanno sequestrato l’onorevole»

Nel frattempo, dopo una seconda telefonata anonima, vengono messe in allarme e inviati in via Fani anche altre volanti e informati delle prime notizie Questura, Criminalpol, Squadra mobile, DIGOS e Commissariato di Monte Mario.

Nei minuti successivi, entro le ore 9:10, viene comunicato alle autoradio delle volanti dalla sala operativa della Questura di cercare, oltre a una Fiat 128 bianca, anche una auto Fiat 132 blu targata «Roma P79560» e una «moto Honda scura».

Alle 9:15, la Questura comunica la notizia dell’agguato di via Fani alla centrale operativa della Legione dei carabinieri di Roma. Alla stessa ora la centrale operativa registra la telefonata di Pino Rauti (segretario nazionale del Movimento Sociale Italiano dal 1990 al 1991, del Movimento Sociale Fiamma Tricolore dal 1995 al 2002, e del Movimento Idea Sociale dal 2004 al 2012) che, abitando in via Fani, aveva visto alcune fasi dell’agguato: dichiara di aver sentito raffiche di mitra, di aver visto due uomini vestiti da ufficiali dell’aeronautica e di aver osservato allontanarsi una Fiat 132 blu.

Il questore di Roma Emanuele De Francesco si reca in via Fani insieme al capo della DIGOS Domenico Spinella. Il Ministro dell’Interno Francesco Cossiga viene informato alle 9:20, dal Capo della Polizia Giuseppe Parlato, mentre il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti aveva ricevuto la notizia nel corso della cerimonia di giuramento dei sottosegretari del suo nuovo Governo: il segretario della DC Benigno Zaccagnini viene a sapere dell’accaduto sulle scale di Montecitorio, dove si era recato per il previsto dibattito parlamentare.

Con il passare dei minuti un numero sempre più elevato di funzionari e dirigenti raggiunge via Fani: nella zona c’è una crescente confusione e vengono diffuse notizie discordanti e inattendibili. Eleonora Chiavarelli, moglie di Moro, sconvolta dalla scena del delitto, manifesta i primi dubbi. La prima notizia dell’agguato raggiunge la nazione alle ore 9:25 attraverso una edizione straordinaria del giornale radio del GR2. Alle 9:31 si aggiunge anche il GR1, sempre in edizione straordinaria.

Il primo posto di blocco organizzato dalla polizia viene attuato a partire dalle 9:24; altri posti di blocco vengono ordinati dalle 9:25; alle 9:33 è documentata l’entrata in funzione di un altro posto di blocco; alle 9:34 due elicotteri decollarono dall’aeroporto di Pratica di Mare per sorvolare la zona dell’agguato e controllare il traffico cittadino. Le disposizioni diramate agli uomini delle forze dell’ordine provenivano in modo confuso sia dalla polizia che dai carabinieri senza un effettivo coordinamento operativo centralizzato. Fin dalle 9:23 un’auto della polizia individua la Fiat 132 targata «Roma P79560», abbandonata dai brigatisti in via Licinio Calvo. È solo alle 9:45, circa 40 minuti dopo l’agguato, che sistematici posti di blocco della polizia e dei carabinieri vengono attivati sulle strade di accesso della città, nelle zone Primavalle, Ponte Milvio, Flaminio, Aurelio, Monte Mario e sulle uscite del Grande Raccordo Anulare per le vie Nomentana e Flaminia. Nel frattempo, sul luogo dell’agguato si verifica una temporanea interruzione delle linee telefoniche, che in un primo momento viene spiegata con un’azione di sabotaggio delle stesse BR: solo in un secondo tempo i tecnici della SIP riferiscono invece che i problemi dei collegamenti erano stati causati dal sovraccarico del traffico telefonico nella zona dopo l’attentato.

Alle 10:10, la telefonata anonima al centralino dell’ANSA a Roma: abbiamo «sequestrato il presidente della Democrazia Cristiana, Moro, ed eliminato la sua guardia del corpo, teste di cuoio di Cossiga». L’ANSA, che quella mattina era in sciopero, si affretta a interrompere l’agitazione in corso e trasmette alle ore 10:16 il comunicato dei brigatisti. Due minuti prima, alle 10:08, alla redazione milanese giunge un’altra telefonata anonima delle Brigate Rosse, dove si comunica che hanno «portato l’attacco al cuore dello Stato» e che «l’onorevole Moro è solo l’inizio». Alle 10:13 arriva un messaggio simile anche alla redazione di Torino.

Poco dopo le ore 10:00, Bruno Vespa apre l’edizione straordinaria del TG1 e dà lettura del comunicato brigatista all’ANSA e, pochi minuti dopo, Paolo Frajese torna da via Fani con il girato sul luogo dell’agguato. Giuseppe Marrazzo, per il TG2, intervista i primi testimoni.

La prima riunione a Palazzo Chigi tra i rappresentanti dei partiti principali con il Presidente del Consiglio Andreotti inizia alle 10:20, con la presenza di Berlinguer, Zaccagnini, Craxi, Romita e La Malfa, e Lama, Benvenuto e Macario.

Nel frattempo, si diffonde nel Paese grande inquietudine e partono i primi scioperi spontanei di solidarietà democratica in fabbriche e uffici: alle 10:30 i tre maggiori sindacati italiani, CGIL, CISL e UIL, proclamarono uno sciopero generale dalle 11:00 a mezzanotte, mentre nelle fabbriche e negli uffici i lavoratori annunciarono scioperi spontanei, e migliaia di lavoratori vanno di loro iniziativa a presidiare le sedi dei partiti. Milioni di lavoratori si riversano nelle piazze di Bologna, Milano, Napoli, Firenze, Perugia, Roma.

Alle 11:30 il Ministro dell’Interno Cossiga convoca al Viminale i Ministri della Difesa, Attilio Ruffini, delle Finanze, Franco Maria Malfatti, e di Grazia e Giustizia, Franco Bonifacio, insieme al sottosegretario agli Interni, ai capi dei servizi di sicurezza, e ai capi della Polizia, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, per organizzare il comitato tecnico-operativo, la struttura preposta al coordinamento delle indagini, delle ricerche dell’ostaggio, oltre a decidere e attuare le misure destinate a controbattere l’offensiva terroristica. L’attività del Ministero dell’Interno inizia con un errore: il capo dell’UCIGOS, Antonio Fariello, dirama la disposizione di attuare il piano «Zero»; in realtà il piano non esisteva e si riferiva a disposizioni di mobilitazione previste in casi di emergenza per la sola Provincia di Sassari. Solo alle ore 12:15 viene diramata la comunicazione che annullava la precedente disposizione sull’inesistente piano.

La polizia scientifica, intanto, aveva raccolto gli elementi utili alle indagini e, alle ore 10:00, era stata redatta un’accurata relazione della scena presente sul luogo dell’agguato, con descrizione della posizione dei cadaveri. Ma la confusione e la presenza di curiosi non permettono una completa individuazione di ogni elementi di prova; alcuni reperti vengono calpestati o spostati, anche a causa della leggera pendenza del piano stradale di via Fani, in discesa su via Stresa.

Alle 11:50 vengono comunicate le prime notizie riguardo alla targa «CD 19707» della Fiat 128 dei terroristi, che risultava assegnata all’ambasciata del Venezuela.

Alle 12:36, i sanitari del Policlinico Gemelli comunicano ufficialmente che anche il vicebrigadiere Francesco Zizzi è morto.

Alle ore 12:45 si apre la seduta alla Camera dei deputati e, dopo un austero saluto del presidente Pietro Ingrao, prende la parola Andreotti. Alle ore 20:35 viene votata la fiducia al nuovo governo, con 545 voti favorevoli, 30 voti contrari e tre astenuti.

Durante il resto della giornata, si susseguirono indiscrezioni e informazioni sulle prime indagini e gli sviluppi della ricerca dei rapitori e dell’ostaggio. Vengono diramate dal sostituto procuratore Infelisi notizie completamente errate sul possibile impiego da parte dei terroristi di una pistola Nagant. Un’enorme quantità di segnalazioni da parte di cittadini viene registrata e controllata senza alcun risultato.

Il Ministero dell’Interno diffonde nomi e foto di 19 presunti terroristi ricercati, probabilmente coinvolti. La lista presentava gravi errori e include criminali comuni, due persone già detenute e militanti di altri gruppi eversivi estranei ai fatti. Cinque le persone incluse, realmente responsabili dell’agguato e del sequestro: Mario Moretti, Lauro Azzolini, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari e Rocco Micaletto.

Alle ore 23:30 viene fermato, su disposizione di Infelisi, Gianfranco Moreno, dipendente di una banca, personaggio che si sarebbe ben presto rivelato completamente estraneo ai fatti.

Nonostante infortuni e confusione, le autorità non furono completamente inefficienti nelle prime ore dopo l’agguato. In particolare, il dirigente della DIGOS Domenico Spinella aveva intrapreso le prime ricerche di elementi sospetti dell’estremismo romano di cui non si sapeva più nulla da anni. Tra il pomeriggio del 16 marzo e il mattino del 17 marzo, agenti di polizia si presentano e sottopongono a perquisizioni le abitazioni di Adriana Faranda e Valerio Morucci senza trovarne traccia, poi tra i principali responsabili del sequestro.

Nel frattempo, alle ore 21:00 si conclude la seconda riunione del comitato tecnico-operativo presieduta Cossiga: non emergono novità importanti, si discute soprattutto di intensificare i posti di blocco, di attivare contatti con i servizi segreti stranieri, di organizzare un piano di massicce perquisizioni alla ricerca della prigione dell’ostaggio, e si rinuncia a istituire una taglia sui rapitori.




calabriainforma.it - La Dittatura Ecologica e il Paradosso della Transizione Energetica: L’Italia e l’Europa in Bilico


di Claudio Maria Ciacci e Niccolò Ruscelli

Il 28 gennaio, agricoltori da tutta Italia scenderanno di nuovo in strada, pronti a lottare per le loro istanze e per il futuro del settore agricolo. Non è solo una protesta contro l’aumento vertiginoso dei costi energetici, ma un grido di allarme contro una serie di politiche europee che minano la competitività delle nostre imprese agricole e l’autosufficienza alimentare del Paese. La crescente importazione di prodotti da paesi terzi, spesso privi dei controlli di qualità e delle normative ambientali che regolano la produzione in Europa, sta mettendo a rischio la sostenibilità delle nostre coltivazioni e la vita di migliaia di agricoltori.

L’Italia, che in passato è stata una delle punte di diamante della produzione agricola mondiale, rischia di vedere sacrificata la propria identità produttiva su un altare ideologico che predica la transizione ecologica, ma che in realtà promuove politiche che avvantaggiano paesi come la Cina, con produzioni inquinanti e a basso costo. È ora di capire che le vere soluzioni per l’ambiente non si trovano nei compromessi ideologici, ma nel dialogo tra chi vive e lavora la terra e chi, al contrario, decide da lontano senza comprendere le vere necessità di chi è sul campo.

Il 28 gennaio non si tratta solo di un blocco delle strade, ma di una manifestazione di sopravvivenza per un’intera categoria che si sente sempre più abbandonata dallo Stato e da politiche che, purtroppo, non ascoltano le sue esigenze. Se vogliamo veramente costruire un futuro sostenibile, dobbiamo tornare a dare ascolto a chi è in prima linea nella protezione del nostro territorio e nella produzione di cibo sano e di qualità, alcuni punti degli agricoltori chiedono che:
governo e regioni dichiarino lo stato di crisi socioeconomico della produzione primaria per assumere azioni urgenti e straordinarie e salvare le aziende produttive e che si avvii un piano strategico per il superamento delle crisi di comparto delle aziende produttive rilanciandone la funzione sociale e aprendo una nuova stagione di riforme fondate sulla sovranità alimentare.

Se l’ecologia è il futuro, allora lasciamo che siano gli agricoltori a governare la terra e non i teorici che, in nome del verde, hanno già distrutto l’economia e il buon senso.

Il dibattito sull’ambiente è diventato terreno di scontro per chi cerca di conquistare consensi, in un gioco politico che spesso sfrutta i temi ecologici come una bandiera, anziché come una reale esigenza per il futuro delle nostre generazioni. Pochi, infatti, sono coloro che realmente difendono l’ambiente con visione e coerenza, senza cadere nel tranello del populismo o dell’opportunismo elettorale.

Un esempio lampante è la recente onda di attivismo che ha travolto la scena politica con personaggi come Greta Thunberg, che non sono stati i primi a lanciarsi in battaglie ecologiche. Già nel 1982, il leader missino Pino Rauti firmava la prima proposta di legge in difesa dell’ambiente, un’iniziativa che rappresentava una visione lontana da quella che oggi vediamo nei movimenti più estremisti e ideologizzati. Ancora prima, il pensiero ecologista di Rutilio Sermonti e l’iniziativa di Fare Verde, fondata da Paolo Colli, testimoniavano una volontà di salvaguardare il nostro ambiente con un approccio pragmatico, sostenibile e concreto.

Oggi, invece, siamo costretti ad assistere all’ipocrisia di alcuni gruppi, come gli “eco vandali” di Ultima Generazione, che sostengono falsamente che le emissioni continuino ad aumentare senza guardare alle statistiche ufficiali che raccontano un altro scenario. Dal 2004 al 2019, le emissioni di CO2 in Italia sono crollate da 8 tonnellate per abitante a 5, mentre in Cina, il paese che più di tutti contribuisce al riscaldamento globale, le emissioni sono triplicate. Eppure, chi si fa portavoce di un’ideologia ecologista senza fondamento non guarda questi numeri, preferendo additare i paesi europei come i colpevoli principali.

Il paradosso della transizione ecologica è sotto gli occhi di tutti: si impongono vincoli e paletti a nazioni come l’Italia, con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale, mentre la Cina continua a esportare prodotti inquinanti grazie al suo basso costo di produzione, alimentato da enormi fonti inquinanti come il carbone. Nel contempo, l’Europa viene messa in ginocchio da politiche che distruggono l’economia, in nome di un Green Deal che non ha mai dato i risultati sperati.

Questa “dittatura ecologica” rischia di trasformarsi in una vera e propria catastrofe per i nostri territori. Chi vive e lavora nei luoghi più sensibili, come gli agricoltori e i cittadini delle zone rurali, è costretto a fare i conti con decisioni politiche prese da lontano, da chi non ha alcuna conoscenza del territorio e dei suoi equilibri. La manutenzione dei fiumi, ad esempio, è un compito che dovrebbe essere affidato a chi conosce la terra e la vive ogni giorno, e non a chi impone leggi astratte che ignorano le reali necessità locali.

L’idea di lasciare che la manutenzione del territorio venga gestita da cittadini e lavoratori che ogni giorno affrontano le sfide di un paesaggio naturale complesso è forse la chiave per salvare l’Italia da disastri naturali, frane e alluvioni che si ripetono ogni anno. La politica dovrebbe supportare questi soggetti, anziché ostacolarli con regolamenti inutili e dannosi.

Il futuro non può essere costruito su ideologie che in nome dell’ecologia rischiano di distruggere l’economia e il benessere sociale. Se vogliamo davvero preservare l’ambiente, non possiamo ignorare la necessità di un approccio realistico, che combini la protezione della natura con il supporto a chi lavora e vive sul territorio. Solo così si può costruire un futuro davvero sostenibile, in cui la crescita economica e la salvaguardia dell’ambiente non siano in contrapposizione, ma si rafforzino a vicenda.

Il controllo delle risorse, la manutenzione dei territori e il rispetto delle esigenze locali devono essere al centro della politica ambientale, anziché inseguire ideologie che rischiano di compromettere l’intero equilibrio sociale e produttivo del nostro paese.

[Fonte: www.calabriainforma.it]




Dall'archivio fotografico


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Auguri


Buon 2025 - 1 - CSPR

Natale 2024 CSPR




secoloditalia.it - Gli archivi delle destre, veri e propri tesori della memoria: come metterli in rete per non disperderli


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Esistono “a destra” dei veri e propri “tesori della Memoria”, rispetto ai quali cresce una nuova sensibilità. Sottovalutati per anni, intorno ad essi si sta infatti articolando – come ha dimostrato il recente Convegno “I Tesori della Memoria: una Rete digitale per gli archivi della Destra italiana”, tenutosi a Palermo il 29 novembre, con il patrocinio della Regione Sicilia e del Ministero della Cultura – una vera e propria Rete, fatta di archivi, di emeroteche, di biblioteche, in grado di raccontare le idee e le passioni che hanno animato la lunga stagione politica delle destre italiane.

Presenti all’importante appuntamento gli assessori alla Cultura del Comune di Palermo e della Regione siciliana, Giampiero Cannella e Francesco Scarpinato, Giuseppe Parlato, presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, Fabrizio Tatarella (Fondazione Giuseppe e Salvatore Tatarella); la senatrice di Fdi Isabella Rauti (Centro Studi Pino Rauti), Marina Romualdi (Archivio Pino Romualdi), Angela Grammatico (Associazione culturale La Roccia), Fabrizio Fonte (Centro Studi Dino Grammatico), Fabio Tricoli e Tommaso Romano (Fondazione Giuseppe e Marzio Tricoli), Francesco Ciulla (Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici). L’ampio confronto, finalizzato a costruire un coordinamento tra i diversi archivi esistenti, ha fatto emergere la ricchezza culturale di questi archivi e la grande sensibilità, espressa dagli intervenuti, per valorizzarli, renderli fruibili, allargarne la consistenza. Consapevoli – a partire dai rappresentanti istituzionali – delle responsabilità che stanno alla base di questo impegno, responsabilità politiche e culturali, che vanno ben oltre la memoria dei singoli e delle famiglie interessate.

“C’è una grande responsabilità culturale rispetto ai giovani – ha ricordato Francesco Scarpinato, assessore alla Cultura della Regione Sicilia – ed insieme ai valori che le destre hanno storicamente incarnato”. Particolarmente oggi, in un tempo dove a prevalere pare essere una comunicazione semplicistica ed istantanea – come ha puntualizzato Giampiero Cannella, assessore alla Cultura del Comune di Palermo – che va a detrimento del “pensiero lungo”, della capacità di trasmettere memoria e storie complesse, culturalmente e politicamente, quali sono quelle che ci vengono dalla storia delle destre.
Non solo ricordo, dunque, come ha opportunamente indicato, in premessa, Fabio Tricoli, ma un vero e proprio progetto culturale, rappresentato dalla sua ricca materialità, vero e proprio laboratorio fatto di idee, di progetti e quindi di fondi documentaristici.

Su questo ha portato la sua esperienza Giuseppe Parlato, in qualità di Presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, da sempre impegnato in un’ opera essenziale di salvataggio/valorizzazione di questa memoria. Al punto che – come egli stesso ha comunicato – oggi sono ben quarantacinque i fondi archivistici presenti nella fondazione da lui presieduta. Fondi che portano i nomi – tra gli altri – di Giano Accame, Giulio Cesco Baghino, Enzo Erra, Gianni Isidori, Ernesto Massi, Nino Tripodi, Gaetano Rasi, Adalberto Baldoni. Oltre alla fondamentale opera di schedatura/digitalizzazione – ha specificato Parlato – fondamentali sono quelli che egli ha definito “ricognizioni sul campo”, in grado di individuare e valorizzare la ricca messe di archivi personali presenti sui territori, anche attraverso un hub digitale.

Un esempio “operativo” è quello proposto da Isabella Rauti, che ha portato a costituire presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma il Fondo Pino Rauti, con una consistenza archivistica di 2880 volumi, provenienti dalla biblioteca privata di Pino Rauti, cui si aggiungono un considerevole numero di Riviste, e di 1898 Unità archivistiche, organizzate in 80 Faldoni. L’archivio personale restituisce un arco cronologico compreso tra il maggio 1926 – anno di nascita di Pino Rauti – ed il febbraio 2012, anno della sua scomparsa, avvenuta il 2 novembre; la biblioteca personale comprende volumi anche datati, dal più antico del 1866, fino ad edizioni moderne che superano il 2012 ed arrivano fino al 2016, con volumi editi dopo la sua scomparsa, riferibili alla sua figura ed alla sua attività. “C’è stata una galassia culturale di destra vivace e creativa – ha dichiarato Isabella Rauti – che ha lasciato una grande eredità intellettuale, che deve essere ricostruita e raccontata”.
A questa opera di ricostruzione e narrazione ha fatto riferimento anche Fabrizio Tatarella, Vice Presidente della Fondazione Giuseppe e Salvatore Tatarella, con sede a Bari, che con il suo archivio dichiarato di “interesse storico rilevante” e la sua importante Emeroteca con 366 testate in fase di digitalizzazione, mette a disposizione un patrimonio archivistico della storia della destra italiana riconosciuto di valore nazionale.

Non a caso in un articolo pubblicato su “Il Tempo” il 9 febbraio del ’99, giorno della scomparsa di Pinuccio Tatarella e intitolato “Dal suo archivio si ricostruirà la storia della destra”, Gino Agnese ricordava come Tatarella, “apparentemente disordinato era invece accurato, conservava tutto e aveva una memoria fenomenale”. Quando si vorrà scrive più puntualmente la storia della destra tra il 1950 ed oggi, e non solo della destra, bisognerà – continuava Agnese – “dare un’occhiata alle carte di Tatarella, che collezionò tutta una serie di giornali, giornaletti, riviste, rivistine, volantini e manifesti. E lettere, biglietti e bigliettini, spesso autorevolmente firmati, indirizzati a questo politico prematuramente scomparso, che ben si sarebbe cimentato con le novità del ventunesimo secolo”.

Archivi fondamentali della storia della destra

A questa suggestiva immagine possono essere assimilate le esperienze di Marina Romualdi (Archivio Pino Romualdi), Angela Grammatico (Associazione culturale La Roccia) e di Fabrizio Forte (Centro Studi Dino Grammatico): testimoni di tre figure emblematiche nella storia delle destre italiane (con il caso emblematico dell’esperienza di Custonaci, di cui Forte è oggi sindaco, assurta più volte, nell’ultimo cinquantennio del Novecento, alle cronache politiche nazionali, grazie a Dino Grammatico, figura di spicco della destra siciliana, che ne fu sindaco più volte a partire dal 1960). In questo ambito ugualmente preziosa la testimonianza di Francesco Ciulla, nuovo presidente dell’I.S.S.P.E. (Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici) costituitosi a Palermo nel 1980, creato non solo per ridare voce alla tradizione culturale “nazionale”, ma anche per interpretare, alla luce di questa tradizione, i problemi emergenti della realtà politica, economica e sociale italiana nel momento della sua trasformazione e del suo inserimento nella più vasta dimensione europea. In questo ambito fondamentale l’opera di conservazione di vari archivi delle destre (a cominciare da quello del Fronte della Gioventù di Palermo) e la pubblicazione di ricerche indirizzate alla valorizzazione delle personalità siciliane affermatesi nei vari campi della cultura, dell’arte e della professionalità e al recupero di figure ed eventi caduti nel dimenticatoio (spesso con particolare riguardo alle destre siciliane).
A sintesi dell’importante incontro palermitano l’intervento di Tommaso Romano, storica figura dell’attivismo culturale e politico siciliano, che ha puntato la sua attenzione sulla pluralità delle destre italiane: (da quella missina a quella monarchica, dal mondo cattolico a quello liberale e della “Sinistra nazionale”; fino al sindacalismo nazionale, con la Cisnal). L’invito di Romano è ad un approccio scientifico al tema della Memoria delle destre, al fine di rettificare le interpretazioni distorte e cogliere il valore attuale di una tradizione complessa. Centrale il quesito “Quale spirito per costruire futuro ?”, quesito di particolare rilevanza oggi, allorquando le destre sono arrivate al governo del Paese e debbono fare tesoro delle culture (e delle figure emblematiche di valore) che hanno costruito una Storia, fatta di idee e di passioni le quali hanno animato la politica italiana al pari di altre scuole politiche. L’impegno che ci consegna il convegno “I Tesori della Memoria: una Rete digitale per gli archivi della Destra italiana” è di divulgare quella Storia, vero e proprio “giacimento culturale” da valorizzare, studiare, rendere fruibile. Per l’oggi e soprattutto verso il domani. (In occasione dell’incontro palermitano è stato distribuito il libro: “Bibliografia sulle destre – 1943 – 2024” a cura di Mario Bozzi Sentieri e Tommaso Romano, Fondazione Thule, Palermo 2024. Chi fosse interessato può farne richiesta scrivendo a: fondazionethulecultura@gmail.com).

[Fonte: www.secoloditalia.it]




barbadillo.it - Gli archivi digitali della destra come tesori della memoria


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Il convegno a Palermo, finalizzato a costruire un coordinamento tra i diversi archivi esistenti, ha fatto emergere la ricchezza culturale di questi archivi e la grande sensibilità per valorizzarli, renderli fruibili, allargarne la consistenza

Esistono “a destra” dei veri e propri “tesori della Memoria”, rispetto ai quali cresce una nuova sensibilità. Sottovalutati per anni, intorno ad essi si sta infatti  articolando – come ha dimostrato il recente Convegno “I Tesori della Memoria: una Rete digitale per gli archivi della Destra italiana”, tenutosi a Palermo il 29 novembre, con il patrocinio della Regione Sicilia e del Ministero della Cultura – una vera e propria Rete, fatta di archivi, di emeroteche, di biblioteche, in grado di  raccontare le  idee e le  passioni che hanno animato la lunga stagione politica delle destre italiane.

Presenti all’importante appuntamento gli assessori alla Cultura del Comune di Palermo e della Regione siciliana, Giampiero Cannella e Francesco Scarpinato, Giuseppe Parlato, presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, Fabrizio Tatarella (Fondazione Giuseppe e Salvatore Tatarella), la senatrice di FdiIsabella Rauti (Centro Studi Pino Rauti), Marina Romualdi(Archivio Pino Romualdi), Angela Grammatico (Associazione culturale La Roccia), Fabrizio Fonte (Centro Studi Dino Grammatico), Fabio Tricoli e Tommaso Romano (Fondazione Giuseppe e Marzio Tricoli), Francesco Ciulla (Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici).

L’ampio  confronto, finalizzato a costruire un coordinamento tra i diversi archivi esistenti, ha fatto emergere la ricchezza culturale di questi archivi e la grande sensibilità, espressa dagli intervenuti, per valorizzarli, renderli fruibili, allargarne la consistenza. Consapevoli – a partire dai rappresentanti istituzionali – delle responsabilità che stanno alla base di questo impegno, responsabilità politiche e culturali, che vanno ben oltre la memoria dei singoli e delle famiglie interessate.

“C’è una grande responsabilità culturale rispetto ai giovani – ha ricordato Francesco Scarpinato, assessore alla Cultura della Regione Sicilia – ed insieme ai valori che le destre hanno storicamente incarnato”. Particolarmente oggi, in un tempo dove a prevalere pare essere una comunicazione semplicistica ed istantanea – come ha puntualizzato Giampiero Cannella, assessore alla Cultura del Comune di Palermo – che va a detrimento del “pensiero lungo”, della capacità di trasmettere memoria e storie complesse, culturalmente e politicamente, quali sono quelle che ci vengono dalla storia delle destre.

Non solo ricordo, dunque, come ha opportunamente indicato, in premessa,  Fabio Tricoli, ma un vero e proprio progetto culturale, rappresentato dalla sua ricca materialità, vero e proprio laboratorio fatto di idee, di progetti e quindi di fondi documentaristici.

Su questo ha portato la sua esperienza Giuseppe Parlato, in qualità di Presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, da sempre impegnato in un’ opera essenziale di salvataggio/valorizzazione di questa memoria. Al punto che – come egli stesso  ha comunicato – oggi sono ben quarantacinque i fondi archivistici presenti nella fondazione da lui presieduta, fondi che portano i nomi – tra gli altri – di Giano Accame, Giulio Cesco Baghino, Enzo Erra, Gianni Isidori, Ernesto Massi, Nino Tripodi, Gaetano Rasi, Adalberto Baldoni. Oltre alla fondamentale opera di schedatura/digitalizzazione – ha specificato Parlato – fondamentali sono quelli che egli ha definito “ricognizioni sul campo”, in grado di individuare e valorizzare la ricca messe di archivi personali presenti sui territori, anche attraverso un hubdigitale.

Un esempio “operativo” è quello proposto da Isabella Rauti, che ha portato a costituire presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma il Fondo Pino Rauti, con una consistenza archivistica di 2880 volumi, provenienti dalla biblioteca privata di Pino Rauti, cui si aggiungono un considerevole numero di Riviste, e di 1898 Unità archivistiche, organizzate in 80 Faldoni. L’archivio personale restituisce un arco cronologico compreso tra il maggio 1926 – anno di nascita di Pino Rauti – ed il febbraio 2012, anno della sua scomparsa, avvenuta il 2 novembre; la biblioteca personale comprende volumi anche datati, dal più antico del 1866, fino ad edizioni moderne che superano il 2012 ed arrivano fino al 2016, con volumi editi dopo la sua scomparsa, riferibili alla sua figura ed alla sua attività. “C’è stata una galassia culturale di destra vivace e creativa – ha dichiarato Isabella Rauti –  che ha lasciato una grande eredità intellettuale, che deve essere ricostruita e raccontata”.

A questa opera di ricostruzione e narrazione ha  fatto riferimento anche Fabrizio Tatarella, Vice Presidente della Fondazione Giuseppe e Salvatore Tatarella, con sede a Bari, che con il suo archivio dichiarato di “interesse storico rilevante” e la sua importante Emeroteca con 366 testate in fase di digitalizzazione, mette a disposizione un  patrimonio archivistico della storia della destra italiana riconosciuto di valore nazionale.

Non a caso in un articolo pubblicato su “Il Tempo” il 9 febbraio del ’99, giorno della scomparsa di Pinuccio Tatarella e intitolato “Dal suo archivio si ricostruirà la storia della destra”, Gino Agnese ricordava come Tatarella, “apparentemente disordinato era invece accurato, conservava tutto e aveva una memoria fenomenale”. Quando si vorrà scrive più puntualmente la storia della destra tra il 1950 ed oggi, e non solo della destra, bisognerà – continuava Agnese – “dare un’occhiata alle carte di Tatarella, che collezionò tutta una serie di giornali, giornaletti, riviste, rivistine, volantini e manifesti. E lettere, biglietti e bigliettini, spesso autorevolmente firmati, indirizzati a questo politico prematuramente scomparso, che ben si sarebbe cimentato con le novità del ventunesimo secolo”.

A questa suggestiva immagine possono essere assimilate le esperienze di Marina Romualdi (Archivio Pino Romualdi), Angela Grammatico (Associazione culturale La Roccia) e di Fabrizio Forte (Centro Studi Dino Grammatico) testimoni di tre figure emblematiche nella storia  delle  destre italiane (con il caso emblematico dell’esperienza di Custonaci, di cui Forte è oggi sindaco, assurta più volte, nell’ultimo cinquantennio del Novecento, alle cronache politiche nazionali, grazie a Dino Grammatico, figura di spicco della destra siciliana, che ne fu sindaco più volte a partire dal 1960). In questo ambito ugualmente preziosa la testimonianza di Francesco Ciulla, nuovo presidente dell’I.S.S.P.E. (Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici) costituitosi a Palermo nel 1980, creato non solo per ridare voce alla tradizione culturale “nazionale”, ma anche per interpretare, alla luce di questa tradizione, i problemi emergenti della realtà politica, economica e sociale italiana nel momento della sua trasformazione e del suo inserimento nella più vasta dimensione europea. In questo ambito fondamentale l’opera di conservazione di vari archivi delle destre (a cominciare da quello del Fronte della Gioventù di Palermo) e la pubblicazione di ricerche indirizzate alla valorizzazione delle personalità siciliane affermatesi nei vari campi della cultura, dell’arte e della professionalità e al recupero di figure ed eventi caduti nel dimenticatoio (spesso con particolare riguardo alle destre siciliane).

A sintesi dell’importante incontro palermitano l’intervento di Tommaso Romano, storica figura dell’attivismo culturale e politico siciliano, che ha puntato la sua attenzione sulla pluralità delle destre italiane (da quella missina a quella monarchica, dal mondo cattolico a quello liberale e della “Sinistra nazionale”,  fino al sindacalismo nazionale, con la Cisnal). L’invito di Romano è ad un approccio scientifico al tema della Memoria delle destre, al fine di rettificare le interpretazioni distorte e cogliere il valore attuale di una tradizione complessa. Centrale il quesito “Quale spirito per costruire futuro ?”, quesito di particolare rilevanza oggi, allorquando le destre sono arrivate al governo del Paese e debbono fare tesoro delle culture (e delle figure emblematiche di valore) che hanno costruito una Storia, fatta di idee e di passioni le quali hanno animato la politica italiana al pari di altre scuole politiche. L’impegno che ci consegna il convegno  “I Tesori della Memoria: una Rete digitale per gli archivi della Destra italiana” è di divulgare quella Storia, vero e proprio “giacimento culturale” da valorizzare, studiare, rendere fruibile. Per l’oggi e soprattutto verso il domani.


In occasione dell’incontro palermitano è stato distribuito il libro: “Bibliografia sulle destre –  1943 –  2024” a cura di Mario Bozzi Sentieri e Tommaso Romano, Fondazione Thule, Palermo 2024. Chi fosse interessato può farne richiesta scrivendo a: fondazionethulecultura@gmail.com.

[Fonte: www.barbadillo.it]




Venerdì 29 novembre, ore 16:30 - "I tesori della memoria" Una Rete digitale per gli Archivi della Destra Italiana, presso Villa Zito a Palermo


A Palermo, il 29 novembre, con il Centro Studi Pino Rauti per il Convegno “I tesori della memoria. Una rete digitale per gli Archivi della Destra italiana”, promosso dalla Fondazione Tricoli.
Un evento condiviso con le Fondazioni Ugo Spirito e Renzo De Felice, Alleanza Nazionale, Tatarella, Almirante e le realtà associative dedicate a Romualdi e Grammatico.
Ne emerge un patrimonio comune, un giacimento intellettuale della storia delle idee e della Destra italiana che racconta impegni e passioni che hanno animato la politica nazionale e che arrivano – come pensiero lungo – fino ad oggi.
Da questo evento nasce un impegno, quello di creare un hub digitale degli Archivi della destra italiana, consultabili su una piattaforma unica, una sorta di cloud nazionale di un patrimonio comune.
Il Fondo Pino Rauti – la biblioteca privata e l’Archivio personale – presente dal 2020 alla Biblioteca Nazionale di Stato di Roma è già consultabile on line e rappresenta una fonte di informazione politica di prim’ordine ma la messa a sistema con il progetto degli Archivi storici in una Rete digitale ha una sostanza politica. C’è stata una galassia culturale di destra vivace e creativa che ha lasciato una grande eredità intellettuale, che deve essere ricostruita e raccontata.

Ascolta l’intervento di Isabella Rauti, presidente del Centro Studi Pino Rauti:

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