Il Tempo - Nel nome del Padre


Il Tempo

Il quotidiano indipendente “IL TEMPO” ha festeggiato i suoi ottant’anni di vita (1944 – 2024) con un inserto speciale dedicato.
Ringrazio il Direttore per avermi ospitata in questa occasione, con un ricordo a mia firma, su mio padre Pino Rauti, giornalista del quotidiano fino al 1972.
Un ricordo personale che ne sottende tanti altri di carattere familiare ma anche politico e direi di costume del tempo. Storie belle.
Buona lettura

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Il Tempo – Nel nome del Padre
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2024-06-05 – Il Tempo – Nel nome del Padre
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ilgiornale.it - Gli "studentelli" fascisti contro Giorgio Almirante


I ragazzi del Fronte della Gioventù rifiutavano il doppiopetto. E stavano dalla parte di Rauti

di Michele Brambilla

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La sede del Movimento Sociale Italiano di Monza era in pieno centro e dalle sue finestre ci si affacciava sull’Arengario. Quella era zona off limits per i compagni, così come a Milano lo era piazza San Babila. I fasci, invece, a Milano era meglio che non si facessero vedere dalle parti della Statale, via Festa del Perdono e dintorni; e a Monza – così come in tutta Italia – nelle scuole, dov’erano in nettissima minoranza.

Ma più che essere una sede del Msi, quella di Monza era una sede del Fdg, il Fronte della Gioventù. I ragazzi della destra. Erano infatti tutti ragazzi quelli che accolsero Ignazio Mormino, l’inviato del Giornale spedito a Monza dal capocronista Egidio Sterpa per cercare di capire come mai lì – a differenza di quanto accadeva nelle grandi città – ci si menasse ancora. C’era stata una zuffa all’uscita del liceo scientifico Frisi, era arrivata la polizia – «agli ordini», scrissero le cronache, «del vicequestore Piero Falbo» – e sei ragazzi di destra erano stati arrestati.

Quando l’inviato del Giornale entrò nella sede del Msi-Fdg (ansimando, perché la sede era all’ultimo piano e di ascensore neanche a parlarne) i sei arrestati non c’erano. Stavano ancora in galera, nel brutto e sporco e vecchio e decrepito carcere di via Mentana. C’erano, ad accogliere Mormino e me, i loro camerati. Si misero in cinque o sei dietro una scrivania, alle spalle della quale era appesa una foto di Almirante.

E qui bisognerebbe spiegare, a chi fosse troppo giovane, di chi stiamo parlando. Giorgio Almirante, nato per caso a Salsomaggiore Terme il 27 giugno 1914 mentre i suoi genitori – attori teatrali – erano in tournée, veniva da un’aristocratica famiglia molisana, tanto che gli antenati vantavano il titolo di Duchi di Cerza Piccola. Del Msi, Almirante era molto più che il segretario. Ne era il leader carismatico: e di un carisma tale da sedurre anche chi non era di destra. «Sembra sempre che abbia ragione lui», mi diceva il padre di un mio compagno di classe, uomo di sinistra. Da giovane Almirante era stato fascista fascistissimo: segretario di redazione della rivista La difesa della razza dal 1938 al 1942, poi capo di gabinetto del Ministero della Cultura Popolare, retto da Fernando Mezzasoma, durante la Repubblica Sociale Italiana. Finita la guerra, con gli ex camerati aveva fondato il Msi, nella convinzione che il passato non poteva essere riproposto ma neppure gettato via. «Non rinnegare, non restaurare», fu il motto che volle dare al partito. Quando nel Sessantotto scoppiò la rivolta che sappiamo, Almirante schierò la sua fiamma tricolore contro l’onda rossa che saliva, raccogliendo più voti di quanti fossero i nostalgici dei tempi in cui c’era Lui. Molti italiani vedevano ormai nel Msi un baluardo contro il pericolo comunista e le violenze di piazza; così, alle elezioni politiche del 1972 Almirante portò il partito quasi al 10 per cento, un record.

E tuttavia, quando Mormino del Giornale chiese – indicando la foto di Almirante – se quell’uomo fosse il punto di riferimento, i ragazzi del Fronte della Gioventù scossero il capo. «Teniamo quella foto», dissero, «per disciplina di partito. Ma Almirante per noi è il vecchio. È la difesa del blocco occidentale che ha vinto la guerra, quindi degli Stati Uniti. Di una visione economicista e capitalista della vita. Almirante stesso ha detto di aver scelto la politica del doppiopetto. E noi nel doppiopetto stiamo a disagio».

Cominciarono dunque a spiegarci che c’era stata, nella giovane destra, una svolta. Il nume tutelare era diventato Pino Rauti, ex Ordine Nuovo, parlamentare missino ma della corrente cosiddetta di sinistra del partito, che poi corrispondeva all’estrema destra.

Rauti l’avrei conosciuto molti anni più tardi, nel 1993, quando andai a casa sua, a Roma, per intervistarlo. Abitava in via Stresa e, appena arrivato con il taxi, scoprii con stupore che era esattamente all’angolo con via Fani, quella del rapimento di Aldo Moro. «Guardi, le faccio vedere il punto esatto in cui hanno sparato all’auto di Moro e a quella della scorta», mi disse poco dopo Rauti aprendo la finestra: «È qui sotto». Pensai a quali congetture avrebbero potuto costruire i giornalisti cosiddetti pistaroli, quelli che vedono sempre, «dietro», un complotto. «Visto? Ci sono i fascisti dietro il sequestro Moro», avrebbero detto.

E comunque. Uomo colto e gentilissimo, Rauti mi raccontò di essersi arruolato a diciassette anni nella Guardia Nazionale Repubblicana e di aver traslocato, alla fine della guerra, a Rebibbia o a Regina Coeli, non ricordo bene. Fu in quel periodo di prigionia che, insieme con altri camerati, si accorse di aver combattuto per un’idea della quale conosceva poco o nulla. Risoluto a saperne di più, cominciò così a leggere gli autori della destra rivoluzionaria.

Uno in particolare: Julius Evola. Fascista eterodosso, anche critico nei confronti del regime durante il ventennio, Evola era razzista, antisemita, portatore di una visione a suo dire spirituale e aristocratica. Molto più vicino a Hitler che a Mussolini, esoterista e cultore dei Templari, era circondato da un’aura di mistero. Quando Rauti e gli altri, usciti dal carcere, erano andati a cercarlo, l’avevano trovato su una sedia a rotelle. Evola aveva dunque spiegato loro che il 21 gennaio del 1945, mentre si trovava a Vienna, i sovietici avevano bombardato e lui, anziché correre al rifugio, aveva deciso di avventurarsi in una passeggiata per le vie della città per «non schivare anzi cercare i pericoli, nel senso di un tacito interrogare la sorte». Una specie di sfida agli dèi, insomma, che era finita malissimo perché Evola, sbalzato contro una cancellata dallo spostamento d’aria provocato da una bomba, era rimasto paralizzato agli arti inferiori. Circolava tuttavia la leggenda, negli ambienti dell’estrema destra, che la paralisi di Evola – pur incontestabilmente reale – non risultasse da alcun esame clinico: come si trattasse di un malefizio occulto mandato dall’Alto, o dal Basso.

E insomma. Quel giorno a Monza scoprii che c’era stata una svolta in tutto il neofascismo italiano. I ragazzi avevano cambiato punti di riferimento. Non era più l’estrema destra che alla fine degli anni Sessanta e all’inizio dei Settanta si trovava spesso, negli scontri di piazza, a fianco della polizia. Non era più la destra missina schierata a difesa dell’ancien régime. Era una destra che si diceva rivoluzionaria, più Rauti che Almirante, più Salò che ventennio. Una destra che aveva cominciato anche a leggere. Guénon, Jünger, Pound, Ortega y Gasset, Spengler, Céline, Brasillach, Drieu La Rochelle. C’era, in questa svolta, anche un po’ di complesso di inferiorità culturale nei confronti della sinistra, la quale vantava mille intellettuali a sostegno; e leggeva e scriveva e dibatteva fin dai tempi in cui a destra si diceva «ma quale cultura, noi siamo un partito d’azione». Il neofascismo cominciò a interrogarsi, si appropriò anche di Tolkien, inventò i Campi Hobbit. Si convinse che il nemico non era più soltanto il bolscevismo, era ancor di più la democrazia, la Nato, l’America, tutto quello che il Msi aveva in fondo difeso negli anni passati, quelli che vanno dal 1968, la rivolta nelle università, al 1978, il delitto Moro.

Anni dominati, nelle fabbriche e nelle scuole, nelle piazze e nei giornali, nei cinema e nei teatri, nelle case editrici e in tutto il mondo della cultura, dalla sinistra: o meglio da una galassia di tante sinistre diverse fra loro.

[Fonte: www.ilgiornale.it]




ilfoglio.it - L'era fiammeggiante. Dal reducismo al governo, le tre età della destra italiana secondo Tarchi e Carioti


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Un tempo “esuli in patria”, da ormai trent’anni la destra in Italia è al centro della scena, politica e di governo, istituzionale e culturale. Un libro-intervista funambolicamente ritto sulla corda che separa rigoroso metodo scientifico-accademico ed emotiva partecipazione storico-biografica

In un’intervista con Fernando Savater, Emil Cioran confessa “per la verità, ho vissuto intensamente, ma senza mai potermi integrare all’esistenza. La mia marginalità non è fortuita, ma essenziale”. Storia di una marginalità ormai ascesa alla luce del sole è il bel volume “Le tre età della fiamma. La destra in Italia da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni” di Marco Tarchi e Antonio Carioti, edito da Solferino. Un libro-intervista che per densità deve essere riguardato a tutti gli effetti come prosecuzione, per espressa ammissione di Marco Tarchi, di “Cinquant’anni di nostalgia”, volume-intervista di trent’anni precedente nel quale sempre Tarchi e Carioti si interrogavano su quei marginali che con la discesa in campo di Berlusconi iniziavano a sgusciare fuori dalle solide pareti del ghetto dentro cui erano stati reclusi da una pluridecennale conventio ad excludendum.
Marginali o, riprendendo la definizione di Piero Ignazi, “polo escluso” o, con immagine più efficace affidata a un famoso libro di Tarchi del 1995, “esuli in patria”. Da ormai trent’anni la destra in Italia è al centro della scena, politica e di governo, istituzionale e culturale. C’è una notevole produzione accademica che ha interrotto un lungo, gelido silenzio, e che però come non mancano di rimarcare gli autori del volume non sempre ha colmato tutte le lacune. Come, ad esempio, una a oggi mancante investigazione sul ruolo gestionale-amministrativo della destra di governo.
“Le tre età della fiamma” è un viaggio al termine della notte, in cui al disperante Céline si sostituisce una comunità umana che ha perso la guerra o che, per citare alcuni esponenti degli anni di piombo, non ha fatto in tempo a perderla. “Gli anni difficili”, in cui reduci, giovanissimi o anziani, si trovano in una terra per loro ostile, che non li accetta e che sembra strumentalmente tollerarli per motivazioni contingenti, come la minaccia comunista in piena guerra fredda. Le figure principali, da Almirante a Michelini, su fino a Rauti e Fini, per poi approdare alla Meloni, vengono scandagliate nella loro opera di democratizzazione di una formazione politica derivante sì dall’esperienza fascista ma che non ha mai aggregato solo fascisti e che non è stata votata solo da nostalgici, costituendo a tutti gli effetti l’unico polo di massa della destra italiana.
Il volume ha il grande pregio, tra i molti, di rimanere sempre funambolicamente ritto sulla corda che separa rigoroso metodo scientifico-accademico ed emotiva partecipazione storico-biografica. Una dettagliata analisi del neofascismo, del Msi e dei rapporti, sovente conflittuali, di questo con la destra radicale, degli infuocati anni Settanta e dei fermenti della Nuova Destra e dei relativi tentativi metapolitici, spesso fraintesi, altrettanto spesso strumentalizzati, del travagliato approdo al governo in epoca berlusconiana, del lavacro di Fiuggi e del trascolorare da Alleanza Nazionale a Fratelli d’Italia. Molto significative le pagine sulla cultura, e di grande attualità in questa epoca di fervore sulla “egemonia culturale”.
Il libro esce nel cinquantennale della morte di Julius Evola, per il quale già si addensano nuove pubblicazioni, tra cui “Fuoco segreto” (Mediterranee), contenente corposi carteggi con altri autori che, citando la meravigliosa Cristina Campo, potremmo definire “imperdonabili”, come Gottfried Benn, Ernst Jünger, Armin Mohler e che pure hanno punteggiato il pantheon culturale della destra italiana, soprattutto giovanile.
Luciferino per vasta parte della sinistra e oggi infrequentabile per la destra istituzionale, anche Evola viene nel libro debitamente contestualizzato. Come Brasillach, Drieu La Rochelle, Schmitt, Plebe, Fisichella, Scruton, Hazony. Riferimenti eterogenei e che testimoniano l’evoluzione, non sempre pienamente metabolizzata, della destra italiana.
“Le tre età della fiamma” segue e analizza questa parabola intessuta di cambiamenti radicali e snuda i temi che impegneranno negli anni a venire Giorgia Meloni, al vertice di Palazzo Chigi e di via della Scrofa.

[Fonte: www.ilfoglio.it]




Buona Pasqua 2024


Tanti auguri di Buona Pasqua, nella speranza che porti con sé pace e rinascita per tutti.

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secoloditalia.it - Quell’attrazione fatale della destra per Berlinguer, l’avversario che di nascosto dialogava con Almirante


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La destra per Enrico Berlinguer nutre una fatale attrazione. Colpa dei racconti postumi di Massimo Magliaro e della vedova di Almirante, donna Assunta. Sì, perché il capo del Pci si incontrava di nascosto con il capo dei neofascisti e i due parlavano di come mettere fine alla stagione dell’odio che procurava ferite sanguinanti in entrambi gli schieramenti.

Il libro di Padellaro su Almirante e Berlinguer

Frammenti di memoria degli anni Settanta, gesti di leader politici mai abbastanza rimpianti, leader nemici ma che sapevano rispettare l’avversario e che avevano dichiarato guerra ai terroristi rossi e neri. Ne ha scritto di recente Antonio Padellaro nel libro Il gesto di Almirante e Berlinguer“(PaperFirst).

La visita di Meloni alla mostra su Berlinguer

E così la premier Giorgia Meloni si è recata a visitare la mostra sul “nemico” Berlinguer a Testaccio.  Accompagnata da Ugo Sposetti, ex tesoriere dei Ds e a lungo parlamentare di sinistra, ha visitato le cinque sezioni tematiche della mostra, fermandosi ad osservare manifesti, fotografie, pubblicazioni e video che ripercorrono la storia del segretario, militante e dirigente del Partito Comunista Italiano. Ha poi lasciato la sua personale dedica sul libro dei visitatori: “Il racconto di una storia, politica. E la politica è l’unica possibile soluzione ai problemi”. Firmato, Giorgia Meloni. In qualche modo, ha replicato lo storico omaggio di Almirante che si recò alla camera ardente di Berlinguer in via delle Botteghe Oscure lasciando tutti di stucco.

Romualdi e l’amnistia di Togliatti

Sugli incontri segreti alla Camera tra Berlinguer e Almirante va ricordato che non era certo prima volta che un fascista e un comunista in segreto si davano la mano e stringevano un patto: era accaduto già con Palmiro Togliatti e Pino Romualdi quando, nel lontano 1946, trattarono l’amnistia per i condannati della Rsi. Il libro di Padellaro non è il solo titolo che rievoca quegli incontri tra Almirante e Berlinguer, i quali si vedevano il venerdì alla Camera, negli anni 1978-79, lontano da occhi indiscreti. Ne scrive anche Adalberto Baldoni nel suo libro “Destra senza veli”.  Almirante e Berlinguer avevano un comune cruccio: che il terrorismo brigatista e quello neofascista potessero imbrattare irrimediabilmente l’immagine dei due partiti, Pci e Msi, e decidono di stringere un patto in difesa delle istituzioni minacciate dalle opposte spinte sovversive.

Berlinguer e il suo invito al dialogo tra i giovani

Enrico Berlinguer -come ha scritto Il Secolo in un ricordo del leader comunista del 2012 -fin dal 1951 incarnava un “comunismo dialogante” come dimostra l’invito rivolto ai giovani del Msi a scrivere sulle colonne del giornale della Fgci Pattuglia. Lo racconta Paolo Buchignani nel suo libro Fascisti rossi dove riporta l’appello ai giovani dello stesso Berlinguer «per la salvezza della Patria»: «Noi esortiamo apertamente i nostri 470.000 giovani ad abbandonare ogni orientamento settario ed esclusivista, ad avvicinarsi, in centinaia di migliaia di dibattiti, a tutti i giovani italiani… Noi non escludiamo nessuno, non c’è ambiente, non c’è scuola, fabbrica o villaggio, non c’è giovane con il quale noi non vogliamo discutere. Sappiamo che anche in quei movimenti che si considerano generalmente nostri avversari vi sono giovani in buona fede, giovani che riflettono con la loro testa, forze sane da risvegliare per l’interesse del Paese».

E Pino Rauti incontrò i giovani del Pci

Ancora, nell’autunno del 1950 Berlinguer impone ai militanti della sezione romana di Monte Sacro di organizzare nella loro sede un incontro con Pino Rauti, che fu anche il primo a rispondere all’invito berlingueriano a scrivere sulla rivista dei giovani comunisti. Un intervento nel quale Rauti si dimostra d’accordo sul giudizio negativo espresso da Botteghe Oscure relativamente alla classe dirigente italiana e alla sua crisi.

Gesti lontani nel tempo e che difficilmente potranno ripetersi oggi in tempi in cui – annotò Pietrangelo Buttafuoco recensendo il succitato libro di Antonio Padellaro – “svaniti i combattenti della guerra civile sono rimasti di sentinella gli spettri dell’odio”.

[Fonte: www.secoloditalia.it]




Strage di Acca Larentia 07-01-1978


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A distanza di 46 anni ricordiamo, con pensieri e preghiere, i militanti del Fronte della Gioventù uccisi a Via Acca Larenzia a Roma.
Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, giovani vittime innocenti dell’odio comunista e della spirale di violenza e sangue degli anni di piombo. Anni bui della storia d’Italia, regie rimaste oscure ed un buco nero pieno di misteri.
Un’intera generazione segnata, vite spezzate che non dimentichiamo e di cui custodiamo la memoria. Le idee non muoiono.




Buon Natale e Felice Anno Nuovo


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Oggi ricorre il compleanno di Pino Rauti


https://www.youtube.com/watch?v=QSFCAr19b2A

Oggi ricorre il compleanno di papà, nato a Cardinale il 19 novembre 1926 e dalla sua terra mi mandano questo video che volentieri condivido. È la sua visita del 29 aprile 2001.
Grazie

Isabella Rauti




Convegno "Pino Rauti e la Destra della tradizione", Sesto San Giovanni, presso Spazio Identitario “Camelot”, Via Cesare Battisti 36


Segui l’intervento di Isabella Rauti
https://www.youtube.com/watch?v=QQ9V2SvnfvQ

Guarda la galleria fotografica:

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barbadillo.it - "Governare il Futuro – La nuova sfida dell’Italia": l'undicesima edizione della Giornata Tricolore


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«La Giornata Tricolore 2023», a Custonaci, nel Trapanese, sabato 30 settembre (ore 10) presso la Sala Conferenze di Villa Zina Park Hotel, affronterà il fenomeno della globalizzazione, che ha già cambiato, e che continuerà a farlo, la nostra società, il nostro modo di vivere e la nostra cultura. È, infatti, un processo sociale veloce, silenzioso e non appare, ad oggi, possibile contenerlo. Tuttavia, dinanzi a certe derive, è invece auspicabile «governare il futuro» soprattutto in questa sua attuale fase di trasformazione e guidare, da parte delle classi dirigenti, il cambiamento, garantendo un sano esercizio alla partecipazione. Immaginare il domani, e gettarne le fondamenta, significa infatti identificare ed implementare i principi che governeranno la nostra società negli anni a venire, con l’auspicio che possano essere, sotto il profilo sociale, culturale ed economico, alla portata di una sempre più larga parte della popolazione. Nel corso della manifestazione si ragionerà, pertanto, sulle «nuove sfide» che attendono l’Italia.

Anche per quest’anno, insieme al «Centro Studi Dino Grammatico», ad organizzare l’evento, patrocinato dalla fondazione «Alleanza Nazionale», hanno voluto rispettivamente esserci le fondazioni «Tatarella», «Almirante», «Tricoli», «Stato e Partecipazione», i centri studi «Nazione Futura», «Pino Rauti» e l’ISSPE («Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici»). Saranno presenti, dunque, i rappresentanti degli istituti culturali appena citati e con loro numerosi esponenti del panorama politico italiano.

Mentre il «Premio per la Cultura della Legalità 2023» (ovvero una piccola quercia, che rappresenta il radicamento ai valori legalitari, realizzata in marmo di Custonaci ad opera dello scultore Giuseppe Cortese), è stato assegnato a Liliana Riccobene (moglie dell’agente di Polizia penitenziaria Giuseppe Montalto vittima per mano mafiosa), per aver voluto testimoniare, in tutti questi anni, l’affermazione della «cultura della legalità». A moderare l’incontro sarà, infine, il giornalista Fernando Massimo Adonia («LiveSicilia»).

[Fonte: www.barbadillo.it]