Le “bassezze” del comunismo

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Più si va avanti, più si scava negli archivi e più si trovano “prove” di quanto fu basso e avvilente il regime comunista in Russia. Degli “orrori” suoi è stato detto tutto o quasi ma su questo livello abietto c’è ancora tanto da ritrovare.

Questo pensavamo scorrendo la pagina intera che Stenio Solinas – con la “bella” penna che ben gli conosciamo – ha dedicato su “Il Giornale” al “controllo e alla manipolazione della vita privata” di quel tempo.

E’ un messaggio di Orlando Figes che rievoca “i trucchi e le bassezze degli informatori”.

Dunque, quando Stalin assunse la direzione del partito, e il ’53, quando morì, circa 25 milioni di cittadini russi subirono la repressione. Quei 25 milioni – giustiziati da plotoni d’esecuzione, detenuti del gulag, confinati in insediamenti speciali, membri di nazionalità deportate – equivalevano a circa un ottavo della popolazione all’inizio degli anni Quaranta: in media, due vittime ogni tre famiglie. Inoltre, la vita di decine di milioni di individui (parenti dei perseguitati) ne risultò segnata per sempre, con conseguenze morali e sociali ancor oggi evidenti. Attingendo a numerosissimi archivi privati nascosti nelle abitazioni di ogni angolo del Paese e al materiale raccolto in oltre quattrocento interviste, lo storico Orlando Figes racconta le “storie segrete” – tutte simili in quanto variazioni di un unico tema, lo stalinismo, ma ciascuna con la propria tragica cifra di orrore e sofferenza – di centinaia di famiglie russe di diversa estrazione e provenienza. E analizza come non è mai stato fatto finora la «soggettività sovietica», ovvero il mondo interiore dei cittadini sotto la tirannia di Stalin.

Sospetto e silenzio si intitola in italiano l’imponente saggio di Orlando Figes (Mondadori, pagg. 645, euro 38, traduzione di Luisa Agnese Dalla Fontana) sulle «vite private nella Russia di Stalin», ma noi continuiamo a preferire il titolo originale dell’edizione inglese uscita due anni fa: The Whisperers. I sussurratori. Perché nulla rende meglio l’idea di un potere occhiuto e temuto, insondabile e imprevedibile, di un sostantivo che evoca una società di sudditi dove si vive e si muore sottovoce, ovvero in apnea, consapevoli che ogni giudizio ti può essere imputato, ogni affermazione ti può condannare, ogni sentimento ti si può ritorcere contro.

Ma to whisper può anche voler dire sparlare, fare la spia, calunniare e infatti Figes racconta non solo e non tanto la realtà di un regime totalitario, quanto la costruzione di una nuova psicologia inumana nella sua essenza, dove i figli denunciano i padri, le mogli i mariti, spiare è glorioso, tradire è santificato e giusto essere condannati ingiustamente… Nessun regime autoritario del passato agì così capillarmente sulle vite private di chi gli stava sotto, nessun regime totalitario novecentesco, né il fascismo né il nazionalsocialismo, manipolò così massicciamente le menti delle masse su cui esercitava il proprio dominio. Il comunismo al potere in Urss fu il più sofisticato e il più spregevole esempio di schiavitù intellettuale imposta a tal punto da trasformarsi in habitus mentale, in modo di vivere, in modello comportamentale.

In Sospetto e silenzio il lettore troverà le cifre e le vicende di questa mattanza ideologica e politica, la realtà dei gulag e dei processi-farsa e insomma l’impianto storico-cronachistico in cui essa si incarna, ma a noi interessa di più dar conto dell’altro aspetto, quello relativo alle mentalità, alla orwelliana edificazione di un bis-pensiero e di una neo-lingua, di una «nuova umanità» di segno rovesciato, dove di umano alla fine non c’è più niente e di nuovo l’eterna pratica del terrore. Nelle seicento e passa pagine di un saggio denso di note, memorie, testimonianze dirette, fonti d’archivio, materiale inedito, Figes illumina tutto ciò in maniera rapsodica.

Perché non cercare di scappare, perché attendere rassegnati l’arresto e spesso quindi la morte? La passività fu uno degli aspetti più straordinari del terrore staliniano. C’erano molti modi per evitarlo, nota Figes: «Quelli più semplici consistevano nell’abbandonare le città e assumere una nuova identità acquistando falsi documenti al mercato nero, dal momento che la Nkvd non riusciva a rintracciare le persone trasferite»… E invece tutti aspettavano, una borsa accanto al letto, di essere risucchiati… Era una forma di ipnosi dal potere, secondo la testimonianza dello sceneggiatore Valerj Frid: «Eravamo tutti come conigli che riconoscono il diritto del boa di inghiottirli. Entravamo nella sua bocca con la sensazione di andare incontro al proprio destino…

(P.R.)

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