Il carice biondo per “impagliare”


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Il “carice”, nel Mantovano, è un’erba morbida, alta e folta, tipica delle zone umide. Da “tempo immemorabile” si usa per impagliare sedie e fiaschi, come ne scrive – da esperta – Auretta Monesi. ma – attenzione! – solo le erbe “femmine” forniscono il materiale adatto; quelle “maschie” – riconoscibili perché “ inalberano un pennacchio d’infiorescenza” – sono troppo dure e pertanto non flessibili. In termini di specie botaniche, si distinguono la “caespitosa” e la “riparia”; altezza sino a 150-180 centimetri.

Un tempo, del lavoro su queste erbe vivevano interi paesi sulle rive dei laghi dei Gonzaga; e, a capitale, c’era Rivalta, frazione di Rodigo. Gli uomini, su barche larghe, raccoglievano le canne sulle acque del Lago del Lago superiore; al ritorno, davano tutto alle donne, che ne traevano le “arelle”, con le quali si costruivano i soffitti delle case.
Ma c’è di più: le “arelle” erano indispensabili per l’allevamento del baco da seta.
I bozzoli infatti maturavano e si schiudevano una volta adagiati su queste stuoie di cannicci. Stravolte le tecniche edilizie, scomparsi i bachi da seta, di “arelle” non se ne fanno quasi più se non per ombreggiare terrazze e giardini.
La “caréa” mantovana, invece, viene ancora coltivata da un appassionato, Bruno Benasi, l’ultimo erede di una famiglia di gente che per generazioni ha vissuto di caccia, pesca e cannicci.
 Ai primi di aprile, graziea un sistema di piccoli canali, vengono prosciugati gli appezzamenti ove crescerà il càrice. Una volta asciugatosi il terreno si dà fuoco alle stoppie rimaste dopo l’ultimo taglio invernale.
Dopo l’incendio provocato e controllato, il terreno deve riposare per una decina di giorni. In seguito si reinserisce l’acqua gradatamente, tenendo d’occhio lo spuntare dei primi germogli, poi dei piccoli fusti … a metà maggio si toglie ancora l’acqua lasciandone non più di 15 centimetri. Inizia così il processo di maturazione che deve avvenire in pieno sole. Il 20 giugno, di nuovo la “valle” viene esondata levando l’acqua che viene convogliata nei fossi limitrofi e ha inizio il taglio: 50 giorni di falce e schiena curva, in pratica tutto luglio e agosto. I grandi covoni di quest’ erba morbida ma robustissima vengono poi sparsi e fatti asciugare a dovere. In seguito il caréx è suddiviso in fasci da 6 chilogrammi…
Stranamente il mercato italiano assorbe pochissima “caréa”, che prende invece la strada della Francia e della Svizzera per essere trasformata per lo più in robusti sedili di sedie. _
Bruno Benasi lavora 250 quintali di càrex ogni anno, che, una volta ripuliti, diventano 150 commerciabili. La sottospecie chiamata un tempo “strappata o carésa bianca” era ideale per impagliare fiaschi e damigiane, mentre con altri tipi di erbe palustri dei laghi mantovani (per esempio la “tifa”) si facevano cappelli e stuoie.