C’è la crisi. E ritorniamo a casa


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Un fenomeno che sta diventando di notevoli dimensioni; e che ha un andamento crescente: a causa della crisi, centinaia di polacchi e brasiliani, di iracheni e lituani, se ne stanno tornando a casa.

Un fenomeno che non ha confini; scrive sul supplemento “Io” Michele Farina, perché è in atto anche altrove; e segnala che “certi giorni nel parcheggio dell’aereoporto di Dubai si contano tremila macchine abbandonate”.”Certo, tra i 100 milioni di <<lavoratori migranti>> in giro per il mondo…c’è chi sta peggio. Ma il fenomeno c’è; e di recente “1.100 operai mongoli della Repubblica Ceca sono rientrati nelle native steppe usufruendo di un contributo del governo di Praga. 500 euro purchè compriate un biglietto one-way per Wan Bator.

“La marea del controesodo si disperde in mille incroci. E quasi tutti si pagano il viaggio. È la crisi: ecco le birmane costrette a rientrare sotto la dittatura dalle industrie tessili thailandesi, i filippini che hanno perso il posto nelle fabbriche coreane, i contadini cinesi ricacciati nelle campagne dai cantieri chiusi sulla costa, i nepalesi dei ristoranti di Kuala Lumpur in Malesia deportati in patria, gli uzbeki che riprendono l’autobus giallo con l’usignolo disegnato sopra e lasciano Mosca stanchi di aspettare quattro mesi di arretrati dal costruttore fallito. C’è pure chi vorrebbe ma non può: Bouba Gul, 27 anni, senegalese, è inchiodato in un campo di Huelva, sud della Spagna, con altri duemila (in quattro a turnarsi un materasso): «Sono stanco, vorrei soltanto tornare casa». Una parola: non ci sono barconi di disperati che sfidano il mare in senso contrario. Bouba aspetterà dicembre, quando comincia la raccolta delle olive. Lui e gli altri illegali dovranno lottare più del solito: con la disoccupazione al 20 per cento, gli spagnoli sono tornati a competere per lavori che in tempo di boom economico prima schifavano. Sogni ridotti: fare lo stagionale sulle colline infuocate dell’Andalusia…”

(U.G.)