C’è stata anche la Puglia Longobarda


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Nella Puglia, già “ricchissima”, si scoprono quasi senza interruzione, bellezze storico-archeologiche. E ci ha colpito, su “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 22 aprile ’05, leggere la ricostruzione di come è avvenuta la più recente, scritta da Vinicio Coppola con lo stile di chi narra un’avventura, con i suoi dubbi, le sue pause di riflessione e i suoi entusiasmanti approdi. Ecco la nota di Vinicio Coppola, che davvero merita di essere ripresa per intero; e che ha per titolo: “La Puglia dei Longobardi”.

I saggi di scavo condotti da Gioia Bertelli Buquicchio, docente di archeologia e storia dell’arte paleocristiana e alto medievale all’Università di Bari, hanno confermato in pieno i… sospetti dell’archeologa barese sull’esistenza in agro di Fasano di una «longobardia pugliese» .

Tutto è cominciato dal frammento di un affresco rinvenuto nel tempietto di Seppannibale, così denominato per l’omonima masseria, ad un tiro di schioppo da Fasano. La particolare iconografia del frammento mise in allarme la studiosa; riguardava una singolare annunciazione, quella in cui l’angelo informava Zaccaria che l’anziana moglie Elisabetta avrebbe dato alla luce un bambino di nome di Giovanni. Quell’affresco ricordò subito all’archeologa un’ analoga opera esistente nella chiesa di Santa Sofia a Benevento, la cui datazione era collocabile alla fime dell’8° secolo. Il confronto stilistico, poi, fece piazza pulita di altri dubbi in merito alla clamorosa scoperta: la presenza dei Longobardi in Puglia.

L’archeologa cominciò subito a raccogliere qua e là altri indizi in grado di suffragare le sue tesi. In primo luogo. prese in esame l’architettura del tempietto, ne studiò a fondo le sculture, compresi i capitelli a foglie d’acqua. Quindi, analizzò un’iscrizione che correva lungo il catino dell’abside: «Hunc templum d(e)i ego fieri erogavit». Un’iscrizione che, nonostante presentasse al centro un monogramma ancora insoluto, innescò altri quesiti: ma quella discordanza tra la prima persona del pronome e la terza persona del verbo non era una formula in uso nei documenti notarili dell’alto medioevo?

Il bello arrivò successivamente, quando vennero riportati alla luce altri affreschi, celati da una coltre di calce e disseminati sulle pareti curve delle due cupole. Riguardavano un grande ciclo ispirato all’ Apocalisse di San Giovanni. Sulle navatelle laterali erano affrescati altri episodi, non sempre decifrabili a causa dell’avanzato degrado: vi si scorgevano comunque scorci di città dell’età di mezzo insieme con elementi paesaggistici e naturalistici. Ad un certo punto, al cospetto di talune immagini l’archeologa quasi impallidì: i papaveri rossi su fondo giallo erano uguali a quelli delle chiese del monastero di San Vincenzo al Volturno, e in altri luoghi nei quali era storicamente provata la presenza di maestranze legate al mondo longobardo-beneventano.

Ormai il dado era tratto. I lavori andarono così avanti, grazie alla disponibilità del proprietario del fondo, l’ingegnere Giuseppe Calefati, e al concomitante sostegno finanziario della Fondazione della Cassa di Risparmio di Puglia, nella persona del presidente Antonio Castorani. Per accelerare i tempi, la studiosa non ha esitato a servirsi di moderne tecnologie – come il «georadar» – e di foto aeree a raggi infrarossi scattate dagli elicotteri della Guardia di Finanza. È riuscita così a scoprire anzitempo le «anomalie» del sottosuolo e, quindi, ad individuare la presenza di altre strutture sepolte. Come, ad esempio, i resti di un abitato alto-medievale coevo, o addirittura precedente, al tempietto di Seppannibale. E, nel corso della seconda campagna di scavo, sono state rinvenute anche vasche per la raccolta di liquidi e buche scavate nella roccia, utilizzate nella lavorazione dei prodotti agricoli.

(a cura di Umberto Giusti)