Il cielo è di piombo per i giornali americani

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Lo scrive Paolo Valentino sul “Corriere della Sera” in una corrispondenza da Washington. Sottolineando che i grandi media americani si trovano nella tempesta della crisi economica; e che si tratta delle “testate piu’ prestigiose del giornalismo di qualità, da sempre modelli per il resto del mondo” e adesso si ritrovano costrette ” scommesse disperate o rischiose in nome della stessa sopravvivenza”; e questo avviene da Los Angeles a Chicago a New York.

Si è dichiarato insolvente, chiedendo la bancarotta il gruppo Tribune Co. proprietario, tra l’altro, del “Chicago Tribune” e del “Los Angeles Times”; mentre il “New York Times”, appena un anno dopo esservisi trasferito, valuta l’ipotesi di ipotecare lo splendido grattacielo, firmato da Renzo Piano, a garanzia di un prestito da 225 milioni di dollari, indispensabile al gruppo della famiglia Sulzberger per evitare una crisi di liquidità nel 2009.

Annunci scioccanti, che confermano il difficilissimo guado nel quale si trova il mondo dei media negli Usa, dove i colpi della crisi cadono in un panorama già rivoluzionato e sconvolto da Internet e dalle nuove tecnologie- Con “Tribune Co.” vacilla un impero editoriale che da costa a costa possiede giornali, stazioni televisive e perfino una grande squadra di baseball, quella dei Chicago Cubs. A fronte di un patrimonio di 7,6 miliardi di dollari, il gruppo è gravato da 13 miliardi di dollari di debiti, quasi tutti ereditati dalla complessa transazione, con cui l’anno scorso il palazzinaro miliardario Sam Zeli acquistò l’azienda.

L’annuncio, dato al termine di una riunione del board, era nell’aria dal fine settimana, quando il management aveva comunicato di avere assunto esperti in fallimenti della banca Lazard e dello studio Sidney Austin, per discutere le proprie opzioni finanziarie. Anche se la più grossa rata sul debito, quasi 600 milioni di dollari, sarebbe venuta a scadenza solo nel prossimo giugno, il gruppo rischiava di mancare gli obiettivi finanziari imposti dai creditori per il 2008.

«È stata la tempesta perfetta — si legge in un comunicato di Zeli ai dipendenti — un precipitoso calo delle entrate e una dura situazione economica si sono combinati con una crisi del credito, rendendo difficile finanziare il nostro debito. Tutti i nostri settori pubblicitari ne hanno drammaticamente risentito». A novembre Tribune Co. ha riportato perdite per 124 milioni di dollari nel terzo trimestre. E le previsioni per il 2009 appaiono ancora peggiori. La decisione di andare al Tribunale dei fallimenti da ora alla compagnia un po’ di tempo per cercare di far cassa, attraverso alcune dismissioni. In maggio, Tribune Co. aveva già venduto Newsday a Cabletelevision per 650 milioni di dollari. Molte speranze si appuntano sulla vendita dei Cubs, che nelle ottimistiche previsioni di Zeli potrebbe portare in cassa quasi un miliardo di dollari: ma la lista dei potenziali acquirenti si è ristretta, dopo che il venerato club è stato quotato in borsa, esponendosi ai venti del mercato. Un’altra soluzione potrebbe essere la cessione del «Los Angeles Times», un giornale che ancora genera profitti e verso il quale anche il mogul di Hollywood, David Geffen, ha mostrato interesse. Ma il gruppo è riluttante a disfarsi della sua testata più prestigiosa.

Meno drammatici, ma potenzialmente molto gravi i problemi della «New York Times Company». L’ipotesi di ipotecare il nuovo grattacielo viene considerata la migliore opzione, per scongiurare un problema di casti flow in primavera: una delle due linee di credito (con un tetto di 400 milioni di dollari ciascuna) di cui dispone il gruppo scade in maggio, ma è improbabile che venga rinnovata. Di recente Standard & Poor’s ha abbassato il rating della Times Company sotto il livello che giustifica un investimento. Nel 2008, il titolo ha perso il 50% del valore in Borsa.

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