Il Coke europeo “ucciso” dai Cinesi

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Il coke? «Se si chiede in giro cos’è, di solito credono che sia una bevanda». Ne sa qualcosa Antonio Barone, presidente e amministratore delegato di Italiana Coke di San Giuseppe di Cairo (Savona), la cokeria più grande d’Europa e una delle ultime quattro sopravvissute alla concorrenza cinese. «Invece è una componente fondamentale nella produzione della ghisa e dell’acciaio, un combustibile capace di cedere carbonio al minerale di ferro nel corso della fusione, per aumentare il suo grado di resistenza», spiega Barone. E visto che la ghisa è materia prima essenziale per tutta la nostra industria automobilistica e metalmeccanica, il coke ha un notevole valore strategico: «Con la ghisa derivata dal coke per fonderia, quello con il contenuto più alto di carbonio, si costruiscono i monoblocchi per i motori delle automobili, i freni della Brembo, tutte le strutture di base delle macchine utensili…». Ma il coke europeo sta morendo. Messo sotto assedio da anni dalle esportazioni cinesi, che ormai superano i 14 milioni di tonnellate l’anno, il mercato europeo soffre di una dipendenza sempre maggiore dal prodotto asiatico: il coke cinese, a fronte di un potere calorico lievemente ridotto, costa molto meno. Tanto che la Commissione Europea ha aperto subito prima di Natale la procedura per studiare l’applicazione di dazi antidumping, mentre gli Stati Uniti hanno già deciso, ai primi di gennaio, di rinnovare per altri cinque anni le misure antidumping contro il coke cinese. «Non dovendo rispettare le normative ambientali sempre più restrittive imposte in Europa, i cinesi riescono a offrire il loro prodotto a un prezzo del 20% inferiore al nostro». Così la produzione cinese copre ormai quasi un terzo del fabbisogno europeo. Ma questa dipendenza comporta un rischio altissimo: quello di rimanere a secco. Com’è successo nel 2004, quando la richiesta interna di coke ha raggiunto il suo picco e le autorità di Pechino hanno fortemente limitato le licenze all’esportazione, aumentandone il costo. L’intervento statale fece lievitare i prezzi dalla sera alla mattina, fino a 400 dollari la tonnellata e causò un taglio radicale all’export, che calò del 70%. «Molte fonderie europee, che si servivano dai cinesi, allora hanno rischiato la chiusura», racconta Barone. ( E. Co, “Affari e Finanza”)

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