Come si giunse al Concordato. Mussolini e il Vaticano

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[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Non si arrivo’ facilmente al Concordato; e soprattutto non vi si arrivò “all’improvviso”. Ci fu da ambedue le parti – e soprattutto da parte fascista, che era quella che prendeva l’iniziativa e piu’ aveva fretta di farla approvare – tutta una serie di “atti operativi”, di battute introduttive. Ed è con grande interesse che abbiamo letto nel quaderno 3.750 de “Civiltà Cattolica” – la Rivista dei Gesuiti – uno studio del sacerdote e storico, Giovanni Sale, che dalle primissime “battute” da’ conto sotto il titolo: Pio XI e Mussolini e il sottotitolo: “Primi provvedimenti del Governo fascista in favore della Chiesa” che qui di seguito riprendiamo (P.R.)

Pio XI , i popolari e i fascisti – Pio XI, nei primi tempi del suo pontificato, non si allontano in materia politica dall’indirizzo seguito dal suo Predecessore, Benedetto XV. Anche per lui il partito Popolare (Ppi) rappresentava il partito politico dei cattolici italiani in particolare era lo strumento attraverso il quale far valere sul piano politico-parlamentare i diritti della religione e della Chiesa. Papa Ratti proveniva dalla tradizione conciliatorista e clerico-moderata milanese; la sua idea di «partito cattolico» era differente da quella sturziana di partito laico e aconfessionale, che agisce in politica autonomamente, ispirandosi ai grandi principi sociali della tradizione e della dottrina cristiana, ma senza l’intenzione di servire gli interessi della Chiesa o di rappresentarla. Nei primi tempi del suo pontificato — lino alle vicende che seguirono la «crisi Matteotti» — egli sostenne il Ppi e lo raccomando ai cattolici desiderosi di partecipare alla vita politica . Agli attivisti del partito Popolare milanese, recatisi in visita dal Papa, subito dopo la sua elezione, egli disse «che gli appartenenti al Ppi avrebbero dovuto essere cattolici in tutto». Il che parve strano ad alcuni di quei centristi, che uscendo dall’udienza cosi commentarono: «Forse pretende il cardinale [sic] che si debba chiedere il biglietto pasquale a chi prenda la tessera del partito?»3. Pio XI desiderava che i vescovi, come anche i sacerdoti, non si occupassero troppo di politica. Col passare del tempo, quando la situazione politica nazionale divento più difficile, si andò sempre più rafforzando in lui l’idea di separare 1’ambito politico da quello dell’azione cattolica in generale, senza pero chiedere ai cattolici di abbandonare l’impegno politico. Al suo successore sulla cattedra ambrosiana, che gli chiedeva consiglio sul modo di comportarsi in diocesi con il partito Popolare, egli rispose risoluto: «Ebbene lei deve essere pastore religioso. Intervenga per correggere i devianti ma lasci il partito libero di manovrare. Tenga col partito rapporti di buon vicinato, perché senza il partito [cioè il Ppi] non potremmo far fagotto».

Invece, nel primo anno del suo pontificato, Pio XI come giudicò la rapida ascesa al potere del partito Fascista e che cosa pensò di Benito Mussolini, capo di quel partito? Non è facile dare risposte a queste domande, anche perchè le fonti documentali a nostra disposizione sono piuttosto scarse. Il pensiero del Papa su quelle vicende politiche e sociali, che successivamente avrebbero avuto un influsso importante anche sulla via della Chiesa in Italia, si può cogliere attraverso alcune sue conversazioni private o, indirettamente, attraverso gli articoli dell’Osservatore Romano e della Civiltà Cattolica. I cattolici vedevano con una certa preoccupazione 1’affermarsi del fascismo all’interno della società italiana, nonchè la sua rapida ascesa al potere, avvenuta per vie semilegali e attraverso la violenza squadrista. Sebbene Mussolini negli ultimi tempi — in particolare a partire dal suo primo discorso alla Camera del 21 giugno 1921 — si fosse dichiarato rispettoso del fatto religioso e anzi pubblicamente si fosse impegnato a difendere il cattolicesimo come religione «nazionale», ciò non rassicurava del tutto la Gerarchia ecclesiastica sulle reali intenzioni e mire del fascismo. Anche perché , mentre a parole Mussolini diceva di voler proteggere la Chiesa e andare incontro alle necessità materiali di questa, nella provincia continuavano, da parte dei suoi gregari, spesso al comando di ras locali, gli assalti alle sedi delle associazioni cattoliche e le violenze private contro i loro membri, mentre i suoi compagni di partito troppo spesso si lasciavano andare a gesti blasfemi di irriverenza nei confronti delle «cose più care e sacre ai cattolici». Da parte di molti uomini di Chiesa il fascismo a quel tempo era considerato un movimento massonico», pericoloso per la società civile e per la religione quanto il socialismo sovversivo. Anche le sue manifestazioni di ossequio verso la religione, spesso soltanto esteriori, venivano guardate con sospetto dai cattolici più sensibili.

Una preziosa testimonianza intorno alla mens del Papa circa le nuove vicende politiche si trova in una lettera di Roberto Faino al direttore della Civiltà Cattolica, p. Enrico Rosa: «Il p. Gemelli — scrive 1’attivista popolare milanese — trovandosi lo scorso mese solo col Santo Padre gli chiese quale condotta si dovesse tenere nei confronti del Governo. Il Santo Padre rispose: “Lodare, no. Fare l’opposizione aperta non conviene, essendo molti gli interessi da tutelare. Occhi aperti! “». Questo breve colloquio tra Pio XI e padre A. Gemelli illustra bene la posizione che il Papa assunse nei confronti del nuovo Governo e, più in generale, su ciò che stava accadendo in Italia in quel momento: egli, sebbene anche su questo avesse le sue idee, non si lasciò andare a valutazioni di carattere politico o ideologico, facendo intendere che un giudizio definitivo su quelle vicende sarebbe dipeso anche dal modo nel quale il nuovo Governo avrebbe tutelato gli interessi cattolici in Italia. Per il momento i responsabili ecclesiali dovevano restare vigili e attendere. Per approfondire il pensiero della Santa Sede — e del Papa — intorno al fenomeno del fascismo, nonchè sugli importanti avvenimenti politici del momento, si possono leggere le pagine della Civiltà Cattolica dedicate al dibattilo ideologico-politico e alla cronaca di quei giorni. «Ricordatevi — disse 1’arcivescovo di Milano, card. E. Tosi, ad alcuni dirigenti popolari della città — che gia da tempo sulla Civiltà Cattolica era preveduto che i fascisti sarebbero divenuti pericolosi, e ricordatevi che i gesuiti sono fini e vedono lontano…». In un editoriale pubblicato prima della Marcia su Roma, La Civiltà Cattolica assunse un atteggiamento piuttosto critico nei confronti del fascismo, che indicava quale «fenomeno, meglio che partito [ … ] , mutabile e multiforme». «Se al principio fu un semplice moto di ribellione o di reazione [. ..] contro la violenza C. ..] dei socialisti e comunisti», «do si vide presto travolto in tutt’altro indirizzo, violento e anticristiano, capitanato da torbidi uomini e spesato da mestatori. Cosi il fascismo e ora parossismo della disunione degli italiani, e sforzo impotente del vecchio liberalismo, di massoni, agrari, industriali arricchiti, giornalisti, politicanti e simili», per cui il fascismo non può avere ne il seguito ne 1’approvazione dei cattolici, anche perchè la sua morale appare per molti versi inconciliabile con quella cristiana. Tale articolo, che apparve — a motivo della scadenza quindicinale della rivista — nei giorni di maggiore tensione politica, fu vivamente disapprovato, pur avendo avuto il placet della Segreteria di Stato, dal superiore generale della Compagnia di Gesù, il p. W. Ledochowski, poiché egli temeva, e non senza ragione, una possibile reazione o censura da parte del nuovo Governo nei confronti dei gesuiti italiani. Cosi il Preposito generale scrisse al direttore della rivista, e autore dell’articolo, p. E. Rosa: «Ho letto il primo articolo dell’ultimo fascicolo della Civiltà Cattolica e ne fui molto addolorato. Questo tono veramente in se non e convincente e nelle presenti condizioni potrà più nuocere che giovare. Credo che per il presente non c’e altro da fare che fidarsi della Provvidenza Divina, ma la prego di essere per il futuro più cauto».

La rivista, a partire dalla Marcia su Roma, dovette modificare, o meglio «ammorbidire», il proprio orientamento in materia politica, e un nuovo editoriale, più critico ancora del precedente nei confronti del fascismo, che doveva uscire all’indomani della formazione del nuovo Governo Mussolini fu sostituito — pare su indicazione di Pio XI — con un altro articolo più conciliante, nel quale e fissato, sebbene ancora in luce, l’orientamento che la rivista avrebbe mantenuto nei confronti del fascismo per diversi anni. «Quando una forma di governo sia legittimamente costituita — affermava l’articolo — , sebbene inizialmente difettosa o anche discutibile per diversi rispetti [ … ], e dovere sottostarle, in ciò che richiede l’ordine pubblico oil bene comune della società; ne si fa lecito, a individui o partili che siano, di tramare ad abbatterla o soppiantarla o modificarla con vie ingiuste». Un poco alla volta La Civiltà Cattolica, pur denunciando le violenze delle squadre fasciste, si impegno nell’opera di legittimazione del fascismo anche agli occhi del mondo cattolico: il suo fine professato era quello di «correggere, moralizzare» e insieme «cristianizzare» questo nuovo fenomeno «ancora mutabile e multiforme».

«Mano tesa» di Mussolini alla Chiesa.— Una delle prime significative scelte politiche fatte da Mussolini, dopo aver consolidato il suo potere, fu di promuovere una politica di «avvicinamento», o di «mano tesa», nei confronti della Gerarchia ecclesiastica e in particolare della Santa Sede, come del resto aveva anticipato nel suo primo discorso alla Camera dei Deputati il 21 giugno 1921. In quell’occasione egli disse — sconfessando apertamente e senza pudore uno dei principi fondamentali della propaganda sansepolcrista e della sua stessa attività di giornalista «mangiapreti» — che il fascismo non predicava ne praticava 1’anticlericalismo e che tanto meno era legato alla massoneria, di cui al contrario condannava le mire. Affermo «che la tradizione latina e imperiale di Roma oggi e rappresentata dal cattolicesimo». « do penso — continuava il neo-onorevole Mussolini, citando Mommsen — che l’unica idea universale che oggi esista a Roma e quella che s’irradia dal Vaticano». E pensare che qualche anno prima dalle colonne del Giornale d’Italia, di cui era direttore, egli aveva rumorosamente tuonato contro il Papa, i preti e il Vaticano, scrivendo che bisognava fare piazza pulita della religione, «liberare l’Italia da questo ciarpame», e che l’unico modo per risolvere la «questione romana» era di far sloggiare il Papa dal Vaticano, accompagnandolo oltre confine. Ora invece, mettendo tra parentesi quel fin troppo rumoroso e agitato passato «rivoluzionario», egli intendeva fare del cattolicesimo «romano» uno dei sostegni della sua politica nazionale. II nuovo capo del Governo si aspettava dalla Chiesa italiana e dalla sua Gerarchia una collaborazione attiva in questo senso: essa avrebbe dovuto mettere al servizio della nuova idea nazionale, cioè dello «Stato fascista», la sua grande influenza morale sul popolo, ancora molto legato alla religione cattolica. In cambio egli avrebbe eliminate 50 anni di legislazione anticlericale, posta in essere dai passati Governi liberali e ne avrebbe favorito la missione religiosa e sociale in tutti i modi possibili. Tale idea di una «collaborazione attiva» tra Chiesa e fascismo era stata espressa da Mussolini nel gia citato discorso alla Camera: «Penso che se il Vaticano rinuncia definitivamente ai suoi sogni temporalistici — e credo che sia gia su questa strada —, l’Italia, profana o laica, dovrebbe fornire al Vaticano gli aiuti materiali, le agevolazioni materiali per scuole, chiese, ospedali o altro, che una potenza profana ha a sua disposizione. Perché lo sviluppo del cattolicesimo nel mondo, 1’aumento dei 400 milioni di uomini, che in tutte le parti della terra guardano a Roma, e di un interesse e di un orgoglio anche per noi che siamo italiani». A quel tempo per() 1’autorità ecclesiastica aveva preferito non modificare il suo giudizio negativo sul fascismo, condannandone sia la dottrina, inficiata di statolatria e di teorie irrazionaliste, sia il metodo di lotta politica, basato sulla violenza squadrista e sul ricatto. Essa, pur registrando con un certo favore le «sorprendenti» parole pronunciate da Mussolini sul cattolicesimo «nazionale», preferì per il momento tacere, giudicando più conveniente ignorare le avances che le venivano fatte da quegli stessi uomini che ordinavano la devastazione dei circoli di Azione Cattolica, nonché del Ppi e dei sindacati e delle cooperative bianche, e l’aggressione dei suoi membri.

Arrivato al potere, Mussolini cercò di accreditarsi presso l’opinione pubblica nazionale e internazionale come un uomo politico moderato, rispettoso dei diritti statutari e amante dell’ordine e della religione. A un gruppo di giornalisti il 21 novembre 1922, un mese circa dopo la marcia su Roma, disse a Losanna — senza provare imbarazzo o vergogna — di essere uno spirito «profondamente religioso» e dichiarò essere la religione una forza fondamentale per la nazione e che quindi,andava difesa e rispettata: «Sono pertanto contrario alla demagogia anticlericale e ateista [ … ] . Affermo che il cattolicesimo e una grande potenza spirituale e morale e confido che i rapporti tra lo Stato italiano e il Vaticano saranno d’ora in avanti molto amichevoli». Di fatto, gia dai primi mesi di Governo egli cerco di tradurre in pratica queste affermazioni e di mantenere le promesse fatte alla Gerarchia ecclesiastica un anno prima, quando era soltanto un semplice deputato dell’opposizione. Si interesse di persona perché tutto procedesse in questa materia come egli aveva previsto, anche superando l’opposizione di alcuni suoi compagni di partito, ancora imbevuti di idee anticlericali, nonché dei funzionari dell’amministrazione statale, ligi a una gia sperimentata pratica rigorosamente «separatista» circa le materie ecclesiastiche. Unilateralmente — senza nulla chiedere in contraccambio, almeno nell’immediato, alla Santa Sede — egli, come si vedrà, ordino provvedimenti amministrativi favorevoli alla Chiesa e inizio anche a pensare a riforme legislative in materia ecclesiastica. La Gerarchia cattolica si limitò, per il momento, a ringraziare il nuovo capo del Governo e a commentare positivamente tali provvedimenti. Ma quale scopo Mussolini si prefiggeva con la politica della «mano tesa» verso la Chiesa? Che cosa lo spingeva a modificare la tradizionale politica «separatista», ispirata cioè alla dottrina liberale della separazione tra Chiesa e Stato o, per dirla con Giolitti, «delle rette parallele», che i Governi liberali avevano da sempre seguito nei confronti della Santa Sede? Non certo il sentimento religioso di cui, qualunque cosa egli stesso dicesse, era del tutto privo, ma motivazioni di carattere eminentemente politico. Egli sapeva che l’italiano medio era in generale religioso e «osservante», e che la Chiesa aveva una grande influenza sia nel forgiare la coscienza del popolo, sia nell’indirizzarne 1’azione. Sapeva, inoltre, che sarebbe stato molto difficile combattere la Chiesa su questo piano, come teorizzavano i socialisti massimalisti, togliendole cioè quelle funzioni che da sempre aveva avuto e che le erano riconosciute come pertinenti dalla maggior parte degli italiani. Tanto valeva allora accordarsi con essa e averla dalla propria parte.

Il fascismo, pensava Mussolini, presentandosi come partito d’ordine, rispettoso delle gerarchie sociali e dei «diritti dei proprietari», e quindi antisovversivo e antisocialista, non avrebbe avuto difficoltà a trovare punti in comune con la Chiesa; era necessario pero potare il partito dai rami secchi del vecchio anticlericalismo, e Mussolini lo avrebbe fatto al pin presto. Se il partito doveva espandersi e diventare realmente «nazional-popolare», doveva agganciare e quindi assorbire le masse cattoliche sia del Sud sia del Nord, altrimenti sarebbe rimasto un partito mediopiccolo, destinato a conservare il potere attraverso 1’uso della forza o del ricatto, ma non con il consenso delle masse. I1 fascismo, per diventare un vero partito di massa, doveva assicurarsi la benedizione del Papa e in genere della Gerarchia cattolica. In una parola, lo scopo della politica ecclesiastica perseguita da Mussolini in quei primi anni di Governo consisteva nell’integrare la Chiesa e la Gerarchia all’interno del proprio sistema politico di «rigenerazione nazionale». Per raggiungere tale obiettivo, pero, era necessario prima di ogni altra cosa «svuotare» il Ppi del suo elettorato cattolico, e ciò si poteva fare soltanto cercando di «sganciarlo» dalla Gerarchia ecclesiastica, facendo in modo che questa non lo appoggiasse più come partito cattolico. Mussolini mise in atto tale strategia in due modi: anzitutto facendo si che il Ppi abbandonasse il Governo e si allineasse con i partili di opposizione, e poi mutuando il programma di politica religiosa dei popolari e iniziando a dargli pratica esecuzione. In questo modo il fascismo si assunse davanti agli italiani, e in particolare davanti alla Gerarchia cattolica, il ruolo di difensore degli interessi religiosi nazionali. La Santa Sede si rese subito conto che questa autoinvestitura in fondo le faceva comodo, e lasciò fare. Essa per non si «sganciò», come ritengono alcuni studiosi, dal Ppi per andare verso il fascismo: diciamo che cerco di mantenere una certa formale equidistanza tra le due forze politiche, ormai una di governo e 1’altra di opposizione, sebbene considerasse soltanto i popolari veramente come «uomini suoi». Nei momenti in cui la battaglia politica si fece più aspra essa fece di tutto per difenderli — cercando pet-6 di non esporsi troppo — dalla violenza fascista, e accolse nelle organizzazioni di Azione Cattolica una parte dei suoi sindacati o associazioni destinati allo scioglimento.

Provvedimenti «unilaterali» in favore della Chiesa – anche prima dell’avvento di Mussolini al potere esistevano contatti, spesso improntati a cordialità e correttezza, tra la Santa Sede e il Governo italiano; essi si intensificarono a partire dai primi «colloqui» parigini dell’estate del 1919 tra il presidente del Consiglio V. E. Orlando e mons. B. Cerretti, inviato della Santa Sede, riguardanti una possibile intesa per la risoluzione della «questione romana». Tali colloqui, come e noto, furono immediatamente interrotti a motivo dell’ostilità del re a un qualsiasi progetto che contemplasse una cessione, sia pur minima, di territorio nazionale. I rapporti tra Santa Sede e Governo italiano continuarono per() anche durante i successivi Esecutivi, anzi divennero sempre pin frequenti e cordiali, in particolare sotto la presidenza Nitti. Tutto questo avvenne negli ultimi anni del pontificato di Benedetto XV, grazie alla sapiente e preziosa attività di intermediazione svolta dall’«incaricato di affari» barone Carlo Monti, che era amico personale del Papa. I1 nuovo Governo Mussolini continuo a trattare le questioni di politica ecclesiastica secondo la prassi consolidata sotto i Ministeri precedenti, ma con spirito assolutamente nuovo. Questa volta le richieste fatte dalla Santa Sede all’autorità civile, anziché rimanere giacenti per lungo tempo e inascoltate, venivano, la maggior parte delle volte, immediatamente accolte. Anzi era Mussolini stesso che proponeva ai suoi collaboratori riforme in materia ecclesiastica, secondo lo spirito e le aspettative della Gerarchia ecclesiastica. La prassi che le passate amministrazioni avevano seguito nella trattazione delle questioni riguardanti la materia ecclesiastica era quella della cosiddetta «doppia intesa»: dal punto di vista formale (o legale), sulla base del principio di separazione tra Stato e Chiesa, era escluso ogni tipo di intesa o di accordo palese tra i due poteri, per cui il Governo doveva disinteressarsi di tutte le questioni di carattere religioso; dal punto di vista materiale (o sostanziale), per risolvere alcune importanti questioni in materia religiosa, riguardanti ora il patrimonio ecclesiastico, ora la nomina dei vescovi o altro, si faceva ricorso a un «incaricato di affari», persona generalmente gradita ad ambedue le parti.

In sostanza, per i Governi liberali era importante che il principio di separazione tra i due poteri rimanesse valido e senza eccezioni, mentre segretamente, a livello operativo, si poteva manovrare come si voleva, e quindi stringere accordi vincolanti con la controparte. In questo modo furono risolte, nell’interesse di tutti, importanti questioni in materia ecclesiastica, ma soprattutto si evitarono scontri aperti tra le due autorità. A Mussolini tale principio sembrava un inutile feticcio del passato, un anacronismo storico che non aveva pin senso continuare a porre come principio direttivo del rapporto tra la Chiesa e il nuovo Governo fascista, impegnato a mettere in forte rilievo 1’«italianità» e la «latinità» della patria. Un rapporto che si voleva il pin ampio e convergente possibile; per cui era compilo dello «Stato fascista» disfarsi di questo inutile residuo storico. «Il regime fascista — dirà Mussolini qualche anno dopo — superando in questo, come in ogni altro campo, le pregiudiziali del liberalismo, ha ripudiato cosi il principio dell’agnosticismo religioso dello Stato, come quello di una separazione tra Chiesa e Stato, altrettanto assurda quanto la separazione tra spirito e corpo». I primi contatti fra il nuovo Governo fascista e la Santa Sede si ebbero già a partire dalla fine di dicembre del 1922. Fu l’On. Fulvio Milani, sottosegretario al Ministero di Grazia e Giustizia e Culti, a chiedere al p. Giovanni Genocchi dei Missionari del Sacro Cuore — uomo di grande prestigio intellettuale nella Roma del tempo, legato agli ambienti della Curia romana e bene introdotto in alcuni «salotti bene» della Capitale, frequentati da intellettuali e politici — un incontro «segreto» per trattare questioni concernenti la materia ecclesiastica. In una lettera inviata alla Segreteria di Stato, il religioso cosi riportava quell’importante incontro: l’on. Milani [. ..] ha voluto avere un colloquio con don Minozzi e me in luogo nascosto alla curiosità dei giornalisti e di altri. A lui il ministro Oviglio ha affidato quanto appartiene alle questioni ecclesiastiche, di cui lui e ignaro. E noto pure l’ordine e lo spirito di Mussolini, che vuole largamente favorire le aspirazioni dei cattolici e dell’Autorità ecclesiastica». ‘incontro era stato sollecitato dall’On. Milani perché il Governo Intendeva provvedere seriamente alle «condizioni finanziarie e morali del Clero italiano, sottoposto all’arbitrio degli economati e d’una burocrazia massonica», e su questa materia «non ufficialmente, perché adesso non si può, ma privatamente, per modo d’informazione su cui regolarsi, il Milani vorrebbe sapere che progetto preferisce la Santa Sede e che cosa di nuovo avrebbe da suggerire. Altrimenti ‘ progetti che egli presenterà potrebbero essere incongruenti». Sottosegretario, che agiva su incarico del ministro Oviglio e Mussolini, chiese poi al p. Genocchi che la Santa Sede indicasse un uomo di sua fiducia che potesse, anche in futuro, come di fatto era avvenuto negli ultimi tempi, fare da tramite fra il Governo e la Segreteria di Stato. «Si vorrebbe una persona di piena fiducia e che non destasse sospetti», disse l’On. Milani, meglio un religioso che un laico.

Escluse come «candidato» il vecchio barone Monti, troppo compromesso con il passato, e in qualche modo anche il sen. C. Santucci, oche ha troppo affari e non sembra soddisfare». Il p. Genocchi faceva il nome dello stesso don G. Minozzi, ma questi per qualche ragione non dovette convincere a pieno la Segreteria di Stato. Sappiamo che successivamente fu scelto come intermediario tra il Governo e la Santa Sede il gesuita Pietro Tacchi Venturi, che troviamo gia attivo nella sua nuova missione di «incaricato d’affari» a partire dalla meta di febbraio del 1923. Nei primi anni di Governo, Mussolini si mosse nei rapporti con la Santa Sede secondo la prassi sperimentata dai passati Governi liberali, secondo la quale, come si e detto, le materie di politica ecclesiastica venivano trattate e risolte attraverso accordi segreti, e non attraverso leggi dello Stato approvate dal Parlamento. Appena consolidato nuovo Governo Mussolini diede subito prova di voler prendere sul serio le questioni religiose e di voler instaurare rapporti «amichevoli» con la Santa Sede, dando attuazione, unilateralmente, a tutta una serie di provvedimenti amministrativi riguardanti la materia ecclesiastico-religiosa che si trascinavano da lungo tempo. Altri ne prese o ne fece prendere di propria iniziativa. Tra questi ricordiamo: il provvedimento votato dal Consiglio dei ministri che stabiliva il trasferimento in Vaticano della Biblioteca Chigiana, acquistata dallo Stato insieme al palazzo nel 1918; la delibera che stabiliva 1’erogazione di tre milioni di lire per il restauro delle chiese danneggiate dalla guerra, nonché le sostanziose sovvenzioni date a scuole italiane all’estero tenute da congregazioni religiose; l’ordine di mettere il crocifisso nei luoghi pubblici, come scuole, aule giudiziarie ecc.; i provvedimenti per la tutela della moralità pubblica (come quello sulla repressione dei giochi d’azzardo) insistentemente chiesti al capo del Governo dall’Azione Cattolica .Ma i provvedimenti che maggiormente furono apprezzati e lodati dalla Gerarchia ecclesiastica furono due: la riforma scolastica e la delibera del Gran Consiglio del Fascismo sulla incompatibilità tra i principi del fascismo e quelli della massoneria.

La cosiddetta riforma Gentile», in materia scolastica, fu certamente uno dei provvedimenti più significativi presi dal nuovo Governo. In realtà essa fu più apprezzata dai cattolici e dai popolari — i quali a quel tempo facevano ancora parte della coalizione di Governo — che dagli altri gruppi politici. Infatti essa faceva propri alcuni principi del programma popolare in materia scolastica, quali l’introduzione dell’esame di Stato e l’insegnamento religioso obbligatorio nelle scuole primarie. Nuovo pero era lo spirito che animava tale riforma, la quale si muoveva secondo la ben nota direttiva: l’insegnamento religioso — disse il ministro della Pubblica Istruzione, il filosofo Giovanni Gentile deve diventare il principale fondamento «dell’educazione pubblica e di tutta la restaurazione morale dello spirito italiano». In realtà, Gentile lavoro per dare all’istruzione pubblica un nuovo fondamento teorico ispirato alla filosofia storico-idealista: si voleva, cosi, superare la vecchia impostazione positivista data alla scuola pubblica dalla vecchia legge Casati ed esaltare i valori della patria e della latinità. L’insegnamento religioso era da lui considerato come uno (non certamente il solo) dei valori di questa tradizione storica che bisognava riscoprire e rimettere in onore. La politica di cordiale avvicinamento del Governo fascista alla Chiesa trovo presto pronta accoglienza in quella parte della Gerarchia ecclesiastica, a quanto pare non poco numerosa, che vedeva nel fascismo, e nel suo capo, nonostante alcune sue intemperanze o esagerazioni, l’unica forza politica capace di riportare l’ordine nel Paese e soprattutto di saper tenere a bada le forze eversive (socialisti e comunisti) e i nemici della Chiesa (massoneria). Per la prima volta nella storia unitaria, si sentirono vescovi dire, al momento della presa di possesso della loro diocesi: «Sento il dovere di mandare pure il mio saluto a colui che indirizza l’Italia sulla via retta, a colui che da nuovo vigore alla Nazione, al capo del Governo». Cosi fece monsignor Paino, vescovo di Messina. Si videro, inoltre, vescovi e cardinali partecipare a cerimonie pubbliche accanto a rappresentanti dello Stato o a gerarchi fascisti, per commemorare il Milite Ignoto, i caduti in guerra, o qualche altro avvenimento della recente storia nazionale.

Ciò che fece rumore a quel tempo, sia negli ambienti cattolici sia in quelli liberali, fu lo scambio di visite, avvenute a breve di-stanza di tempo, fra il nuovo regio commissario per la città di Roma, F. Cremonesi, e il cardinale B. Pompilj, vicario del Papa: visita quest’ultima che L’Osservatore Romano del 14 marzo 1923 definì come «privata» e di semplice cortesia. Ciò avvenne dopo che il Governo aveva ottenuto le dimissioni del Consiglio comunale di Roma e del suo sindaco, e la nomina al suo posto di un egregio rappresentante»: per la «città eterna» si voleva un uomo fedele al fascismo e soprattutto non inviso alla Santa Sede. Egli infatti avrebbe dovuto curare i rapporti con il Vaticano secondo le indicazioni del regime e accoglierne, nella misura del possibile, le richieste, in particolare quelle concernenti la preparazione del grande giubileo dell’Anno Santo 1925. Tutto il mondo in quell’occasione avrebbe constatato che Roma era ritornata ad essere il centro dell’universo cattolico e che, per merito del Governo fascista, il Papa ritornava a esservi rispettato e ascoltato come non era accaduto nell’ultimo cinquantennio di storia unitaria e liberale. L’On. Cremonesi da parte sua fece di tutto nei suoi anni di «governatorato» per guadagnarsi la fiducia dei cattolici romani e della Santa Sede, anche andando incontro ad alcune richieste di quest’ultima, che per lunghi anni erano rimaste inascoltate dalle amministrazioni liberali della Capitale. Sebbene i rapporti tra autorità pubblica civile e autorità ecclesiastica diventassero sempre pin «amichevoli» e rispettosi, soprattutto a Roma, non va dimenticato perchè in alcune regioni del nord Italia, dove la presenza dei popolari era più forte e attiva, ci furono spesso tensioni tra autorità civili, spesso fasciste, e autorità religiose. Queste divennero sempre pia forti col passare del tempo: vale a dire quando a partire dal febbraio del 1923 — cioè dopo il congresso del Ppi a Torino e l’uscita dal Governo dei popolari — si intensifica la lotta del fascismo contro il partito di don Sturzo e le organizzazioni politiche ed economiche popolari. Sebbene alcuni prelati di curia o alcuni vescovi residenziali si lasciassero andare a considerazioni pin che generose nei confronti dell’operato del nuovo Governo, Pio XI al contrario mantenne su questo tema il massimo riserbo. Pubblicamente non disse una parola sull’indirizzo politico del Governo Mussolini, ma privatamente a chi gli chiese consiglio sul come agire nella presente situazione, disse parole chiare e inequivocabili, come quelle gia ricordate, dette al p. A. Gemelli nell’autunno del 1923: ««Lodare [il fascismo], no; fare l’opposizione aperta, non conviene, essendo molti gli interessi da tutelare. Occhi aperti!».

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