Cucina molecolare e pagnotte di Lucania


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Capita raramente di trovare in un quarto di pagina di giornale, tutto il suo contrario; e cioè in grafica “Cucina molecolare” e prodotti naturali. Ci è accaduto di recente su “Il Sole 24 Ore”, con la recensione di un libro dove si parla di gastronomia tra “molecole” e reazioni chimiche e si scrive di Lucania e dei suoi “tesori” naturali e tradizionali.

Cominciamo dal libro: “Cucina e scienza” pubblicato dalle edizioni Hoepli, (pagg. 230, € 19,00) da Stefano Colonna – professore di chimica e amante della buona cucina – e dall’esperto di gastronomia Fabiano Guatteri.

Un minimo di familiarità con le molecole e le reazioni chimiche in cui esse sono coinvolte, spiegano i due autori, aiuta non solo a capire i fenomeni, a sgombrare il campo da superstizioni e luoghi comuni, ma crea anche i presupposti per nuove invenzioni. Il libro si inserisce nel filone della gastronomia molecolare, una disciplina sviluppatasi alla fine del 1980, codificata nel 1992 da fisico francese Harvè This e lanciata a livello mondiale dal cuoco-alchimista inglese Hcston Blumenthal. In cucina – scrive nella recensione Antonia Bordignon – In cucina le competenze scientifiche possono migliorare prodotti e processi. Con l’azoto liquido si può creare in 30 secondi un ottimo gelato che non gela la bocca. Si può friggere il pesce in una miscela di zuccheri fusi anziché nell’olio, eliminando i grassi e dimezzando i tempi di cottura. Ma anche creare una maionese senza uova, usando la lecitina di soia,un emulsionante vegetale ricco di proprietà salutari che favorisce l’eliminazione dei grassi e del colesterolo nel sangue.

La scienza aiuta a capire anche che per un buon brodo è indifferente immergere la carne nell’acqua fredda o calda e che per un buon arrosto, la rosolatura iniziale è ininfluente.

Il libro ha tre sezioni, la prima è dedicata all’esame dei vari ingredienti (alimenti, integratori e additivi).Qui è spiegato, tra le altre cose, che l’equazione cibo biologico uguale cibo sano non è una verità assoluta. L’unica certezza è che contiene meno pesticidi e residui sintetici, ma potrebbe avere maggiori quantità di pericolose tossine naturali. La seconda parte esamina i processi di cottura, i metodi di conservazione dei cibi, i processi di trasformazione. Nella terza, infine, si parla di menu, gusti, sapori, aromi. Esaminando i sapori si viene a sapere che il piccante del peperoncino generato dalla capsaicina, è avvertito in misura maggiore dalle donne, perché l’estradiiolo, ormone tipicamente femminile, potenzia l’effetto della molecola. Dall’analisi sensoriale emerge poiché quando profuma di buono, il cibo è buono.

Ma risponde il “nostro” squillo di tromba; quel Davide Paolini che seguiamo da anni con stima affettuosa. E comincia come meglio non si potrebbe; con un delineazione della Lucania, che è davvero cultura profumata”. Perché la definisce: Terra dolce-piccante come il suo più noto peperone, saporita come le sue luganeghe a punta di coltello, povera ma orgogliosa come 1a sua pezzente. La Basilicata è – prosegue Paolini – un territorio forse trascurato dal viaggiator goloso per le sue anguste vie di comunicazione, per la carenza di collegamenti ferroviari, per l’assenza di aeroporti. Peccato perché sarebbe terra di viaggiatori (e non di turisti) in grado di offrire paesaggi che si rinnovano di stagione in stagione. È una regione ricca di i un patrimonio gastronomico eterogeneo, generato dalla sua attitudine a rielaborare, con creatività e semplicità, tutti gli elementi offerti dalla natura…

Un territorio tuttora legato alle usanze gastronomiche del’mondo contadino, di cui possiamo gustare i sapori d’antan a cominciare dal “pane’mbusso”, dove il pane raffermo è inzuppato nei fagioli. Il pane, appunto, sulle li tavole lucane non manca mai: farina, acqua e lievito madre plasmati anche in pagnotte da 10 chilogrammi, cotti sempre nei forni a legna (come all’antico Forno Lucia Perrone “pane e pace” di Matera). Il pane di Matera è oggi giustamente Igp (Indicazione geografica protetta) per le sue eccellenti qualità e soprattutto per vecchie varietà di grano duro (Cappelli, Duro Lucano,Capeiti, Appulo). I passaggi di popoli conquistatori hanno lasciato contaminazioni: con gli Svevi arrivò il rafano, da cui la rafanata. Con i francesi,arrivò il biancomangiare, cucinato soprattutto dai pastori, per il divieto, allora imposto dal calendario liturgico, di cagliare il latte durante l’ascensione. Importato dai Longobardi, invece, fu il baccalà. Oggi è proposto in zuppa, arrostito, fritto con peperoni cruschi, ovvero secchi e saltati in padella. I peperoni sono quelli di Senise, assai noti anche per la polvere rossa che deriva dalla macinatura.

Assai bizzarra è invece la provenienza, pare africana, della rara melanzana rossa di Rotonda. Ricca di carboidrati, la cucina lucana è rinomata per le sue paste fatte in casa: famosi gli strascinati o i cauzuni (ravioli) serviti su un letto di crema di fave con verdure fresche alla menta, le orecchiette con le verdure selvatiche (piatti locali lucani d’assaggiare: Trattoria Lucanerie di Matera, Locanda del Palazzo a Barie, Al Becco della Civetta di Castelmazzano), i cavatelli con ragù.

I formaggi abbondano: Caciocavallo Silano, Caciocavallo Podalico (la razza podolica è pure pregiata per la carne), Fior di latte, Cacio ricotta, Rinomati i piatti con i fagioli di Sarconi, con i quali si prepara anche una crema dolce, da abbinare ai formaggi freschi…”.