A cura di Paolo Granzotto FORSE UN GRAN DIBATTITO SULL’89 E NAPOLEONE


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Le premesse ci sono tutte e forse ci siamo: a un grande dibattito, un dibattito serio con tutti i pro e anche tutti i contro sulla Rivoluzione Francese e in particolare su Napoleone Bonaparte. Questa prospettiva ci pare di cogliere in una recente “lettera2 sulla Posta dei Lettori de “Il Giornale” e quanto ha scritto in risposta il curatore della rubrica, Paolo Granzotto, sotto il titolo: “Se il rivoluzionario è soltanto un truffatore”. Ecco la lettera ed ecco la risposta di Granzotto:

“Uno dei suoi pallini è di approfittare di ogni occasione che le forniscono i lettori per fare del revisionismo sulla Rivoluzione Francese e se può anche su Napoleone Bonaparte. Non le contesto le sue osservazioni in materia, ma mi sembra che lei esageri un po’ nel demolire uno dei massimi momenti storici del genere umano che fu alla base di quella che è la società moderna. Non le nego che la Rivoluzione peccò in qualche eccesso, ma i benefici che il genere umano ne trasse sono incomparabilmente più luminosi delle poche pagine buie. Non vorrà contestare anche questo, io auspico.”. A. Riccobono – Perugia.

*****

Lei auspichi pure, caro Riccobono, ma quelle che definisce poche pagine buie non furono così poche e l’insigne blasone rivoluzionario ne è inzaccherato senza che ci sia candeggina, nemmeno quella della famosa marca «Ideali&Valori Lustratutto», che possa porvi rimedio. Gli eccessi ai quali si abbandonarono gli onnipotenti “répresentants-en-mission” e dei quali furono vittime centinaia di migliaia di innocenti, non si contano, caro Riccobono. Glie ne rammento qualcuno: Claude Javogue, “répresentants-en-mission” nella Loira, amministrava la giustizia, chiamiamola così, ubriaco. Mandava a morte – ghigliottina, fucilazione, strangolamento o, nel caso di condannati in gruppo, colpi di cannone – quanti non gli erano simpatici, indipendentemente dal loro stato sociale e dalle presunte colpe. Nicolas Guenot, che fino alla rivoluzione s’era

guadagnato la vita vendendo tronchi d’albero alle segherie di Parigi, fece ghigliottinare tutti i mercanti di legname coi quali precedentemente ebbe a che fare. Il fantasioso Jean Baptiste Carrier, “répresentants-en-mission” a Nantes, s’inventò invece il «matrimonio repubblicano»: dopo averli denudati, faceva legare strettamente gli uomini con le donne. A bordo di un barcone i condannati venivano poi portati in mezzo alla Loira e lì scaraventati in acqua dove annegavano fra i lazzi dei loro aguzzini che auguravano loro felicità e figli maschi. Comportamenti, quelli dei delegati del Direttorio giacobino, che con l’alto messaggio rivoluzionario – libertà, uguaglianza e fraternità – mi pare abbiano poco da spartire. O sbaglio? Per quel che concerne Napoleone, dopo essermi tolto il cappello in omaggio a tanto nome vorrei ricordarle che con le sue guerre (giuste? Ingiuste? Preventive? Consuntive? Umanitarie? Ferine? Bisognerebbe chiederlo a Pecoraro Scanio) falcidiò mezza Europa. Certo, «liberava» i popoli, ma per poi assoggettava il suo dominio (o al dominio di qualche suo stretto familiare). Li «liberava» e li razziava, li depredava a mano bassa di oro, bestiame, derrate alimentari. I suoi “grognards” non erano seguiti dalle cucine da campo: in dotazione ricevevano una treccia d’aglio e tutto il resto erano costretti a reperirlo in loco, con le buone o con le cattive. Quando dieci-quindicimila di loro attraversavano una campagna, entravano in un villaggio, agli abitanti non restavano nemmeno gli occhi per piangere. E poi c’era lui, il barone Dominique Vivant Denon. Gentiluomo di corte di Luigi XVI, addetto al gabinetto d’arte della Marchesa di Pompadour, quando scoppiò la Rivoluzione si scoprì rivoluzionario. Caduto Robespierre intuì (i voltagabbana hanno l’intuito fine, per certe cose) che l’astro nascente si chiamava Bonaparte così che gli si mise alle costole e non lo mollò più. È, Denon, l’uomo che ripulì l’Europa, l’Italia in particolare, delle più importanti opere d’arte con le quali approntò il “Musée Napoléon”, oggi museo del Louvre. Poiché rubava per conto di Napoleone fu ritenuto – e tuttora lo è – un raffinato intellettuale progressista benemerito della cultura. Ma la verità, caro Riccobono, è che era un ladro, un fottutissimo ladro.” – Paolo Granzotto.

(a cura di Pino Rauti)