Dalla morte di Oppo nuova Vita per tanti


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Cisono morti che “creano” nuove occasioni di Vita. E ci sono lutti – tra i piu’ sentiti e dolorosi per chi si trova a soffrirne – che sprigionano poi impulsi magnifici di nuove attivià. Così è stato per i due “personaggi” di cui intendiamo scrivere e per il lutto che li colpì, con la morte del loro figlio: Resi Madia e suo marito l’ingegnere Salabè, uyno dei pu’ dinamici imprenditori di Roma.

E per illustrare questa, al tempp stesso, dolorosa e meravigliosa vicenda, pubblichiamo quì di seguito qualche stralcio del volume che vi è dedicato:

– Oppo e le sue stanze –

Mi trovo all’ospedale S. Eugenio di Roma, davanti al professor Amadori, il primario del reparto in cui Oppo è stato curato. La sua faccia la conosco bene, così come gli odori, i rumori di questi corridoi. Ci sono parenti che aspettano responsi, altri che camminano sottobraccio con pazienti senza capelli, senza ciglia né sopracciglia, pazienti sottoposti a chemioterapia. Mi rivedo anch’io lì, insieme a loro, nelle varie fasi della malattia di Oppo. Per un attimo ho perfino nostalgia. E’ la prima volta che vengo in ospedale senza mio figlio. Il suo cuore ha smesso di battere pochi giorni fa, sono confusa, stordita.

Ho ancora nelle orecchie le parole del funerale, negli occhi le facce attonite dei compagni di scuola di Oppo, sulla pelle i baci di tante persone che a stento riconosco. Tutto mi è scivolato addosso. Troppo forte, è un dolore che mi allontana, mi coglie impreparata. Ho un ronzio nella testa: l’aereo, il ritorno da Houston, la bara che non si trova, che non viaggia con noi nel nostro aereo. Le pratiche burocratiche, la lingua americana che comprendo a fatica. E ancora quel momento, quell’attimo in cui le macchine, alle quali era attaccato, indicano che Oppo non c’è più. Quell’attimo in cui ho la certezza, chiara, nitida, che lui, al contrario, è più che mai accanto a me, accanto a noi, sua madre e suo padre.

Mi sono persa per un istante. Ora ho di fronte il professor Amadori e Oppo accanto a me, dentro di me. Si, può sembrare strano, ma è proprio lui che mi ha spinta a venire qui. Perché? Ora non ha più bisogno del S. Eugenio. Eppure sento che qui, nella sofferenza di coloro che lottano con la sua stessa malattia, c’è lui, c’è ancora lui.

“Ho pensato, insieme a Mario, di donare all’ospedale una sala d’attesa – dico determinata ad Amadori -una sala in cui i parenti dei malati possano essere accolti con poltrone dove riposare, bevande per sostenersi, e tutti quei conforts che sono indispensabili. “Sarebbe bello – conviene con noi il professore – ma c’è qualcosa di più importante della sala d’attesa. La degenza nelle camere sterili è obbligatoria per la guarigione. Ma in Italia non sono molti gli ospedali che dispongono di camere sterili singole, dove è possibile effettuare il trapianto del midollo con strumentazioni idonee. La situazione può e deve essere migliorata”. Chiediamo quanti soldi occorrono relativamente al suo reparto. La risposta è: quattro miliardi. (siamo nella primavera del 2000) Vacillo. Impossibile, penso sulle prime. Mario si illumina. Perché no, se Oppo lo vuole?

Personalmente sono convinta che è proprio Oppo a suggerirci che ce la possiamo fare. Come? Non lo so proprio. So che l’impegno lo ha preso lui e che dunque proprio lui ci guiderà. E’ passato più di un anno da quell’incontro. Ormai l’associazione Oppo e le sue stanze è una ONLUS, vale a dire un’organizzazione non lucrativa riconosciuta dalla Regione Lazio. La Regione Lazio ha stimato il solo progetto esecutivo per le camere sterili, presentato da Mario, per un valore di trecentottanta milioni.

L’Associazione è nata a febbraio del 2000, in soli dieci mesi hanno aderito circa seicento soci. Il ventiquattro maggio dello stesso anno, giorno del compleanno di Oppo, c’è stato un pranzo inaugurale. Da allora, si sono moltiplicate le manifestazioni di solidarietà in memoria di Oppo, molti giornali ne hanno parlato, perfino qualche telegiornale. Testimonials – si dice così? – prestigiosi, che per la maggior parte non conoscevo prima, hanno prestato gratuitamente la loro ‘immagine’ per seminari di studio, maratone, gare di nuoto, partite di calcio, mercatini dell’antiquariato, addirittura il derby del cuore degli attori contro i cantanti. Incredibile, io non ho fatto nulla. O quasi. Gli incassi? Tutti nel salvadanaio delle camere sterili di Oppo e le sue stanze. Non avrei mai immaginato di avere tante amiche, tante mamme di compagni di scuola che quotidianamente stabiliscono ‘turni svizzeri’ per darsi il cambio nella segreteria dell’associazione, facendo marciare un’organizzazione che io stessa stento ancora a credere che esista davvero. E invece, grazie a tutti, dopo soltanto pochi mesi dalla sua fondazione, può già contare su una cifra significativa. E questo mi lascia sperare che continueremo a ricevere aiuto fino a realizzare il nostro progetto…..

In ospedale avevamo appena lasciato genitori, pazienti che venivano dal meridione. E il giorno dopo li incontravamo di nuovo, molti avevano dormito su una panca, lontani dal loro familiare ammalato, infreddoliti, stanchi, scoraggiati. Non si lamentavano per non deprimere il parente che stava male. Non solo. Ho ascoltato anche racconti di lunghe malattie che avevano messo sul lastrico intere famiglie, costrette a mantenersi fuori casa. Ora è chiaro, Oppo mi ha mandato un messaggio: si vuole occupare di loro, ci dobbiamo occupare di loro. Oggi, i familiari dei malati ematologici del S. Eugenio, possono avere voli Alitalia, ospitalità con prima colazione in alberghi convenzionati, buoni – pasto, buoni-benzina. Il tutto gratuitamente, telefonando a Oppo e le sue stanze. Rispondiamo noi, ma è come se rispondesse direttamente lui….”

a cura di Pino Rauti
oppo

Adolfo Jr. Salabè
Oppo, per tutti noi

Associazione “Oppo e le sue stanze” –
Iniziativa per le infrastrutture, lo studio, la prevenzione,
la cura dei tumori e per l’assistenza dei malati e dei loro familiari – Segreteria: Viale SS. Pietro e Paolo, 24 –
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