Dopo la fine della guerra, nel '45 - I campi USA della "morte lenta"


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Il genocidio dei prigionieri tedeschi nei lager degli americani e dei francesi, documentato in un libro con rivelazioni sconvolgenti.

“Peccato che non abbiamo potuto ucciderne di più” esclamò Eisenhower, prendendo nota del gran numero di prigionieri italo-tedeschi, caduti nelle sue mani alla cessazione delle ostilità in Tunisia. Ike era – come è noto – il “liberatore d’Europa” dal nazismo, il massimo campione dei diritti dell’uomo e della democrazia!

Il suo frenetico, viscerale odio per i tedeschi era ben conosciuto, ma solo l’incredibile omertà dei mezzi di comunicazione democratici di tutto il mondo e, in particolare, la sorprendente mancanza di coraggio della stampa germanica, hanno consentito di nascondere, fino ad ora, a quali vertici di brutalità e di crudeltà tale odio abbia portato, non solo durante le ostilità – basti ricordare gli orrendi bombardamenti che provocarono la morte di circa due milioni di civili in Germania e nei paesi dell’Asse – ma anche dopo, sugli inermi prigionieri. Ogni convenzione internazionale in proposito fu sfrontatamente stracciata dagli americani e dai francesi ai quali, alla fine della guerra, erano state consegnate molte centinaia di migliaia di prigionieri tedeschi per lavori forzati “a titolo di riparazioni”.

Una sconvolgente documentazione è recentemente apparsa nella pubblicazione di un giornalista canadese, James Bacque, cui ha generosamente collaborato Ernest F. Fischer, un colonnello dell’esercito americano, recatosi pazientemente e ostinatamente a frugare, negli archivi militari, fra quei documenti che non si era ancora riusciti, frattanto, a far prudentemente sparire.

Insieme ai militari si trovavano anche donne, vecchi e bambini, fuggiti dinanzi all’avanzata delle truppe sovietiche, nell’illusione di sottrarsi ai massacri, ai saccheggi, agli stupri di massa che queste andavano compiendo dovunque.

Furono così rinchiusi in lager (200 americani nella Germania occupata e circa 1600 in Francia), alcuni grandissimi, dove generalmente non esistevano baraccamenti, oltre 4 milioni di uomini. Erano campi recintati di filo spinato, dove i reclusi vivevano perpetuamente all’aperto, esposti alle intemperie, al freddo o al sole ardente, senza servizi igienici. Essi dormivano la notte entro fosse da loro stessi scava te nel terreno per ripararsi, invase dall’acqua piovana, dal fango, da piccoli animali.

Le razioni alimentari vennero voluta mente sempre più ridotte, al di sotto del limi te di sopravvivenza, benché i depositi dei vincitori abbondassero di viveri. Persino l’acqua era crudelmente razionata: occorreva stare in coda per ore, talvolta una notte intera, onde procurarsi da bere.

Si diffusero in tal modo enormemente le malattie e i prigionieri morivano a centinaia, ogni giorno, di fame e sete, di dissenteria, di polmonite, di malattie cardiache. Il comandante francese di questi campi li definì bagni di morte lenta.

Con la complicità di De Gaulle si riuscirono così ad eliminare oltre 800.000, forse un milione di prigionieri. Gli altri, che avrebbero dovuto essere liberati e restituiti alle famiglie, furono invece trattenuti per anni e sfruttati come schiavi, a somiglianza di quanto faceva contemporaneamente Stalin, l’altro esemplare vindice della libertà e dei diritti umani.

Si compiva dunque la grande vendetta, ma oggi, cominciando a spezzare l’infame omertà di mezzo secolo si può già stabilire di quale stoffa fossero i liberatori contro i quali si batterono disperatamente i soldati della R.S.I. – Carlo Amedeo Gamba –

(James Bacque – Gli altri Lager – ed. Mursia, pag. 218 – Euro 16.000)