"Gentile, un'eredità da rilanciare" di Marcello Veneziani


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(da “Il Messaggero” – 4 marzo 2004)

“Sessant’anni fa fu ucciso il maggiore filosofo italiano del Novecento, Giovanni Gentile. A differenza del suo fraterno nemico, Benedetto Croce, Gentile fu dannato nella memoria accademica e civile perché fu fascista e da fascista fu ministro della Pubblica istruzione, ispiratore della dottrina fascista, impresario di cultura. Ma di lui non si ricorda un solo atto di intolleranza: mai condivise la persecuzione degli antifascisti, che anzi protesse e portò a collaborare all’Enciclopedia e alla pubblica istruzione, criticò le leggi razziali e fu detestato dai razzisti, non amò l’alleanza con Hitler. E produsse una grande riforma della scuola, promosse la più grande impresa culturale del nostro Novecento, l’Enciclopedia italiana, guidò le massime istituzioni culturali italiane e scrisse opere destinate a restare nei classici del pensiero. Fu ucciso perché non volle cambiare idea né tirarsi indietro di fronte alle responsabilità, al punto da accettare dopo anni di emarginazione dal regime, di assumere la guida dell’Accademia d’Italia al tempo della Repubblica sociale, in piena guerra civile. Pochi mesi prima aveva scritto: “Il coraggio civile è la ferma fedeltà alla propria coscienza nel parlare e nell’agire secondo i suoi dettami, assumendosene di fronte agli altri tutta la verità”. Infine rivolse, pochi mesi prima di morire, dal Campidoglio, un discorso a tutti gli italiani con un appello accorato alla concordia e al superamento delle fazioni che suscitò l’ammirazione di molti italiani ma anche le ire di fascisti e antifascisti intransigenti. Gentile pensò il fascismo come il braccio secolare dell’Italia; il fascismo passa, l’Italia resta.

Ma noi non abbiamo ancora fatto i conti con Gentile e viviamo sulle tracce di quel parricidio rituale che fu consumato non solo nel rito di sangue del 15 aprile di 60 anni fa, ma ancor più negli esorcismi e amnesie degli anni seguenti. Rimozione totale di quel che Gentile ha fatto e scritto pur avendo lasciato una traccia profonda nella cultura italiana. Le più significative culture postfasciste trassero le loro origini da Gentile: l’italo-marxismo, a cominciare da Gramsci, Togliatti, il gruppo di Ordine nuovo e mediante Ugo Spirito larga parte dell’ intellettualità italiana; il pensiero liberalsocialista e azionista, a cominciare da Gobetti per arrivare a Calogero, maestro del presidente Ciampi, e di Capitini; molti filosofi cattolici, da Guzzo a Sciacca a Carlini. E per vie diverse Del Noce, Severino, Antimo Negri, Andrea Emo, e altri ancora. L’unico libro su Marx di un italiano citato positivamente da Lenin fu “La filosofia di Marx” scritta dal ventiquattrenne Gentile; ma quando il saggio di Lenin su Marx fu tradotto in Italia dalle edizioni di Rinascita del 1950, fu cancellato il riferimento a Gentile dal suo curatore italiano. Che era Palmiro Togliatti . in persona.. .Ma Gentile non fu cancellato solo da Togliatti: la repubblica italiana ha evitato di dedicargli strade, epigrafi, luoghi e memorie. Di Gramsci, che pure teorizzava come Gentile un regime totalitario, resta ampia e meritoria traccia nella memoria collettiva, nella toponomastica, ovunque. E di Croce non di meno. Di Gentile poco o nulla. Ora che il fascismo è davvero una cicatrice e nessuna forza politica se ne dichiara discendente, ora che il tempo – grande scultore- è passato, è giunta l’ora di restituire Gentile all’Italia e al mondo. Dico non solo come filosofo, di cui è irrimediabile l’inattualità, il che .non sempre è un demerito, soprattutto se si ha il respiro dei classici. Ma come grande propulsore di cultura italiana. Vera. Non di parte. Perché Gentile fu filosofo della nazione.

Mi dicono che c’è una via secondaria a lui dedicata. Ma sarebbe ora che si desse in qualche modo un segnale di apertura alla tradizione italiana, di pietas per gli errori commessi e insieme di ammirazione per un pensiero e un’opera che hanno lasciato un’impronta gigantesca sul nostro paese. La memoria non può ricordare solo gli orrori del passato; e si devono ricordare anche gli uomini migliori che vissero nei tempi peggiori. Non invoco lottizzazioni stradali della memoria, anche se non mi scandalizza che via Gramsci parta da una piazza Gentile (sarebbe perfino coerente). E non alimento revanscismi, o riprese d’odio per quell’assassinio, tanto è vero che rivolgo l’appello in primis al sindaco di Roma, Veltroni: in vista di quell’anniversario del 15 aprile si faccia promotore di un pensiero gentile”.