I beni artistici in Italia. Catalogazione: fonte di magnifiche scoperte


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Come tutti ricordiamo, fu Federico Zeri a battersi con grande impegno – specie negli ultimi anni di vita – perché si desse luogo ad una “catalogazione” completa dello sterminato patrimonio artistico nazionale. E com’è altrettanto noto, non se ne è fatto nulla o quasi; e la mancanza di fondi continua ad asfissiare un settore, meglio un’area di enorme estensione che, ben gestita, rappresenterebbe, ad avviso di molti, una fonte di reddito per lo Stato bastevole ad eliminare deficit e croniche “stangate” ricorrenti.

Lo dimostra il “caso Benati” – esperto di notorietà mondiale – che, incaricato della “schedatura” dei primitivi emiliani della Pinacoteca Nazionale di Bologna, avviata dal Sopraintendente Iadranka Bentini, farà uscire fra un paio di mesi – per l’editore Marsilio – un Catalogo di ben 4 volumi.

Ma c’è dell’altro, a conferma della esattezza della “richiesta” di Zeri che ricordavamo all’inizio e della tesi di cui abbiamo detto poc’anzi.

Perché, catalogando e inventariando e “schedando” si fanno scoperte di grande valore.

Ne scrive – sul supplemento culturale del “Sole-24 Ore” del 7 novembre, continuiamo a riscontrare noi che lo seguiamo da anni ed anni – Marco Carminati, che qui riprendiamo e che riferisce, appunto, sull’ottimo lavoro del Benati:

“Lo storico dell’arte ha lavorato con metodo: prima, ha passato al setaccio tutti i dipinti esposti nelle sale della Pinacoteca; poi, quelli conservati nei ricchi depositi di Palazzo Pepoli. Infine, si è diretto verso i depositi esterni, uno dei quali si trova addirittura fuori Bologna: è il Seminario di Villa Revedin a San Michele in Bosco.

In questo luogo, in una camera della foresteria annessa all’appartamento arcivescovile, lo studioso-detective ha fatto una scoperta sensazionale: tavolette su fondo oro, che g1i antichi inventari dicevano di «maniera bizantina» e che nessuno prima d’ora aveva mai fotografato, all’ occhio allenato del conoscitore si sono immediatamente rivelate due bellissimi autografi del pittore Gentile di Niccolò di Massio, meglio noto col nome di Gentile da Fabriano (1385 circa – 1427), il più grande esponente della cultura tardo gotica italiana, accanto ad Antonio Pisano detto il Pisanello.

«La mia sorpresa è stata grande davanti a questi quadri» ha detto Benati «anche perché mi sono subito accorto che queste due tavolette, illustranti due Apostoli non meglio identificati, facevano serie con altre due tavolette identiche per formato e soggetto già ben note agli studiosi, ora conservate nella Collezione Berenson di Firenze e correttamente riconosciute a Gentile da Fabriano dal mio maestro Carlo Volpe, dopo una prima attribuzione a Pisanello formulata dallo stesso Berensoll»…”.

Ma c’è di più, scrive ancora Marco Carminati. Perché “dietro una delle tavolette fiorentine si legge un’iscrizione molto importante: in sintesi essa dice che queste tavole sono «frammenti che erano nella cappella di casa Sandei» nella chiesa di Santa Sofia a Venezia; e specifica che erano «bande della palla con intagli all’antica, i quali dai tarli erano corrotti». L’iscrizione, datata 1610, è piuttosto chiara: ci conferma che i quattro pilastrini (bande della palla) provenivano da un grande polittico gotico (all’antica) conservato sull’altare Sandei nella chiesa veneziana di Santa Sofia…”

(a cura di Pino Rauti)