I papà-vecchi e Nazione ”triste”


Qualche primato lo abbiamo: siamo – nel mondo – il Paese dove nascono meno bambini; e siamo anche il territorio – come si è accertato di recente lungo le coste calabresi – dove ci sono centinaia di depuratori costruiti con grandi spese e poi lasciati lì a non funzionare, sotto gli occhi di tutti.

In Italia – e solo in Italia, rispetto all’intero mondo – accade anche che i processi durino dai 5 ai 10 anni (e anche una quindicina, quelli amministrativi) e che, quasi tutte le Procure siano sguarnite di personale, mentre abbiamo 200.000 laureati o diplomati impegnati in lavori “neri”.

Adesso, salta fuori che siamo il Paese che ha “i papà più vecchi nel mondo”; notizia che suscita ovviamente interessi su tutti i giornali e le TV ma che, come vedremo, dovrebbe far molto riflettere molto seriamente per ciò che significa e per quello che provoca, in termini di “ricaduta” nel corpo sociale.

Siamo con i papà più vecchi – dimostra dunque l’ISTAT – perché in media, la paternità arriva dopo la carriera. I neo-papà italiani diventano tali, in media, a 33 anni di età, diventano tali, in media, a 33 anni di età, due anni più tardi di quello che accade in tutti i Paesi europei. E così abbiamo un altro “primato”: c’è un bel 40% di uomini fra i trenta e trentaquattro anni che vive ancora con i genitori. E anche quando si sposano, è dimostrato che sono gli uomini più delle donne a decidere di “posticipare” la nascita del primo figlio.

L’ISTAT ha tratto un volume, da questa analisi tanto essa è ricca di spunti interessanti, ma da quanto abbiamo potuto leggere in molte recensioni – e in attesa di poter consultare il libro – ci sembra che l’analisi sia centrata quasi esclusivamente sui “motivi professionali”, a spiegare il ritardo. A noi sembra così. Perché, a “costringere” gli uomini al ritardo di sposarsi e di avere il primo figlio, operano tanti altri fattori: la crescente difficoltà di trovare un lavoro serio e continuativo; i costi delle case cresciuti a dismisura e che sono un ostacolo enorme a “mettere su famiglia” e via di questa passo, come ci dicono le cronache correnti.

Ma dicevamo che il “ritardo” è fenomeno da esaminarsi con ben più interesse di quanto sia stato fatto. Perché è in esso la “radice” di tante altre distorsioni e motivi di crisi sociali; chi si sposa tardi tende a fare un , solo figlio – da cui il tracollo demografo è in atto, da esaminarsi anche nel confronto con le famiglie di immigrati che invece di figli ne hanno, in media, tre o quattro – e ovviamente diventa nonno in tarda età, quando dovrebbe assistere (come hanno sempre fatto i nonni più giovani) e non essere “assistito” come invece richiedono gli anziani dei nostri tempi. Il tutto è, diciamo così, annacquato e “stemperato” nel contesto del fenomeno che vede tutti vivere più a lungo ma, come tendenza di fondo, non v’è dubbio che “padri anziani” provocano, sia pur lentamente, una generazione dopo l’altra, conseguenze negative e pesanti.

Tutto questo, infine, diciamo per ribadire una nostra “tesi”, anch’essa ormai vecchia: se non si ha una seria, incisiva, massiccia politica per la Demografia e la Famiglia , sarà la comunità nazionale nel suo complesso e nella sua stessa esistenza “fisica” ad essere messa in discussione.

Culle vuote e papà vecchi: ma che Nazione triste stanno facendo crescere!

P.R.