I tempi “stralunghi” della Giustizia Italiana

image_pdfimage_print
[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

E’ strano – ma è tragicamente italiano – che si continui a discutere di Giustizia senza tener conto della realtà; e cioè di come funziona la “struttura”, di come concretamente opera; e cioè all’insegna della lentezza.

Caso unico -attenzione!- in Europa e nel mondo intero. Perchè non c’è un solo Paese al mondo dove i processi e i procedimenti giudiziari in genere durano, si trascinano e “annaspano” come avviene da noi

Le liste d’attesa dei Tribunali – leggiamo su “Libero” a firma di Gabriele Mastellarini – variano dai 3 anni di Roma ai quasi 5 anni di Venezia, ecco una prima cifra da tenere a mente. Leggiamo ancora: Un processo d’appello? Tra. quattro anni. E se va male? Si presenti nel 2015. E poi? Poi c’è la Cassazione. «Non ho il tempo di aspettare», ha scritto un’arzilla 85enne al Presidente del Tribunale di Macerata dopo aver appreso dal suo avvocato che, per un impedimento del giudice designato, una causa civile del 2002 per una vendita immobiliare era stata rinviata d’ufficio al 2011. A Venezia, la neo presidente della Corte d’Appello, Manuela Romei Pa-setti, ha sciorinato i dati dei processi pendenti in Veneto: 1.326 appelli civili si terranno nel 2012, 937 nel 2013,263 nel 2014 e ora la cancelleria ha aperto il librane per il 2015, incardinando già 135 processi di secondo grado. Ma come funziona? «I ricorsi arrivano al Presidente della Corte d’Appello che li rimanda ai singoli Presidenti di Sezione (civile o penale) ai quali spetta decidere la data della discussione che arriva dopo molti anni, visto l’enorme carico di lavoro pendente», spiega l’avvocato Giuseppe Cichella, docente alla scuola distrettuale di diritto penale, con studi dislocati tra Pescara, L’Aquila e Roma. Quanti? «Nella Corte d’Appello di Roma per una causa di lavoro bisogna attendere almeno quattro anni e mezzo. Se io mi presentassi oggi, mi rimetterebbero d’ufficio ai primi del 2013. Pensate a un dipendente che chiede di essere reintegrato dopo essere stato licenziato ingiustamente? Per una controversia penale a Roma – continua l’avvocato Cichella – la media è di tre anni, ma varia in base al tipo di reato, alle condizioni dell’imputato (se è detenuto o libero), mentre per incardinare un appello civile passano i “soliti” quattro anni». Alla Corte d’Appello dell’Aquila ci vogliono 48-54 mesi per un appello penale e, di recente, il conto delle cause è reso ancora più pesante dalle richieste di risarcimento danni per ingiusta detenzione, in gran parte afferenti al Tribunale di Teramo”

Ancora a Brescia. Nel discorso di apertura dellanno giudiziario, il dott. Mario Sannite ha detto: «In sintesi, sia nel civile sia nel penale – ha spiegato il magistrato – si può affermare che la durata dei processi nel distretto bresciano non è conforme al principio di ragionevolezza, con l’inevitabile conseguenza che, in applicazione della cosiddetta legge Pinto, lo Stato è costretto a corrispondere un indennizzo economico a chi subisce i tempi eccessivamente lunghi di un processo»

Va meglio a Milano: «Garantiamo la fissazione per il 2009» ci dicono dalla cancelleria di una delle tante affollatissime sezioni penali. L’anno scorso nel capoluogo lombardo sono stati depositati 7.400 appelli civili che verranno esaminati tra due anni e due mesi, mentre per le controversie relative al diritto di famiglia passano 11 mesi e un anno e sette mesi per quelle di lavoro e previdenza. Situazione critica alla Corte d’Appello di Ancona: «Ci vogliono quattro anni per discutere un appello di lavoro – spiega Luigina Giansante, consigliere dell’Ordine Avvocati di Ascoli Piceno – mentre nel civile almeno tre anni e mezzo. Per noi legali – continua – è diffìcile dirlo al cliente che vorrebbe una giustizia rapida». Invece si viaggia a passo di lumaca. «Al Tribunale di Ascoli sono ancora pendenti alcuni fascicoli degli anni Settanta», rivela l’avvocato Giansante.

Finora il record è a Palermo dove una causa civile si è aperta nel febbraio del 1973 davanti al Tribunale e si è chiusa a marzo scorso in Cassazione dopo 35 anni e, pensate un po’, la Suprema Corte Civilele ha dovuto dichiarare la «cessata materia del contendere». Dopo sette lustri, nulla di fatto! Ora l’avvocato Ennio Palmigiano, delegato dagli eredi, citerà in giudizio lo Stato italiano per chiedere un risarcimento di almeno 150 mila euro vista l’irragionevole durata del processo. D ricorso è stato già depositato presso la Corte d’Appello di Caltanissetta e, ovviamente, è in attesa di fissazione.

Pino Rauti
  • Facebook
  • Twitter
  • Delicious
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Add to favorites
  • Email
  • RSS

Comments are closed.

Post Navigation