Barbadillo.it - Il caso. “L’aquila e la fiamma” di Mollicone: la storia dei nazionalpopolari nel Msi


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Le semplificazioni ideologiche e le schematizzazioni politiche non si addicono alla storia del Msi. A confermarlo il recente saggio di Nazzareno Mollicone, “L’aquila e la fiamma – Storia dell’anima nazional-popolare del Msi”. Sindacalista nazional-rivoluzionario ed insieme militante politico, impegnato – a partire dagli Anni Cinquanta del ‘900 – all’interno dell’area nazional-popolare, Mollicone ricostruisce le vicende del gruppo guidato da Pino Rauti, personalità di spicco del complesso arcipelago “alternativo”, evidenziandone le peculiarità culturali, il radicalismo politico ed insieme la capacità di lettura dei complessi contesti nazionali ed internazionali, dall’immediato dopoguerra agli arbori del Terzo Millennio.

Il richiamo al pensiero di Julius Evola, scoperto “casualmente” da alcuni dei giovani della cosiddetta “corrente giovanile” del primo Msi, nella biblioteca del carcere romano di Regina Coeli dove erano detenuti per il processo all’organizzazione clandestina dei Far (Fasci d’azione rivoluzionaria), avvenuto dal maggio al novembre 1951, dà a quel gruppo un senso possiamo dire metastorico al loro impegno politico. Al fondo della loro scelta c’è la coscienza – sostenuta dall’opera evoliana – di essere i testimoni ed i continuatori di uno spirito europeo che andava ben oltre le vicende nazionali e l’esperienza del Ventennio, “… una battaglia – scrive Mollicone – che parte dai primordi della civilizzazione umana, e che ha come suoi punti di riferimento la millenaria costruzione religiosa e sociale indù in parte ancor resistente ai nostri giorni; la cultura artistica e filosofica greca; la capacità politica, organizzativa, giuridica, tecnica e militare romana; e poi via via nel Medioevo lo spirito della cavalleria, i costruttori di cattedrali, la spinta inarrestabile alla conoscenza e alla scoperta di nuovi mondi ad opera dei naviganti italiani ed europei, per arrivare alla ‘terza Roma’ rinnovata dal Fascismo”.

Dai  primi Anni Cinquanta, dalle prime esperienze culturali (con la rivista “Imperium”) e politiche (all’interno delle organizzazioni giovanili del Msi), a sorreggere l’azione  di quel gruppo è la volontà di incarnare il carattere rivoluzionario del Movimento, andando ben oltre gli ambiti ristretti del parlamentarismo e della politica-politicante. Pur vivendo, in modo appassionato, nella realtà essi sono sempre un passo avanti, impegnati a denunciare i limiti  del “nuovo” sistema democratico e ad affermare una volontà radicale di cambiamento. Inevitabile – su questi crinali – la rottura con il Msi, ormai impegnato a realizzare, sotto la segreteria di Arturo Michelini, il cosiddetto “inserimento nel sistema democratico”.

La fuoriuscita dalla Casa madre, porta (nel 1954) alla creazione del Centro Studi Ordine Nuovo, sigla di riferimento, per un quindicennio, del gruppo capitanato da Rauti.

Mollicone, avendole vissute dall’interno, ricostruisce con rigore le vicende di On, spesso segnate dalla malevole storiografia di parte, autentica serra calda – possiamo dire – di un’idea nazional-rivoluzionaria che, con il tempo, si corrobora di nuove ragioni d’essere rispetto ad una società in continua trasformazione. Dal radicalismo delle origini On sviluppa perciò, su più piani, la propria azione, insieme culturale e politica, con lo sguardo rivolto al proprio originario mondo d’appartenenza (il Msi), ma con la volontà di superarne (dopo il fallimento della stagione “entrista”) l’immobilismo politico ed un reducismo sterile, utile per conservare un bacino elettorale consolidato, ma certamente non per incarnare quel ruolo “alternativo” che storicamente gli apparteneva. Durante gli Anni Sessanta On promuove i  “Comitati di Riscossa Nazionale” per cercare di superare il concetto stesso di “centro studi” e dà alle stampe il periodico “Noi Europa”, impegnato a declinare attualità e visione metapolitica, contro le  inefficienze del sistema partitocratico-parlamentare e le evidenti debolezze del processo di decolonizzazione, fino alla campagna per la scheda bianca, lanciata in occasione delle elezioni politiche del maggio 1968, campagna che ebbe peraltro scarsi risultati concreti – come nota Mollicone – a conferma dei ruolo di avanguardia e di agitazione culturale di On più che della sua reale capacità di incidere sul terreno strettamento politico. E’ di quegli anni il “Manifesto per l’Ordine Nuovo”, documento-denuncia contro i nuovi assetti socio-economici e politici mondiali, segnati – si legge – da “problemi nuovi e drammatici” segno di un “produttivismo fine a sé stesso”, fattore questo che avrebbe portato ad una “vita degradante perché priva di significati ultimi e spirituali”.

Tutto questo lavorio troverà uno sblocco immediatamente politico due anni dopo, nel 1969, allorquando, a seguito dell’elezione di Giorgio Almirante a Segretario del Msi, gli ordinovisti rispondono  positivamente all’appello unitario lanciato dal nuovo vertice missino, rientrando nel partito anche con ruoli di responsabilità. A rifiutare questa opzione politica è il gruppo capitanato da Clemente Graziani, figura storica di On, che dà vita al Movimento Politico Ordine Nuovo, nel nome di quella “visione rivoluzionaria” che era stata alla base della prima esperienza ordinovista.

Rauti e gli  altri, con il loro rientro nel Msi, manifestano la volontà di misurarsi su un terreno più strettamente politico, ivi compreso quello elettorale, nel tentativo di condizionare in modo diretto gli orientamenti del partito. In questa prospettiva Mollicone delinea chiaramente la strategia correntizia giocata dal gruppo guidato da Rauti, che inizia a svolgere un ruolo importante nell’aggiornamento programmatico del Msi.

Puntando sull’analisi dei problemi concreti del “Paese reale”, attraverso il suo incarico di dirigente del settore iniziative sociali, Rauti intende smentire l’immagine del partito nostalgico, legato ad un attivismo occasionale, spesso controproducente, proponendo – scrive Mollicone  – “soluzioni che fossero certamente moderne ed adeguate ai tempi, ma sempre inserite nel solco della tradizione nazionale e sociale italiana”. Nel contempo viene avviata, in continuità con il vecchio Centro Studi, la costituzione di una libreria (la mitica “Libreria Europa”) per la diffusione dei testi della destra tradizionale europea.  Nascono, sull’onda di questa strategia metapolitica, nuove testate di approfondimento e di dibattito culturale, mentre cresce una  classe dirigente, permeata delle idee nazional-popolari, che, di congresso in congresso e malgrado il clima persecutorio di quegli anni, tenta di affermare la propria idea di partito e di politica.

Nel 1977, il gruppo “Linea Futura”, nato in occasione dell’ XI Congresso missino, diventa il centro politico intorno a quella che Rauti definisce la strategia delle “iniziative parallele”, “destinate – scrive lo stesso Rauti – a riannodare il nostro dialogo con una più vasta opinione pubblica e che, per loro natura e modo di esplicitarsi, siano rinnovatrici rispetto alla struttura classica del nostro Partito”. Si dà vita alle  radio libere di “area”; emerge – dopo il primo Campo Hobbit  – la realtà della musica alternativa; nascono pubblicazioni ed associazioni che si occupano, in modo specifico, del mondo femminile, dell’ecologia, delle nuove forme di comunicazione (satira, fumetti, grafica, ecc…).

A sintesi di questo lavoro, nasce, nel 1979, il quindicinale “Linea”, che si distingue per la sua formula innovativa e per l’ulteriore aggiornamento delle tematiche (con significative incursioni nel mondo dell’ambientalismo,  nelle problematiche del lavoro, nei nuovi contesti internazionali, nella crisi demografica, nella realtà  giovanile) insieme ad una particolare sensibilità culturale, contrappuntata da una serie di interviste ad alcuni personaggi della cultura e della scienza (tra tutte quella all’etologo,  Premio Nobel, Konrad Lorenz). L’esperienza di “Linea” dà ulteriori ragioni all’azione del gruppo rautiano, che, con le tesi di “Spazio Nuovo”, elaborate in vista del congresso missino del 1979, pone l’accento sulla necessità di proporre non solo un modello alternativo di Stato rispetto a quello democratico-parlamentare, quanto anche di dare  una risposta alla crisi di fiducia del marxismo e alle debolezze del modello capitalistico, nel segno di una battaglia sociale incentrata sull’idea corporativa e sulla socializzazione.  Con questi orientamenti vengono ad accentuarsi gli elementi distintivi rispetto al gruppo dirigente missino, il cui leader, Almirante, è costretto, nel 1987, per l’età e le condizioni di salute precarie,  a passare il testimone al suo delfino, Gianfranco Fini. Al Congresso di Sorrento Rauti declina il nuovo ruolo alternativo del partito, intorno alle tesi dello “sfondamento a sinistra”, con cui si propone di fare del Msi il nuovo “polo di riferimento” per gli illusi ed ormai disillusi della vecchia sinistra.

Fini diventa Segretario. Ma la costante polemica interna e la debolezza della gestione finiana, tre anni dopo, portano Rauti a conquistare la guida del Msi. In realtà è il canto del cigno della linea nazional-popolare, che stenta a trasformarsi in azione politica concreta, spesso appare contraddittoria agli occhi dei suoi stessi sostenitori (a cominciare dalla posizione filoamericana tenuta in occasione della prima guerra contro l’Irak), non riuscendo a dare sostanza all’idea-guida dello “sfondamento a sinistra”.

Dopo il disastroso risultato delle elezioni sociale del giugno 1991, Rauti si dimette da Segretario. Per il suo gruppo di riferimento è la diaspora. Alcuni scendono a patti con Fini, rieletto Segretario, altri danno vita a nuovi soggetti politici, peraltro con risultati elettorali irrilevanti, o abbandonano l’agone politico.

A sintesi del lungo itinerario politico-ideale ben fissato in “L’aquila e la fiamma”, che cosa rimane? Mollicone nelle ultime pagine del suo libro pone l’accento su alcune “intuizioni rautiane” tuttora al centro dell’attualità politica, nazionale ed internazionale: il crollo del Comunismo Sovietico e l’iniziale  predominio statunitense, reso possibile dalla debolezza europea; il ritorno della Russia, quale “terza Roma”; il risveglio islamico; l’esplosione della cosiddetta globalizzazione; una nuova consapevolezza rispetto alle radici e tendenze più profonde e permanenti del Fascismo Rivoluzione.

E’ evidentemente qualcosa di più dell’onore delle armi a chi ha saputo declinare, dai primi Anni Cinquanta fino alla vigilia del Terzo Millennio, l’essenza di un’Idea, di una nobile Tradizione culturale e politica, che ha fornito ad intere generazioni  gli strumenti interpretativi per analizzare la realtà e per elaborare organiche proposte  alternative alla crisi del mondo moderno. Senza ingessature ideologiche, senza facili schematismi, ma “andando oltre” le convenzioni, che stanno alla base della crisi.

Da questo punto di vista il libro “L’aquila e la fiamma” offre l’occasione per ricostruire, dopo gli anni dell’oblio,  una memoria, offrendola alle giovani generazioni e a quanti vorranno e sapranno rileggerla, nella sua interezza. A Mollicone il ringraziamento per avere “salvato” quella Storia, liberandola finalmente dalle cattive interpretazioni di parte e riconsegnandocela tutta intera, lucida ed appassionata come fu.

*L’aquila e la fiamma. Storia dell’anima nazional-popolare del Msi di Nazzareno Mollicone (Pagine-I libri del Borghese, pagg. 280, Euro 19,00)

[Fonte: www.barbadillo.it]