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Abbiamo sempre pensato – e scritto in tante occasioni, con incisiva chiarezza – che l’afflusso massiccio di immigrati (legali o non, cambia poco) non va visto soltanto in quella che può apparire una fotografia di cronaca corrente. Molto più importanti e pesanti, sono le conseguenze della immigrazione, quelle che i sociologi chiamano le “ricadute” del fenomeno. Le conseguenze intendiamo, nella struttura sociale del Paese che con esse è chiamato a confrontarsi e anzi spesso a scontrarsi, specie nel vivere quotidiano di quel tessuto sociale.
Eccone un esempio tanto concreto quanto clamoroso, in ciò che è avvenuto a Roma nei giorni scorsi e che solo la cronaca di qualche giornale (“Corriere”, cui ci rifacciamo) ha riportato nei dettagli, sicchè il novanta per cento degli italiani non ne ha saputo nulla. Anche perché niente hanno riferito in merito le tante TV e Radio; quelle che spettegolano di tutto e su tutti 24 ore al giorno ma che queste “vicende” accuratamente ignorano.
Leggiamo dunque – a firma di Rinaldo Frignani – quanto è accaduto all’ospedale Pertini:
“Si sono presentati a metà mattinata nella camera mortuaria dell’ospedale Pertini con i lenzuoli di lino profumati di incenso e cosparsi di canfora, sandalo e Cipria, per avvolgere la salma del loro congiunto. Erano una trentina di pakistani: parenti stretti, amici, conoscenti del morto, un uomo di 51 anni stroncato il giorno prima in corsia da un arresto cardiocircolatorio. Alcuni avevano il capo coperto: erano intenzionati a seguire i loro principi, la legge dell’Islam, e così, quando si sono accorti che nell’obitorio dove si trovava la bara c’erano anche i crocifissi alle pareti, è scattata la rivolta. «Qui noi non ci stiamo hanno gridato – toglieteli o portiamo via il corpo».
Una protesta senza precedenti per un ospedale romano: a quel punto, il personale presente ha risposto spostando la cassa di legno scuro in una saletta riservata. Senza crocefisso. Lì i familiari del pakistano hanno lavato il corpo, per poi adagiarlo di nuovo nella bara, unica licenza al rigido rituale islamico, acquistata da una ditta di pompe funebri di San Lorenzo. Al momento di recitare il Corano e le preghiere funebri, tuttavia, si è posto un altro problema. «Le donne non possono restare qui – hanno protestato ancora per la nostra religione non possono trovarsi dove si celebra la cerimonia funebre per un uomo». Questa volta la richiesta ha scatenato le proteste dei presenti madri, sorelle e mogli di sei defunti italiani ma ha anche spinto i pakistani a portare la bara del loro congiunto, appoggiata su un carrello, nel parcheggio esterno. Dove, per cinque minuti, il fratello e gli altri hanno reso omaggio alla salma, rivolti verso la Mecca, sotto gli occhi degli altri familiari italiani, degli infermieri e del personale di vigilanza, intervenuto per calmare gli animi…”
“Ho cercato di spiegare ai pakistani che non si poteva portare la bara fuori dalla camera mortuaria – racconta un infermiere di 35 anni ma non c’è stato verso di convincerli. Uno di loro mi ha anche dato una spinta e poi insieme agli altri ha portato fuori il carrello. Di corsa, come se restare qui dentro significasse vanificare il senso della cerimonia funebre.
«Fammi vedere un pezzo di carta, una legge italiana, dove c’è scritto che non posso farlo», gli ha risposto con rabbia il fratello del defunto. Lo stesso che poco prima aveva protestato per la presenza dei crocifissi e perché le donne italiane si trovavano ancora nella camera mortuaria…”
“Qui facciamo il possibile – aggiunge l’infermiere – non siamo attrezzati per queste necessità, ma abbiamo ricavato ugualmente una sala riservata ai musulmani. A volte, purtroppo, capita che non ci sia posto e che la bara di un musulmano finisca vicino a quella di un cristiano, nella stessa stanza. Cosa possiamo fare? Quella mattina c’erano sette bare, non avevamo scelta. Come dire alle vedove che non potevano pregare e piangere accanto ai loro defunti?…”
(a cura di U. Giusti)