In giro fra alcuni centri etruschi: il retroterra affascinante del viterbese


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“Qui rise l’Etrusco, un giorno, coricato, cogli occhi a fior di terra, guardando la marina…” (V. Cardarelli) e quella terra che gli fu Madre e matrice egli rivestì negli otto secoli della sua vita di una serie infinita di monumenti, segno unico e tangibile della sua vicenda umana e storica.

Nella Tuscia – il nome antico della attuale realtà amministrativa costituita dalla Provincia di Viterbo – il “mistero etrusco” seppur aleggia sospeso nell’atmosfera delle città abbandonate e mute e nelle necropoli vaste e silenziose, dispiega il suo vero volto più che in altre terre d’Etruria.

Prima ancora che l’Etrusco entrasse nella Storia con l’acquisizione della scrittura egli era presente con le numerose necropoli protovillaniane e villanoviane (X – VIII sec. a.C.) ove l’elmo di bronzo crestato e la ciotola che custodivano le ceneri, già preannunciavano questa prima civiltà italica. Poi furono le grandi città (Tarquinia, Vulci, Velzna, Falerii), città proiettate in una nuova dimensione economica, pulsanti di attività diverse e di nuovi fermenti sociali, con attorno, una miriade di altri centri fortemente arroccati sui bastioni tufacei che moltiplicarono la vita e l’uso sapiente e razionale del territorio. In sincronia con le città dei vivi nacquero le città dei morti che scesero nelle viscere della terra madre a fermare le radici e a custodire e tramandare nel Tempo il sorriso colmo di speranza dell’Etrusco (VIII – I sec. a.C.). E la tomba divenne la casa immortale con la ripetizione nella roccia dell’abitazione terrena ove si raccolse il gusto del bello nei gioielli, nelle ceramiche, nei bronzi, nelle suppellettili, ove il volto e il nome e il gentilizio dell’uomo e della donna si tramandò nei sarcofagi e dove la pittura fermò nell’immagine e nel colore il paesaggio e la sensuale gioia di viverlo. Qui nella Tuscia, più che altrove, quando il conosciuto ed indagato destino volse al declino, l’Etrusco affidò il suo anelito di immortalità nelle monumentali necropoli rupestri consegnando alla roccia amica e all’immagine suggestiva della Finta Porta l’inquietante mistero della vita e della morte (IV – I sec. a.C.). Lunghi nastri si dispiegano sui declivi tufacei, in luoghi pur oggi protetti da un mistero eterno ove il verde forte della vegetazione contrasta ed esalta il rosso cupo del tufo. E ancora su questa felice porzione di terra dell’Etruria sono i templi, i sacelli, le edicole, i depositi votivi, di quello che fu il popolo più religioso dell’antichità, dove l’incenso più non arde che nello splendido sole, dove più l’aruspice non legge le viscere se non nell’eterno brusìo del vento, dove più non si compie il sacrificio che non sia quello di un intero popolo. E sulle rive azzurre del mare, cui donarono il nome, ancor emergono dalle acque e dalla terra i porti dove il commercio veicolava cultura e tecnica, gusto e arte.

Questa è la Tuscia, una terra da scoprire nel segno della cultura del primo e più grande popolo d’Italia, nell’andare cosciente per millennari sentieri, per avvertire il soffio e la sapienza della vita negli abitati deserti e nelle molteplici necropoli, nei luoghi tutti che una profonda esperienza umana ha reso sacri.

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SUTRI

L’attributo di “antichissima città” di cui Sutri si vanta trova conferma nelle scoperte e negli scavi archeologici, ma il suo splendore fu nel periodo etrusco – dal IV secolo a.C. – quando, fortificata sull’altura di tufo (visibili i resti in blocchi di tufo), sbarrava la strada e controllava il commercio nella parte più interna d’Etruria al confine tra la lucumonia di Tarquinia il territorio falisco. Da qui la denominazione di T. Livio di “porta dell’Etruria”. Espugnata da Roma nel 394 a.C. conobbe aspre battaglie tra Etruschi e Romani nel 311 e nel 310 a.C. Il suo benessere si accrebbe con la costruzione della consolare Cassia grande arteria di traffico tra Roma e le regioni centro-settentrionali. In seguito divenne municipium romano e con Augusto, Colonia Coniuncta Iulia Sutrina.
Nella collina di tufo che prospetta l’abitato allungandosi per oltre duecento metri sul fronte della Cassia si evidenzia la necropoli etrusca di tipo rupestre che riecheggia modelli e architetture sparse nella regione. Di essa sono visibili oggi 64 tombe disposte su più livelli; si tratta di tombe a camera, a nicchia con talvolta prospetto ad edicola, dove è in uso sia la cremazione che la inumazione. Utilizzate variamente nel corso dei secoli dai pellegrini che scorrevano lungo la via Francigena hanno una datazione che va dal III sec. a.C. al I d.C.

A metà di questo affascinante nastro di tombe, è uno dei più suggestivi monumenti antichi della Tuscia: l’anfiteatro di Sutri. Esso è interamente scavato nella roccia tufacea della collina con un orientamento Nord-Sud ed ha l’asse maggiore di m. 49 e quello minore di m. 40. Privo all’esterno di una precisa sagoma architettonica, all’interno mostra gradinate, corridoi di accesso e porte di ingresso.Venne costruito con tecnica e maestranze etrusche tra la fine del I sec. a.C. e l’inizio del successivo. Poco distante da esso, una tomba etrusca, trasformata in Mitreo nel III sec. d.C. è divenuta successivamente una suggestiva chiesa cristiana ipogea dedicata alla Madonna del Parto.

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GROTTA PORCINA (Vetralla)

Immersa nel verde e nella quiete di una campagna intatta, tra Blera e Norchia, questa località conserva un insieme raccolto di monumenti etruschi di particolare valore ed interesse costruiti da un modesto insediamento agricolo di cui è sconosciuto il sito.
Il promontorio allungato di una alta collina tufacea è stato modellato nella sua parte finale a tumulo (Castelluzzo) con un diametro di 28 metri ed un tamburo alto m. 3,50 nel quale ancora si notano resti della decorazione perimetrale (VI sec. a.C.). All’interno una tomba formata da tre ambienti in asse, con i soffitti scolpiti a cassettoni purtroppo alterata dal lungo uso nei secoli. A fianco del tumulo altra notevole tomba a due camere anch’esse scolpite ed altre ancora sulla collinetta di fronte. Scendendo verso la valle sono i resti di un grande altare cilindrico con decorazioni floreali e animalistiche in basso rilievo, attorniato da gradinate tutto ricavato nel tufo (VI sec. a.C.) riconosciuto con il più antico “teatro cultuale” d’Etruria: vicino è il basamento di un’ara del periodo ellenistico trasformata poi in pestarola e poco distante ai piedi di una altura, fiancheggiata da altre tombe a camera, i resti di un piccolo tempio con ambienti ricavati nella roccia tufacea (VI sec. a.C.) con tèmenos e pozzo votivo in uso fino al III sec. a.C.

(Testi di P. Giannini – Assoc.ne Guide Turistiche prov di Viterbo)