Intervento commemorativo di Pino Rauti, tenuto dall’On . Fabio Granata alla Camera dei Deputati nel 2012


In Memoria di Pino Rauti*
Ci sono uomini che segnano epoche e ci sono Idee che muovono il mondo.
Ci sono personalità capaci di lasciare in politica tracce concentriche sempre più larghe, come i segni di un sasso nell’acqua.
Pino Rauti é stato senza dubbio uno di loro.
Ricordarne in breve la vicenda umana e storica é impossibile.
È una vicenda controversa, come tutte le biografie importanti del ‘900, dove anche i dettagli contano e non é qui la sede per approfondirli.
È più interessante, e più giusto per rendere omaggio a Rauti, guardare le tracce, raccontare quel che “ha lasciato” piuttosto che quel che “é
stato”:una storia che pochi conoscono e che meriterebbe di essere scritta.
Come un romanzo.
Il romanzo delle aspirazioni migliori della destra.

Il primo cerchio é quello della formazione politica:almeno una trentina di colleghi in quest’aula, e una leva intera di studiosi, storici, docenti, giornalisti, fuori di qui, ha imparato alla scuola di Rauti la passione per un impegno politico fatto di studio e analisi,di idee e non solo di propaganda.
In un mondo come quello del Msi che per una interminabile fase fu votato alla pura sopravvivenza, Rauti portò l’ambizione di progetti di lungo periodo e la capacità di “leggere” la contemporaneità, di starci dentro senza complessi di inferiorità verso una sinistra che aveva all’epoca formidabili strumenti di analisi, ricerca, formazione dell’immaginario.

Il secondo cerchio é quello della cultura.
Il rautismo fu essenzialmente uno scaffale: libri, riviste, fanzine, cataloghi infiniti di saggi e romanzi che le Edizioni Europa mettevano
in circolazione mese dopo mese.
Una specie di Feltrinelli underground
senza la quale nessuno di noi avrebbe potuto sperimentare l’eresia di “andare oltre”le colonne d’Ercole del luogo comune che inchiodava la
destra al nostalgismo e alle suggestioni totalitarie.

Il terzo cerchio é il più largo, quello che ha agito più nel profondo:è il sasso nello stagno del 1977, quando nell’hannus horribilis del sangue per le strade di Roma e di Milano, Pino Rauti con il documento Linea Futura invita al disarmo degli opposti estremismi, archivia l’anticomunismo, spinge il Msi a uscire dalla routine propagandistica puntando su un’offerta politica diretta in primo luogo a giovani e donne al fine di delineare una
controffensiva politica rivoluzionaria,accantonando  nostalgie e ribellismo sterile.
Ecologia, urbanistica, poesia, grafica, femminismo, integrazione, musica, le cause dei popoli dalla Palestina all’Irlanda: Rauti disegna un inedito modello movimentista da cui scaturirà la stagione creativa dei Campi Hobbit, uno dei fenomeni più studiati (e più imitati negli anni successivi) che caratterizzarono il mondo giovanile a destra.

Quell’esperienza non solo aprì orizzonti inediti per noi ventenni di allora, ma sottrasse centinaia di noi alla logica distruttiva del conflitto generazionale e del terrorismo.
A sinistra se ne accorsero in tanti:da Giorgio Galli a Marco Revelli, da Giorgio Bocca a Marco Pannella.

Con tutte le sue contraddizioni e i suoi nodi irrisolti, quel percorso portò tanti ragazzi (e non solo) a superare il paradigma neofascista al fine di entrare in relazione con il presente e i nuovi fermenti epocali ormai non più racchiudibili dentro l’universo di Marx o di Freud.

Io, che ero uno di quei ragazzi, ricordo di Rauti molte altre cose ma rischio di diventare sentimentale e cadere nella retorica.

Ma una sola di queste cose vorrei raccontarla:in un confronto tra partiti che è diventato ragioneria di seggi e percentuali,in un’Europa che riesce a parlare solo di mercati ,spread o default,in un dibattito pubblico ripiegato sul premio  di
maggioranza e altre amenità,in una Nazione dove essere e definirsi impegnato in Politica sembra oramai una vergogna…ricordo con nostalgia di essermi spellato le mani alla fine  di un suo fondamentale  discorso congressuale e alla frase con la quale magistralmente lo concluse :”La linea più breve tra due punti a volte passa per le Stelle”…
Si.
Fare politica, allora, era un onore e un vanto:a vent’anni o a cinquanta.
Domandiamoci allora perché non ci sono più stelle da indicare ai nostri figli
e come possiamo provare a riaccenderle……