La Verità - "Il rivoluzionario Rauti amava il Duce e il farro" di Giancarlo Perna


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«Soprattutto, sono un rivoluzionario», disse Pino Rauti a metà chiacchierata, seduti nel salotto di casa sua. Sorrisi a questa dichiarazione inaspettata poiché tutto la contraddiceva. Pino aveva allora – nel 2004 – 78 anni, con i dolorini dell’età e la moglie Brunella che girava attorno a noi per prevenire eventuali desideri. Le due figlie, Alessandra e Isabella, entrambe amiche mie, iperprotettive verso il padre, sapendo dell’intervista, avevano già telefonato un paio di volte alla mamma per sapere come se la cavava il papalino. Nulla di più borghese di questa famiglia che le disavventure giudiziarie del padre aveva straordinariamente unito. Giornalista, capo della Destra sociale, anticapitalista e antiamericano, contraltare di Giorgio Almirante, Rauti era stato accusato di stragismo, svegliato di notte, sbattuto in galera. Fu tormentato quasi fino al termine della vita (2012) quando, dopo avergliela rovinata, lo assolsero da tutto. Bastava conoscerlo per capire la montatura.
«Ti hanno mai risarcito l’ingiusta detenzione?», dissi in proposito. «Mai chiesto nulla», replicò e aggiunse: «Per chi si considera rivoluzionario fa parte del gioco». E dalli. «Parli guarresco ma so che ormai ti gingilli con studi sui cibi genuini e altre amenità», lo smontai. «È una delle nuove frontiere. Riscopro i cibi scomparsi. Mi interessano le cicerchie, il farro». «Fa ridere», obiettai. «Avevamo 700 tipo di mele, ne restano 7. Sono i sapori, le varietà che forgiano le nuove generazioni». «Come concili i trascorsi rivoluzionari con codeste frivolezze?», mi scappò. «Oggi è questo l’essenziale. Desertificazione, clima. Ci sono più profughi nel mondo per cause climatiche che politiche», disse quasi profetico (e lo era). «Da Julius Evola a Gianfranco Vissani», lo sbertucciai. «In un anno, sono nate in Italia 7 riviste enogastronomiche. Significherà qualcosa. Cose inedite per la cultura politica ma punti fermi per la civiltà europea. non siamo barbari come gli americani». Mancava solo che mi snocciolasse la ricetta per un risottino.
«Che proposte faresti per raddrizzare l’Italia?», dissi dando una sterzata all’intervista. «Una strategia demografica, interventi anti disoccupazione, salari di inserimento sociale ai diciottenni», rispose, precedendo di lustri l’attuale dibattito politico. «Come giudichi Benito Mussolini?». «Il più grande statista del Novecento. Intervenendo nella guerra di Spagna, salvò il mondo. Se no, Stalin avrebbe vinto nel cuore d’Europa». «Alessandra Mussolini, la nipote?». «Troppo radicaleggiante: coppie di fatto e così via. Mai piaciuta». «Ergo?». «Anche i cognomi deperiscono. Come le pere», concluse da gourmet.