Anche il lusso, si va "delocalizzando"


[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Anche le aziende del lusso spostano la produzione nei paesi emergenti. Ma risparmiano sui costi per investire di più su marketing e comunicazione, non per abbassare i prezzi.

Vetrine allestite splendidamente, confezioni regalo che sembrano opere d’arte: le aziende del lusso hanno sfruttato ogni risorsa per le feste di Natale, un periodo cruciale per il loro giro d’affari. Ma cosa direbbero i clienti se scoprissero che i prodotti dei loro sogni sono stati realizzati lontano da Parigi, Milano o Ginevra? Per esempio nelle fabbriche cinesi, magrebine o dell’Europa dell’est?

La realtà è questa: Valentino fa confezionare gli abiti da uomo in Egitto, mentre Hugo Boss ha scelto la Turchia e ora sta sperimentando la produzione di alcuni capi d’abbigliamento in Asia. Lancel e Longchamp hanno affidato la piccola pelletteria ad alcune imprese nordafricane. Macadam, una delle borse di Celine in tessuto jeans e cuoio, è prodotta in Cina. La lista è senz’altro incompleta, perche il segreto del “chi delocalizza cosa” è gelosamente custodito. Nessun esperto del settore del lusso azzarda cifre sulle dimensioni del fenomeno, ma tutti confermano che la tendenza è reale. Scottate dalla crisi del 2001, che per due anni ha provocato la diminuzione delle vendite, oggi le aziende del lusso s’interrogano sul loro futuro a lungo termine. “In questi ultimi anni”, osserva Nicolas Boulanger, esperto della società di ricerca Eurostaf , “le aziende hanno concentrato investimenti e strategie sulla distribuzione e sulla comunicazione a svantaggio di altre componenti della catena del valore, come la manifattura.

Ma la decisione di delocalizzare non è affatto semplice, perche l’impatto sul marchio può essere negativo”. La diversificazione dell’offerta per attrarre nuovi clienti, l’avanzata della contraffazione, il costo sempre più elevato dell’apertura di punti vendita nei quartieri ricchi: sono tutti elementi che spingono gli imprenditori del lusso a rivedere il loro modello aziendale. E non bisogna dimenticare che per i marchi francesi e italiani una moneta unica forte penalizza un settore che esporta la maggior parte dei prodotti fuori dalla zona dell’euro. Quale sarà allora il futuro della Baccarat, che fabbrica oggetti di cristallo e il cui nuovo azionista di maggioranza, la statunitense Starwood, vuole lanciare articoli fatti con materiali diversi?

Ordine decrescente Le risposte variano da un paese all’altro. In Francia i marchi più prestigiosi si aggrappano con le unghie e con i denti al made in France, che garantisce il prestigio e la qualità dei prodotti. In Italia e negli Stati Uniti la parola delocalizzazione fa meno paura. “Anche gli industriali di questi due paesi proteggono i loro marchi di punta, che però sono disponibili in diverse linee più o meno lussuose”, osserva Joel Benzimra, dello studio di consulenza A.T. Kearney. Un esempio tipico è Giorgio Armani, che propone il suo marchio – in un ordine decrescente di prestigio – attraverso le linee Giorgio Armani, Emporio Armani e Armani Jeans, da molti anni confezionate nell’Europa dell’est. Un altro caso interessante è quello della statunitense Coach.

La maggior parte della sua produzione – borse vendute in media a 500 dollari – è stata delocalizzata in Cina, in India e nella Repubblica Dominicana. “Tuttavia”, sostiene un analista che segue da vicino l’azienda, “Coach non ha abbassato i prezzi e ha negozi sulle strade più belle degli Stati Uniti. Concentra gli investimenti sul marketing e sulla distribuzione, e guadagna rapidamente quote di mercato”. Al punto da far tremare Vuitton: i prodotti del marchio francese hanno molto successo tra i trentenni giapponesi, che però si fanno sempre più sedurre dalla Coach. “È davvero un’eccezione”, aggiunge l’analista, “perche se i clienti sapessero che le borse Coach sono fabbricate nei paesi emergenti, si aspetterebbero dei prezzi più bassi”.

Una prova che la delocalizzazione comincia ad avere i suoi effetti è “la riorganizzazione di alcune case di lusso”, spiega Boulanger. “Nascono nuove figure professionali come i responsabili dell’approvvigionamento e i detective che indagano sulle contraffazioni”. È come se gli industriali si preparassero ad affrontare il futuro, quando i cinesi decideranno di applicare il loro know how all’industria del lusso lanciando nuovi marchi prestigiosi.

Articolo di Le Monde – tradotto da Internazionale