Manager: buste paga vanno giù del 5%


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Non è vero che le buste-paga dei manager sono crollate per e dopo la grande crisi. Quelli che vengono definiti i “re Mida” della Borsa – e della finanza più spregiudicata – sono appena sfiorati dalla crisi: in media, quanto a buste-paga, i loro “stipendi d’oro” calano appena del 5%. Tra le tante cifre in merito, spicca quella relativa alla Borsa, che – scrive Ettore Livini su “Repubblica” – negli ultimi dodici mesi è riuscita a sfornare 137 milioni di euro, solo 8 in meno rispetto al 2007, il triplo del 2005.

Così, le 40 maggiori Aziende “hanno distribuito ai propri manager 282 milioni di compensi, appena il 5,5% (17 milioni) in meno dell’anno precedente”.

Ecco i <nuovi Paperoni>: Roberto Turrioli (Datalogie), con 8,2 milioni in busta; segue a ruota Luca Malocchi (SEAT) con 7,9 milioni. Leggiamo ancora: “La parte alta della classifica così – dopo anni di dominio della finanza – è tornata a essere terra di conquista per le aziende dell’industria e per tanti nuovi Carneadi che si sono visti moltiplicare in un anno di due o tre volte la busta paga. Il primo banchiere (Pietro Modiano, 5,1 milioni) veleggia mestamente in decima posizione solo grazie alla buonuscita di Cà de Sass. Caso analogo a quello di Marco Benedetto – ex ad dell’Espresso, editore di Repubblica – che vede salire i suoi emolumenti a 3,4 milioni in virtù della liquidazione. Mentre i tre fratelli Ligresti – quasi 15 milioni in tre, ma che come l’ad di Fondiaria,  Fausto Marchionni hanno rinunciato ai bonus 2008 – si aggiudicano a mani basse il palmares di famiglia d’oro di Piazza Affari.

L’ultimo esercizio – dopo gli eccessi di inizio millennio – va in archivio con un netto ridimensionamento dei bonus. Le 40 più grandi società di Piazza Affari ne hanno distribuiti 52 milioni. Sono una montagna di quattrini, soprattutto alla luce del crollo dei titoli delle loro aziende, ma si tratta pur sempre del 31% in meno rispetto al 2007. Senza contare che lo sboom della Borsa ha chiuso anche il rubinetto delle stock option: nel 2008 quasi nessuno è riuscito a esercitarle in attivo, mentre solo nel 2005-2006, per dare un’idea, i vertici delle 10 maggiori banche italiane,  avevano monetizzato (dati ufficio studi Mediobanca) ben 273 milioni di plusvalenze grazie agli incentivi azionari.

Le grandi aziende pubbliche nazionali, sfuggite alla tagliola un po’ sdentata dei tetti agli stipendi pubblici (ancora in stand-by), si confermano un’oasi di tranquillità sul fronte della remunerazione.

Piefrancesco Guarguaglini si consola del possibile rinuncia di Barack Obama all’elicottero Finmeccanica con un corposo aumento in busta del 31%. Il compenso di Paolo Scaroni (Eni) è salito del 10%, quello di Fulvio Conti (Enel) del 4%.

La classifica generale, assieme a tanti stipendi cresciuti malgrado il calo degli utili, evidenza anche qualche paradosso internazionale: Valerio Battista di Prysmian ( 276% di emolumenti a 4,1 milioni) guadagna il 10% in più del numero uno della Nokia, Pietro Giordano (Erg) surclassa di un paio di milioni Tony Hayward (Bp). E una vecchia conoscenza di questa graduatoria come Domenico Bosatelli, ad della Gewiss (357 milioni di ricavi) si è regalato un aumento del 12% a poco più di due milioni. Il doppio di quanto si è messo in tasca nel 2008 Jurgen Hambert, numero uno di un gruppo (la chimica Basf) che in quei dodici mesi, di milioni ne ha fatturati venti volte tanto”.

(U. G.)