Nell'agroalimentare molti successi nel Lazio


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Dovremmo impegnare molte pagine per riferire compiutamente dei tanti “successi”, dei tanti traguardi raggiunti dalle Aziende del Lazio sul versante agroalimentare, ma in questa regione che tanti credevano fosse “appiattita” su Roma e solo su di essa – si diceva correntemente “balena nella Vasca” – sta invece crescendo impetuosamente, adesso, una corsa ai prodotti di qualità, che sono poi quasi sempre riferiti alla riscoperta di “prodotti antichi” o alla valorizzazione dei cosiddetti prodotti di nicchia, che sembravano destinati alla lenta ma inarrestabile scomparsa.

Tra le tante segnalazioni in merito, ecco qualcosa di attualità:

Progetto pilota su “frantoi mobili” – Il progetto punta – come ha sottolineato una nota dell’ANSA del 30 dicembre scorso – alla riqualificazione dell’olio extravergine di oliva della regione, attraverso procedure di tracciabilità del prodotto e la messa a punto di un. – macchinario-prototipo itinerante è stato presentato dall’Associazione Laziale Frantoi Oleari Filiera Olivoleica all’Assessorato all’agricoltura della Regione. L’organizzazione di categoria regionale delle imprese frantoiane del Lazio sta lanciando una metodologia sperimentale sul territorio regionale per consentire il controllo della qualità all’interno della filiera olivoleica e per dare la possibilità ai frantoi di piccola e media grandezza di non essere assoggettati ad autorizzazioni Asi e a notevoli investimenti per la realizzazione di ambienti idonei all’imbottigliamento.

Inoltre, nell’ambito del “programma” verrà messo a punto un macchinario, montato su un autocarro, che consentirà l’imbottigliamento mobile e l’etichettatura dell’olio extravergine d’oliva, chiudendo così la catena della tracciabilita’ in modo da immettere sul mercato un prodotto di qualità con la certificazione della provenienza e della tipicità.

“Tale progetto – precisa il presidente dell’associazione Paolo di Fonzo – avrà una durata complessiva di 24 mesi ed è stato congegnato – per rilanciare il settore olivicolo della nostra Regione, per incrementare il valore aggiunto della produzione primaria attualmente scarsamente valorizzata e per dare tutte le necessarie garanzie di salubrità e qualità ai consumatori finali”.

Parallelamente a questa iniziativa l’Associazione Laziale “Frantoi Oleari Filiera Olivoleicala”, di concerto con l’Istituto Nazionale di Ricerca sull’Alimentazione e Nutrizione (Inran), sta elaborando un programma per la definizione delle caratteristiche organolettiche e nutrizionali degli oli extravergini laziali e per il miglioramento delle pratiche e dei processi di estrazione che risultano fondamentali per elevare la qualità finale del prodotto.

 

Ma dicevamo dei prodotti di nicchia e del loro rilancio. Leggiamo insieme questa “nota” sulla mortadellina di Amatrice, un prodotto che ha tutti i numeri per “fronteggiare” la tradizionale, classica e conosciuta in tutto il mondo, mortadella di Bologna:

“L’appellativo di mortadella deriva da mortaio, che evoca immediatamente l’immagine di carne sminuzzata e pestata. Si tratta di un salume a grana fine di carne suina di spalla e lombo di prima qualità, molto magro, con lardello centrale al taglio, forma tondeggiante e sapore sapido per il condimento con sale e pepe e retrogusto tendente al dolce per la presenza di lardo. Il bastone quadrato di lardo inserito al centro, rende inconfondibile una fetta di “mortadellina amatriciana affumicata” che si presenta di colore rosa – violaceo con un nucleo centrale di lardo, appunto. Viene prodotto nei comuni di Amatrice, Accumoli e Leonessa, in provincia di Rieti, e nei comuni abruzzesi di Campotosto e Poggio Cancelli, in provincia dell’Aquila, da oltre tre secoli. Il prezzo di vendita al minuto oscilla tra i 15 euro al chilogrammo ai 15 euro la coppia, modalità in cui è solitamente venduta in salumeria. Il salume, che mediamente pesa 1,3 chilogrammi, è infatti insaccato e legato a doppia briglia con spaghi tenuti in tensione da speciali chiavi di legno realizzate artigianalmente. Il prezzo piuttosto elevato si giustifica con la lavorazione interamente manuale. “Occorre tempo per la macinatura e per la lavorazione – precisa il produttore Giacomo Agabiti – perchè vanno cuciti a mo di fazzoletto quadrato i budelli di maiale sostenuti da una stecchetta di legno”. L’intestino di suino è precedentemente lavato con acqua, aceto e sale e fatto asciugare.

Si macina non troppo finemente carne scelta di maiale, lombo e spalla, si sala e si pepa con pepe macinato ed in grani. Si aggiunge lardo tagliato a pezzetti. Si lascia riposare l’impasto per circa 6-8 ore, poi si lavora l’impasto cercando di imprimergli una forma ovale ponendo particolare cura nel far fuoriuscire l’aria che altrimenti determinerebbe l’irrancidimento del prodotto.

La fase successiva è quella della cucitura del quadrato d’intestino (si può usare anche il cosiddetto budello cieco o marotta) intorno all’impasto e il posizionamento di due stecche di legno di nocciolo che serviranno a tenere schiacciata la forma. Successivamente,le mortadelline vengono poste sotto peso per 24 ore e bucate con piccoli spilli per favorire la fuoriuscita dell’aria. Una volta preparate, le mortadelline vengono poste ad asciugare per qualche giorno in un locale dove c’è un camino acceso, vengono poi messe in cantina asciutta e ventilata per ulteriori tre-quattro mesi. Mano a mano che si procede con la stagionatura,le mortadelline si restringono e quindi le due stecche vengono tirate a mano tramite lo spago”.

La fase finale di essiccamento viene facilitata dai rigori del freddo dovuto all’altitudine dei comuni Reatino. Il ciclo minimo di lavorazione dalla macinatura è pertanto di almeno tre mesi. La produzione affumicata, più tipica di Campotosto, richiede ulteriore lavorazione ma le nuove norme sanitarie, di fonte comunitaria, non permettono la stagionatura in cantina come prevede la tradizione secolare. E’ difficile stimare una produzione complessiva nel territorio dell’Alta valle del Velino, perché rimane forte e consolidata la produzione casalinga o al massimo in piccoli laboratori artigianali. Si può infatti affermare che in tutte le case di Leonessa, tradizionalmente, venga prodotta la mortadellina, soprattutto per il consumo legato alla festività pasquale e per accompagnare la sagra della patata, in cartellone nella seconda settimana di ottobre. Per commercializzare la mortadellina di Amatrice occorre il bollo Cee.

Secondo il produttore Agabiti, al momento “è poco opportuna la richiesta di marchi di tutela dell’Unione Europea perché i quantitativi prodotti con lavorazioni rispondenti alla rigida normativa sanitaria sono in percentuale molto limitati.” In particolare, afferma Agabiti, il marchio di tutela escluderebbe dalla valorizzazione tutta la produzione di Campotosto che subisce l’affumicatura in ambienti tradizionali. “Forte è infatti la polemica tra i poli produttivi laziali e abruzzesi che pure distano appena venti chilometri e che un tempo facevano parte dell’Abruzzo, terra tradizionalmente di pastori dove il guanciale amatriciano era il tipico cibo della transumanza”.

(a cura di Pino Rauti)