Non c’è il ricambio tra le generazioni


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E’ finito il “lusso del sogno”, scrive Pietro Calabrese; che ricorda con nostalgia il primo dopoguerra quando tutti volevano che i loro figli stessero meglio mentre oggi “siamo vecchi ed egoisti”.
Leggiamo Calabresi, che l’altra sera era a cena a casa da amici: “Cinque coppie, tre regolarmente sposate, due conviventi da molti anni. Età delle donne, tra i 45 e i 55. Ci accorgiamo che nessuna di loro è madre. Tutte e cinque non hanno mai avuto figli. Tre degli uomini presenti, invece, avevano avuto uno o due figli da precedenti rapporti.
Le donne non accampano scuse. “Non sono venuti”, “ci abbiamo provato ma senza troppa convinzione”, “è stata una libera scelta, di cui forse oggi un poco mi pento”, “no, non sono affatto pentita: se vedo le mie amiche e i problemi che hanno con i loro figli, non sono pentita affatto”.
Confesso di avere provato disagio in mezzo a questo rifiuto di maternità più o meno voluto. Naturalmente, da un punto di vista di coscienza individuale, e non di demografia, mi sono sentito come chi origlia qualcosa di immorale. Un vecchio, antico, collaudato sistema di ricambio di generazioni è ormai saltato. Non so con che tipo di società lo sostituiremo, ma quello che vedo intorno non mi piace affatto. Non credo nemmeno sia del tutto vera la storia che i figli costano, che uno è già difficile da tirare su, due non possiamo proprio permettercelo. Riconosco che c’è molta realtà in questo ragionamento, e una buona dose di ragione, però ho sempre pensato che i figli sono ricchezza, vita, gioia, nel presente, e soprattutto pensando al futuro.
Ma il nostro, si sa, è ormai un Paese per vecchi. “Le statistiche parlano chiaro – come tutti ormai sanno – e sono intollerabili nella loro metodicità”, gli anziani sono raddoppiati negli ultimi 50 anni, gli ultraottantenni addirittura quadruplicati. Siamo sempre più anziani, più longevi, più soggetti a malattie invalidanti.
Non credete alla storiella dei novantenni arzilli che sposano le rumene. I novantenni sono persone al tramonto più ricche di acciacchi che di ricordi. Lo sanno bene quelli che hanno la fortuna (o la disgrazia, dipende) di avere genitori ultraottantenni a cui pensare.
Questo cambiamento di status del Paese significa per prima cosa che i giovani dovranno lavorare sempre di più, per pagare le nostre pensioni. Molto più di quanto abbiamo dovuto fare noi. E significa anche che per i nostri figli non ci saranno pensioni, oppure godranno di rendite molto più basse rispetto alle nostre. La storia dei baby pensionati, che tanto ci intrigava negli anni Settanta e Ottanta, sarà una favola da raccontare, una divertente anomalia tra le tante del “Belpaese”. “Insomma, scrive Calabresi avviandosi alla conclusione, lasceremo un’Italia più povera, più vecchia, più malata. Così come lasciamo un pianeta più inquinato, più sofferente, con un futuro più incerto di quello che ci hanno lasciato i nostri padri. Per la mia generazione, e per quella immediatamente successiva, non è una cosa di cui vantarsi. Abbiamo ereditato uno Stato squassato dalla guerra, povero, ma pieno di vitalità e voglia di riscatto…”
“Adesso invece, in questo Paese con pochi bambini e molti anziani, tutti vogliono stare sempre più comodi. Ma per loro stessi, non per la generazione immediatamente successiva. Figuriamoci per quelle ancora più lontane”.