Non si vive soltanto di PIL


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“Bisogna ripensare in senso ampio le nozioni di progresso e di benessere”.
E’ lucido e incisivo come sempre, Amartya Sen, premio Nobel per l’Economia nel 1998.
Lo intervistano per “Le Monde” e l’intervista viene ripresa in Italia da “La Stampa”. Gregoire Albix e Laurence Caranvel, che rivolgono le loro domande – leggiamo – a un uomo che, anche prima della crisi economica, “faceva parte di quegli economisti che difendevano il ruolo dello Stato, contro la moda liberista.
“La crisi – risponde il Premio Nobel offre certamente l’occasione di rivedere i nostri modelli di sviluppo … e spero proprio che non si ritorni al “business as usual” una volta che il peggio sarà passato… Per decenni, negli Stati Uniti, le regole erano state demolite da un’Amministrazione dopo l’altra…, certo, il successo dell’economia liberale è sempre dipeso dal dinamismo del mercato, ma anche dai meccanismi di regolazione e di controllo, per evitare che la speculazione e la ricerca del profitto portassero a correre troppi rischi. E l’intervista continua: È solo un problema di regola mentazione, o bisogna ripensare in senso più ampio le nozioni di progresso e di benessere?
«Sì, bisogna ripensarle. Benessere e regolamentazione sono questioni collegate. Se si crede che il mercato non abbia bisogno di controllo, perché la gente farà automaticamente le scelte giuste, non ci si pone neppure il problema. Se invece ci si preoccupa del benessere e della libertà, bisogna organizzare l’economia in modo tale che queste due cose siano realmente possibili. Allora le domande sono: quali regolamentazioni vogliamo? Fino a quale punto? Ecco le questioni importanti che devono essere discusse collettivamente». Bisogna elaborare altri indicatori della crescita economica, a parte il prodotto interno lordo?
«È assolutamente necessario. L’indicatore del Pil è molto limitato. Utilizzato da solo, è un disastro. Gli indici della produzione o del commercio non dicono granché sulla libertà e sul benessere, che dipendono dall’organizzazione della società. Né l’economia di mercato né la società, sono processi che si autoregolano. Hanno bisogno dell’intervento razionale dell’essere umano.
L’indice di sviluppo umano Idh può essere uno dei nuovi indicatori?
«L’Idh è stato concepito per i Paesi in via di sviluppo. Permette raffronti fra la Cina, l’India, Cuba … , ma dà anche risultati interessanti riguardo agli Stati Uniti, e in genere per quei Paesi che non hanno assicurazione sanitaria universale e che sono contrassegnati da grandi disuguaglianze sociali. Ma abbiamo bisogno anche di altri indicatori per l’Europa e l’America del Nord, pur sapendo che non saranno mai indicatori perfetti». Quando lei ha concepito l’ldh, la crisi ambientale non era ancora stata percepita in tutta la sua gravità. Tenendo conto di questo nuovo aspetto, lei modificherebbe la sua visione della lotta alla povertà?
«Il declino della qualità dell’ambiente incide sulle nostre vite. Lo fa in modo immediato, nel nostro quotidiano, ma anche riducendo le possibilità di sviluppo a lungo termine. L’impatto del cambiamento climatico è più pesante sulle società dei Paesi più poveri. Prendere ad esempio l’inquinamento urbano: quelli che lo subiscono di più sono coloro che vivono in strada. La maggior parte degli indicatori della povertà o della qualità della vita dipendono anche dalle condizioni ambientali. Ecco perché è importante che le questioni della povertà e della disuguaglianza siano tenute in considerazione nei negoziati internazionali sul clima» …”.

(U.G.)