PCI: un altro archivio che lo sbugiarda in pieno


L’osservazione generale è questa: quando viene aperto un archivio, in qualsiasi parte del mondo, non c’è una sola volta che capiti che le “carte” riscoperte diano ragione ai nostri avversari, specie a quelli di sinistra. Mai che una volta dagli archivi salti fuori una qualche verità nuova che li esalti o quanto meno che li possa confortare.

Nello specifico, nel caso concreto, avviene adesso che un ricercatore storico scrupoloso sia andato a spulciare tante vecchie carte del comunismo sovietico a Mosca per trovare conferma ad una tesi che a lui – iscritto al Partito Comunista fino all’inizio degli anni ’80, era particolarmente cara e sembrava particolarmente significativa, la tesi della “diversità” dei comunisti italiani rispetto a quelli sovietici; una diversità che era sia prova della loro “originalità” e sia motivo di storica differenziazione dai crimini dello stalinismo.

Ne scrive, recensendo il libro, Gianfranco Pasquino ne “Il Sole 24 Ore”, che definisce questa tesi della diversità “quanto di più caro i comunisti italiani hanno avuto”.

E invece “in pagine molto documentate (l’autore) evidenzia una tremenda conformità del gruppo dirigente comunista togliattiano ai dettami e persino agli stili della politica stalinista e sovietica, che scendeva per i rami sino ad impregnare tutto il corpo del Partito….”

E non si tratta soltanto , sottolinea – giustamente, come vedremo – Gianfranco Pasquino di “quella che è una resa dei conti definitiva con il Partito e con molti colleghi storici Comunisti”; no, Andreucci affronta i termini cruciali del problema “originalità del PCI” attraverso quattro densi capitoli “formazione dell’identità; invenzione di una tradizione; sistemi di valori e universi simbolici; riti di passaggio (iniziazione, funerale, espulsione)”.

A modo di vedere – di Pasquino- vi sono almeno due contributi importanti nell’analisi di Andreucci. Il primo consiste nella utilizzazione ampia e colta, molto attenta e precisa, dei numerosi studi che gli scienziati  sociali, prevalentemente, ma nient’affatto esclusivamente americani, hanno dedicato al fenomeno comunista e ai comunisti fin dalla rivoluzione bolscevica (e non soltanto durante la Guerra Fredda). È una letteratura imponente e importante che l’autore valorizza con intelligenza e competenza. Il secondo è il confronto  puntiglioso fra le strategie e tattiche sovietiche e le reazioni dei comunisti italiani; persino fra i riti sovietici e i riti del PCI “fino a mostrarne non soltanto la carenza di originalità, ma persino l’imitazione, qualche volta assolutamente pedissequa”

Scrive ancora, Pasquino, che leggendo il libro di Andreucci, crede di aver capito “perché l’anticomunismo continua ad essere politicamente rilevante in Italia: talvolta, gli ex-comunisti sostengono di sentire nei loro confronti la discriminazione che si commina a i figli di un dio minore. Invece il problema è che, con non poche ragioni, in Italia e, quantomeno anche in Francia, “gli ex comunisti che continuano a dichiarare di non avere nulla da rimproverarsi per il loro passato sono figli di un “Dio che è fallito” (come dal titolo di unfamoso libro di autorevolissimi ex comunisti pubblicato all’inizio degli anni cinquanta) sul cui fallimento non hanno mai voluto interrogarsi in maniera approfondita”.

Pino Rauti

Franco Andreucci : “Falce e Martello. Identità e linguaggio dei comunisti italiani tra stalinismo e Guerra fredda”. Bononia University Press- Bologna, 2005 – Pagg. 304- 19,00 Euro