Perchè no, adesso alle basi americane…

image_pdfimage_print
[La data originale di pubblicazione del presente articolo è precedente a quella attuale – © Centro Studi Pino Rauti – Tutti i diritti riservati]

Attenti lettori alla rubrica quotidiana che Sergio Romano – spesso sostenendo tesi non molto in linea con quello del suo giornale- tiene con le “Lettere al Corriere”, stavolta non esitiamo a definire piu’ che eccellente la risposta data ad un lettore di bassano del Grappa, Gianpaolo Guidolini. Il quale gli chiedeva perchè mai, con i tempi che corrono, l’Italia dovrebbe opporsi all’apertura di una base USA a Vicenza.

E riprendiamo di seguito la lettera di Guidolini e la risposta di Sergio Romano che ci sembra davvero “far testo” sul problema basi statunitensi nel nostro Paese.

Scrive dunque il lettore: Ho letto con stupore la risposta in merito alla base Usa a Vicenza. Secondo la sua tesi sarebbe opportuno che gli americani lasciassero completamente l’Italia, in nome della sovranità dello Stato. Non sono d’accordo innanzitutto perché questo principio sarebbe dovuto valere anche durante la guerra fredda. Ma quello che più mi stupisce è che lei consideri l’Italia talmente sicura da permettersi di rinunciare alle basi Usa e quindi all’ombrello protettivo degli americani. Credo anzi che l’Italia abbia ancora bisogno degli americani e delle loro basi, visto che il mondo è ancora diviso in blocchi.

Un dato su tutti. Gli stati con l’atomica sono passati da 5 a 9. Esiste poi il fattore Nato, alleanza per l’autodifesa dei Paesi occidentali. Ebbene, in base al principio della sovranità dello Stato, chiudiamo anche queste basi? O forse, visto che sono di una organizzazione sopranazionale, devono restare? Ma se queste basi possono restare aperte in base a trattati internazionali che di fatto riducono la sovranità dello Stato, non si può far e lo stesso discorso per qualche convenzione con una Nazione alleata?

Non dimentichiamoci e non facciamo finta di non vedere che gli Usa non sono un semplice alleato, ma il fulcro dell’Occidente. Al contrario di lei, auspico che chi ha il potere di decidere le sorti delle basi americane le faccia rimanere per la sicurezza dell’Italia. Non vorrei che l’Italia si trovasse nella condizione di dipendere dalla difesa dell’Unione Europea che, come l’ha definita in modo sintetico ma efficace il presidente Cossiga, è «un gigante economico, un nano politico e un verme militare» GiampaoIo Guidolin — Bassano del Grappa (Vi).

Ecco la risposta di Sergio Romano:

Caro Guidolin,
mi spiace, ho dovuto tagliare una parte della sua lettera, troppo lunga, ma spero di averne conservato i punti essenziali.

Lei sostiene che la sovranità nazionale, in altri momenti, non ci ha impedito di accettare le basi americane e soprattutto la leadership degli Stati Uniti. E’ certamente naturale che ogni Paese, in tempo di guerra, rinunci in parte alla sua sovranità. Durante il primo conflitto mondiale gli inglesi e gli italiani accettarono di combattere in Europa sotto il comando di un generale francese. Durante la Seconda guerra mondiale la Gran Bretagna e i Paesi del Commonwealth riconobbero l’utilità di un comandante americano. E altrettanto accadde, nell’ambito della Nato, durante gli anni della guerra fredda. Ma alla base di queste decisioni vi sono naturalmente l’esistenza di un nemico comune e la necessità di una forte solidarietà. Oggi la situazione è radicalmente diversa. Il nemico comune è il terrorismo islamico d’ispirazione religiosa, ma il miglior modo per sconfiggerlo non è combattere guerre immotivate come quella irachena, smantellare strutture statali senza avere idee chiare sul sistema politico che dovrebbe prenderne il posto, creare condizioni d’insicurezza che provocano il risentimento della popolazione civile. In Iraq e per certi aspetti anche in Afghanistan, l’America ha creato il terreno su cui il fanatismo religioso può raccogliere sotto le proprie bandiere anche coloro che si battono, più semplicemente, contro l’occupazione straniera del loro Paese. Se l’America persegue una politica estera discutibile e non conforme ai nostri interessi, perché l’Italia dovrebbe ospitare basi che sono strumenti di quella politica?

È vero che il numero dei Paesi nucleari sta progressivamente aumentando. Ma vi sono due considerazioni di cui è necessario tener conto. In primo luogo la bomba, soprattutto per una potenza di media grandezza, è un’arma deterrente, destinata a garantirle una certa invulnerabilità di fronte a una potenza maggiore. Se la Corea del Nord se ne servisse, sarebbe oggetto, pressoché immediatamente, di una micidiale rappresaglia. In secondo luogo, il Trattato di non proliferazione, firmato il 1 ° luglio 1968, contemplava per i Paesi nucleari una sorta di reciprocità: l’obbligo di adoperarsi per il progressivo disarmo nucleare. Tutti e in particolare gli Stati Uniti, hanno continuato ad arricchire e a perfezionare il loro arsenale. Resta naturalmente il problema delle basi Nato, aperte sulla base di accordi con una organizzazione di cui l’Italia è membro. Ma l’organizzazione ha perso la sua originale ragione sociale e corre il rischio di essere usata, come nel caso dell’Afghanistan, quando Washington non può o non vuole portare a termine un lavoro lasciato a metà. Vi sono ottime ragioni per mantenere in vita l’Alleanza Atlantica. Ma ve ne sono altrettante per rivedere interamente gli accordi militari della Nato.

Per concludere, anch’io, caro Guidolin, so che non è possibile, per il momento, fare affidamento sulla forza militare dell’Europa. Ma il problema in questo caso è un altro: se sia opportuno affidarsi alla politica estera degli Stati Uniti”

  • Facebook
  • Twitter
  • Delicious
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Add to favorites
  • Email
  • RSS

Comments are closed.

Post Navigation